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PSICOLOGIA dello SVILUPPO II Modulo 2 Santa PARRELLO b. DISEGNARE: costruire MONDI POSSIBILI

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PSICOLOGIA dello SVILUPPO II Modulo 2 Santa PARRELLO b. DISEGNARE: costruire MONDI POSSIBILI

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Presentation Transcript


    1. PSICOLOGIA dello SVILUPPO II Modulo 2 Santa PARRELLO b. DISEGNARE: costruire MONDI POSSIBILI

    2. Winnicott sviluppò tra il 1964 e il 1968 un tipo di intervento applicabile nel primo colloquio con bambini come strumento diagnostico-terapeutico, e lo chiamò SQUIGGLE GAME, ossia il 'gioco dello scarabocchio' o DISEGNO SPECULARE PROGRESSIVO. Egli lo presentava al bambino semplicemente così: "Io chiudo gli occhi e faccio uno scarabocchio sul foglio; tu ci disegni sopra e lo fai diventare ciò che vuoi. Poi tu fai un tuo scarabocchio su un altro foglio e io lo faccio diventare ciò che voglio". È essenziale comprendere che questa non è mai stata considerata da Winnicott una 'tecnica', ma solo un modo per entrare in rapporto col piccolo paziente, per creare un colloquio con lui.

    3. Per Winnicott la psicoterapia stessa è qualcosa che ha a che fare con due persone che giocano insieme, e il gioco dello scarabocchio serve, appunto, a creare uno spazio in cui possa esprimersi il potenziale ludico della mente infantile. Quando ciò avviene, il bambino si apre interamente e crea col terapeuta una relazione densa, piena e fiduciosa che è molto raro poter raggiungere con altri mezzi in un primo contatto.

    4. Ne Il poeta e la fantasia Freud (1909) individua una linea di continuità tra l’attività fantastica, il gioco e la creazione artistica. Ognuna di queste attività deriva dalla percezione di uno squilibrio: tra le cose come stanno e come si vorrebbe che fossero, da una insoddisfazione:“solo l’uomo insoddisfatto fantastica” ognuna di esse è caratterizzata da un lavoro di “messa in forma” che produce un riassetto dell’esperienza: “Forse si può dire che ogni bambino impegnato nel gioco si comporta come un poeta: costruisce un suo proprio mondo, o, meglio, dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del suo mondo”

    5. Le radici della fantasticheria, del gioco, della produzione artistica vanno collocate nell’inconscio, nell’incessante lavorio del desiderio; sono espressione della soggettività nel suo tentativo di venire a patti con le esigenze della realtà pur trattandosi di manifestazioni dell’inconscio, esse non sono mere scariche della pulsione, in quanto comportano un lavoro di “messa in forma”, una elaborazione. Sono attività che modulano e modificano il moto pulsionale attraverso una sua rappresentazione simbolica; gli scenari emozionali che fantasticheria, gioco e produzione poetica inaugurano, sono costruzioni, non puri riflessi della pulsione né mimesi della realtà Essi istituiscono mondi possibili

    6. Il riassetto dell’esperienza tramite la simbolizzazione ha inizio nella prima infanzia e la sua manifestazione più evidente è il gioco, ma può esprimersi anche attraverso la fantasticheria e la sua verbalizzazione, cioè nel racconto di storie e utilizzando altri mezzi espressivi come fa l’artista. La differenza tra le forme spontanee di manifestazione della fantasia e la produzione artistica sta nel governo del mezzo espressivo di cui il poeta si serve a vantaggio del suo pubblico.

    7. Gli autori che, dopo Freud, ma sempre da un vertice psicoanalitico, hanno indagato i fenomeni del simbolismo, nei bambini, negli adolescenti e negli adulti, non hanno potuto fare a meno di mettere in evidenza quanto tali processi siano connessi ad uno stato di salute psichica, costituiscano naturali dispositivi di autocura e stiano alla base della capacità di dare un significato all’esistenza. Sfortunatamente, alla teorizzazione dell’importanza dei processi simbolici nell’infanzia, non è seguita, se non in pochi casi, una riflessione pedagogica sul ruolo svolto dagli adulti (genitori e insegnanti) nel costituirli a dispositivi della crescita infantile (Bondioli, 2004)

    8. Spunti psicoanalitici e della pedagogia a orientamento simbolico (Bondioli, 2004) A. Il gioco, la verbalizzazione di fantasie, il disegno espressivo, la manipolazione della creta, la creazione di scenari con oggetti e pupazzi consentono al bambino esteriorizzare aspetti del mondo interno (figure, relazioni, angosce, desideri) servendosi di elementi di realtà.

    9. Essi non sono espressioni dell’inconscio allo stato puro ma vere e proprie rappresentazioni che modulano l’impeto pulsionale dando ad esso un “forma”. Tale “forma” – un gioco drammatico, uno scenario ludico, un racconto inventato, un disegno, macchie di colore – consente una visione dell’invisibile ed anche una manipolazione trasformatrice. Questa modalità spontanea di dare forma all’informe costituisce una primitiva quanto spontanea tendenza al “mettere un ordine” nel caos dell’esperienza, nel porvi dei limiti e dei confini, nell’evidenziarne dei fuochi e dei punti salienti, nel connettere, come dice Freud (1909), passato, presente e futuro.

    10. E’ la concretezza del mezzo espressivo, qualsivoglia sia, con i suoi limiti e le sue possibilità, a sollecitare questo lavoro di estrazione di senso e di “modellizzazione” dell’esperienza. Nella misura in cui si configura come esperienza “estetica”, questo lavoro di messa in forma si configura al tempo stesso come un dispositivo di governo pulsionale; la trasposizione del vissuto emozionale nel docile mondo degli oggetti e delle forme frena e diluisce il dirompere delle passioni: fingere di aggredire non è ammazzare.

    11. B. Il gioco trova radici nella realtà esterna (l’esperienza quotidiana infantile) e nella realtà interna (l’esperienza soggettiva) e il testo del gioco - la rappresentazione visibile - è il frutto di tale contaminazione. Una lettura solo del testo del gioco non ci darà mai la chiave per accedere a dati di realtà (così per il disegno).

    12. Le manifestazioni simboliche infantili si appoggiano tutte su elementi di realtà; il medium con cui si realizzano è reale. Il gioco, la narrazione, il disegno, le costruzioni non sono puramente virtuali né esclusivamente interne (solo la fantasticheria degli adolescenti ha, secondo Freud, questa caratteristica; ma, pur essendo coltivata in segreto, esistono le condizioni per essere espressa).

    13. Gioco, storie, disegno: Aiutano il bambino a compiere esami di realtà, esercitando pazienza e perseveranza (Bettelheim) Diluiscono l’angoscia col trasferire su oggetti del mondo esterno ciò che è riferito ad oggetti interni (Klein) Consentono un “visione” dei problemi interiori, la possibilità di “guardarli” da punti di vista differenti, di fornirne versioni inedite (Erickson) Consentono di “vivificare il mondo” e rendere la vita degna di essere vissuta (Winnicott) Rendono possibile la socializzazione dell’esperienza interna (Bettelheim, Isaacs) Rendono possibile un’esperienza creativa (Milner)

    14. Questa tendenza all’espressione, e pertanto a utilizzare aspetti del mondo esterno per rappresentare vissuti interni, che nel bambino è anche mossa dal desiderio di “essere guardati” (A. Freud), rende le produzioni simboliche aperte alla condivisione: il gioco può arricchirsi attraverso lo scambio sociale, la verbalizzazione fantastica rivolgersi a un ascoltatore, grafismi e colori offrirsi allo sguardo altrui.

    15. L’espressione socializzata delle fantasie, che richiede un pubblico o dei co-attori, trasforma ulteriormente il processo di simbolizzazione che, nel rendersi comunicabile, sottostà maggiormente a regole e convenzioni. Il processo secondario interviene a informare quello primario e il primato della soggettività a recedere sullo sfondo a favore dello scambio sociale.

    16. Parallelamente a questo divenire sociale dell’espressività simbolica, si definisce la possibilità di fruire delle produzioni simboliche altrui, di godere nel vedere il proprio mondo interno rispecchiato in una “forma”. Il piccolo riconosce e comprende la “non letteralità”, l’uso di metafore, il piacere di entrare in un mondo di finzione in cui ritrovare, in maniera meno confusa, aspetti di se stesso. Per questa via può arricchire le sue stesse produzioni simboliche trovandovi spunti evocativi ed esempi di modalità espressiva.

    17. Questo divenire sociale della simbolizzazione delinea un percorso di crescita caratterizzato da un sempre maggiore governo pulsionale, un rafforzamento dell’io e dell’esame di realtà, la possibilità di accesso ad esperienze culturali. Un percorso di crescita nel quale il mondo adulto interviene a fornire supporto o, viceversa, a inibirne lo sviluppo.

    18. Due le vie attraverso cui, più o meno consapevolmente, il mondo degli adulti svolge un ruolo significativo: offrendo al bambino prodotti culturali supposti a sua misura che possono alimentare la sua fantasia e fornire elementi di identificazione (fiabe, racconti, illustrazioni, ecc.); attivando un “ascolto empatico” che autorizza il bambino alla produzione simbolica ed, eventualmente, le fornisce un supporto per espandersi e svilupparsi (gioco degli scarabocchi di Winnicott).

    19. Le suggestioni tratte dalla letteratura psicoanalitica permettono di formulare una linea di sviluppo che va nella direzione di una sempre maggiore capacità di “ricostruire il mondo”, più che adattarsi ad esso, di utilizzare l’immaginazione fare ipotesi su di esso e dare un significato alla propria esperienza. di servirsi dell’esperienza soggettiva come pre-condizione per accedere a un mondo di significati condivisi e condivisibili, per accedere alla dimensione intersoggettiva.

    20. "Se si chiede ai bambini di raccontare delle storie e si mostra un genuino interesse mentre le raccontano; se le storie raccontate dai bambini vengono loro "restituite" (registrate o scritte) e se si chiedono loro nuove storie, allora i racconti dei bambini miglioreranno progressivamente ... L'unica precauzione è che (gli adulti) ascoltino le storie dei bambini qualunque cosa essi vi mettano dentro. Devono cioé comportarsi più come terapeuti permissivi che come dei puritani repressivi" (Sutton-Smith, 1974).

    21. Questa affermazione di Sutton-Smith mette bene in luce alcuni punti essenziali relativi alla promozione delle diverse forme di espressione simbolica infantile. In primo luogo la necessità di creare situazioni nelle quali il bambino possa essere posto in condizione di esprimersi simbolicamente; la presenza di un ascoltatore attento è dunque una prima e fondamentale condizione. L’adulto che considera il bambino un potenziale narratore, che lo ritiene capace di “dare una forma” ai propri vissuti interni, avrà voglia di chiedergli di raccontare una storia. E il bambino sarà pronto a raccontarla se avrà sviluppato nei confronti dell’adulto la fiducia in un ascolto non giudicante ma curioso e comprensivo. L’apparente inibizione espressiva di molti bambini deriva il più volte da tale mancata fiducia sviluppata nel corso di ripetute esperienze di giudizio o svalorizzazione da parte dell’adulto.

    22. La seconda condizione è dunque un ascolto non valutante capace di mettersi in sintonia con il registro emotivo del bambino e con la sua modalità espressiva. Il riconoscimento del sostrato emotivo delle fantasie che il bambino esprime nelle sue produzioni simboliche impone all’adulto di attivare un ascolto empatico capace di mettersi in sintonia con il piccolo interlocutore. Non c’è bisogno per questo di avere una formazione clinica - il racconto infantile non va visto come chiave di accesso ai problemi e ai conflitti profondi in esso celati -; basta saper riconoscere e condividere il profondo coinvolgimento emotivo espresso dal piccolo mostrando un genuino interesse per “qualsiasi cosa vi metta dentro”.

    23. Va detto che tale tipo di “ascolto”, permissivo e non giudicante, qualsivoglia sia il contenuto espresso, è quanto di più distante ci sia dal consueto atteggiamento educativo, che mira a trasmettere contenuti piuttosto che invitare a produrli, che tende a dirigere, correggere, sanzionare. Un ascolto di questo tipo non è necessariamente passivo. Al contrario richiede una forma di comunicazione capace di trasmettere al piccolo interlocutore che lo si è ascoltato e compreso. Non solo i segnali fatici della comunicazione ma anche gli inviti a continuare nella forma di domande aperte, le richieste di precisazioni circa caratteristiche degli ambienti e dei personaggi costituiscono incentivi a proseguire nella narrazione e stimoli per l’invenzione creativa. Non si tratta tanto e solo di applicare una “tecnica” quanto di assumere un atteggiamento di curiosità e interesse rispetto a agli imprevedibili percorsi della simbolizzazione infantile ponendosi dal punto di vista del piccolo interlocutore.

    24. Bettelheim chiama “empatia” questo atteggiamento dell’adulto che sa comprendere la gioia e il godimento di un bimbo coinvolto in un gioco, in un disegno, in un racconto e gli rimanda la percezione di una condivisione emotiva. Per Winnicott si tratta di sovrapporre due aree di esperienza transizionale, quella del bambino quando gioca e quella che l’adulto può riattivare quando pensa creativamente. E’ allora possibile una comunicazione su un registro emotivo che si avvale di simboli, come nel gioco degli scarabocchi

    25. O, forse, per meglio comprendere quanto accade quando un adulto giunge a condividere pienamente una esperienza simbolica con un bambino - sia che si tratti di un gioco, di una fiaba o di un racconto, di un disegno e delle parole che lo accompagnano – si potrebbe utilizzare il concetto, coniato da Kris (1952) per la creazione e l’esperienza estetica, di “regressione al servizio dell’io”. L’adulto entra in contatto con il proprio inconscio, con le proprie fantasie infantili e attiva un modo di funzionamento cognitivo diverso da quello usato per “prove di realtà”, ma pone tale regressione al servizio dell’io: senza perdere il governo di sé la usa per comunicare col suo piccolo compagno e condividere la gioia di un gioco, il terrore e il sollievo provocati da un racconto, per rendere vivi e parlanti immagini e segni.

    26. Ma vi è anche un’altra via - e si tratta di un’ulteriore condizione da esplorare - attraverso la quale il mondo adulto tenta di stabilire un contatto con quello dei bambini, e si tratta di una modalità non più iscritta in una relazione individuale, bensì collettiva, storico-culturale. Esiste una produzione culturale e un mercato per l’infanzia.. L’adulto che accompagna il bambino nel suo percorso di crescita gli offre come nutrimento brandelli della cultura adulta che suppone siano di suo gradimento. Il bambino sembra capace di avvalersi di tali brandelli per costruire un mondo a sua misura.

    27. Se l’adulto rappresenta per il bambino un “iniziatore” all’uso dei simboli per dare significato all’esperienza, il suo ruolo di “mediatore culturale” non si arresta qui. Condividendo col piccolo un’esperienza simbolica, egli dimostra che si tratta di un’esperienza scambiabile. Scambiabile e, dunque, arricchente tutti i partecipanti. Culturale.

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