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La realtà come costruzione sociale

La realtà come costruzione sociale. «Definiamo la ‘realtà’ una caratteristica propria di quei fenomeni che noi riconosciamo come indipendenti dalla nostra volontà: non possiamo cioè ‘farli sparire’ semplicemente desiderando che spariscano».

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La realtà come costruzione sociale

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Presentation Transcript


  1. La realtà come costruzione sociale

  2. «Definiamo la ‘realtà’ una caratteristica propria di quei fenomeni che noi riconosciamo come indipendenti dalla nostra volontà: non possiamo cioè ‘farli sparire’ semplicemente desiderando che spariscano». [Berger e Luckmann, La realtà come costruzione sociale, tr. it. Bologna, Il Mulino, 1966, p. 14.]

  3. «Non vi sono puri e semplici fatti: vi sono sempre fatti interpretati . Ciò non significa che, nella vita quotidiana o nella scienza, noi non siamo capaci di afferrare la realtà del mondo. Significa che afferriamo solamente certi aspetti di essa, cioè quelli che sono rilevanti per noi.» [A. Schutz, Saggi sociologici, tr. it. Torino, UTET, 1979, p. 5.]

  4. Tutto l’insieme di ciò che chiamiamo “realtà” è colto dagli esseri umani attraverso la mediazione di quadri simbolici e cognitivi di natura sociale. Si tratta innanzitutto della mediazione fornita dai linguaggi che usiamo

  5. Una parte di questa realtà, quella che potremmo chiamare propriamente la “realtà sociale” (il linguaggio stesso, le istituzioni e i vari tipi di azioni e interazioni sociali) è il risultato dell’azione e dell’interpretazione di pluralità di individui.

  6. . Tale risultato è però usualmente rimosso in quanto tale, cioè per l’appunto in quanto “risultato”. Appare piuttosto come il modo in cui la realtà si configura naturalmente: non come prodotto di alcunché, ma come “dato”. Questa apparenza corrisponde al modo in cui la realtà si presenta al «senso comune».

  7. Il senso comune è l’insieme delle definizioni della realtà - e dei modi congruenti di agire al suo interno - che è diffuso all’interno di una cerchia sociale e che viene considerato ovvio dai suoi membri.

  8. Il senso comune è la cultura «naturalizzata», cioè protetta dal dubbio che vi siano altri modi possibili di intendere la realtà e di comportarsi al suo interno. Come scriveva Schutz, esso corrisponde all’atteggiamento che mette fra parentesi il dubbio che le cose possano stare altrimenti.

  9. La costruzione sociale della realtà è attraversata da rapporti di potere.

  10. La teoria sociale, per come la abbiamo intesa in questo corso, corrisponde alla ricorrente messa in questione degli assunti del senso comune eurocentrico presente nelle scienze sociali.

  11. Si rammenti la nozione di eurocentrismo come un tipo di etnocentrismo accennata leggendo Delanty. Si noti che anche la prospettiva di Eisenstadt comporta almeno l’avvio di una discussione dell’eurocentrismo.

  12. La critica dell’eurocentrismo nelle scienze sociali è marcata negli studi postcoloniali. Il costruzionismo, anche se raramente citato come tale, è presupposto da tutte le teorie critiche considerate.

  13. Come scrive Edouard Glissant, la situazione contemporanea comporta la consapevolezza di parlare e di scrivere «in presenza di tutte le lingue del mondo»

  14. In Said, la stessa nozione di «alterità» è messa in discussione: essa è un prodotto del discorso eurocentrico molto più di quanto non corrisponda a differenze documentate.

  15. Si tratta oggi di ricorrere a tutte le fonti disponibili, aprendosi a ciò che esse hanno da dire.

  16. Ciò che chiamiamo «fonti» è l’insieme dei materiali empiricamente accessibili grazie a cui rinveniamo le informazioni necessarie a rispondere alle nostre domande.

  17. Ma, in sé, tutto è potenzialmente fonte di informazioni: a rendere attualmente qualcosa una «fonte» sono le domande per cui cerchiamo le risposte.

  18. Le «fonti» nella ricerca sociale sono ciò grazie a cui la teoria si espone all’incontro con l’altro da sé.

  19. Memorie del futuro

  20. Anche le immagini riguardanti il futuro sono oggetto di costruzione sociale. Vi cooperano tanto innumerevoli conversazioni ordinarie quanto discorsi e immagini proposte dai media.

  21. Ciò che è possibile, probabile oppure impossibile è raramente un dato incontrovertibile: è un modo di interpretare quello che abbiamo di fronte.

  22. Poiché questa interpretazione influirà sui corsi d’azione, si compete per diffondere l’interpretazione più conveniente.

  23. Gran parte dei conflitti che oggi attraversano i mondi della comunicazione riguardano esattamente questo punto: individui e gruppi competono, cooperano, negoziano o cercano di annullarsi a vicenda nel tentativo di far sì che la società nel suo insieme consideri plausibili certi futuri o certi altri.

  24. Entro questi conflitti va considerata la presenza (o l’assenza) di memorie riguardanti futuri un tempo ritenuti possibili.

  25. La «memoria del futuro» è il ricordo di futuri che abbiamo atteso in passato.

  26. E’ la memoria di aspirazioni, previsioni, speranze, progetti, preoccupazioni e timori. Può essere memoria di un individuo o di un gruppo.

  27. Memorie del futuro: «una prospettiva sul passato che non lo considera tanto come una collezione di fatti storici, quanto come l’insieme di immagini, progetti, visioni, ambizioni e interessi riguardanti il futuro che i nostri predecessori hanno coltivato, che possono essersi realizzati o essere rimasti incompiuti».

  28. Le immagini del futuro hanno un carattere performativo.

  29. Il presente infatti produce il futuro attraverso le azioni che compiamo, attraverso le scelte che mano a mano riducono il ventaglio delle possibilità davanti a cui stiamo; ma il futuro, in quanto anticipato nell’immaginazione, produce a sua volta il presente perché il modo in cui agiamo è determinato dalla nostra anticipazione del futuro e dalle reazioni che abbiamo di fronte a questa anticipazione.

  30. Un certo orizzonte di attese era presente in ogni momento passato: e con questo orizzonte, per quanto in modo mediato, il ricordo consente di entrare in relazione. Possiamo chiamare questa relazione il ricordo di un futuro passato: del futuro - o più d’uno - che era compreso negli avvenimenti passati e contribuiva a dar loro il senso che avevano.

  31. Che la memoria dei futuri passati sia attivata realmente non è scontato. Quando Koselleck dedicò un suo libro al “futuro passato”, era per dire che per i moderni esso è quasi muto: nel corso della modernità gli orizzonti d’attesa del passato tendono a perdere via via rilevanza, poiché è caratteristico della modernità stessa mettere fuori gioco ogni esperienza acquisita.

  32. Scriveva Koselleck: «… nell’età moderna la differenza fra esperienza e aspettativa aumenta progressivamente; o, più esattamente, che l’età moderna può essere concepita come un tempo nuovo solo da quando le aspettative si sono progressivamente allontanate da tutte le esperienze fatte finora»

  33. Spazio di esperienza e orizzonte di attese nella modernità tendono a disgiungersi. Ma ciò non significa che degli orizzonti d’attesa del passato si perda ogni traccia. Il punto è piuttosto se desideriamo farli emergere o no, se ne avvertiamo la curiosità, l’urgenza o la necessità.

  34. La storia dei futuri immaginati in passato è parte della storia più complessiva di individui e di gruppi: dato il carattere performativo dei futuri immaginati, ciò che si è atteso (progettato, sperato o temuto) ha avuto influenza sul corso degli eventi.

  35. Lo studio dei futuri che immaginammo in passato è anche uno strumento che può servire alla storia delle culture, degli immaginari, delle mentalità. Dei futuri passati si può fare la storia, e questa arricchisce la storiografia complessiva.

  36. Poiché studiare i futuri passati aiuta a comprendere il senso che le azioni ebbero per chi le compiva, non sono solo gli storici a essere chiamati in causa. Per chi pratica la sociologia richiamandosi a Weber, la questione del senso che ciascuno attribuisce al suo agire è imprescindibile: ma una parte del senso che ogni agire possiede rimanda ai futuri che il soggetto si immagina.

  37. L’attenzione ai futuri passati permette fra l’altro di riarticolare una questione particolarmente importante: quella dei rapporti fra le generazioni. Questi consistono infatti, almeno in una certa misura, proprio in un ricorrente confronto fra attese.

  38. Il passato può a volte venire percepito come carico di un non-ancora che attende qualche cosa.

  39. Questa idea sta alle origini dei cultural e dei postcolonial studies britannici. Come scriveva E. P. Thompson, fra gli altri, il passato può essere riscattato come contenitore di potenzialità non realizzate ma suscettibili di possibile futura realizzazione.

  40. In questa prospettiva la memoria dei futuri passati è uno strumento per attivare la sensibilità per la differenza tra ciò che è e ciò che dovrebbe o che potrebbe essere. E’ una prospettiva secondo cui la considerazione del passato diventa capace di sprigionare, a certe condizioni, delle dinamiche per potremmo chiamare «sovversive».

  41. Quello della forza sovversiva della memoria era un tema presente negli scritti degli autore della Scuola di Fancoforte.

  42. Come scriveva Herbert Marcuse in Eros e civiltà (1955), la verità più profonda della memoria sta “nella sua funzione specifica di conservare promesse e potenzialità che sono state tradite”.

  43. La memoria dei futuri passati può fuorviare se non si mette al lavoro anche l’altra sua competenza: che è il sapere come poi sono andate le cose. Perché può ben essere vero che la memoria serba traccia di “promesse e potenzialità che sono state tradite”, ma quali, come e perché siano state tradite è qualcosa che il presente può e deve valutare.

  44. Non tutti i futuri immaginati in passato meritano di essere presi in considerazione di nuovo; e anche per quelli che lo meritano, l’oggi non può dimenticare ciò che sa attorno a ciò che le visioni di un tempo hanno potuto provocare, agli esiti controintenzionali che ne sono scaturiti. Le memorie del futuro non servono solo al riscatto di potenzialità inadempiute: servono anche a riconoscere errori compiuti e responsabilità.

  45. I futuri passati non vanno necessariamente ripresi: spesso sono da criticare. Ciò vale in parte anche i futuri immaginati in connessione con l’idea di progresso.

  46. L’idea di progresso oggi è spesso criticata. Secondo il pensiero postmoderno, fra l’altro, si tratta di una “grande narrazione” che va accantonata. Ma non sempre è utile il mero oblio del passato. Più utile sembra riflettere su ciò che gli orizzonti di attese passati hanno significato, e possono ancora significare

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