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GLI OLIVI E IL DESERTO

GLI OLIVI E IL DESERTO. Costanza Ferrini ENEA 20 maggio 2008. Cos’è un olivo?. A questa domanda farei rispondere un poeta, Kajetan Kovič che descrive perfettamente il senso di questo albero: Arbusto Dalle braccia di lacrime dalle croste di pane

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GLI OLIVI E IL DESERTO

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Presentation Transcript


  1. GLI OLIVI E IL DESERTO Costanza Ferrini ENEA 20 maggio 2008

  2. Cos’è un olivo? A questa domanda farei rispondere un poeta, Kajetan Kovič che descrive perfettamente il senso di questo albero: Arbusto Dalle braccia di lacrime dalle croste di pane Tu sublime sete di cielo, di vento, di stelle Da quelle altitudini si chinano a te Solo gli uccelli e i fulmini Tu dolcezza d’animo fatta di pallide foglie verdi Tu vento che mordi l’humus col vento delle radici, tu frescura sopra sorgenti asciutte, tu uccello nell’orecchio terrestre, tu formica negli occhi del cielo tu grande metafora tra cielo e terra, albero. Una pianta basitona, un arbusto che appartiene alla stessa tipologia dei cactus…nasce ai bordi del deserto una pianta che ha capito il valore dell’acqua e continua a mantenere, in clima temperato, la memoria del deserto, la memoria dell’acqua…

  3. Cos’è un deserto? O uomo che importa che tu abbia caldo o freddo? E’ la legge del deserto aver caldo il giorno e freddo la notte. Ma non hai che da volgere la tua fronte al cielo per ricevere il sole e poi le stelle. E sarai felice. Mussa Ag Amastane, poeta Tuareg I mari sono come i deserti. Grandi spazi ai bordi dei quali l’immobilità è un’eresia. Malika Mokkedem Deserto dal latino deserere, abbandonare. Sah’ra significa il vuoto, Hammada che è la parte rocciosa, composta da pietrisco aguzzo di calcari, arenaria, basalto e rocce cristalline deve il suo nome ad hamid morte, senza vita. Ma, nel deserto, 12.000 anni fa, di vita ce n’era molta. Nelle pitture rupestri del Wadi Methkandush, nel deserto libico, ad esempio, sono incise scene di caccia, elefanti, giraffe, coccodrilli, struzzi, ippopotami e rinoceronti…

  4. DESERTI I deserti coprono 50 milioni di km quadrati 1/3 delle terre emerse e sono inadatti all’insediamento stabile dell’uomo Le differenze di temperature consentono di distinguere fra: • deserti caldi con estati molto calde e inverni tiepidi • deserti freddi dove le estati sono torride e gli inverni rigidi • Deserti polari dove le temperature sono sempre molto basse Ai confini del Mediterraneo sta il Sahara, il Tahar (tra Arabia e Iran) entrambi molto caldi e soleggiati 3000 ore di sole all’anno, con forti escursioni termiche tra giorno e notte. Infatti a causa della bassa percentuale di umidità, i raggi del sole riscaldano il suolo 35- 40° fino a 60° all’ombra e durante la notte il calore accumulato viene disperso e la temperatura può avvicinarsi allo 0. Il Sahara è esteso per 8000 km quadrati dal mar Rosso all’Atlantico eccetto la valle del Nilo e 2000 dal mediterraneo alle regioni centroafricane. L’altitudine va dai 300 m slm agli 800 con il massiccio vulcanico del Tibesti in Ciad a 3145 m e l’Hagger in Algeria 2198 m. REG O SERIR (ciottoloso che poi diviene ghiaia) HAMADA roccia nuda, ERG chiamato anche IDEAN quello delle dune.

  5. Origini dell’olivo L’origine degli olivi è molto discussa e misteriosa. Gli archeobotanici sono al lavoro su diverse strade: POLIGENESI: dove sono ora lì sono stati allevati a partire dagli olivastri, che vennero allevati ben prima dell’allevamento dell’olivo già dal Paleolitico e fino alla prima Età del Bronzo, secondo alcuni studi. MONOGENESI: vengono tutti da un’unica origine al di fuori del Mediterraneo: • a) zona dell’Acrocoro armeno, il Turkestan e il Pamir per quanto riguarda l’olivastro • b) Asia minore, Anatolia sud-orientale, Siria e Palestina per l’olivo • c) Ve n’è un’altra che vede l’origine dell’olivo nelle terre attraversate dal corso superiore del Nilo • d) nel Corno d’Africa l’olea africana Sappiamo anche che nel codice Hammurabi nel 2500 a.C. si regolava la compravendita dell’olio d’oliva nello stato babilonese… In attesa di conoscere gli esiti. Noi seguiamo i miti…

  6. Dall’oro dell’olivo di Saba… Bisogna far attenzione alla foglia!Tutte le 1500 specie di olivi che conosciamo e che crescono sulle sponde del Mediterraneo,appartengono alla famiglia dell’olea europea e hanno la caratteristica che la parte inferiore della foglia è argentata, noi da bravi eurocentrici abbiamo concluso che tutti gli olivi sono argentati. Invece l’olea crisafylla che in greco significa “olivo dalla foglia d’oro” cresce sugli altopiani del Corno d’Africa ha la parte inferiore della foglia color dell’oro e quando è scosso dal vento, da lontano, ci siamo immaginati la regina di Saba, che danza adornata dei molti gioielli del suo tesoro. Ma c’è di più nella parte desertica di questi altipiani si è ritrovato un arbusto spinoso che ha molte caratteristiche dell’olivo e si sta pensando ad un suo antenato. Con le olive minuscole, davvero non si può fare l’olio, ma le foglie del nostro olivastro, nelle zone più siccitose, sono appuntite quasi come piccole lance e ricordano da vicino le spine del suo antenato, inoltre l’olivo è basitono come abbiamo visto. Anche le reazioni delle foglie, alla mancanza d’acqua hanno nella loro memoria il deserto. Prima si pongono verticali per offrire una minore superficie possibile all’evaporazione e poi si accartocciano, si chiudono, in forma di spina…

  7. …all’arca di Noè Si narra che l’Arca appunto si fermò sulla cima del Monte Ararat. Una montagna altissima in Armenia. Perché Noé riceve dalla colomba proprio un ramo d’olivo? Certo, perché l’olivo come vedremo è una pianta sacra, in segno di pace dopo l’inondazione del mondo da parte di Dio. Ma c’è un’altra spiegazione legata alla vita e alla morte dell’olivo. Se la colomba porta un ramo d’olivo significa che la terra era asciutta da lungo tempo. L’olivo cresce lentamente e non sopporta troppa acqua le sue radici amano il sasso. Questa storia suppone inoltre che la pianta fosse presente nell’area.

  8. Etimologie 1 Giovanni Sembrano, un grande filologo scomparso di recente, ritrova l’origine del nome greco“olivo” elaios, n, nell’antico armeno “elaiwon”, mentre ancora dall’armeno ewl deriva oleum latino per “olio” Alla base di oleum sta anche l’Accadico ulûm (grasso, olio) e la base Sumerica u-li. “L’uso dell’olio per accendere la lampada ci persuade che elaion richiama anche l’accadico ellu, allu (brillante e risplendente riferito all’olio).” Anche nelle lingue semitiche ’ala, per esempio in arabo, significa l’ascendere della luce dal braciere sacro. Questa identificazione dell’olio come luce e quindi dell’olivo come albero della luce come vedremo in seguito è presente in tutte le religioni.

  9. ETIMOLOGIE MEDITERRANEE ELAIWON (armeno) OLIVO ↓ ELAIOS (greco) OLIVO ↑ ELLU, ALLU (accadico) BRILLANTE RIFERITO ALL’OLIO ↑ EWL (armeno) OLIO ↓ oleum (latino) ↔ ulûm (accadico) GRASSO, OLIOuli (sumerico) ’ala semitico, arabo LUCE CHE SI ELEVA DAL BRACIERE CON L’OLIO zaytun arabo→ aceituna (casigliano per olivo) E → azeitona in portoghese per l’albero d’olivo zayith ebraico zayta aramaico che significano essere prominente. Con la diffusione dell’islam e successivamente all’Impero ottomano in Caucaso: da elaiwon dell’antico armeno, diventa nel moderno jiteni per i kurdi è anche zaitun Il termine maltese zebbugviene da un termine berbero che designa l’oliva. C’è nelle lingue mediterranee una serie di nomi dell’olivo che deriva dal latino Olivum: italiano olivo, francese olivier, o oleaster, olivastro… Il caso della penisola iberica è particolare perché c’è stata un’antichissima coltivazione di olivastri poi una importazione di olea sativa da parte fenicia e poi romana, a questo periodo risalgono i nomi dei frutti oliva in spagnolo e oliveira in portoghese. Ma la vera e propria coltivazione come la conosciamo oggi è di origine araba di cui è rimasta traccia nel nome dell’albero nella lingua moderna. Anche Cervantes, ne fa cenno all’inizio del Don Chisciotte che aveva un garzone che maneggiava il potatoio.

  10. Apollo e i betili In accadico possiamo trovare le basi all’origine dell’ipostasi di Apollo: appe (viso)+allu (brillante, sacro) cioè viso luminoso. Apollo è sinonimo di dio della bellezza e la leggenda dice fosse nato assieme alla sua sorella Diana, sotto un olivo a Delo. L’olivo assume pertanto in tutti i testi sacri la funzione di pianta sacra e l’olio rappresenta la luce del Dio di tutte le religioni del Libro. E per questo nella persecuzione giudaico-cristiana del culto degli alberi l’unica soluzione fu includerlo nel sincretismo. Nella Genesi è visibile, al capitolo 28 quando Giacobbe in viaggio si ferma in un luogo per dormire e prende una pietra come cuscino (c’è una usanza berbera molto molto antica che si praticava nel deserto. Le donne che volevano consiglio dai loro morti, dormivano sopra alla pietra che le chiudeva e i sogni attraverso i quali i loro cari le si manifestavano davano i responsi alle loro domande). Ora Giacobbe fa un sogno molto noto della scala degli angeli che salivano e scendevano dal paradiso. La mattina si alza e intimorito unge la sommità della pietra illuminando così il luogo, casa del Signore cioè Betel invece di Luz come si chiamava in precedenza questa località. Queste pietre verticali sono note e ancora visibili in molti oliveti sacri del Mediterraneo e si chiamano appunto betili, sono molto rappresentati nelle tavolette di pietra fenicie. La sacralizzazione del luogo avviene attraverso l’olio. Ancora oggi gli altari delle nuove chiese vengono unti di olio. Per ovviamente non tacere che Cristo in greco significa “unto”.

  11. Iside Nel dipinto di una tomba della Valle dei Re del 1425 a.C. probabilmente Iside viene rappresentata come un albero di olivo che porge una mammella al Faraone Tuthmosis III che succhia da essa.

  12. Dagli olivetisacri all’olivo in cinta Se nell’antichità, al tempo dei megaliti i betili venivano eretti come probabili luoghi di sepoltura negli oliveti sacri perché erano resi tali dalla presenza degli alberi. In un papiro dell’Egitto del XII secolo a.C è stato rinvenuto un atto di donazione del Faraone Ramsete al dio Ra del prodotto di un uliveto di 2750 ettari, piantato intorno alla città di Elaiopoli. “ Da queste piante si estrae l’olio purissimo per tenere accese le lampade del tuo santuario.” C’è una bellissima immagine di Iside che piega il gomito in un albero di olivo dal quale il faraone ciuccia come fosse una mammella porta da un albero di olivo. Coloro che imbalsamavano i morti prima di operare spalmavano il corpo del defunto di olio e anche le loro mani. Gli olivi sacri ad Atena si chiamavano μόριαι e da questi uliveti si traeva l’olio per le lampade dei templi ad essa dedicati e l’anfora panatenaica che veniva data all’atleta vincitore delle Olimpiadi conteneva circa 35 litri e serviva per spalmarlo sul corpo. Sacri erano i fiori dell’olivo per la dea Vacona pre-romana e ne è ancora rimasta dopo tanti secoli la festa e il toponimo alle spalle di Roma. Dopo la caduta dell’impero romano i barbari usavano il grasso animale ed erano dediti alla pastorizia e allo spostamento sempre alla ricerca di nuovi pascoli così come si narra nelle cronache dell’epoca gli abitanti delle città murate non oltrepassavano l’ombra della mura. Gli oliveti lontani dalla città furono abbandonati. Ma i monaci che invece avevano bisogno dell’olio innanzitutto per impartire i sacramenti, e poi per mantenere come in un’arca le specie più rare conservarono gli olivi nella cinta del convento. I francescani e i benedettini in particolare si dedicarono a questa sorta di olivicoltura sacra. I francescani inaugurando anche un nuovo impianto basato sul nuovo rapporto fra uomo e natura. L’olivo venne diffuso per nocciolo lungo le rotte dei francescani fino in Bosnia dove furono inviati per convertire i Bogumili. Ancora oggi rimangono parti di territorio denominate Maslina (olivo, oliveto) dove solo la memoria ricorda le piante argentate.

  13. Olivo e il senso del luogo e tra due folti/cespugli si infilò, nati da un ceppo,//l’uno di ulivo e l’altro di oleastro.Soffio di umidi venti non poteva/ con furia penetrarvi, né mai sole splendente li investiva coi suoi raggi,/né la pioggia attraverso vi filtrava:tanto erano intrecciati l’uno con l’altro. Là sotto Ulisse si nascose...Cerca una propria intimità casalinga in un altrove sconosciuto. L’olivo crea della sua propria presenza un luogo. Diventa riparo. C’è un passaggio dell’Odissea dove Ulisse descrive a Penelope il loro letto, costruito su un pollone d’olivo grande come una colonna. In questa descrizione Ulisse utilizza due aggettivi ταναφύλλόύ έλαίης, olivo ricco di foglie e πύθμέν έλαίης cioè con un grosso piede ma πύθμέν è anche la parola per fondazione. Questa idea del luogo è leggibile nel passaggio dell’Odissea iniziale, quello dove Ulisse si ripara nell’intreccio d’un ulivo e d’un olivastro, a causa del suo naufragio nell’isola dei Feaci al limite delle sue forze e perduto. Le foglie cadute sono utili alla protezione del corpo nudo di Ulisse. Quando al suo risveglio le ancelle di Nausicaa vogliono lavarlo e vestirlo e gli pongono accanto le un mantello e una tunica e un’ampolla d’oro d’olio: Allora l’illustre Ulisse disse loro “Ancelle tenetevi a distanza, che io sia solo a bagnarmi a togliere dalle mie spalle la salsedine e a cospargermi d’olio d’oliva,da molto tempo infatti il mio corpo non ne ha ricevuto. Gli olivi che l’hanno protetto e l’olio feacio è diverso da quello di Itaca, ma permette a Ulisse di ritrovare nella cura del proprio corpo, la propria identità, il proprio paesaggio e non è un caso che proprio qui ritrovi la sua storia cantata dall’aedo cieco Demodoco alla corte di Alcinoo. L’olivo è allo stesso tempo paesaggio dell’anima e della pelle, due entità che per i Mediterranei sono spesso sovrapponibili.

  14. Mangiare il paesaggio Ritroviamo le tracce dell’isola dei Feaci nell’apertura di Manosque-des-Plateaux dello scrittore francese, ma provenzale Jean Giono: Quando ero molto piccolo giocavo e poi mi veniva fame. Mia madre tagliava una bella fetta di pane la insaporiva col sale e la bagnava di olio con un largo ( con l’ampolla piegata e mi diceva « Mangia ». Quel sale, mi bastava per sentire il vento odisseo era lì con l’odore del mare e quel pane e quell’olio eccoli lì tutti intorno a me in questi campi verdi di grano sotto gli olivi. E’ attraverso il naso che Giono stabilisce la connessione con il vento, con la bocca assaggia la sua terra, fino a farla divenire propria pelle, avendola trasformata in nutrimento : Tu mi hai nutrito di queste colline, scrive concludendo a sua madre.

  15. Olivi strappati al sorriso del paesaggio Nel film di Liana Badr, Zeytouna, sul rapporto fra le donne palestinesi e l’albero dell’olivo. Ci sono donne che li difendono dallo sradicamento effettuato dagli Israeliani. Perché sradicare un olivo? certamente perché è una delle risorse economiche per la sopravvivenza del popolo palestinese, ma sopratutto perché l’olivo rappresenta un luogo. Sradicare un albero significa annullare un luogo che ridiventa così spazio, senza memoria, senza storia, senza riferimenti. E anche quando nel nostro sud le diverse mafie sradicano degli olivi secolari per venderli ai ricchi nordici per le loro ville, con loro che spesso muoiono, se ne va un pezzo della nostra storia dell’arte italiana e mediterranea.

  16. Olivo come parente Scrive il più grande poeta vivente in lingua turca, ma che scrive anche nelle altre lingue di Cipro, Mehmet Yashin Sapevo senza che nessuno me l’avesse detto Che l’olivastro era mio nonno Le sue braccia rugose coperte di dura pelle, un viso radioso, uno sguardo oscuro. Mi riconosceva anche da lontano (…) Tale era robusto il tronco tale era delizioso il profumo, le sue minute foglie mai senza un largo sorriso…

  17. Olivo come soluzione Uno dei personaggi più noti del noir italiano l’ispettore Salvo Montalbano personaggio di Andrea Camilleri, ha una sua teoria sullo sviluppo dei rami degli olivi e sulla soluzione dei casi. Montalbano quando non aveva gana d’aria di mare, sostituiva la passiata lungo il braccio del molo di levante con la visita all’arbolo d’ulivo. Assettato a cavase sopra uno dei rami bassi, s’addrumava una sigaretta e principiava a ragionare sulle faccenne da risolvere. Aveva scoperto che, in qualche misterioso modo, l’intricarsi, l’avvilupparsi, il contorcersi, il sovrapporsi, il labirinto insomma della ramatura, rispecchiava quasi mimeticamente quello che succedeva dintra alla sua testa, l’intreccio delle ipotesi, l’accavallarsi dei ragionamenti. E se qualche supposizione poteva a prima botta sembrargli troppo avventata, troppo azzardosa, la vista di un ramo che disegnava un percorso ancora più avventuroso del suo pinsero lo rassicurava, lo faceva andare avanti. Infrattato in mezzo alle foglie verdi e argento, era capace di starsene ore senza cataminarsi.

  18. Olivo e morte Una riflessione sulla morte a partire da un olivo saraceno, ancora di Montalbano: Gli vennero in mente alcune parole “C’è un olivo saraceno grande …con cui ho risolto tutto”. Chi le aveva dette? (…) Quelle parole le aveva dette Pirandello al figlio poco prima di morire. E si riferivano ai Giganti della montagna. Elias Khuri in grande romanzo La porta del sole sulla Palestina, scrive: Dormiva sotto un olivo coperta dai suoi lunghi capelli. Le sono andata vicino, mi sono chinato, ho sollevato i capelli e l’ho vista irrigidita dalla morte, con i capelli che coprivano una bimbetta addormentata abbarbicata alla sua mamma. Quel giorno ho visto la morte per la prima volta. (…) Dietro una roccia ho visto tre uomini che giacevano lunghi distesi al suolo. Eri lì con loro senza poter fuggire via. (…) Mi hai detto che hai vissuto di olive per una settimana. (…) Hai scavato con le mani. (…) Hai scavato ma non sei riuscito a fare una tomba che li contenesse tutti. (…) Hai spezzato dei rami d’olivo e li hai sepolti con quelli.(…) Li hai ricoperti con i rami d’olivo e hai ripreso il tuo cammino verso il Libano. Questo racconta Francesco Biamonti racconta del desiderio del protagonista: L’Auriva Celeste stormiva, era sempre la prima a stormire. Forse per questo s’era guadagnata quel nome.” E alla sua ceppaia che vorrei dispersa la mia cenere davanti ai paesi perduti…che orgoglio.

  19. La memoria dell’acqua: l’olivo e il deserto Come rimane nell’olivo la memoria del deserto? Nella sua natura, nelle sue foglie, come tutte le piante xerofite, adatte all’aridità. Ne fanno parte sia il mirto, che la stella alpina che spesso non ha possibilità, nel gelo seco, di umidità, di acqua allo stato liquido, ma anche i cactus. Le foglie di dimensione ridotta, negli oleastri sardi sono quasi pungenti, ricoperte da una peluria sottile di colore bianco e argenteo che serve a riflettere la luce incidente, evitando il surriscaldamento della superficie fogliare. Indurite per superare stress idrici, sclerofille sono chiamate dalla botanica. Quando la siccità prima le fa porre in verticale e poi le accartoccia intorno alla venatura, è la memoria di spina e di deserto quella che risorge in quella verticalità. E le radici fittonanti fino ai tre, quattro anni di vita prendono poi una piega superficiale quelle che gli olivicoltori chiamano con delicatezza “le barbette”, che permettono loro di nutrirsi anche in pochi centimetri di sostanze poco sopra alla roccia, “avventizie” le chiamano i botanici, cioè dove non dovrebbero trovarsi delle radici, epigee, fuori dal terreno e non sotto. Quanno ha menato ‘e rradeche /int’e brecce,/cumm’o cecato cose e nfila l’ago/ec’as stessa pacienza/ha zucato ‘e muntagne/Pè nu migliaro d’anne…

  20. Gli olivi erranti Forse anche come l’olivo si riproduce ricorda il deserto, i fiori carnosi e inodori, l’autoimpollinazione, la durezza del nocciolo che solo un colpo ben assestato dall’uomo o gli acidi gastrici dello stomaco d’un uccello, permettono la fessura necessaria al germoglio. E’ tantillo/ niro niro/appuntuto/tosto comm’a na preta Ma proprio per il loro seme, possono allontanarsi dalla pianta madre negli uccelli, o nei corsi d’acqua, all’interno d’una drupa o d’un nocciolo vi sono molte sostanze nutritive che lo rendono un vettore di energia.

  21. L’olivo e il tempo Il tronco dell’olivo è la misura del suo tempo. Il vuoto che si crea al suo interno nello spazio dei secoli rappresenta lo spazio che ha percorso per avvicinarsi al sole. Il legno del tronco espandendosi si assottiglia fino a diventare quasi una membrana fragile. L’ombra della chioma sulla terra disegna quella dell’olivo invisibile sotto la terra, vera misura della sua longevità.

  22. Popoli che trovano il deserto I popoli che trovano il deserto, come abbiamo visto all’inizio sono popoli che si sono trovati in uno spazio suddiviso nei loro cammini, dall’intercalare degli wadi come letti di fiumi secchi, che talvolta si riempiono d’acqua e che altrettanto rapidamente scompare e dalle oasi, dove l’acqua risale alla superficie, e questa parte di mondo che gli è toccato di vivere la rispettano molto. Con silenzi simili a quelli del mare.

  23. Popoli che creano il deserto Noi apparteniamo ai popoli che creano i deserti. Abbiamo creato un deserto con la chimica, trasformando la madre terra che si nutre dei resti delle creature, le stoppie del grano, l’erba falciata… che trasforma in nuove vite accogliendole nel suo seno, in un suolo utilizzato solo per reggere gli steli delle piante di poche monoculture. Queste piante chiedono alla terra sempre le stesse sostanze, sempre alla stessa distanza delle radici dal suolo e sempre nello stesso punto. La terra ormai non risponde più e così mettono su quel campo il seme e ciò che al seme serve per crescere, non pensano che la terra ha bisogno di energie, sostanze per rimanere fertile. Questa chimica altera completamente la struttura del terreno, come se la soffocasse perché non ha più interstizi per permettere il ricambio dell’aria dell’acqua e della azione dei microrganismi per la produzione di humus.

  24. Biodiversità contro desertificazione L’olivo ce l’ha insegnato in ogni suo gesto, in ogni sua parte. Appartenere ora alla terra delle piante mesofite, quelle del clima temperato non significa dismettere la sua natura xerofita. Ha visto tanto di come la terra muti e l’unica cosa che l’olivo ha cercato di accumulare in sé è un bagaglio di biodiversità, quello che gli permette di essere visibile su tutte le coste e ad ogni angolo d’essere diverso per adattarsi a quel territorio. Avere tutte le piante che tra loro si aiutano in consociazione significa rispettare un ambiente e imparare dalle piante che la biodiversità non è solo delle piante o degli olivi, ma che la diversità arricchisce anche gli uomini e la monocultura porta alla sterilità.

  25. Grazie per l’attenzione costanzaferrini@libero.it

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