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Lezione 7 Ruggero Ragonese. Problemi dell’analisi in figure sul piano C. Il metodo di H. funziona sul piano dell’espressione: in tutte le lingue del mondo i fonemi sono di numero finito e piccolo.
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Problemi dell’analisi in figure sul piano C • Il metodo di H. funziona sul piano dell’espressione: in tutte le lingue del mondo i fonemi sono di numero finito e piccolo. • Sul piano del contenuto, questo metodo non funziona, se non nell’analisi del significato di pochissimi tipi di parole. • Vediamo i due problemi più gravi dell’analisi hjelmsleviana del significato (da Violi, Significato ed esperienza, 1997, cap. 2):
L’analisi del contenuto di scrofa attraverso gli elementi “suino” e “femmina” non produce due figure del contenuto prive di un corrispettivo sul piano dell’espressione, ma attribuisce a questi due elementi del contenuto due espressioni nuove (“suino” e “femmina”). L’analisi del contenuto non produce equivalenze di segni linguistici con non-segni o figure, ma con altri segni linguistici (con altre parole dotate di un proprio significato). L’istituzione di equivalenze di segni con altri segni lascia il contenuto inanalizzato.
Se l’analisi del contenuto produce equivalenze di parole con parole, il significato di queste ulteriori parole dovrà a sua volta essere analizzato, e così via, in un processo in linea di principio inarrestabile. La rappresentazione del C attraverso un inventario limitato e autosufficiente di componenti di significato è inadeguato a rendere conto della complessità e ricchezza del significato.
Ad es. ciò che sappiamo del significato della parola uomo è molto più complesso, ricco e articolato della somma di componenti (maschio + essere umano + animato + adulto): può includere tutto il sapere di una data cultura relativamente al concetto di uomo. • Critica alle semantiche a dizionario secondo cui il significato è dato da un’equivalenza con un insieme finito di tratti o componenti di significato.
Da questa critica sono nate le semantiche a enciclopedia (Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio, 1984) secondo cui il significato di una parola è rappresentato da un insieme potenzialmente illimitato di componenti di significato (anche appartenenti a sistemi semiotici non verbali). • Questo insieme potenzialmente illimitato non è equivalente al significato della parola, ma costituisce un insieme di istruzioni per la comprensione e l’applicazione della parola nei suoi differenti contesti d’uso.
Semiotiche denotative e semiotiche connotative • La funzione segnica è chiamata da H. denotazione. • L’espressione /casa/ denota sul piano C il significato “edificio di uso privato”. • I significati connotativi sono addizionali rispetto a questa prima relazione: • Es. Connotazione di regionalità: /casa/ pronunciato con la ‘c’ aspirata toscana: l’espressione contrae una seconda relazione con il contenuto connotativo ‘toscalità’. • Gli elementi che aggiungono significazioni a un secondo livello sono detti connotatori e possono trovarsi sul piano E e sul piano C, nella forma e nella sostanza.
Le semiotiche connotative sono “semiotiche il cui piano dell’espressione è una semiotica” (ib.: 122).
Lo strutturalismo è una tendenza metodologica che, nata originariamente in ambito linguistico si è estesaben presto ad altri settori (dall'antropologia alla critica letteraria) dando luogo, negli anni Sessanta e Settanta, ad una specifica «atmosfera culturale», avente il suo centro di irradiazione in Francia. • Tale atmosfera non si è storicamente incarnata in un movimento teorico omogeneo e compatto, ma ha dato luogo ad una serie di dottrine diverse fra di loro.
Lo strutturalismo afferma che la realtà è un sistema di relazioni icui termini componenti non esistono di per se stessi, ma solo in connessione fra di loro. • Gli strutturalisti difendono il primato della struttura sull'uomo, sostenendo che l'individuo non è il libero e consapevole autore di se medesimo, ma il risultato di strutture che agiscono per lo più a livello inconscio. Da ciò la teoria della «dissoluzione» o della «morte» dell'uomo, che rappresenta il tema filosoficamente più caratteristico e provocatorio dell'intero movimento.
Lo strutturalismo dichiara che la storia è un insieme discontinuo di processi eterogenei retti da un sistema impersonale di strutture psico-antropologiche, culturali, economiche ecc. Da ciò la preferenza, nello studio dei sistemi, del punto di vista sincronico (cioè statico o simultaneo) rispetto a quello diacronico (cioè dinamico o processuale) e la propensione a considerare le vicende storiche come qualcosa di superficiale e di secondario nei confronti della realtà «profonda» e primaria delle strutture. • Lo strutturalismo sostiene che fare scienza significa procedere al di là dell'empirico e del vissuto, per porsi da un punto di vista assolutamente oggettivo. Da ciò il progetto di studiare l'uomo «dal di fuori» («come se fossi un osservatore d'un altro pianeta», scrive Lévi-Strauss) e il ripudio dei cosiddetti «dati immediati della coscienza» come via di accesso alla verità.
Lévi-Strauss rappresenta quindi una sorta di «Kant dell'antropologia», nel senso che per lui l'esperienza sociale costituisce una sintesi fra i variabili contenuti empirici e gli immutabili schemi formali che costituiscono lo spirito umano. • Tant'è che Ricoeur ha parlato, con il consenso del nostro autore, di «kantismo senza soggetto trascendentale», ovvero di un kantismo antropologico in cui (e questa è la differenza con Kant) al posto dell' «Io penso» troviamo un'organizzazione formale inconscia.
Da ciò l'anti-umanismo di Lévi-Strauss, secondo cui «le scienze umane possono diventare scienze solo cessando di essere umane», cioè ponendo, al posto della progettualità cosciente degli individui, l'Inconscio collettivo e i suoi reticoli categoriali. • Da ciò il suo anti-storicismo, portato a vedere, più che le ovvie varietà di superficie che costituiscono la vetrina della storia, le costanti strutturali che fanno dell'umanità qualcosa di sostanzialmente immutabile. • Anti-storicismo permette a Lévi-Strauss di tradurre in atto l'affascinante disegno dell'antropologia come scienza universale, ossia come una forma di sapere capace di cogliere ciò che sta alla base di tutte le culture.
Lévi-Strauss ha applicato la sua metodologia strutturalistica soprattutto a due ambiti di ricerca: i legami di parentela e i miti. In Le strutture elementari della parentela (1949), Lévi-Strauss ha ricondotto la complessità apparente dei rapporti di parentela ad un ordine strutturale di base, rispetto a cui i vari sistemi di parentela particolari-concreti non sono che delle «trasformazioni» in senso algebrico. • Egli ha inoltre mostrato come la logica dei rapporti di parentela obbedisca al concetto di «scambio», ossia alla necessità di assicurare la circolazione delle donne all'interno della società, impedendo che ogni singolo clan familiare si isoli in se stesso, chiudendosi ai rapporti di collaborazione con gli altri. Su questa base, egli ha pure tentato di risolvere il problema antropologico della proibizione dell'incesto, mostrando come l'aspetto superficiale del tabù vada integrato con il suo aspetto profondo: ossia con la rivendicazione delle donne delle altre famiglie: «La proibizione dell'incesto non è tanto una regola che vieta di sposare la madre, la sorella o la figlia, quanto invece una regola che obbliga a dare ad altri la madre, la sorella e la figlia. È la regola del dono per eccellenza».
Lévi-Strauss ha applicato la sua metodologia strutturalistica soprattutto a due ambiti di ricerca: i legami di parentela e i miti. In Le strutture elementari della parentela (1949), Lévi-Strauss ha ricondotto la complessità apparente dei rapporti di parentela ad un ordine strutturale di base, rispetto a cui i vari sistemi di parentela particolari-concreti non sono che delle «trasformazioni» in senso algebrico. Egli ha inoltre mostrato come la logica dei rapporti di parentela obbedisca al concetto di «scambio», ossia alla necessità di assicurare la circolazione delle donne all'interno della società, impedendo che ogni singolo clan familiare si isoli in se stesso, chiudendosi ai rapporti di collaborazione con gli altri. Su questa base, egli ha pure tentato di risolvere il problema antropologico della proibizione dell'incesto, mostrando come l'aspetto superficiale del tabù vada integrato con il suo aspetto profondo: ossia con la rivendicazione delle donne delle altre famiglie: «La proibizione dell'incesto non è tanto una regola che vieta di sposare la madre, la sorella o la figlia, quanto invece una regola che obbliga a dare ad altri la madre, la sorella e la figlia. È la regola del dono per eccellenza».
Insomma, si possono individuare per L-S delle 'figure' minime sul piano dell'espressione anche a di là della Lingua verbale. Anzi, possiamo dire che la lingua verbale è l'espressione di qualcosa di più profondo
Non bisogna quindi limitarsi a cercare i termini ultimi, ma si devono identificare bene i CODICI che legano questi elementi. • La lingua è solo la manifestazione, la più importante, di un sistema di regole che determina la società umana
L' antropologia, alla pari della geologia, della psicanalisi, del marxismo e soprattutto della linguistica, diventa in tale modo scienza capace di cogliere le strutture profonde, universali, a-temporali e necessarie, al di là della superficie degli eventi, che è sempre ingannevole, e al di là dell' apparente arbitrarietà degli elementi che costituiscono ogni società.
A queste strutture si accede non attraverso la descrizione puramente empirica delle varie situazioni di fatto, ma mediante la costruzione di modelli. Essi sono sistemi di relazioni logiche tra elementi, sulle quali è possibile compiere esperimenti, ossia trasformazioni, in modo da individuare ciò che sfugge all' osservazione immediata. I modelli non hanno mai perfetta rispondenza alla realtà, ma non sono neppure semplici costrutti puramente soggettivi o dotati soltanto di valore metodologico: essi hanno valore oggettivo, perchè mettono in luce le strutture che formano l' ossatura logica della realtà.
Possiamo accontentarci dei modelli? • Cosa ci dice il modello una volta individuato gli elementi minimi? • Possiamo limitarci a cercare questi elementi minimi, queste figure del mondo e po attaccarci un codice (un sistema di regole)?
Insomma questa struttura come dice Eco, • o l'abbiamo individuata prima (modello umano), allora ci servirà solo per confermare la nostra teoria. La struttura dirà di sì e avremo tante regole quanti sono i fenomeni • oppure esiste al di là di noi, allora è metafisica, inconoscibile a noi
Esiste un sistema ed esistono delle regole al suo interno, ma forse è il caso di osservare non un meccanismo automatico, ma un percorso logico che ci porti dagli elementi più piccoli a quelli più grandi e soprattutto ci faccia vedere COME si comportino in ogni singolo testo
Quello che insomma è INVARIANTE non sono le singole unità espressive (tonde, quadrate) o i singoli semi, significati base (maschio, femmina), ma la loro RELAZIONE
Il lavoro sui miti ha convinto Lévi-Strauss che la natura del vero si riconosce dalla cura che esso mette a nascondersi. Di nuovo, come in Propp, il problema è quello di fare astrazione dai dati immediati e arrivare a una ricostruzione che però questa volta è di ordine semantico: quali sono i valori che generano il mito? Quali sono i contenuti non ancora "sistemati" cognitivamente da una cultura, che richiedono di essere narrati per trovare una loro, sia pur illusoria, composizione? Nella sua analisi dei miti tebani, Lévi-Strauss ne confronta le varie versioni e scopre delle costanti che sintetizza nello schema seguente (Lévi-Strauss, 1958):
La terza colonna riguarda i mostri e la loro distruzione (Edipo annienta la Sfinge, Cadmo uccide il drago): simbolicamente vi si potrebbe leggere la negazione dell’origine dell’uomo dalla terra. Ma dalla quarta colonna si evince che una serie di personaggi mitici si caratterizzano per la loro zoppia, e questo confermerebbe • l’origine ctonia dell’uomo, indicando la condizione imperfetta dell’uomo emerso dalla terra. Dice Lévi-Strauss: “Quale significato finisce dunque con l’avere il mito di Edipo così interpretato «all’americana»? Esso esprimerebbe l’impossibilità, in cui si • trova una società che professa di credere all’autoctonia dell’uomo […], di passare da questa teoria al riconoscimento del fatto che ciascuno di noi è realmente nato dall’unione di un uomo e di una donna. La difficoltà è insuperabile.” [ibid.: 242] Ne consegue che il mito non risolve la contraddizione che si genera dalle due concezioni sull’origine dell’uomo, ma le fa convivere mettendo in un rapporto di analogia due contraddizioni: “la sopravvalutazione della parentela di sangue sta alla sottovalutazione diquest’ultima, come lo sforzo di sfuggire all’autoctonia sta all’impossibilità di riuscirci.”
L’ipotesi di Lévi-Strauss è che i miti si basino su contraddizioni soggiacenti e che le narrazioni mitiche servirebbero proprio a “sanare” queste contraddizioni. In altri termini, sono proprio queste contraddizioni a generare le narrazioni, i personaggi, le azioni, i drammi. Insomma, se la logica esclude le contraddizioni, l’antropologia e la semiotica sostengono che i contrari possono coesistere, e che anzi proprio questa coesistenza sarebbe alla base delle narrazioni. Greimas riprende questa idea delle polarità soggiacenti e pensa di svilupparla nell’articolazione logica del quadrato, che • va a porsi al livello più profondo della semantica.
È evidente dunque come il progetto semiotico di Greimas si basi sulla distinzione, già centrale in Hjelmslev, tra immanenza e manifestazione. Se è vero che il dato immediato che ci si pone di fronte, cioè un testo realizzato (un oggetto materiale), è il livello della manifestazione, è anche vero che l’oggetto di studio della semiotica, secondo Greimas, deve essere la forma (hjelmsleviana), o la langue (saussuriana). La manifestazione presuppone logicamente una forma semiotica immanente, sia a livello di espressione sia a livello di contenuto, ed è a quel livelloche la semiotica deve lavorare. I
A questa prima mossa, che ricolloca lo studio della semantica nel livello immanente dei segni, Greimas aggiunge una seconda mossa: anziché occuparsi di segni isolati, bisogna porre l’attenzione sui sistemi semiotici. Il che vale a dire che per descrivere il piano del contenuto (la semantica) occorre passare dai segni (termini isolati) ai testi, cioè a oggetti di taglio superiore. Il passaggio è determinante perché con Saussure si era parlato solo di segni linguistici, con Hjelmslev si era cominciato a ragionare sulle frasi, ma ora si passa dal frastico al transfrastico, cioè si supera il taglio della frase e si passa, appunto, a considerare ampie porzioni testuali. • Questo slittamento peraltro rende conto della prospettiva specificamente semiotica di questo approccio: la nozione di testo, molto più della nozione di segno, aiuta a passare da una semantica del linguaggio naturale a una semantica dei linguaggi. Non dobbiamo più ricercare il significato di una parola, o di una forma, o di una nota, ma cerchiamo di descrivere il significato di un racconto, di un quadro (preso nel suo insieme), di una partitura, di una conversazione.
Lavorando sul livello immanente, Greimas pensa a un sistema semantico organizzato per livelli di profondità, e tra questi livelli pone un meccanismo di generatività: si tratta insomma di pensare a elementi più profondi in grado di generare elementi più superficiali secondo regole di conversione. • In questi termini la teoria greimasiana è definibile come una teoria della generazione del senso: al livello più profondo si situano elementi di tipo logicosemantico che si convertono in piani semantico-sintattici più superficiali, per poi passare, attraverso i meccanismi dell’enunciazione, al livello discorsivo: il tutto in vista della manifestazione al momento della semiosi.