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23.00. Santa Caterina da Siena. A Matteo di Tomuccio. da Orvieto. Lettera 197. Con desiderio di vedervi pietra ferma. Al nome. d i Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimo fratello e figliuolo in Cristo dolce Gesù.

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Presentation Transcript


  1. 23.00

  2. Santa Caterina da Siena

  3. A Matteo di Tomuccio da Orvieto Lettera 197

  4. Con desiderio di vedervi pietra ferma

  5. Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce

  6. Carissimo fratello e figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi pietra ferma e non foglia che si volla ad ogni vento.

  7. Perché l'anima, che non è fondata sopra la viva pietra, Cristo dolce Gesù (cioè che l'affetto e il desiderio suo sia fondato solamente in Dio, e non nelle cose transitorie del mondo, le quali passano tutte come il vento), viene meno, perch'è privata della divina Grazia. La quale Grazia conserva l'anima; ne riceve la vita: e le dà perfetto lume, privandola della tenebra, e fondandola in vera e perfetta pazienza, e in vero e santo timore di Dio, con perfetta umiltà e carità fraterna col prossimo suo.

  8. E non si muove per impazienza al vento delle tribolazioni, né con disordinato diletto si muove per il vento delle consolazioni; né non enfia di superbia per il vento della ricchezza, e del fumo dell'onore del mondo.

  9. E tutto questo gli diviene perché non si muove: perché il suo fondamento è Cristo crocifisso.

  10. Onde, perché soffino quei tre venti perversi principali, donde viene ogni altro vento, non li cura. Cioè il dimonio; che dalla bocca sua esce il vento di molte e diverse cogitazioni e battaglie; quando battaglia di vanità (la quale fa il cuore leggero, e non maturo; e per essa vanità cresce l'appetire e il desiderare gli stati del mondo), e quando con colore di virtù.

  11. E questo è il più malagevole vento da conoscere, che sia; e solo l'umile è quello che lo conosce, e non può essere ingannato da loro. Il colore della virtù, che il dimonio pone, è questo: che, se egli trova l'anima ignorante e senza la virtù dell’umiltà o vero conoscimento di sé; poniamo che abbia cominciato a desiderare Dio e mostrare segno di virtù (perché è ancora imperfetto, e non ha tanto conoscimento che gli basti, di sé) sì da vedere i fatti del prossimo suo temporalmente e spiritualmente, cioè nelle cose temporali e spirituali.

  12. Onde allora il dimonio soffia col vento del falso giudizio; giudicando il prossimo suo, i servi di Dio e i servi del mondo iniquamente; e non s'avvede. Onde questo cotale vuol togliere la signoria del giudizio di mano a Dio; però che solo egli li ha a giudicare.

  13. Perché non se n'avvede? Perché il dimonio gli ha ammantellato questo giudizio col mantello della virtù, però che gli pare fare per bene. Ed è sì doppio questo parere, che spesse volte gliene pare fare sacrificio a Dio.

  14. Ma egli s'inganna, per la superbia che è in lui: perché, s'egli fosse veramente umile e fondato in vero conoscimento di sé, egli si vergognerebbe di vedersi cadere in siffatto giudizio: perché egli vedrebbe che è un voler porre regola a Dio. Però che allora vuole porre regola a Dio, quando si scandalizza nei servi suoi, volendo mandare le creature a modo suo, non secondo che Dio le chiama.

  15. E però colui che sarà fondato sopra la viva pietra, Cristo, farà resistenza a questi movimenti, e non consentirà; ma con vera umiltà s'ingegnerà di godere e rendere gloria a Dio dei costumi e dei modi dei servi suoi, e di avere compassione ai difettosi, pregando la divina Bontà che volga l'occhio della misericordia sopra di loro, traendoli del peccato e riducendoli alle virtù.

  16. E così trae dalla spina la rosa. E ha la mente sua schietta, e non va fantasticando, empiendosi la memoria di diverse fantasie di cose spirituali, che gli pare ricevere nella mente, e delle temporali; come fanno i matti e gli stolti, e i presuntuosi, che non hanno ancora veduto loro, e vogliono investigare i fatti d'altrui con specie di bene; e si lasciano percuotere da questo perverso vento, che è tanto pericoloso.

  17. O maledetta bocca, come hai intossicato il mondo con la puzza tua in quelli che sono nel secolo, e fuori del secolo, come detto è! E poiché ha giudicato col cuore, getta la puzza della mormorazione, e rimane scandalizzata e vuota, la mente, in Dio e nel prossimo suo. Bene è dunque da fuggirlo con vera e santa sollecitudine.

  18. L'altro pericoloso e perverso vento è il mondo. Il quale col disordinato amore proprio di sé si diletta, e cerca i diletti e le consolazioni sue, ponendovi l'occhio dell'intelletto su, e ricoprendo la tenebra e la miseria e poca fermezza e stabilità del mondo con la bellezza, mostrandogli bello e piacevole;

  19. e così lo inganna, mostrando lunga vita, ed ella è breve! parendogli che tutti i diletti e consolazioni e ricchezze del mondo siano ferme e sue, ed elle sono mutabili, e gli sono date in prestito, e per uso e sua necessità. Perché di bisogno è, che o siano tolte all'uomo, o l'uomo sia tolto a loro.

  20. Onde allora sono tolte a noi, quando alcuna volta le perdiamo, o che ci sono involate da altrui, o per altri diversi accidenti che vengono altrui: per i quali si consumano e vengono meno. Dico che allora siamo tolti a loro, quando la prima dolce Verità ci chiama, separando l'anima dal corpo; dove s'abbandona il corpo e il mondo con tutte le sue delizie: della quale separazione nessuno è che né ricchezza né onore non lo possa campare, che non l'abbia.

  21. L'anima dunque, debole e accecata, che non ha tratta la terra del mondo dall'occhio suo, ancora, se l'ha posto per obietto, si volge, come la foglia dell’albero, al vento del proprio amore disordinato di sé e del mondo. Di questa maledetta bocca esce un'invidia verso del prossimo suo, con una reputazione di sé; mormorando. E assai volte ne viene in odio e in rancore col prossimo.

  22. E delle cose altrui spesse volte fa sue; e per acquistarle userà giuri, spergiuri, falso testimonio. E in tanto cresce, che desidera la morte del prossimo suo. E quelli che deve amare come sé, egli n'è fatto divoratore e della carne e della sostanza sua. Egli è senza alcuna fermezza: e cosa che comincia, di virtù, rare volte la trae a fine. Costui è fondato sopra l'arena, che nessun edificio vi si può fare, che tosto non cada a terra. Costui è privato della vita della Grazia, e ha perduto il lume della ragione; va come animale, e non come creatura ragionevole.

  23. Ci conviene dunque, ed è di necessità, d'esser fondati nella pietra viva, nella quale coloro che v'hanno posto l'occhio dell'intelletto, e l'affetto per santo desiderio, non possono esser percossi, né si lasciano percuotere da questo malvagio vento; anche, fanno resistenza, e si difendono con il dispiacimento del mondo, e della vanità e diletti suoi; ed abbattono la superbia con la profonda umiltà e desiderando povertà volontaria.

  24. E chi ha la ricchezza e lo stato, lo tiene, ma non lo possiede con disordinato amore fuori della volontà di Dio; ma con amore e santo timore lo tiene, e come dispensatore di Cristo, sovvenendo ai poveri, e nutrendo i servi di Dio, e avendoli in riverenza, considerando che sempre offrono orazioni e affocati desideri, sudori e lagrime dinanzi a Dio per la salute d'ogni creatura.

  25. Questi tali godono in ogni tempo e stato che sono, perché sono privati della amaritudine della disordinata volontà, fondata in proprio amore. Poi, dunque, che è tanto dilettevole questo fondamento; non è da aspettare il tempo ad acquistarlo; perché non siamo sicuri d'averlo.

  26. L'altro principale vento, dico che è la carne; il quale getta siffatta puzza e miserabile, che non tanto che ella puzza dinanzi a Dio, ma ella puzza alle dimonia, e drittamente fa l'uomo bestiale; perché quella vergogna ha, che l'animale. Costui fa, come il porco, che s’involle nel loto: così egli si volle nel loto della disonestà.

  27. E in qualunque stato egli è, guasta sé medesimo. Onde, se egli è legato allo stato del matrimonio, con disordinato amore contamina lo stato suo; e dove egli deve andare a quel sacramento con timore di Dio, egli vi va disordinato e con poca onestà. E i miserabili non ragguardano in tanta eccellenza quanto è venuta la nostra umanità per l’unione che Dio ha fatta nella miserabile carne nostra; perché se essi aprissero l'occhio dell'intelletto a ragguardarla, eleggerebbero innanzi la morte, prima che darsi a tanta miseria.

  28. E sai che puzza esce da questa bocca che attossica chiunque gli si approssima? Il cuore ne diventa sospettoso; la lingua mormora, e bestemmia, credendo che quello ch'è in lui sia negli altri. Siccome l’infermo che ha guastato lo stomaco, che, non parendogli buono il cibo, perché è corrotto, e non tanto che i comuni cibi, ma il suo particolare che il medico gli ha dato che pigli, vedendolo prendere a chi ha il gusto sano, gli pare malagevole e incredibile che non gli sappi di quello sapore che ha lui;

  29. Così gli stolti, che si danno alla dilettazione carnale, hanno sì guasto l'appetito loro, che non tanto della comunità, cioè di quelli che comunemente si vedono in questo difetto, ne pigliano male, ma nei sani si scandalizzano; e nel particolare cibo, cioè nella donna sua, si scandalizza, il quale Dio gli ha dato per condiscendere alla sua fragile infermità.

  30. Onde questo cibo gli fa male, stando disordinatamente, come detto è, e pigliando sospetto spesse volte e gelosia, giudicando la cosa buona cattiva, e venendone in odio e in dispiacimento, colà dove deve essere amore. Costui ha un disordinato vedere: e questo gli avviene perché l'occhio è infermo; però che, se fosse sano, non farebbe così.

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