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Letteratura inglese postcoloniale Seminario da 2 CFU. Prof.ssa Alessandra De Angelis Ricevimento (avvisare via e-mail qualche giorno prima): Lunedì, h. 11-12, P.zo Giusso, stanza 14 (IV piano) E-mail: adeangelis@unior.it. Programma del corso :.
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Letteratura inglese postcolonialeSeminario da 2 CFU Prof.ssa Alessandra De Angelis Ricevimento (avvisare via e-mail qualche giorno prima): Lunedì, h. 11-12, P.zo Giusso, stanza 14 (IV piano) E-mail: adeangelis@unior.it
Programma del corso : • 23 e 30 Aprile: introduzione al postcoloniale e alla teoria della traduzione culturale, Trivedi, Bhabha, Spivak,con estratti di testi letterari in lingua inglese. • 7, 14, 21 maggio: E.Said, M. Foucault, A. Gramsci, L. Abouleila, A. Soueif, L. Ahmed, A. Brink, introduzione al “discorso” e all’archivio. Lettura di estratti dei racconti scelti, con riferimento ai temi teorici discussi al corso. • 28 Maggio: Presentazione degli studenti, e summa del corso.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: Testi critici • Appunti delle lezioni (i PowerPoint saranno disponibili a fine corso presso la fotocopisteria di Diego, ex El Kubri, e sul sito internet UNIOR, Homepage docente – Materiali. • Lettura di due estratti da Orientalismo, di Edward W. Said: Introduzione (obbligatoria solo per i non frequentanti); in Il campo dell’orientalismo (cap. 1), il paragrafo 2,“Una geografia immaginaria e le sue rappresentazioni: orientalizzare l’Oriente” (obbligatorio per frequentanti e non). • I. Chambers, “Fuori della mappa” (per frequentanti e non), e “Tra le rive” (per i non frequentanti), in Le molte voci del Mediterraneo, 2007. • Testi artistici • Lettura critica e commento del 1°capitolo di A Border Passage. From Cairo to America, a Woman’s Journey, di Leila Ahmed, 1999; • Lettura critica e commento di 1 racconto di Ahdaf Soueif a scelta tra: “Mandy” e “Satan” (in Sandpiper, 1996); e 1 a scelta tra “1964” e“Returning”(in Aisha, 1983) • Lettura critica e commento di 1 racconto di Leila Aboulela, a scelta tra: “The Museum”,“Souvenirs”, “The Ostrich”, “The Boy from the Kebab Shop”, (in Sandpiper, 2001). • Lettura critica e commento di un brano da André Brink in Imaginings of Sand, 1996 (la storia di Kamma / Maria (Krotoa).
MATERIALE INTEGRATIVO PER APPROFONDIMENTI: • AniaLoomba, estratti da Colonialismo/Postcolonialismo (pp. 35-89; 138-53; 225-38; 246-49). • “Krotoa, a Woman Living in Translation”, di Alessandra De Angelis. • Estratti da Marta Cariello, Corpi migranti tra le sponde delle lingue, cap. I (sul Postcoloniale) e cap. II (sulla scrittura e la migrazione, Soueif).
Mappa su scala contemporanea Al suo apice (inizio 1°guerra mondiale) l’estensione dell’impero coloniale britannico è di: • ca. 32 milioni di km² (25% delle terre abitabili) • 500 milioni di persone (25% della popolazione mondiale)
Possedimenti del primo impero coloniale britannico, dopo la guerra d’indipendenza americana: • Continente americano: Canada • Continente oceanico: Australia e Nuova Zelanda • Continente africano: - Egitto, Sudan Anglo-Egiziano - Kenya, Uganda, Somalia Britannica, Rhodesia del Sud (attuale Zimbabwe), del Nord (attuale Zambia), Bechuanaland , Stato Libero dell'Orange, Sudafrica - Gambia, Sierra Leone, Nigeria, Costa d'Oro (attuale Ghana)
Proiezione su scala Mercatore La mappa coloniale - Mercatore
Distorsioni e presunte trasparenze …The cartographic metaphor underpinning this article, for example, derives from postcolonial historian Arno Peters's (1989) analysis of how maps, drawn up during European colonialism, create a warped ( “warped” = deformata) geopolitical image of the world that positions the West in an artificially superior position. These colonial maps manipulate the shapes and sizes of continents and nations and distort the reality of their relative physical sizes so that North America looks larger than Africa and Scandinavia bigger than India. (…) Peters (1989) points to a supposedly neutral universality that concealed significant distortions, a perception we found to be particularly appropriate. (David Mckie, Debashish Munshi, Toward a New Cartography of Intercultural Communication: Mapping Bias, Business, and Diversity, in “Business Communication Quarterly”, Vol. 64, 2001.)
“La mappa non è il territorio”, ma una creazione, una scelta politicaCarta Peters
La Mappa Gall-Peters, creata dallo storico postcoloniale Arno Peters nei primi anni ’70, è stata poi sponsorizzata dalle Nazioni Unite come unica cartografia rispettosa delle reali dimensioni dei paesi della terra. Questa scelta sottolinea l’aspetto politico di ogni ‘mappatura’. • “At issue here is not cartography but cultures. These maps amount to a global sampling of ethnocentrisms. Like the home cultures whose ethnocentric visions they embody, each map has its claims to utility, legitimacy and credence, but not one is true.The point of comparing culture mappings, then, is not to reject any of them, but rather to invite us to modify our attitudes to whatever world map we happened to grow up internalizing. What we need to understand is that all such representations share an arbitrariness that reflects their historical emergence in one particular cultural setting at one particular time; therefore no one of them deserves to be taken as reliable. … What is invited is a change in attitude toward one's own enculturation: that it no longer be taken literally, as defining Reality, but as one among others, thereby enhancing cultural awareness.” ( John G. Blair, Thinking through Binaries: Conceptual Strategies for Interdependence, in “American Studies International”, Volume 38, Issue 2, 2000, p. 23.) “Anche la più consensuale, la più verificata, la più scontata, routinaria, ripetitiva o coatta delle descrizioni del mondo (come ‘verde’ oppure ‘piove’) ha natura creativa…ha da essere ri-prodotta da me, ri-filtrata dal mio corpo, per diventare conoscenza ‘mia’ ” (S.Manghi, Questo non è un albero, Parma, Monte Università Parma Editore, 2003, 20.)
“Fuori della Mappa” – Nuove mappe postcoloniali del Mediterraneo • “Sto qui cercando di proporre una geografia diversa; una geografia sradicata formata nelle correnti diverse e nelle maglie complesse delle reti di comunicazione visibili e invisibili, anziché una geografia che segue semplicemente l’asse orizzontale dei confini, delle barriere e delle entità in apparenza separate. Naturalmente, questo vuol dire considerare il Mediterraneo davanti, fra e oltre la logica egoistica dell’Umanesimo europeo, la sua modernità e il suo nazionalismo. Significa ravvisare la complessità inquisitiva di uno spazio plurale e plurivalente... ” (IainChambers, “Fuori della mappa”, in Le molte voci del Mediterraneo, 72) Complichiamo la mappa: • confini tracciati ed imposti vs. “soglie della differenza” e “spazi interstiziali” (da H.Bhabha, Locationsof Culture). • Spazi di separazione netta (ghetti, nazioni, quartieri... Etc.) vs. “zone di transculturazione” • Rigidità vs. Fluidità (Regole e norme vs. intelligenza delle cose come sono – complesse, aperte e mobili - e come possono divenire). • Etnie, popoli, orgoglio nazionale vs. Migrazioni. • Lingua dei puristi vs. lingue creole, e linguaggi “contaminati” (pensiamo alle autrici del corso, Africane di lingua araba che scrivono in lingua inglese). • Verità vs. Traduzione • Forma vs. Processo
Le ‘frontiere’ Postcoloniali • I confini diventano mobili e incerti, le mappe non più fisse, ma in continuo movimento, come dei processi. I confini e le forme derivano dai processi, non li precedono né li determinano. • Il post-coloniale, allora, può essere pensato come un tracciato in movimento che sovverte le certezze delle mappe geografiche convenzionali e ‘anti-convenzionali’, confondendo le linee, animando le frontiere. • Il postcoloniale come frontiera: contaminazione, permeabilità, differenza ‘interna’, moltiplicazione delle differenze e delle possibilità, delle scelte.
Fuori della mappa • “La storia non può essere disfatta, né il colonialismo cancellato. Tuttavia può essere riorientato e depositato su un’altra mappa... i cui contorni strappatisono adombrati dall’oscurità dell’oblio, frequentati da coloro che sono consegnati a strade non prese ... Una visione mutevole...capace di scrutare il passato e il presente con una serie di occhiate inquisitorie che non implicano un verdetto definitivo, ma un’apertura provvisoria: uno schieramento critico con il compito etico di instaurare una crisi nei giudizi ereditati e nelle conclusioni unilaterali di un potere sordo e unilaterale .” I. Chambers, “Fuori della mappa”, Le molte voci del Mediterraneo, 70 • La nuova mappa-non-mappa, il postcoloniale, può provare a scrivere un presente più aperto ad altre voci, anche ad un passato doloroso come quello coloniale, senza ‘fissare’ la visione in schemi unilaterali ed imposti. Aprire le frontiere, vivere gli spazi interstiziali come occasione per l’emergere delle differenze. Rinunciare agli schemi e alle certezze, ‘abbandonare’ lo sguardo. • Le strade tracciate, a volte interrotte e spezzate, sono complesse, molteplici e stratificate, piene di echi e differenze culturali che interrompono il ‘continuum’ teleologico della storia proponendo altre storie, tutte differenti, tutte degne di essere ascoltate e raccontate.
“Provincializzare l’Europa” • Non si tratta di riscrivere la storia cancellando il trauma della conquista o imponendo visioni antagoniste inscritte nelle stessa logica di potere (pensate alla mappa Peters, che pur restituendo dignità e realtà all’intero pianeta, resta purtroppo bloccata nello schema della rappresentazione / contro-rappresentazione). Si tratta, piuttosto, di avere consapevolezza della ferita del passato che ancora è inscritta nelle dinamiche globali e locali (“glocal”) del potere contemporaneo – politico, economico, accademico. • “...per quanto riguarda il discorso accademico sulla storia, ovvero la “storia” come discorso prodotto nel luogo istituzionale dell’università, l’ “Europa” rimane il soggetto sovrano e teorico di tutte le storie, comprese quelle che chiamiamo “indiana”, “cinese”, “kenyota”, ecc... Gli storici del Terzo Mondo provano la necessità di far riferimento ad opere di storia europee, mentre gli storici europei non sentono in nessun modo il bisogno di comportarsi con reciprocità... Che cosa ha permesso ai saggi europei di sviluppare una tale chiaroveggenza a riguardo di società sulle quali sono empiricamente ignoranti? Perché, ancora una volta, non siamo in grado di restituire lo sguardo? (Dipesh Chakrabarty, Postcoloniality and the Artifice of History, Who Speaks for Indian Past?, 1992, 1-3)
“Nell’accennare al ‘post’ non si tratta tanto di indicare un momento cronologico - quello che viene dopo il colonialismo - quanto un diverso modo critico che ci invita a riconcepire il mondo che ha prodotto, elaborato e propagato il colonialismo occidentale. • Si tratta della ri-configurazione della modernità stessa alla luce di tutto ciò - i corpi, le vite, le storie, le culture - che è stato rimosso, cancellato, negato, nella realizzazione di quel ‘progresso’ elaborato nell’arco dei cinque secoli da una modernità concentrata quasi esclusivamente nella parabola storica dell’Europa.” • (I. Chambers,www.aulachambers.it) • La difficoltà di “provincializzare” l’Impero è data dal fatto che “il soggetto” è un’invenzione occidentale, europea, che in-forma ancora la teorie, le discipline accademiche e la filosofia in tutto il mondo. E’ l’ “io” a dover essere provincializzato, messo in relazione, scomposto, contaminato, ecc.
Postcoloniality should signify not so much subjectivity “after” the colonial experience as a subjectivity of oppositionality to imperializing/colonizing discourses and practices. […] New approches to history have discredited the idea of a single linear progression, focusing instead on a multiplicity of often conflicting and frequently parallel narratives. • (Ania Loomba, Colonialism/Postcolonialism, p.12)
Michel Foucault, Archeologia del sapere e L’ordine del discorso • Alla “Storia” come continuum narrativo-documentario (teleologia, finalità cosciente, ecc.) si oppone la " storia generale " che problematizza gli scarti, le fratture, i diversi tipi di relazione esistenti; che rifiuta di riportare i fenomeni ad un unico centro, ad un'unica visione del mondo, ma che “ dovrebbe invece mostrare tutto lo spazio di una dispersione ”. • Ciò che teneva in piedi la “Storia” era il concetto, la credenza, di una sovranità della coscienza, che garantiva l'unità ed il dominio su tutto ciò che appariva lontano, indipendente da essa. • Ricerca della continuità, dell'origine e del principio unico (la “Storia”) vs. fratture, limiti, dispersione ... Differenze, storia generale, le storie... “ fare dell'analisi storica il discorso della continuità e fare della coscienza umana il soggetto originario di ogni divenire e di ogni pratica, costituiscono i due aspetti di uno stesso sistema di pensiero ”. (da Archeologia del sapere) “non immaginarsi che il mondo ci volga un viso leggibile, che non avremmo più che da decifrare; il mondo non è complice della nostra conoscenza; non esiste una provvidenza prediscorsiva che lo disponga a nostro favore. Occorre concepire il discorso come una violenza che noi facciamo alle cose, in ogni caso come una pratica che noi imponiamo loro; e proprio in questa pratica gli eventi del discorso trovano il principio della loro regolarità. (da L’ordine del discorso. N.d.r.: il discorso è per Foucault il luogo dall’articolazione produttiva di potere e sapere. )
Per postcoloniale intendiamo indicare una riconfigurazione del mondo e delle sue narrazioni, a partire dalla presenza evidente di persone, storie, corpi e voci rimosse, altre, “allontanate”. Le storie vs. la “Storia”. • La nostra storia, come fino ad ora l’abbiamo scritta e letta, risulta piena di zone d’ombra, e proprio l’innegabile presenza dei corpi e delle storie “altrui” evidenzia tali ombre. • Le “zone d’ombra”: • H. Bhabha, in Locations of Cultures (“How Newness enters the World”) (1994), parla dell’alone della candela, che permette piuttosto di sfocare anziché di accecare di luce violenta o di rendere ‘trasparente’ allo sguardo..
Narrazione: chi e come si decidono le omissioni e le inclusioni • Per narrare una storia (o anche la Storia), dobbiamo sempre selezionare gli elementi da raccontare, e di conseguenza quelli da omettere. La narrazione del passato (e anche quella del presente) è sempre un atto di scelta: si sceglie cosa includere nel racconto e cosa escludere (anche la memoria seleziona sempre: per ricordare, bisogna dimenticare qualcosa). • Possiamo, pertanto, scorgere le omissioni della Storia dell’Occidente, così come l’abbiamo finora scritta e letta. • la presenza vicina e intima dell’ “altro” (lo ‘straniero’, il migrante, il narratore, l’artista) fa emergere tali omissioni. Spinge ad una presa di coscienza, o almeno ad un confronto con ciò che non si è abituati a guardare. Rivela la parzialità dello sguardo. • L’alone della fiamma di candela, inoltre, permette di smorzare la pretesa di trasparenza e visibilità a favore dell’opacità costitutiva degli eventi e delle realtà. Messa in crisi dello sguardo come fondatore del soggetto unico, cosciente, occidentale.
Il Postcoloniale come proposta alternativa al soggetto cartesiano • Non si tratta di riscrivere la storia cancellando il trauma della conquista o imponendo visioni antagoniste inscritte nelle stessa logica di potere (pensate alla mappa Peters, che pur restituendo dignità e realtà all’intero pianeta, resta purtroppo bloccata nello schema della rappresentazione / contro-rappresentazione). • Si tratta, piuttosto: Di avere consapevolezza della ferita del passato che ancora è inscritta nelle dinamiche globali e locali (“glocal”) del potere contemporaneo – politico, economico, accademico. Di avere consapevolezza della de-centralità del soggetto e dei discorsi che lo costituiscono.
Colonialismo: il rimosso dell’occidente • Il colonialismo è precisamente una di queste gigantesche omissioni, una “zona d’ombra”. Leggere la Storia e la cultura occidentali come vicende separate dal colonialismo significa narrare una parte sola della storia. E’ il vizio dello sguardo parziale occidentale, che ha creato le mappe secondo il suo utile (finalità cosciente). • Pensate al ruolo fondamentale degli schiavi nell’economia coloniale, rimosso dalla storiografia, dalla filosofia e dall’estetica canoniche. Pensate al ‘Middle Passage’, al viaggio disumano e disumanizzante che serviva a trasportare schiavi in America (Il romanzo Beloved (1987) di Toni Morrison, meravigliosa narrazione ‘postcoloniale’, se per postcoloniale vogliamo intendere ciò che da voce a chi / cosa non l’ha mai avuta, è dedicato ai “Sixty million and more” – gli schiavi deportati dall’Africa nei Caraibi e in America, e morti nel passaggio). • Il rapporto, invece, è profondamente intimo: il benessere di una parte del mondo è tale proprio perché inserito in un sistema-mondo costruito sui rapporti coloniali.
Non si tratta tanto di ‘integrare’ la storia così come la conosciamo con altre notizie o altre storie, né di obliterare le ‘vecchie narrazioni’ imponendone altre ugualmente arbitrarie. • non è tanto il riemergere delle “zone d’ombra” (come ‘riempire i vuoti’) che cambia la Storia. Non sono cioè le ‘altre storie’ a cambiare la prospettiva. E’ il modo di agire di tali ‘emergenze’ che interrompe la linearità della narrazione che l’Occidente ha costruito di sé. E’ il modificarsi, in ‘umiltà, dello sguardo occidentale, è l’apertura ‘costitutiva’ che rifiuta di chiudersi come fosse una ferita. • Il punto, come scrive Chambers, “non è annotare il ritorno del represso, bensì far convergere il noto e l’ignoto in seno allo stesso tempo e allo stesso luogo: non un sapere nuovo, ma una narrazione senza epilogo ... Queste linee di scrittura e di pensiero critico procurano una serie di tagli trasversali nel corpo della modernità, costringendo a deviare la sua ostinata linearità ...” (Chambers, “Tra le rive”, in Le molte voci...)
Una diade interrotta “Mentre il nostro sguardo è occupato a esplorare quanto accade all’interno di una cornice diadica ... appena fuori dalla cornice ci attende un tertium, senza il quale anche quel che accade dentro la cornice sarebbe diverso... Fuori dalla cornice non c’è mai un tertium, ma molti... Essere attraverso l’altro ... non è mai essere attraverso un solo altro per volta, ma sempre attraverso svariati altri simultaneamente. Attraverso triangolazioni e triangolazioni di triangolazioni.” Manghi, La conoscenza ecologica, (Milano: Raffaello Cortina Editore), 2004, p. 74
Le molte voci e i molti mondi della letteratura postcoloniale • La letteratura postcoloniale offre questo tipo di interruzione, di taglio, di destrutturazione: un linguaggio ‘canonico’ occidentale, inscritto nella logica binaria soggetto/oggetto, è appropriato da una voce non-occidentale (per esempio non maschia, non bianca, non agiata, non stereotipata), che irrompe nella sua struttura ‘disturbandola’, giocandoci, o usandola proprio per denunciare il proprio silenzio forzato, e affermare o proporre una differenza, o molteplici differenze. • Prendiamo l’esempio del ROMANZO: genere della borghesia occidentale per eccellenza, viene utilizzato dalle voci postcoloniali per narrare ‘altro’, in altro modo, per far vacillare la struttura apparentemente ‘pulita’ della narrazione/narrativa occidentale. • La presunta trasparenza degli assunti ‘occidentali’ si scioglie, lasciando emergere opacità, omissioni e mondi nuovi.
Provincializzare l’Europa: Il Tamigi come metonimia dell’Impero Estratto da Ahdaf Soueif, In the Eye of the Sun (1992) Asya walks slowly along the Embankment feeling the sun on her back and on her arms. […] Strange how the Thames seems almost incidental here - incidental to London, even, let alone the whole of England. Well, it is incidental, isn’t it? It doesn’t feed the whole country […]. And yet, standing here, seeing just this one section of it, it seems every bit as important as the Nile. Well, it probably is to the people who work on it. […] She turns her back to the river and looks again at the solid façades of Whitehall. […] Built of course on Egyptian cotton and debt, on the wealth of India, on the sugar of the West Indies, on centuries of adventure and exploitation ending in the division of the Arab world and the creation of the State of Israel etc.etc.etc.
Why then does she not find it in her heart to feel resentment or bitterness or anything but admiration for and pleasure in the beauty, the graciousness, the harmony of this scene? Is it because the action is all in the past; because this is an ‘empire in decline’ and all this magnificence is only a - monument, rather like the great temples of Abu Simbel or Deir Bahari? Or is it because the thoughts, the words, the poetry that wound their way down the years in parallel with the fortunes of the Empire have touched her so nearly and pulled her in so close that she feels herself a part of all this?
Because there is a difference between the way she feels now and what she has felt when looking with awe at the great sweep of the Champs Elysées, for example […]. It is quite ridiculous, though - as that very English gentleman walking towards her in his grey pinstripe and his hat would tell her if he knew what she was thinking: because of your Empire, sir, a middle-aged spinster from Manchester came to Cairo in the 1930s to teach English. A small, untidy twelve-year old girl fell in love with her and lived and breathed English literature from that day on. That girl was my mother, and here, now, am I. You cannot disclaim responsibility for my existence,
nor for my being here - beside your river - today. But I haven’t come to you only to take, I haven’t come to you empty-handed: I bring you poetry as great as yours but in another tongue, I bring you black eyes and golden skin and curly hair, I bring you Islam and Luxor and Alexandria and lutes and tambourines and date-palms and silk rugs and sunshine and incense and voluptious ways… She smiles, and the man - middle-aged and comfortable, with a florid face and greying bushy eyebrows - glancing up as he passes her, smiles back and walks on.