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ILLUMINISMO (religione)

ILLUMINISMO (religione). Prof. Michele de Pasquale. l’illuminismo è fortemente polemico nei confronti delle religioni positive (ebraismo, cristianesimo, islamismo) perchè:.

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ILLUMINISMO (religione)

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Presentation Transcript


  1. ILLUMINISMO(religione) Prof. Michele de Pasquale

  2. l’illuminismo è fortemente polemico nei confronti delle religioni positive (ebraismo, cristianesimo, islamismo) perchè: non riconoscendo altro criterio di verità all’infuori della ragione e dell’esperienza, misconosce il concetto di rivelazione ritiene che le varie religioni della storia abbiano contribuito a tenere i popoli nell’ignoranza e nella servitù reputa che la religione, imbrogliando i popoli, li abbia intristiti con il senso del peccato, della morte e del castigo

  3. uno più moderato di orientamento deista il deismo crede in una religiosità naturale fondata su un nucleo razionale di verità comuni a tutti (esistenza di Dio, amore e rispetto per gli uomini); il dogma è ritenuto superfluo, il culto una pratica irrilevante, la classe sacerdotale un abuso di potere; il deismo esprime versioni moderate (conciliazione tra ragione e rivelazione) e radicali (riduzione della religione rivelata a religione naturale) due filoni della critica illuministica alla religione: uno più estremistico di tendenza atea l’ateismo ritiene che la religione sia un fenomeno patologico ed irrazionale che sgorga dall’interesse (interpretazione in chiave politica: sottomissione a Dio come manovra per sottomettere gli uomini al re) e dalla paura (il disagio dell’uomo di fronte all’universo lo induce a pensare ad un Dio)

  4. alcune espressioni della tendenza deista prendono spunto dalla cosmologia di Newton (ordine della natura impresso da un Dio creatore) e dalle riflessioni di Locke contenute nella “Ragionevolezza del cristianesimo” caratterizzanti in senso antidogmatico e razionale il contenuto del cristianesimo per Voltaire l’ordine del mondo rimanda al disegno di un Autore divino la frase “c’è un Dio” è la più verosimile che gli uomini possano pensare… anche se è una verosimiglianza che non può trasformarsi in certezza la sua polemica non è nei riguardi della religione in quanto tale ma di quella che degenera in superstizione e che può essere combattuta solo con la ragione

  5. “ Il teista è un uomo fermamente persuaso dell'esistenza d'un essere supremo tanto buono quanto potente, che ha creato tutti gli esseri estesi, vegetanti, senzienti e riflettenti; che perpetua la loro specie, che punisce senza crudeltà i delitti e ricompensa con bontà le azioni virtuose. Il teista ignora come Dio punisca, favorisca e perdoni; perché non è cosí temerario da illudersi di conoscere come Dio agisca; egli sa che Dio agisce e che è giusto. Le difficoltà contro la Provvidenza non scuotono minimamente la sua fede perché, pur essendo indubbiamente grandi, non sono prove; egli si sottomette alla Provvidenza, benché non possa scorgere di essa che qualche effetto particolare ed esteriore: tuttavia giudicando delle cose che non può vedere mediante quelle che vede, egli argomenta che la Provvidenza operi sempre e in ogni luogo. D'accordo su questo punto con il resto dell'Universo, egli si astiene tuttavia dall'aderire ad alcuna delle sètte particolari, che sono tutte intimamente contraddittorie. La sua religione è la piú antica e la piú diffusa; perché la semplice adorazione d'un Dio ha preceduto tutti i sistemi di questo mondo. Egli parla una lingua che tutti i popoli possono intendere, benché per il resto non s'intendano affatto tra loro. I suoi fratelli sono sparsi nel mondo da Pechino alla Caienna, tutti i saggi sono suoi fratelli. Egli ritiene che la religione non consista né nelle dottrine d'una metafisica inintelligibile, né in vani apparati, ma nell'adorazione e nella giustizia. Fare il bene, ecco il suo culto; essere sottomesso a Dio, ecco la sua dottrina [...]. Egli soccorre l'indigente e difende l'oppresso.” (Voltaire, Dizionario filosofico) “ Possa questo grande Iddio, che mi ascolta, che non può essere nato da una fanciulla, né essere morto su un patibolo, né essere mangiato in un pezzo di pasta, né aver ispirato questi libri [la Bibbia] pieni di contraddizioni, di menzogne e di errori, possa questo Dio, creatore di tutti i mondi, aver pietà di questa setta di cristiani che lo bestemmiano. Possa egli ricondurli alla religione santa e naturale, e spargere le sue benedizioni sugli sforzi che noi facciamo per farlo adorare! Amen » (Voltaire, Sermone dei cinquanta)

  6. per Rousseau il culto essenziale è quello del cuore, le dispute dogmatiche producono solo fanatismi: la religione civile “ La religione considerata in rapporto alla società, che è generale o particolare, può anch’essa distinguersi in due tipi: la religione dell’uomo e quella del cittadino. La prima, senza templi, senza altari, senza riti, limitata al culto puramente interiore del Dio supremo e ai doveri eterni della morale, è la pura e semplice religione del Vangelo, il vero teismo e ciò che si può chiamare il diritto divino naturale. L’altra, propria di un solo paese, gli fornisce i suoi dèi, i suoi patroni particolari e tutelari; ha i suoi dogmi, i suoi riti, il suo culto esterno prescritto da leggi; al di fuori della sola nazione che la segue, tutto per essa è infedele, straniero, barbaro; essa estende i doveri e i diritti dell’uomo solo fin dove giungono i suoi altari. Tali furono tutte le religioni dei primi popoli, alle quali si può dare il nome di diritto divino civile o positivo. Vi è una terza specie di religione, piú bizzarra, che, dando agli uomini due legislazioni, due capi, due patrie, li sottopone a doveri contraddittori e impedisce loro di poter essere insieme dei fedeli e dei cittadini. Tale è la religione dei Lama, o quella dei Giapponesi, tale è il cristianesimo romano. Essa può venir chiamata la religione del prete e da essa risulta una sorta di diritto misto e asociale cui non si può dare alcun nome. %

  7. Se consideriamo queste tre religioni da un punto di vista politico, esse hanno tutte i loro difetti. La terza è cosí evidentemente cattiva che sarebbe una perdita di tempo divertirsi a dimostrarlo. Tutto ciò che rompe l’unità sociale è nocivo, tutte le istituzioni che pongono l’uomo in contraddizione con se stesso sono nocive. La seconda è buona in quanto essa riunisce il culto divino e l’amore delle leggi, e perché, facendo della patria l’oggetto dell’adorazione dei cittadini, insegna loro che servire lo Stato significa servirne il dio tutelare. È una specie di teocrazia, in cui non si deve avere altro pontefice che il principe, né altri sacerdoti che non siano i magistrati. Allora, morire per il proprio paese vuol dire andare al martirio, violarne le leggi significa essere empio, e sottoporre un colpevole alla pubblica esecrazione è votarlo al corruccio degli dei. Ma questa religione è cattiva in quanto, essendo fondata sull’errore e sulla menzogna, essa inganna gli uomini, li rende creduli, superstiziosi e affoga il vero culto della divinità in un vano cerimoniale. È cattiva inoltre quando, divenuta esclusiva e tirannica, rende un popolo sanguinario e intollerante sí che esso respiri soltanto delitti e massacri e creda di compiere un’azione santa uccidendo chiunque non ammetta i suoi dèi. Ciò pone un tale popolo in uno stato naturale di guerra con tutti gli altri, stato assai nocivo alla sua stessa sicurezza. Rimane dunque la religione dell’uomo o il cristianesimo, non già quello di oggi, ma quello del Vangelo che è del tutto diverso. In virtú di questa religione santa, sublime, veritiera, gli uomini, figli dello stesso Dio, si riconoscono tutti per fratelli, e la società non si dissolve nemmeno con la morte. Ma questa religione, non avendo nessuna relazione con il corpo politico, lascia alle leggi soltanto la forza che esse traggono da se stesse senza aggiungergliene nessun’altra, e pertanto uno dei grandi vincoli della società particolare rimane senza effetto. %

  8. Ma, cosa ancor piú grave, essa, lungi dall’affezionare i cuori dei cittadini allo Stato, ne li distacca come da tutte le cose della terra. Ora, non conosco nulla di piú contrario allo spirito sociale. Si dice che un popolo di veri cristiani formerebbe la piú perfetta società che si possa immaginare. Al realizzarsi di una siffatta supposizione non vedo che una sola grande difficoltà: cioè che una società di veri cristiani non sarebbe piú una società di uomini. Giungo persino a dire che questa ipotetica società non sarebbe, con tutta la sua perfezione, né la piú forte né la piú stabile; a forza di esser perfetta essa mancherebbe di unione e il suo vizio distruttore starebbe nella sua stessa perfezione. Ciascuno adempirebbe il suo dovere, il popolo sarebbe sottomesso alle leggi, i capi sarebbero giusti e moderati, i magistrati integri, incorruttibili, i soldati disprezzerebbero la morte, non vi sarebbe né vanità né lusso; tutto ciò è bellissimo, ma guardiamo un po’ piú in là. Il cristianesimo è una religione tutta spirituale, occupata unicamente delle cose del cielo: la patria del cristiano non è di questo mondo. Egli fa il suo dovere, è vero, ma lo fa con una profonda indifferenza per quanto riguarda l’esito buono o cattivo dei suoi sforzi. Purché egli non abbia nulla da rimproverarsi, poco gli importa che tutto vada bene o male quaggiú. Se lo Stato è prospero, egli osa appena godere della felicità pubblica, temendo di inorgoglirsi per la gloria del suo paese; se lo Stato decade, benedice la mano di Dio che si appesantisce sul suo suolo. [Perché la società potesse essere tranquilla e in essa potesse regnare l’armonia, bisognerebbe che tutti i cittadini senza eccezione fossero ugualmente buoni cristiani. Ma se disgraziatamente vi è un solo ambizioso, un solo ipocrita, un Catilina, per esempio, un Cromwell, costui certamente avrà buon gioco sui suoi pii compatrioti…%

  9. Sopravviene qualche guerra con lo straniero? I cittadini marciano senza difficoltà al combattimento, nessuno di loro pensa a fuggire; fanno il loro dovere, ma senza appassionarsi per la vittoria; sanno piuttosto morire che vincere. Che importa loro di essere vincitori o vinti? La provvidenza non sa forse assai meglio di loro ciò che loro conviene? È facile immaginare quale partito saprà trarre dal loro stoicismo, un nemico fiero, impetuoso, appassionato. Ponete di fronte ad essi uno di quei popoli generosi che erano divorati da un ardente amore per la gloria e per la patria, immaginate la vostra repubblica cristiana posta di fronte a Sparta o a Roma: i pii cristiani saranno battuti, schiacciati, distrutti prima ancora di aver avuto il tempo di guardarsi intorno, oppure dovranno la loro salvezza unicamente al disprezzo che il loro nemico concepirà per loro. Era un bel giuramento, secondo me, quello fatto dai soldati di Fabio: essi non giurarono di morire o di vincere, bensí di ritornare vincitori; e mantennero il giuramento. Giammai dei cristiani ne avrebbero fatto uno simile, ché avrebbero creduto di tentare Dio. Ma io sbaglio parlando di una repubblica cristiana, ché ognuna delle due parole esclude l’altra. Il cristianesimo non predica che servitú e sottomissione, il suo spirito è troppo favorevole alla tirannia perché questa non ne approfitti sempre. I veri cristiani sono fatti per essere schiavi; lo sanno e non se ne preoccupano affatto: questa breve vita ai loro occhi ha troppo poco valore…] Ma lasciando da parte le considerazioni politiche, torniamo al diritto e fissiamo i princípi su questo importante punto. Il diritto che il patto sociale dà al sovrano sui sudditi non oltrepassa, come ho detto, i limiti dell’utilità pubblica. I sudditi non devono dunque render conto al sovrano delle loro opinioni se non in quanto queste opinioni importano alla comunità. Ora, allo Stato importa certamente che ogni cittadino abbia una religione che gli faccia amare i suoi doveri; ma i dogmi di questa religione non interessano né lo Stato né i suoi membri se non in quanto tali dogmi si riferiscono alla morale e ai doveri che il credente è tenuto ad assolvere nei riguardi degli altri.%

  10. Ognuno può avere quanto al resto le opinioni che piú gli piacciono, senza che il sovrano debba pronunziarsi su di esse: infatti, poiché egli non ha competenza per quanto riguarda l’altro mondo, la sorte dei suoi sudditi nella vita futura, qualunque essa sia, non lo riguarda, purché essi siano buoni cittadini in questa. Vi è dunque una professione di fede puramente civile, della quale spetta al sovrano fissare gli articoli, non già precisamente come dogmi religiosi, bensí come sentimenti di socialità, senza dei quali è impossibile essere buon cittadino o suddito fedele. Senza poter obbligare nessuno a credere in essi, il sovrano può bandire dallo Stato chiunque non vi creda; può bandirlo non come empio, ma come asociale, come incapace di amare sinceramente le leggi, la giustizia, e di sacrificare all’occorrenza la propria vita al proprio dovere. Se qualcuno, dopo avere pubblicamente riconosciuto questi stessi dogmi, si comporta come se non vi credesse, costui deve esser punito con la morte: egli ha infatti commesso il piú grave dei delitti, poiché ha mentito dinanzi alle leggi. I dogmi della religione civile devono essere semplici, poco numerosi, enunciati con precisione senza spiegazioni né commenti. L’esistenza della divinità potente, intelligente, benefica, previdente e provvidente, la vita futura, la felicità dei giusti, il castigo dei malvagi, la santità del contratto sociale e delle leggi, tali sono i dogmi positivi. In quanto ai dogmi negativi, li limito ad uno solo: l’intolleranza, la quale è propria dei culti che abbiamo esclusi. Coloro che distinguono l’intolleranza civile dall’intolleranza teologica si sbagliano, a mio avviso. Questi due tipi di intolleranza sono inseparabili. È impossibile vivere in pace con persone che si credono dannate; amarle significherebbe odiare Dio che le punisce; per cui è assolutamente necessario convertirle e tormentarle. Ovunque è ammessa l’intolleranza teologica, è impossibile che essa non abbia qualche effetto civile; e non appena ne ha, il sovrano non è piú tale, nemmeno in rapporto alle cose temporali: da quel momento i sacerdoti sono i veri padroni e i re si riducono ad essere i loro ministri. (Rousseau, Il contratto sociale)

  11. “ Il 18 febbraio dell'anno 1763 dell'era volgare, entrando il sole nella costellazione dei Pesci, fui trasportato in cielo, come sanno tutti i miei amici. Non salii a cavallo della giumenta Borac di Maometto, non ebbi per vettura il carro infiammato di Elia; non fui portato né sull'elefante del siamese Sammonocodom, né sul cavallo di san Giorgio, patrono d'Inghilterra, né sul porco di sant'Antonio: confesso ingenuamente che non so come feci quel viaggio. Immaginerete bene come restai sbalordito; ma quel che non vorrete credere è che vidi giudicare tutti i morti. E chi erano i giudici? Erano, non vi dispiaccia, tutti coloro che fecero del bene agli uomini: Confucio, Solone, Socrate, Tito, gli Antonini, Epitteto, tutti i grandi uomini che, avendo insegnato e praticato le virtù che Dio esige, sembravano i soli in diritto di pronunciare le sue sentenze. Non vi dirò su quali troni erano assisi, né quanti milioni di esseri celesti erano prosternati davanti al creatore di tutti i mondi, né quale folla di abitanti di questi innumerevoli mondi comparve davanti ai giudici. Renderò conto, qui, soltanto di alcuni piccoli particolari, molto interessanti, da cui fui colpito. Osservai che ogni morto che perorava la propria causa e che esibiva i propri buoni sentimenti, aveva accanto a sé i testimoni delle sue azioni. Per esempio, quando il cardinale di Lorena si vantò d'aver fatto accogliere alcune sue opinioni dal concilio di Trento, e, per premio della sua ortodossia, chiese la vita eterna, subito apparvero attorno a lui venti cortigiane o dame di corte, che portavano scritto sulla fronte il numero dei loro convegni col cardinale. %

  12. E si vedevano anche coloro che avevano gettato con lui le fondamenta della Lega: tutti i complici dei suoi perversi disegni venivano a circondarlo. Di fronte al cardinale di Lorena era Calvino che si vantava, nel suo rozzo dialetto, d'aver preso a calci l'idolo papale dopo che altri l'avevano abbattuto. «Ho scritto contro la pittura e la scultura,» diceva, «ho dimostrato nel modo più evidente che le buone opere non servono a nulla e ho provato che è diabolico ballare il minuetto; presto, buttate fuori di qui il cardinale di Lorena, e mettetemi a fianco di san Paolo.» Mentre parlava, si vide accanto a lui un rogo ardente: uno spaventevole spettro, che portava al collo una gorgiera spagnola mezzo bruciata, uscì da quelle fiamme gridando orribilmente: «Mostro! Mostro esecrabile, trema! Riconosci quel Serveto che facesti morire col più atroce dei supplizi, perché aveva disputato con te sulla maniera in cui tre persone possono costituire una sola sostanza!» Tutti i giudici ordinarono allora che il cardinale di Lorena fosse precipitato nell'abisso, ma che Calvino fosse punito ancor più crudelmente. Vidi una folla prodigiosa di morti che dicevano: «Ho creduto, ho creduto»; ma sulla loro fronte era scritto: «Ho fatto»; ed erano condannati. Il gesuita Le Tellier apparì, fiero, con in mano la bolla Unigenitus. %

  13. Ma al suo fianco sorse improvvisamente un mucchio di duemila mandati d'arresto. Un giansenista gli diede fuoco: Le Tellier fu bruciato fino alle ossa; e il giansenista, che non aveva meno intrigato di lui, ebbe la sua parte di bruciature. Vedevo arrivare da ogni parte schiere di fachiri, di talapoini, di bonzi, di monaci bianchi, neri e grigi che si eran tutti immaginati che, per fare la corte all'Essere supremo, bisognasse o cantare, o frustarsi, o camminare nudi. Udii una voce terribile che chiedeva loro: «Che bene avete fatto agli uomini?» A queste parole seguì un cupo silenzio; nessuno osò rispondere, e tutti furono spinti nel manicomio dell'universo: è uno dei più grandi edifici che si possano immaginare. Un tale gridava: «È alle metamorfosi di Xaca che bisogna credere.» E un altro: «No! A quelle di Sammonocodom!» «Bacco fermò il sole e la luna,» diceva questo. «Gli dei risuscitarono Pelope,» diceva quello. «Ecco la bolla In coena Domini,» annunciava l'ultimo venuto. E l'usciere dei giudici gridava: «Al manicomio! Al manicomio!» Quando tutti questi processi furono conclusi, udii promulgare questa sentenza: «In nome dell'eterno creatore, conservatore, remuneratore, vendicatore, misericorde eccetera, sia noto a tutti gli abitanti dei centomila milioni di miliardi di mondi che ci piacque creare, che noi non giudicheremo mai nessuno dei detti abitanti sulle sue idee contorte, ma unicamente sulle sue azioni; perché tale è la nostra giustizia.» Confesso che fu la prima volta che sentii un tale editto: tutti quelli che avevo letto sul granellino di sabbia ove sono nato finivano invece con queste parole: «Perché tale è il nostro beneplacito.» (Voltaire, Dizionario filosofico. Voce dogma)

  14. “ Un giorno il principe Pico della Mirandola incontrò papa Alessandro VI in casa della cortigiana Emilia, mentre Lucrezia, figlia del Santo Padre, stava per partorire, e a Roma non si sapeva se il nascituro fosse del papa o di suo figlio, il duca di Valentinois, o del marito di Lucrezia, Alfonso d'Aragona che passava per impotente. La conversazione fu sulle prime assai brillante. Il cardinale Bembo ne riferisce una parte. «Mio caro Pico,» disse il papa, «chi credi che sia il padre del mio nipotino?» «Vostro genero,» rispose Pico. «Ma come puoi credere una sciocchezza simile?» «Lo credo per fede.» «Ma non sai che un impotente non fa figli?» «La fede,» ribatté Pico, «consiste nel credere in cose che sono impossibili; per di più l'onore della vostra casa esige che il figlio di Lucrezia non passi per il frutto di un incesto. Voi mi fate credere in misteri ancor più incomprensibili. Non devo forse essere convinto che un serpente parlò e che da allora tutti gli uomini furono dannati; che l'asina di Balaam abbia parlato anch'essa con grande eloquenza, e che le mura di Gerico crollarono al suono delle trombe?» E Pico infilò prontamente una lunga litania di cose ammirabili in cui credeva. Alessandro, ridendo a crepapelle, piombò su un sofà. «Anch'io credo a tutto questo come te,» diceva, «perché mi rendo conto che non potrò salvarmi che in grazia della fede: non certo per le mie opere.» «Ah, Santo Padre,» disse Pico, «voi non avete bisogno né di opere né di fede: queste cose valgono per dei poveri profani come noi, ma voi che siete vice-Dio, potete credere e operare come più vi piace. Voi avete le chiavi del cielo; e, senza dubbio, san Pietro non vi sbatterà la porta in faccia. Ma, in quanto a me, vi dico che avrei bisogno di una potente protezione se, non essendo altro che un povero principe, fossi andato a letto con mia figlia e mi fossi servito dello stiletto e di certe polverine così spesso come Vostra Santità.» %

  15. Alessandro vi sapeva stare allo scherzo. «Parliamo seriamente,» disse al principe della Mirandola. «Dimmi, che merito può esserci nel dire a Dio che siamo persuasi di cose delle quali non possiamo affatto essere persuasi? Che piacere può fare, questo, a Dio? Detto tra noi: dire di credere in quel che è impossibile credere, significa mentire.» Pico della Mirandola si fece un gran segno di croce: «Ah, mio Dio!» esclamò, «Vostra Santità mi perdoni, ma voi non siete cristiano!» «No, in fede mia,» disse il papa. «Lo sospettavo,» replicò Pico della Mirandola. (Scritto da un discendente di Rabelais) Che cos'è la fede? È il credere in ciò che appare evidente? No: per me è evidente che esiste un Essere necessario, eterno, supremo, intelligente; ma questa non è fede, è ragione. Non ho nessun merito nel pensare che questo Essere eterno, infinito, che è la virtù, la bontà stessa, voglia che io sia buono e virtuoso. La fede consiste nel credere non a ciò che sembra vero, ma a ciò che sembra falso al nostro intelletto. Gli asiatici possono credere soltanto per fede al viaggio di Maometto nei sette pianeti, alle incarnazioni del dio Fo, di Visnù, di Xaca, di Brahma di Sammonocodom ecc. Essi sottomettono il loro intelletto, hanno paura d'esaminare, non vogliono né essere impalati né bruciati; dicono soltanto: «Io credo.» C'è la fede in cose stupefacenti, e la fede in cose contraddittorie e impossibili. %

  16. Visnù s'è incarnato cinquecento volte; questo è sbalorditivo, ma, infine, non fisicamente impossibile, perché se Visnù ha un'anima, può averla messa in cinquecento corpi, tanto per divertirsi. L'indiano, in verità, non ha una fede molto viva; non è intimamente persuaso di queste metamorfosi; però dice al suo bonzo: «Ho la fede: voi volete che Visnù sia passato per cinquecento incarnazioni; ciò vi frutta cinquecento rupie di rendita. E va bene; ma se io non l'ho, questa fede, voi andrete in giro a berciare contro di me, mi denuncerete, e rovinerete il mio commercio. Ebbene, questa fede ce l'ho, e in più eccovi dieci rupie in regalo.» L'indiano può giurare a quel bonzo che gli crede, senza fare un falso giuramento perché, dopo tutto, non gli è dimostrato che Visnù non sia venuto nelle Indie cinquecento volte. Ma se il bonzo esige da lui ch'egli creda in una cosa contraddittoria, impossibile - per esempio, che due più due fanno cinque, che lo stesso corpo può trovarsi in mille luoghi diversi, che essere e non essere sono assolutamente la medesima cosa - in questo caso, se l'indiano dice che egli ha la fede, mente; e se giura che crede, commette uno spergiuro. Dice dunque al bonzo: «Reverendo padre, io non posso assicurarvi che credo a queste assurdità, anche se esse vi fruttassero diecimila rupie di rendita, invece di cinquecento.» «Figlio mio,» risponde il bonzo, «dammi venti rupie, e Dio ti farà la grazia di credere in tutto ciò in cui non credi.» «Ma come potete pensare,» risponde l'indiano, «che Dio operi su di me quel che non può operare su se stesso? Non è possibile che Dio faccia o creda in cose contraddittorie: non sarebbe Dio, altrimenti. Io sono pronto, per farvi piacere, a credere in ciò che è oscuro; ma non posso dirvi che credo nell'impossibile. Dio vuole che noi siamo virtuosi, non che siamo assurdi. Vi ho già dato dieci rupie, eccone ancora venti: credete in trenta rupie; siate, se ci riuscite, un uomo onesto, e non rompetemi più le scatole.» (Voltaire, Dizionario filosofico. voce fede)

  17. “ I protestanti, e soprattutto i filosofi protestanti, considerano la transustanziazione come il grado più basso dell'impudenza dei monaci e dell'imbecillità dei laici. Perdono ogni misura quando parlano di questa credenza, che chiamano «mostruosa». Sono convinti che non ci sia un solo uomo di buon senso che, dopo avervi riflettuto, possa credervi seriamente. «È così assurda,» dicono, «così contraria a tutte le leggi della fisica, così contraddittoria, che Dio stesso non potrebbe compiere quest'operazione, perché, in effetti è annientare Dio supporre che faccia cose contraddittorie. Non solo un dio in un pane, ma un dio al posto del pane; centomila briciole di pane diventate in un istante altrettanti iddii: la folla innumerevole di questi iddii non sarebbe che un solo dio; bianchezza senza alcun corpo bianco, rotondità senza alcun corpo rotondo; vino mutato in sangue e che mantiene il sapore del vino; pane mutato in carne e fibre, ma che mantiene il sapore del pane.» Tutto ciò ispira tanto orrore e disprezzo ai nemici della religione cattolica apostolica e romana, che l'eccesso di tali sentimenti è qualche volta esploso in furore. L'orrore aumenta quando si riferisce loro che tutti i giorni, nei paesi cattolici, si vedono preti e monaci che, uscendo da un letto incestuoso, senza neppur essersi lavate le mani sozze di impurità, vanno a produrre iddii a centinaia; a mangiare e bere il loro dio, a cacarlo e a pisciarlo. Ma quando poi riflettono che questa superstizione, cento volte più assurda e sacrilega di tutte quelle degli egiziani, ha reso a un prete italiano da quindici a venti milioni di rendita e il dominio di un paese di cento miglia di estensione in lungo e in largo, vorrebbero andare tutti, armi in pugno, a cacciare quel prete che si è impadronito del palazzo dei Cesari. Non so se prenderò parte al viaggio, perché amo la pace; ma quando costoro si saranno stabiliti a Roma, andrò sicuramente a far loro visita. (Del signor Guillaime, ministro protestante)” (Voltaire, Dizionario filosofico. voce transustanziazione)

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