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EMOCOAGULAZIONE

EMOCOAGULAZIONE. EMOSTASI. Serie di reazioni biochimiche e cellulari, sequenziali e sinergiche, finalizzate a impedire la perdita di sangue dai vasi. E’ cioè un meccanismo di difesa deputato al mantenimento dell’integrità dei vasi sanguigni e della fluidità del sangue.

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EMOCOAGULAZIONE

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Presentation Transcript


  1. EMOCOAGULAZIONE

  2. EMOSTASI Serie di reazioni biochimiche e cellulari, sequenziali e sinergiche, finalizzate a impedire la perdita di sangue dai vasi. E’ cioè un meccanismo di difesa deputato al mantenimento dell’integrità dei vasi sanguigni e della fluidità del sangue. Alterazioni dell’emostasi AUMENTO RIDUZIONE TROMBOSI EMORRAGIA

  3. Tappe del processo emostatico Quando si verifica una lesione vascolare, viene attivato il meccanismo dell’emostasi, che è un meccanismo autoregolato. I sistemi coinvolti nel processo emostatico sono 4: • Vasi e costituenti della parete vascolare • Piastrine • Cascata enzimatica della coagulazione • Sistema fibinolitico

  4. FASE VASCOLARE CONTRAZIONE VASALE • Contrazione delle cellule muscolari lisce dei vasi • Riflesso neurovegetativo vasomotore (nerva vasorum) SOSTANZE VASOCOSTRITTRICI • Endotelina • Serotonina ed istamina

  5. FASE PIASTRINICAFORMAZIONE DEL TAPPO PIASTRINICO(si forma in 3-5 minuti) L’endotelio è un tessuto metabolicamente attivo, che, a seconda del suo stato funzionale, può o favorire o inibire l’emostasi. In stato di quiescenza l’endotelio è in grado di assicurare la fluidità del sangue mediante un complesso meccanismo anticoagulante mentre, in seguito ad una lesione, la perdita della cellula endoteliale costituisce il punto di avvio del processo di emostasi localizzata, attraverso l’induzione coordinata di attività pro-emostatiche che iniziano con l’adesione piastrinica.

  6. PIASTRINE • normali: 150,000 - 400,000 per ul • Sito d’accumulo nella milza (30%) • vita 8 - 10 giorni • Fagocitati dai neutrofi e dai monociti/macrofagi • Derivano dai megacariociti • 30,000 al giorno

  7. Le piastrine sono frammenti citoplasmatici di una cellula progenitrice midollare multinucleata, il megacariocita. La trombopoiesi o piastrinopoiesi è regolata da un fattore presente nel siero, la trombopoietina, che è in grado di aumentare non solo la produzione di piastrine, ma anche la proliferazione dei megacariociti. Anche l’interleuchina-11 (IL-11) ha attività trombopoietica. La produzione di piastrine può aumentare notevolmente (7-8 volte) in seguito ad attivazione dell’emostasi o a stimolazione del midollo. Le piastrine appena immesse in circolo sono più grandi ed hanno un’attività emostatica maggiore rispetto alle piastrine circolanti mature. Le piastrine sopravvivono in circolo per circa 10-12 giorni (emivita 5-6 giorni) e successivamente vengono sequestrate dagli organi emocateretici (principalmente dalla milza e dal fegato), dove vengono fagocitate dalle cellule del sistema dei fagociti mononucleati.

  8. La loro forma è controllata dal citoscheletro e in particolare da un fascio circonferenziale di microtubuli, situato all’equatore del disco, e da microfilamenti contrattili ancorati alle membrane cellulari. A parte l’assenza del nucleo, sono presenti tutti i principali componenti subcellulari, mitocondri, granuli di glicogeno, lisosomi. La membrana plasmatica è rivestita all’esterno da un caratteristico strato di polisaccaridi e lipo/glicoproteine, detto glicocalice. Del glicocalice fanno parte i recettori, che mediano le più importanti funzioni piastriniche e tutte le glicoproteine coinvolte nell’adesione e nell’aggregazione. Le piastrine contengono tre tipi di granuli:lisosomi, granuli densi (detti anche granuli delta) ed alfa-granuli. Il contenuto di questi ultimi due viene secreto durante la risposta piastrinica, attraverso il sistema canalicolare aperto o attraverso la membrana plasmatica, direttamente nel microambiente sede dell’aggregazionepiastrinica

  9. PIASTRINA

  10. Fasi della risposta piastrinica • In seguito al danno vascolare, le piastrine sono esposte al sottoendotelio, cioè collageno, proteoglicani, fibronectina ed altre glicoproteine e questo ne determina l’attivazione. La risposta piastrinica comporta mutamenti di ordine biochimico, strutturale e morfologico delle piastrine stesse. • La risposta delle piastrine ad uno stimolo è dovuta all’intervento coordinato della membrana, dei granuli e del citoscheletro e può essere suddivisa in varie fasi che tendono a sovrapporsi.

  11. Adesione L’endotelio integro e la superficie piastrinica si respingono in virtù delle loro cariche negative La rottura dell’endotelio espone il collageno sottoendoteliale che lega la GpIa. La GpIb si lega al vWF, a sua volta adeso al collageno

  12. In seguito all’adesione le piastrine attivano meccanismi di trasduzione che determinano il cambiamento di forma e la reazione di degranulazione. Fase reversibile Refrattarietà piastrinica Fase irreversibile Cambiamento di forma

  13. Cambiamento di forma Rende disponibile il fattore piastrinico 3 (F.P.3) una fosfatidil-serina che nella piastrina a riposo è situata sul versante interno della membrana piastrinica che ha attività procoagulante. I fosfolipidi della membrana piastrinica forniscono la fase solida sulla quale avvengono le interazioni fra I vari fattori della coagulazione, quando la cascata coagulativa viene attivata.

  14. Release piastrinico La secrezione delle piastrine avviene subito dopo l’adesione ed è un fenomeno attivo (legato anche all’aumento della concentrazione di calcio nelle cellule) che determina il rilascio del contenuto dei granuli piastrinici all’esterno. È dipendente dall’ATP e dal citoscheletro

  15. L’adesione piastrinica al collageno avviene tramite recettori specifici che sono accoppiati a proteine G di trasduzione. Tali proteine attivano la fosfolipasi C (PLC), la quale idrolizza il fosfatidil - inositolo di membrana (PIP2) a inositolo – trifosfato (IP3) e diacil – glicerolo (DAG). L’IP3 libera il Ca dai depositi non mitocondriali ed il Ca attiva la cinasi della catena leggera della miosina (MLCK), con fosforilazione della miosina (miosina - P). Il DAG attiva la proteino – cinasi C (PKC), la quale fosforila la plekstrina (plekstrina - P). Plekstrina – P e miosina – P inducono degranulazione piastrinica con rilascio di ADP dai granuli delta.

  16. L’ADP liberato si lega a due tipi di recettori specifici, accoppiati con PLC e con PLA2. Anche il Ca liberato attiva la fosfolipasi A2 (PL2), che è anche accoppiata allo stesso recettore per ADP. Tale fosfolipasi stacca l’acido arachidonico (AA) dai fosfolipidi di membrana (PL - AA). L’AA viene elaborato dalla trombossano sintetasi delle piastrine e trasformato in trombossano A2 (TXA2). Una potente ondata di TXA2 viene rilasciata dalle piastrine ed interagisce con recettori specifici (autocrinia, paracrinia), accoppiati con una proteina G che attiva la PLC. Si replica quindi, con maggiore intensità, la via di trasduzione innescata dalla interazione con il collageno. Contemporaneamente, il Ca liberato da IP3 promuove assieme alla PKC, la fusione delle proteine GpIIb e GpIIIa a formare il complesso glicoproteico GpIIb-IIIa, recettore per il fibrinogeno. Il fibrinogeno si pone a ponte fra le piastrine ed ha quindi avvio la fase di aggregazione piastrinica.

  17. L’aggregazione primaria (prima onda di aggregazione), è un’aggregazione reversibile, indotta da piccole quantità di agonisti che interagiscono con i loro recettori sulla membrana piastrinica (ADP, collageno, trombina, PAF, ecc.)

  18. L’aggregazione secondaria (seconda onda di aggregazione) è dovuta invece sia all’interazione di grosse quantità di agonisti con i loro recettori, sia al rilascio di grosse quantità di ADP e quindi di TXA2 da parte delle piastrine attivate da piccole quantità di agonisti  molto potenti. Si forma dapprima un aggregato piastrinico che prende il nome di TAPPO EMOSTATICO TEMPORANEO O PRIMARIO, che è reversibile. Successivamente, dove vi è stata adesione e aggregazione primaria si ha la formazione di un aggregato impermeabile e irreversibile, detto TAPPO EMOSTATICO SECONDARIO.

  19. Coagulazione • E’ il terzo componente del processo emostatico e porta alla  formazione del coagulo insolubile di fibrina, derivante dalla trasformazione del precursore plasmatico solubile fibrinogeno. • A questo risultato si giunge grazie all’attivazione sequenziale di una serie di fattori plasmatici (fattori della coagulazione). • I fattori plasmatici, ad eccezione della pre-callicreina (PK) e del chininogeno ad alto peso molecolare (high molecular weight kininogen, HMWK), sono numerati progressivamente dall’1 al 13, secondo una nomenclatura internazionale . Tutti i fattori della coagulazione, ad eccezione del fattore III (fattore tessutale), sono normalmente presenti nel plasma in forma inattiva.

  20. Fattori della coagulazione

  21. Sistema fibrinolitico • La formazione della fibrina si verifica nel corso di vari processi, come l’infiammazione, la riparazione delle ferite e, soprattutto, l’emostasi e deve essere limitata nello spazio e nel tempo una volta che lo stimolo scatenante abbia terminato di agire. • La fibrinolisi rappresenta il meccanismo fondamentale attraverso il quale si dissolve il coagulo di fibrina, dopo che ha svolto la sua funzione.

  22. Il sistema fibrinolitico è un SISTEMA MULTIENZIMATICO, che presenta  analogie con il sistema della coagulazione. E’ infatti costituito da serino-proteasi (sito attivo composto da serina-acido aspartico- istidina). Il sito catalitico si trova nella regione  C-terminale (catena B), mentre la regione N-terminale (catena A) contiene uno o più domini funzionali, responsabili delle diverse funzioni di queste molecole, come ad es. legame alla fibrina, legame a recettori sulle superfici cellulari, legame al plasminogeno, ecc. Sono enzimi tripsino-simili, cioè agiscono a livello del legame specifico arginina-lisina. Si trovano in forma di zimogeni, che vengono trasformati in enzimi attivi mediante un taglio proteolitico. • La “reazione centrale” della fibrinolisi è rappresentata dalla conversione del plasminogeno (pro-enzima plasmatico, inattivo) nell’enzima proteolitico attivo plasmina, mediante la scissione di un singolo legame peptidico. La plasmina così prodotta degrada la fibrina, dando origine a prodotti di degradazione solubili e quindi alla lisi del coagulo di fibrina. • Componenti del sistema fibrinolitico: • - attivatori del plasminogeno •  (attivatore tissutale o tPA; attivatore di tipo urochinasico o  uPA) • - plasminogeno • - plasmina • - inibitori

  23. Fibrinolisi • Plasminogeno convertito a plasmina • Plasmina degrada la fibrina • Rilascio di fattori della degradazione • Plasmina è inattivata da inibitori in circolazione

  24. Patologie della coagulazione CAUSE • deficit della parete vasale • disfunzione o deficienza delle piastrine • deregolamentazione o deficit di fattori della coagulazione

  25. Difetti delle piastrine

  26. Trombofilie ereditarie • La trombofilia identifica una tendenza a sviluppare trombosi conseguenti ad alterazioni del sistema coagulativo o fibrinolitico su base ereditaria o acquisita • Riconoscono una modalità di trasmissione genetica di tipo autosomico dominante • Si caratterizzano per episodi di trombosi prevalentemente venosi • Assenza di fattori di rischio • Esordio della trombosi in età giovanile (al di sotto di 40-50aa) • Gli episodi di trombosi tendono a recidivare • E’ spesso presente una storia familiare • Aborti ripetuti e/o feti nati morti

  27. Fattori di rischio acquisiti DEFICIT DEGLI INIBITORI NATURALI  DELLA COAGULAZIONE  • AT, PC, PS <1% della popolazione  e <10% di soggetti non selezionati con TVP • Rischio di TVP è 5-8% • Incidenza annua 1-2% • Circa il 50% degli episodi di TVP concomita con eventi occasionali • Frequente esordio <45aa

  28. Fattore V di Leiden(G1691A) (arginina 506 è sostituita con ac.glutammico-cromosoma 1)  • Presente solo negli individui caucasici • Prevalenza del  2-15% (40% in pts con trombosi) • Rischio di TVP 5-8% negli eterozigoti, 40-80 negli omozigoti • Incidenza annua  di TVP 0.19%-0.67% • Gravidanza, contraccettivi orali, chirurgia minore, viaggi prolungati, malattie intercorrenti • Frequente esordio dopo i 45 aa PROTROMBINA G20120A mutazione nella regione 3’ non tradotta  • I portatori hanno una concentrazione plasmatica della protrombina superiore  del 30%(trascrizione +efficiente e/o >stabilità del messaggio) • Prevalenza del 2% negli individui sani e 20% dei pazienti con TVP • Rischio del 2-5% negli eterozigoti • Il rischio di TVP aumenta con l’età fino ad un massimo del 19% dopo  60 aa

  29. IPEROMOCISTEINEMIA  (è un sulfidril aa derivato dalla conversione metabolica della metionina)  • È un fattore di rischio per trombosi sia arteriose che venose • Si associa  al polimorfismo C677T del gene della metilentetraidrofolato reduttasi (omozigote). • Fattori acquisiti (ridotta assunzione di piridossina, cobalamina, folati) si sommano al difetto genetico • La prevalenza del gene TT nella popolazione generale e nei pazienti con TVP è del 13% ALTRI FATTORI DI RISCHIO  • I difetti combinati (fattoreV+G20120A) duplicano il rischio di TVP (20 volte) • L’iperomocisteinemia lieve+ fattore V o G20120A aumentano il rischio  di 20/50 volte • Aplotipo HR2 omozigote del fattore V costituisce una causa di resistenza della proteina C attivata (rischio del 5%) • Aumentati livelli di fibrinogeno fattore VIII fattore IX e fattore XI, inibitore della fibrinolisi trombino attivabile (TAF1)

  30. MANIFESTAZIONI CLINICHE  • TVP degli arti inferiori con o senza  embolia polmonare (circa 40% dei casi)  • Trombosi venose superficiali, del circolo splancnico e cerebrali sono più rare  • Le trombofilie ereditare sono responsabili di circa il 40% delle TVP non provocate da fattori acquisiti  • Le trombosi arteriose possono associarsi a protrombina G20120A nei soggetti giovani e all’iperomocisteinemia RECIDIVA  DI TVP  • I rischio di recidiva è aumentato nei soggetti con trombofilia ereditaria  anche a distanza di anni dal primo episodio  • La recidiva ha prognosi infausta nel 5% dei pazienti  • Il 30% dei pazienti cin recidiva sviluppa una sindrome post-trombotica  • Il rischio di recidiva è maggiore nei soggetti con difetto degli anticoagulaanti naturali, nelle doppie eterozigosi e nella omozigosi per il fattore V di Leiden 

  31. SCREENING FAMILIARE  • Elevata probabilità di identificare portatori (50%) • Profilassi dei portatori in condizioni di rischio • Identificazione precoce di eventi spontanei • Etichetta di malattia genetica • Possibili ripercussioni assicurative • Discriminazioni lavorative • Bassa incidenza di TVP

  32. SCREENING di primo livello  • Antitrombin heparin cofactor activity (amidolytic method) • Protein C (clotting or amidolytic method) • Protein s (total and free antigen fractions) • Factor V Leiden • Prothrombin G20120A • Homocysteine

  33. TERAPIA • Non differisce  dai pazienti con TVP senza trombofilia ereditaria  • Il deficit di AT richiede elevate dosi di eparina per raggiungere  livelli terapeutici di aPTT (considerare l’utilizzo di concentrati di AP purificata ) • Un severo  difetto omozigote di PC  necessita di un aggiunta di concentrati di PC nella fase di transizione fra la terapia con eparina e quella con anticoagulanti orali per mantenere livelli di PC sopra il 50% fino al raggiungimento di una anticoagulazione stabile (rischio necrosi cutanea)

  34. ESAMI DI LABORATORIO

  35. TEST DI SCREENING misurano gli effetti combinati di fattori che influenzano una fase particolare della coagulazione (p. es., il tempo di sanguinamento). Dosaggi specifici misurano il livello o la funzione di un fattore dell'emostasi (p. es., il dosaggio del fattore VIII). Test addizionali che possono misurare un prodotto o un effetto di un'attivazione patologica in vivo delle piastrine, della coagulazione o della fibrinolisi (p. es., il livello dei prodotti di degradazione della fibrina). I risultati dei test di screening e la conoscenza del disordine clinico fanno da guida nella selezione di indagini diagnostiche più specifiche. Il tempo di sanguinamento deve essere determinato con un manicotto dello sfigmomanometro applicato all'arto superiore gonfiato fino a 40 mm Hg, per far sì che il coagulo emostatico venga tenuto contro una retropressione. Un dispositivo a molla monouso per il rilievo del tempo di sanguinamento viene utilizzato per fare un'incisione di 6-mm× 1 mm sulla parte volare dell'avambraccio. Si assorbe il sangue con l'orlo di una carta da filtro a intervalli di 30 s finché il sanguinamento non si arresti. Con questo metodo il limite superiore della norma per il tempo di sanguinamento è di 7,5 min. La trombocitopenia, disordini della funzione piastrinica e la malattia di von Willebrand (VWD) prolungano il tempo di sanguinamento, il quale invece non risulta prolungato nei disordini della fase della coagulazione. L'uso dell'aspirina nei 5-7 giorni precedenti prolunga anche il tempo di sanguinamento.

  36. Il tempo di tromboplastina parziale (PTT) individua i casi di reazioni emocoagulative anomale innescate dall'esposizione del plasma a una superficie carica negativamente. Il plasma viene incubato per 3 min con un reagente che fornisce il fosfolipide procoagulante e una polvere tensioattiva (p. es., silicio micronizzato). Si aggiunge quindi Ca e si valuta il tempo di coagulazione. (Dal momento che i reagenti in commercio e la strumentazione variano notevolmente, ciascun laboratorio deve determinare il proprio range di normalità; di regola da 28 a 34 sec). Il PTT è sensibile a deficit di circa il 30-40% di tutti i fattori della coagulazione eccetto che per i fattori VII e XIII. Con rare eccezioni, un risultato normale esclude l'emofilia. L'eparina prolunga il PTT e quest'ultimo viene utilizzato spesso per il monitoraggio della terapia eparinica. Un tempo prolungato può anche essere causato da un deficit di uno o più fattori della coagulazione o dalla presenza di un inibitore di un fattore della coagulazione (p. es., un anticoagulante che inibisce il fattore VIII, v. Disordini della coagulazione da anticoagulanti circolanti, più avanti) o di un inibitore del fosfolipide procoagulante (inibitore del lupus-v. Disordini della coagulazione da anticoagulanti circolanti, oltre). Se è presente un inibitore, mescolando il plasma del paziente 1:1 con un plasma normale, non risulterà un accorciamento del PTT entro i 5 s circa del tempo che si ottiene con il plasma normale da solo. Determinazioni degli specifici fattori della coagulazione possono in genere individuare la causa di un prolungato PTT, non prontamente spiegato sulla base degli altri rilievi clinici.

  37. Nel test del tempo di protrombina (PT), il plasma viene ricalcificato in presenza di un'alta concentrazione di fattore tissutale (tromboplastina tissutale). Il test individua i casi in cui siano presenti anomalie dei fattori V, VII e X, della protrombina e del fibrinogeno; il PT normale varia da 10 e 12 sec, in rapporto al particolare reagente impiegato contenente fattore tissutale e di altri dettagli tecnici. Un PT più lungo di 2 s rispetto al valore normale, di controllo del laboratorio, deve essere considerato anormale e ne va indagato il motivo. Il PT è un esame utile per lo screening di disturbi della coagulazione in varie condizioni acquisite (p. es., carenza di vitamina K, epatopatie, CID). Il PT viene anche impiegato per controllare la terapia con anticoagulanti cumarinici. Il range terapeutico del PT dipende dalla tromboplastina utilizzata in ogni laboratorio. • APTT :tempo di protrombina parziale attivato

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