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Principio di universalit. non c' scienza che del generale". Espulsione del particolare e del singolare in quanto contingenti o residuali.Eliminazione dell'irreversibilit temporale e, pi ampiamente, di tutto ci che eventuale e storico.Principio che riduce la conoscenza degli insiemi o si
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1. IL PARADIGMA DI SEMPLIFICAZIONE (Principi d’intelligibilità della scienza classica)
2. Principio di universalità. “non c’é scienza che del generale”. Espulsione del particolare e del singolare in quanto contingenti o residuali.
Eliminazione dell’irreversibilità temporale e, più ampiamente, di tutto ciò che è eventuale e storico.
Principio che riduce la conoscenza degli insiemi o sistemi, alla conoscenza delle parti semplici o unità elementari che li costituiscono.
Principio che riduce la conoscenza delle organizzazioni ai principi d’ordine (leggi, invarianze, costanti...) inerenti a queste organizzazioni.
Principio di causalità lineare, superiore ed esterna agli oggetti.
3. Sovranità esplicativa assoluta dell’ordine, vale a dire determinismo universale e impeccabile: le alea sono apparentemente dovute alla nostra ignoranza. Così, in funzione dei principi 1,2,3,4,5 e 6, l’intelligibilità di un fenomeno o oggetto complesso, si riduce alla conoscenza delle leggi generali e necessarie che governano le unità elementari di cui è costituito.
Principio di isolamento/disgiunzione dell’oggetto rispetto al suo ambiente.
Principio di disgiunzione assoluta tra l’oggetto e il soggetto che lo percepisce/concepisce. La verifica di osservatori/sperimentatori diversi basta non soltanto a raggiungere l’obiettività, ma ad escludere il soggetto conoscente
ergo: eliminazione di ogni problematica del soggetto nella conoscenza scientifica.
4. Eliminazione dell’essere e dell’esistenza attraverso la quantificazione e la formalizzazione.
L’autonomia non è concepibile.
Principio dell’affidabilità assoluta della logica per stabilire la verità intrinseca delle teorie. Ogni contraddizione appare necessariamente come un errore.
Si pensa inscrivendo idee chiare e distinte in un discorso mono-logico.
5. PER UN PARADIGMA DELLA COMPLESSITA’
6. IL PARADIGMA DI SEMPLIFICAZIONE Il PARADIGMA DELLA COMPLESSITA’
Principio di universalità. “non c’é scienza che del generale”. Espulsione del particolare e del singolare in quanto contingenti o residuali.
Eliminazione dell’irreversibilità temporale e, più ampiamente, di tutto ciò che è eventuale e storico.
Principio che riduce la conoscenza degli insiemi o sistemi, alla conoscenza delle parti semplici o unità elementari che li costituiscono. Validità ma insufficienza del principio d’universalità. Principio complementare e inseparabile d’intelligibilità a partire dal particolare e dal singolare.
Principio di riconoscimento e d’integrazione dell’irreversibilità del tempo nella fisica (II principio della termodinamica), nella biologia (ontogenesi, filogenesi, evoluzione) e in ogni problematica organizzativa (“non si può comprendere un sistema complesso se non in riferimento alla sua storia e al suo percorso” - Prigogine). Necessità inevitabile di far intervenire la storia e l’evento in tutte le descrizioni e le spiegazioni.
Riconoscimento dell’impossibilità d’isolare le unità elementari e semplici alla base dell’universo fisico. Principio che unisce la necessità di legare la conoscenza degli elementi o parti a quello degli insiemi o sistemi che essi costituiscono. (“Ritengo impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come conoscere il tutto senza conoscere precisamente le parti” – Pascal).
7. IL PARADIGMA DI SEMPLIFICAZIONE Il PARADIGMA DELLA COMPLESSITA’ Principio che riduce la conoscenza delle organizzazioni ai principi d’ordine (leggi, invarianze, costanti...) inerenti a queste organizzazioni.
Principio di causalità lineare, superiore ed esterna agli oggetti.
Sovranità esplicativa assoluta dell’ordine, vale a dire determinismo universale e impeccabile: le alea sono apparentemente dovute alla nostra ignoranza. Così, in funzione dei principi 1,2,3,4,5 e 6, l’intelligibilità di un fenomeno o oggetto complesso, si riduce alla conoscenza delle leggi generali e necessarie che governano le unità elementari di cui è costituito.
Principio dell’impossibilità di delineare la problematica dell’organizzazione e, per ciò che riguarda certi esseri fisici (gli astri), gli esseri biologici e le entità antropo-sociali, dell’auto-organizzazione.
Principio di causalità complessa, che comporta causalità reciproca interrelazionata (Maruyama), inter-retroazioni, ritardi, garbugli, sinergie, deviazioni, ri-orientamenti. Principio di endo-esocausalità in quel che riguarda i fenomeni d’auto-organizzazione.
Principio di considerazione dei fenomeni secondo una dialogica ordine -> disordine -> interazioni -> organizzazione. Integrazione dunque, non soltanto della problematica dell’organizzazione, ma anche degli avvenimenti aleatori nella ricerca dell’intelligibilità.
8. IL PARADIGMA DI SEMPLIFICAZIONE Il PARADIGMA DELLA COMPLESSITA’ Principio di isolamento/disgiunzione dell’oggetto rispetto al suo ambiente.
Principio di disgiunzione assoluta tra l’oggetto e il soggetto che lo percepisce/concepisce. La verifica di osservatori/sperimentatori diversi basta non soltanto a raggiungere l’obiettività. Ma ad escludere il soggetto conoscente
ergo: eliminazione di ogni problematica del soggetto nella conoscenza scientifica. Principio di distinzione, ma non di disgiunzione tra l’oggetto, o l’essere, e il suo ambiente.
La conoscenza di ogni organizzazione fisica richiama la conoscenza delle sue interazioni con il suo ambiente. La conoscenza di ogni organizzazione biologica richiama la conoscenza delle sue interazioni con il suo eco-sistema.
8. Principio di relazione tra l’osservatore/concettore e l’oggetto osservato/concepito. Principio d’introduzione del dispositivo d’osservazione o di sperimentazione – apparato, suddivisione, griglia – (Mugur-Tachter) e, attraverso questo, dell’osservatore/concettore, in ogni osservazione o sperimentazione fisica. Necessità di introdurre il soggetto umano – situato e datato culturalmente, sociologicamente, storicamente, in ogni studio antropologico o sociologico.
9. Possibilità e necessità di una teoria scientifica del soggetto.
9. IL PARADIGMA DI SEMPLIFICAZIONE Il PARADIGMA DELLA COMPLESSITA’ Eliminazione dell’essere e dell’esistenza attraverso la quantificazione e la formalizzazione.
L’autonomia non è concepibile.
Principio dell’affidabilità assoluta della logica per stabilire la verità intrinseca delle teorie. Ogni contraddizione appare necessariamente come un errore.
Si pensa inscrivendo idee chiare e distinte in un discorso mono-logico. Possibilità, a partire da una teoria d’auto-produzione e di auto-organizzazione, d’introdurre e riconoscere fisicamente e biologicamente (e a maggior ragione antropologicamente) le categorie dell’essere e dell’esistenza.
Possibilità, a partire da una teoria d’auto-produzione e di auto-organizzazione, di riconoscere scientificamente la nozione d’autonomia.
Problematica delle limitazioni della logica. Riconoscimento dei limiti della dimostrazione logica in seno ai sistemi formali complessi (Godel, Tarsky). Considerazione eventuale delle contraddizioni o aporie imposte dall’osservazione/sperimentazione, in quanto indici di un campo ignoto o profondo della realtà (Withead, Bohr, Lupasco, Gunther). Principio discorsivo complesso, che comporta l’associazione di nozioni nello stesso tempo complementari, concorrenti e antagoniste.
Bisogna pensare in maniera dialogica e per macroconcetti, legando in maniera complementare nozioni eventualmente antagoniste.
10. Il paradigma della Complessità rappresenta l’elaborazione che nella maniera più chiara e più sistematica
opera una revisione critica dei criteri della scientificità “classica”
mettendoli in connessione con i più generali principi di pensabilità del mondo, di organizzazione del modo di prodursi del sapere.
11. La riflessione su tali principi, assunti, presupposti, modi di organizzazione del pensiero ha condotto ad indicare la necessità di una trasformazione radicale del pensiero stesso
12. Il paradigma della complessità propone i principi di intelligibilità che guidano ad una visione complessa del mondo e del modo di prodursi del sapere.
13. Guardando a tali principi
la trasformazione che l’epistemologia della complessità propone sembra ruotare intorno a tre importanti nuclei concettuali
14. l'idea di realtà (realtà cosmologica/realtà individuale)
le problematiche della conoscenza, con particolare riferimento al rapporto osservatore-osservato
le modalità dell'osservazione e la 'strumentazione' concettuale e metodologica che essa utilizza
(Giannone F., Lo Verso G., 1994)
15. L'idea di realtà
16. Alcuni principi espressi dal paradigma di complessità, sembrano fare prioritariamente riferimento all'emergere di una nuova 'visione del mondo' che il sapere contemporaneo va proponendo.
17. Si tratta di quei principi che affermano
l'importanza e l'inseparabile complementarietà del singolare e del particolare rispetto al principio di universalità;
la necessità di riconoscere l'importanza della Storia e dell'Evento per comprendere i fenomeni;
l'impossibilità di chiudere in termini definitori la problematica dell'organizzazione e dell'auto-organizzazione;
l'utilità di ricorrere ad un principio di causalità complessa
di introdurre un criterio di considerazione dei fenomeni secondo una dialogica ordine --> disordine --> interazioni --> organizzazione
integrando gli avvenimenti aleatori nella ricerca dell'intelligibilità
riconoscendo le categorie dell'essere e dell'esistenza e la nozione di autonomia
(Morin, 1984)
18. da una concezione della realtà come sostanzialmente unitaria e integrata, organizzata secondo un ordine univoco e atemporale, data una volta per tutte e per questo esprimibile in leggi anonime, impersonali e supreme
ad un'idea di realtà in continuo farsi, in un continuo movimento di riorganizzazione
(Giannone F., Lo Verso G., 1994).
19. L'idea di un mondo perfettamente regolato, armonico ed equilibrato,
non sottoposto al mutamento e alle regole del tempo
ed esistente 'per sé',
indipendentemente dal soggetto umano che lo percepisce,
é un'idea che affonda le radici nelle tradizioni cosmologiche greche e cristiane.
20. Le rivoluzioni di Copernico e di Galilei, trasformarono radicalmente alcune idee, alcune convinzioni
e costruirono un nuovo metodo di approccio alle conoscenze.
21. Non trasformarono però
le esigenze, i presupposti di pensiero, 'i temi' (Holt R.R., 1986),
che avevano guidato la tradizione filosofica occidentale
(Ceruti M., 1986)
22. Una rilettura di tale impostazione del pensiero,
mostra un’idea fondante, che rimane permanente nel tempo:
la convinzione dell'esistenza di qualche cosa di costante oltre la estrema variabilità delle apparenze fenomeniche,
di un'equazione suprema,
un'armonia assoluta che regola la realtà.
23. L’idea di una realtà vera,
non immediatamente visibile, conoscibile
e tuttavia esistente,
che può essere svelata.
24. E' questa realtà che l'uomo si é sempre sforzato di cogliere.
L’individuazione
del “principio primo”,
che tanta parte ha avuto nella storia della filosofia,
ne rappresenta un esempio significativo.
25. In continuità
con tale esigenza profonda di compiutezza, di certezza e di integrazione,
la scienza moderna ha introdotto
il concetto di Legge,
che ripropone l’ordine, la certezza, la regolarità
(Ceruti M., 1986)
26. Ciò che però l’epistemologia contemporanea e la stessa ricerca scientifica propongono oggi
é profondamente diverso.
Noi assistiamo :
alla “proliferazione del reale in oggetti, livelli, sfere di realtà differenti”
e siamo consapevoli che
“questa proliferazione é sempre tradotta nel linguaggio di un osservatore”
(Ceruti M., 1986)
27. ... La termodinamica, la teoria dell'evoluzione,
la cosmologia stessa,
convergono nel prospettare un 'universo incerto'
quale scenario della ricerca e delle acquisizioni scientifiche di questa fine secolo...
(Ceruti M., 1986)
28. All'universo dominato dagli stati di equilibrio, dall'uniformità delle situazioni e degli oggetti, dall'atemporalità delle leggi che lo regolano
si é sostituito un universo
caratterizzato dagli stati lontani dall'equilibrio
ed in perenne evoluzione,
dalla ricchezza e dalla varietà delle strutture e degli oggetti,
dalla possibilità stessa di mutamento delle leggi che lo regolano”
(Ceruti M., 1986)
29. Il disordine, il caso, l’agitazione, la dispersione, la disorganizzazione stessa
(2° principio della termodinamica), sembrano parte integrante dei processi di organizzazione del mondo
(Morin E., 1984)
30. La realtà
non appare più come qualcosa di dato una volta e per tutte
ma come sistema in evoluzione
caratterizzato da particolari vincoli e da particolari interazioni,
all'interno di una particolare organizzazione,
che con il concorso del disordine, del casuale, dell'evento, costantemente si riorganizza e si trasforma
(Morin E., 1984; Ceruti M., 1986; Giannone F., Lo Verso G., 1994).
31. E' questa la visione della realtà
che emerge dai progressi compiuti in diversi campi della ricerca scientifica:
nella fisica, nelle scienze biologiche, nelle scienze cognitive...
32. Ma in termini epistemologici,
nei termini cioè
dei 'principi', dei nuclei concettuali fondativi intorno a cui una conoscenza si organizza, su che cosa poggia
una tale nuova visione del mondo?
33. Morin focalizza i concetti di
ordine, disordine, sistema e organizzazione
e li definisce gli 'ingredienti della complessità‘
i punti cardine della trasformazione epistemologica dei nostri tempi. Gli 'ingredienti' della complessità
34. Egli propone un "arricchimento"
delle nozioni
di ordine e di disordine:
l'idea di ordine
non va più identificata con l'idea di legge,
anonima, impersonale, suprema,
reggente ogni cosa nell'universo
35. ma contiene
le idee di stabilità, costanza, regolarità, ripetizione
relativizzate
rispetto alle "singolari" condizioni di formazione e di esistenza di particolari sistemi,
che vincoli particolari delimitano
36. Allo stesso modo,
la nozione di disordine
viene allargata a comprendere,
oltre all'idea di alea
anche quella di agitazione, dispersione, perturbazione, incidente...
e se ne coglie la qualità creativa e produttiva.
37. Ma soprattutto,
ordine e disordine vengono connessi,
rispetto alla loro funzione,
all'interno delle idee di
"sistema" e di "organizzazione".
38. Il sistema é definito da Morin
come unitas multiplex,
macro-unità complessa,
regolata da particolari modalità di rapporto del tutto e delle parti,
per cui esso è contemporaneamente produttore di unità e di diversità.
39. Ciò che definisce il sistema
é la sua organizzazione.
E' questa che regolando e strutturando le interazioni all'interno del sistema,
forma, mantiene, protegge, regola, rigenera, il sistema stesso.
40. L’organizzazione produce ordine,
ma non può essere ridotta all'ordine:
contemporaneamente crea ordine,
ma crea anche disordine (entropia)
ed è in rapporto continuo con l'ambiente esterno al sistema,
che fornisce anch'esso organizzazione
e potenziale organizzativo,
e dunque potenziale disordine.
41. L'organizzazione è pertanto
qualcosa di attivo,
costantemente costretto a riorganizzarsi
e può essere concepita
come una auto-eco-organizzazione.
42. L'ordine e l'organizzazione,
sono connessi in maniera conturbante
alla degradazione e alla dispersione.
43. La storia del nostro universo,
almeno secondo le ipotesi ammesse attualmente,
ne è un esempio evidente:
nell'universo fisico agisce un principio di agitazione, di dispersione, di degradazione,
di disordine
ed eventualmente di disorganizzazione
(il 2°principio della termodinamica)
44. l' universo stesso
sembra essere stato prodotto da una deflagrazione,
cioè da un fenomeno di agitazione e di dispersione di calore,
ma proprio disperdendosi, disintegrandosi, producendo nuclei, atomi, astri e molecole, esso si organizza.
45. Il conflitto, il disordine, il gioco,
non sono delle scorie o delle anomie inevitabili,
non sono rifiuti da assorbire,
ma gli elementi costitutivi
di qualsiasi esistenza ed organizzazione.
46. La razionalità
é una parte dell'esperienza umana,
ma nello stesso modo
è presente
il non razionalizzabile, l'ignoto, il mistero.
47. Se l'ordine si sviluppa
di pari passo con le organizzazioni,
queste si costituiscono con la cooperazione del disordine:
l'intersezione di alcuni vincoli elementari e di energie non direzionali,
produce forme nuove di organizzazione, sviluppa ordine.
48. la realtà
è interpretabile come sistema,
e come insieme di sistemi
e si produce
nel gioco che si svolge tra le polarità ordine/disordine/organizzazione.
49. Tale gioco continuo
é produttore di essere e di esistenza, di stabilità e mutamento.
50. La realtà non é data una volta e per tutte, ma é un sistema in evoluzione,
caratterizzato da particolari vincoli e da particolari interazioni,
all'interno di una particolare organizzazione,
che con il concorso del disordine, del casuale, dell'evento,
costantemente si riorganizza e si trasforma.
51. Ma l’idea stessa di realtà,
nella nuova visione del mondo
viene modificata.
Perde il suo carattere di oggettività e si connette all’universo della conoscenza.
52. La realtà è una categoria fisica
che si impone naturalmente alla percezione dell'osservatore
e che deve essere 'riflessa' ?
Oppure é una categoria mentale,
un modello ideale di carattere empirico/prammatico,
che viene applicata ai fenomeni
per controllarli, dominarli, 'modellarli'?
53. la concezione complessa del sistema, della realtà,
non può lasciarsi rinchiudere
in questa alternativa.
Il sistema, la realtà,
sono concetti a doppia entrata:
fùsis <-> psiche
(Morin)
54. hanno una componente fisica,
nel senso che sono definiti da specifiche condizioni chimiche, energetiche, termodinamiche...
si sono formati ed esistono in rapporto a particolari interazioni, congiunture ecologiche...
Gli stessi sistemi di idee, per esistere,
per essere prodotti,
necessitano di un cervello che li pensi
ed implicano i fenomeni bio-chimico-fisici legati all'attività cerebrale
55. tuttavia
sono psichiche
le condizioni di “distinzione” o d'“isolamento” che li definiscono:
56. la relatività della determinazione
dei concetti di sistema, sotto-sistema, supersistema, eco-sistema
le modalità attraverso cui essi vengono individuati
attengono alle frontiere dell’osservazione umana
(Morin E., 1984)
57. Senza alcuna concessione a posizioni
di tipo idealistico, viene messo in luce,
nel concepimento della realtà
il ruolo dell’osservatore/concettore della realtà stessa
e viene in primo piano
il problema della conoscenza e delle sue modalità di organizzazione.
58. Problematiche dell’osservazione