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CHIAVE DI VOLTA. L’ARCO ETRUSCO. Prima di costruire l'arco veniva realizzata una struttura in legno che serviva a sostenerlo finché non era terminato, poi si costruivano con i blocchi di pietra le due paretiverticali e l'arco stesso.
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CHIAVE DI VOLTA L’ARCO ETRUSCO Prima di costruire l'arco veniva realizzata una struttura in legno che serviva a sostenerlo finché non era terminato, poi si costruivano con i blocchi di pietra le due paretiverticali e l'arco stesso. Per ultima, al centro dell'arco,veniva sistemata la pietra più importante: la chiave di volta. Essa impediva alle altre pietre di cadere perché con il suo peso spingeva l'arco verso il basso Bastava togliere la chiave di volta per far cadere l'arco
I Laterizi E' il materiale che ha da sempre rivaleggiato con la pietra sia per la realizzazione di opere modeste che grandiose. Pur non essendo il primo e il più naturale, è senz'altro un antichissimo mezzo di costruzione; certamente il primo materiale "sintetico", il primo che ha avuto bisogno di una "industria" (nel senso latino di "attività"). Proprio perchè "industriale" e "prefabbricato", questo materiale porterà con sè e con l'evoluzione della sua produzione i concetti moderni di "industrializzazione" e "standardizzazione" . Alcuni ritrovamenti in Israele e in Mesopotamia dicono che fin dal 6° millennio a.C. si fabbricavano blocchetti simili ai nostri mattoni, fatti di fango o di argilla cruda, qualche volta miscelati con paglia o altro vegetale essiccati al sole. Il grande salto di qualità si ebbe quando in Babilonia, circa nel 2.000 a.C., si produssero sistematicamente i mattoni cotti. Inizialmente la carenza di combustibile ha comunque limitato la produzione di questi ultimi, il cui uso venne riservato ai plinti, alle pavimentazioni, agli "impianti" igienici e idraulici, cioè alle parti più sollecitate e più esposte. In seguito furono usati ai piani terreni delle abitazioni comuni; mentre per le residenze dei re e dei grandi funzionari si usarono su larga scala: nei palazzi, negli ipogei, nelle porte trionfali, e nei grandi ziggurat (il cui interno è comunque di mattoni crudi).
Un ipogeo è un'antica costruzione sotterranea, per lo più adibita a sepolcro. Costituiscono un esempio di costruzioni sotterranee gli ipogei etruschi. Vi è presenza di essi in alcune zone di Umbria, Sardegna, Puglia, SiciliaeBasilicata.
La ziqqurat è la costruzione templare caratteristica delle religioni dell'area mesopotamica (sumera, babilonese e assira). A causa della mancanza di pietre in Mesopotamia le ziqqurat venivano costruite con mattoni crudi e cotti, con canne legate in fasci e con bitume usato come calce e come isolante; si pensa che le ziqqurat abbiano contribuito in modo sostanziale alla forma dei templi.
Le murature armate Si tratta dell'impiego del legno accoppiato alla muratura: le travi hanno il compito di costituire una specie di scheletro resistente che collegando le varie parti del muro, lo rendono più unito e capace di resistere a sforzi di flessione. Iniziative del genere furono prese da costruttori egiziani e, in periodo pre-ellenico, a Creta e Tirinto. Ne parlano Vitruvio e Filone, e se ne ha documentazione anche in alcuni tratti di bassorilievo della Colonna Traiana.
La produzione dei metalli In epoche antichissime ("era del rame": 4.000-3.000 a.C.; "era del bronzo": 3.000-2.000 a.C.) rame, bronzo, ferro e piombo furono utilizzati nelle costruzioni, per opere complementari o con funzioni statiche limitate. L'uso del rame e del bronzo, nel rivestimento delle coperture o di generici oggetti, risale alle epoche faraoniche. Il piombo (estratto da minerali come galma, cerusite, anglesite, ecc.), fin dai tempi più remoti fu usato per saldature, legature, condutture e restauri; in edilizia, fu usato, per la sua plasticità e lavorabilità, per "piombare" ramponi di ferro a cui era affidato il compito di "legare" i rivestimenti in marmo e i rocchi delle colonne. Rame e bronzo erano particolarmente noti in campo artistico e sin dalla preistoria, molto diffusi presso i Cretesi, i Micenei, gli Assirobabilonesi e gli Egiziani.
DALL'ETÀ ROMANA ALLA PALEOCRISTIANA Il prevalere dell'arte muraria: la tecnica edilizia, "sin dall'inizio", ha avuto a disposizione tutti i principali materiali adatti alla costruzione; fra essi, tuttavia, hanno dominato i materiali adatti alla realizzazione di murature; e ciò ha condizionato molto l'architettura, fin quasi ai nostri giorni. La mole delle strutture verticali e la limitata ampiezza delle apertura ha portato a tendenze in cui i pieni hanno prevalso sui vuoti; la limitata sporgenza degli aggetti ha favorito l'affermarsi della "facciata" chiusa e continua, priva di effetti chiaroscurali, se non a livello superficiale. Le murature più antiche, poi, non prestandosi ad eccessivi virtuosismi, hanno suggerito forme semplici, sia nella massa dell'edificio che nelle singole parti. Col passare del tempo, questi caratteri essenziali sono rimasti sostanzialmente immutati; tuttavia, non si è mai smesso di esplorare tutte le possibilità insite nei materiali impiegati, e l'arte muraria ha dimostrato un continuo processo evolutivo.
Uso del legno e della pietra: Il legno ebbe un grande ruolo nell'architettura romana "diffusa", ne è indiscutibile testimonianza la frequenza degli incendi, spesso disastrosi, che caratterizzarono la storia urbana di Roma . Si ricordano: le "insulae", con unità residenziali di 4-5 piani, realizzate con strutture di graticci di legno; l'edilizia a intelaiature lignee di Pompei, Ercolano e Stabia; per non parlare dell'uso, veramente innovativo, delle capriate , con le quali fu possibile coprire grandi luci. Ancora di più si può dire dell'uso della pietra: i Romani, infatti, utilizzarono con grande perizia questo materiale, contribuendo in modo determinante alla valorizzazione delle sue potenzialità tecniche e monumentali. E' sufficiente ricordare le caratteristiche costruttive del Teatro di Marcello e le valenze architettoniche complessive, frutto di una scrupolosa scelta di materiali adatti a ricevere le diverse sollecitazioni dell'edificio: in successione verso l'alto, il travertino, il tufo, i laterizi. La capriata ha il vantaggio di annullare le spinte orizzontali grazie alla sua struttura triangolare nella quale l'elemento orizzontale (catena) elide le spinte di quelli inclinati (puntoni): rientra quindi tipicamente tra le strutture non spingenti dell'architettura. Le capriate nel soffitto della basilica di Santa Croce a Firenze
Diffusione dei mattoni: La caratteristica più significativa del periodo resta, però, l'assunzione da parte dei Romani del laterizio come materiale da costruzione di base, riservando spesso alla pietra il ruolo di rivestimento esterno. Il mattone apparve a Roma, importato dalla Mesopotamia, durante gli ultimi anni della Repubblica. Ai tempi di Vitruvio (1° sec. a.C.) si usava ancora il mattone crudo; il cotto apparve in età augustea e il suo uso fu generalizzato e diffuso al tempo di Tiberio (14-37 d.C.); la sua diffusione, insieme a quella della malta di calce, riguardò tutto il bacino del Mediterraneo. L'uso generalizzato del mattone, e l'uso particolare delle murature a sacco, inizialmente con paramenti di mattoni, modificò il sistema costruttivo a blocchi ("opus incertum", "opus reticolatum", "opus mixtum") Nell'architettura romana il mattone spesso resta in vista, ma questa non è una regola: il rivestimento è affidato quasi sempre alla pietra: marmo, travertino o arenaria; elementi in massima parte spariti, crollati o asportati . Si ricorda, a questo proposito una celebre frase di Cesare Augusto: "...ho trovato Roma di mattoni, la lascio di marmo...“.
Introduzione del calcestruzzo: Altro fondamentale contributo dei Romani alle tecniche costruttive fu l'introduzione delle murature a sacco: materiale gettato in "cavi" (forse già in uso presso i Campani), e di un nuovo materiale: il calcestruzzo, malta di pozzolana mista a scaglie di pietra di varie dimensioni. Questo prodotto "conglomerato", detto "betonium", all'inizio, fu gettato tra paramenti di mattoni; impiegato nelle fondazioni e nelle muraglie o anche nei rinfianchi delle volte e delle cupole. Successivamente, fu adoperato anche da solo, senza paramenti di contenimento in laterizio, e al loro posto si utilizzarono cassaforme in legno. Inoltre, laterizi frantumati presero spesso il posto delle scaglie di pietra, alleggerendo molto il materiale. Con questi accorgimenti fu possibile realizzare grandi opere voltate (Pantheon, Basilica di Massenzio).
IL MEDIOEVO I laterizi e le malte: Nell'Alto Medioevo domina la tradizione "romana“ della costruzione in laterizio, anche se un certo numero di opere furono realizzate in pietra. Vi fu una precisa ricerca di migliori prestazioni del materiale, riducendo conseguentemente le sezioni strutturali e il peso proprio delle parti costruttive, e aumentando le dimensioni degli spazi coperti. Si pensi alle iniziative bizantine di alleggerire le cupole attraverso l'uso di mattoni forati (S. Sofia a Costantinopoli), o alla realizzazione di volte con vasi in terracotta (S. Vitale a Ravenna). Si affermò, inoltre, l'uso del mattone a faccia vista, che caratterizzò tutta l'architettura bizantina e romanica, fino al Rinascimento. Tra il IX e il XII sec. furono approfondite le ricerche sui leganti e sulle malte e quelle sui prodotti vetrosi. In molte costruzioni le murature in mattoni furono intervallate da alti strati (5-6 cm)di calcestruzzo di tipo romano (pozzolana e scaglie di laterizio), migliorando così l'isolamento dall'umidità del terreno. E', inoltre, di questo periodo la scoperta che alcuni calcari misti ad argilla (calcari marnosi) danno luogo, per cottura, a calci con capacità di indurimento in assenza quasi totale di aria (calci , oggi, dette"idrauliche" ). Queste calci "forti" furono comunque impiegate solo in casi particolari e in presenza di acqua, e sempre con inerti particolari come la pozzolana.
IL SETTECENTO E' un'importante fase evolutiva nella conoscenza e nell'impiego dei materiali da costruzione; in essa si definiscono le premesse per le radicali innovazioni che la tecnica edilizia ha poi sviluppato,nell'Ottocento e nel Novecento. Sperimentazione sulle calci e sui cementi: Il calcestruzzo, dopo l'affermazione che ebbe in epoca romana, fu quasi dimenticato per molti secoli; si può parlare di una sua riscoperta nel settecento, grazie alle sperimentazioni effettuate nel campo dei leganti in Inghilterra e, soprattutto, in Francia. Nel 1774 l'ingegnere J. Smeaton, realizzò il faro di Eddystone, adoperando un miscuglio di calce viva, argilla, sabbia e ferro, in un luogo dove il mare aveva reso vane le precedenti costruzioni. Quel successo indusse molti a tentare un miglioramento del procedimento: così, impasti simili, ma perfezionati, furono confezionati in Inghilterra per la realizzazione di ponti e canali alla fine del Settecento.
Prime opere in ferro: Il progressivo sviluppo dell'industria siderurgica mediante l'adozione di forni più efficaci, alimentati a carbone fossile, in sostituzione di quello vegetale, migliorò le qualità dei prodotti e ridusse notevolmente i costi di produzione. Si realizzarono prime opere notevoli, per dimensione, complessità e importanza, in cui le membrature metalliche assumono per la prima volta, sottraendolo alla muratura, il ruolo portante principale. Si crearono le prime grandi strutture a scheletro portante indipendente; ma è soprattutto nella costruzione dei ponti che il metallo sostituisce rapidamente le arcate in muratura. Si ricorda in particolare il ponte inglese sul Severn, progettato da Darby e realizzato da Wilkinson in ghisa (1776-1779).
I trasporti via terra e via acqua In ogni epoca il costo del trasporto, in termini di fatica umana e di tempo, era tra i più alti di tutte le operazioni del cantiere. Nei casi in cui la zona di estrazione si trovava in aree montane, la prima fase del trasporto era rappresentata dalla discesa dalla cava verso il piano, tramite percorsi che generalmente si effettuavano su forti pendenze, e lungo i quali i blocchi dovevano essere frenati. Un sistema frequente era l’approntamento di piste costituite da piani inclinati, lungo le quali venivano fatti scendere i blocchi, legati a slitte di legno (‘lizze’) che scorrevano su travicelli disposti trasversalmente, frenate con funi agganciate ai bordi del percorso; il graduale allentamento delle funi consentiva un lento avanzamento dei carichi. Nelle cave greche del marmo pentelico si conservano straordinarie testimonianze di tale sistema, costituito da una via in forte pendenza, ai lati della quale si trovano ancora i fori usati per i pali dove venivano avvolte e fatte scorrere le funi destinate a frenare le slitte. Nelle cave di marmo di Carrara la ‘lizzatura’ è stata in uso fino a epoche recenti. In pianura il trasporto dei blocchi (o dei semilavorati) necessitava invece di sistemi di traino; nell’antico Egitto, essi erano effettuati tramite slitte trascinate dalla forza di centinaia di uomini, mentre nell’antichità classica e nelle epoche successive veniva generalmente impiegata energia animale.
Un mulo non può trasportare più di kg. 150 di materiale (vale a dire non più di due blocchi di cm 20x25x50 circa), mentre un paio di buoi è in grado di trainare un carro con un carico di circa 800 chilogrammi; il trasporto di pesi maggiori era reso possibile moltiplicando gli animali aggiogati. Un tale sistema era certamente in uso presso gli antichi greci: lo studio della nota epigrafe che registra i conti per la costruzione del portico del telesterion di Eleusi(I.G.II, 1673 datata al 333/332 a.C.), ad esempio, documenta l’impiego di 27-40 coppie di buoi per ogni viaggio. Dalle testimonianze iconografiche offerte da modellini in terracotta, è stato possibile ricostruire l’aspetto dei carri per trasporti pesanti usati sia dai greci che dai romani: erano formati da quattro ruote piene e dotati di un piano orizzontale in legno; i carichi potevano esservi posti superiormente, oppure venire sospesi al di sotto. Il traino di grandi blocchi, effettuato unendo molte coppie di buoi, è attestato ancora all’inizio di questo secolo, e solo da pochi decenni è stato completamente sostituito dall’introduzione di speciali automezzi. Il trasporto meno costoso era rappresentato, in ogni epoca, dalle vie d’acqua; anzi, si può affermare che non di rado la fortuna commerciale di un materiale da costruzione era legata alla vicinanza di vie marittime o fluviali. L’ampia diffusione dei graniti egiziani in età romana è forse in parte legata alla presenza del Nilo, così come quella dei marmi di Luni alla relativa vicinanza delle montagne marmifere alla costa.
Per i trasporti pesanti erano necessarie imbarcazioni speciali denominate naùslithagogoì dai greci e naveslapidariae dai romani. L’archeologia subacquea ha permesso di individuare numerosi relitti affondati, con carichi di marmo del peso di 100-200 tonnellate. Il ritrovamento, nei grandi porti fluviali di Ostia, di molte centinaia di blocchi di marmi e pietre pregiate provenienti dalla Sardegna, dalla Grecia, dall’Africa, dall’Asia Minore, ecc., attesta l’entità del traffico marittimo che convergeva su Roma. Dai magazzini posti presso i bacini portuali, attraverso canali artificiali, i blocchi di cava o i semilavorati risalivano il Tevere, probabilmente con apposite imbarcazioni fluviali. Anche per l’età postclassica è attestato un notevole movimento di pietre da costruzione tramite le vie d’acqua: nel periodo delle Crociate circolavano carichi di marmi provenenti dalla depredazione di monumenti classici, mentre, nei secoli seguenti, le fonti scritte (contabilità di cantieri, atti notarili, ecc.) informano dell’esistenza di apposite imbarcazioni per il rifornimento dalle cave, come nel caso degli approvvigionamenti per l’Opera del Duomo di Firenze (XIV secolo) o di quello di Milano (XV secolo). Lo sfruttamento dei calcari prealpini dell’area lombarda e veneta era dovuto, in larga misura, alla presenza di vie fluviali e lacustri che permettevano di rifornire i grandi cantieri delle città padane. Assai significativa è inoltre, a questo proposito, la varietà lessicale utilizzata nei documenti notarili di Carrara (secc. XV-XVI) per indicare diversi tipi di barche con i relativi carichi: “leuti”, “saette”, “naviglioni” per il traffico costiero, oppure scafi a fondo piatto per risalire l’Arno.