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IL MONASTERO DI SANTA CHIARA

IL MONASTERO DI SANTA CHIARA.

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IL MONASTERO DI SANTA CHIARA

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Presentation Transcript


  1. IL MONASTERO DI SANTA CHIARA Il monastero di Santa Chiara trasferitosi prima a Racconigi e poi a Vicoforte ( Mondovì ) ebbe origine nella nostra città, ed in essa occupò due successive sedi: la prima nella parte esterna non fortificata; Il primo monastero era localizzato fuori delle mura fortificate, nei pressi della chiesa di San Remigio. L’ospedale di San Remigio, eretto dai Provana occupava la casa e il giardino Brusa presso la cappella di San Remigio. Possiamo dunque fissare il sito del primo monastero di Santa Chiara nella zona fra via Monte Nero, via San Remigio, giardino Brusa. la seconda nel concentrico, nella via cui diede il nome: Santa Chiara, ora via Frichieri.

  2. La zona in cui era situato il primo monastero di S. Chiara, nei pressi della chiesa di S. Remigio (particolare dal Theatrum Sabaudiae, 1682).

  3. Theatrum Sabaudiae : tavola su cui è riprodotto, per volere del principe Emanuele Filiberto di Savoia, il territorio di Carignano. Il disegno fu realizzato nel 1666 e pubblicato nel 1682.

  4. Chiesa di S. Chiara: è la chiesa del convento costruita nel 1676 su progetto dell’architetto Lanfranchi.Di lato, l’ingresso del convento lungo l’attuale via Frichieri.

  5. IL PRIMO MONASTERO Un’opinione è che le monache di Santa Chiara siano venute nel 1253 ad occupare il monastero fondato da loro e poi abbandonato. Ma un vecchio documento narra che è stato canonizzato dalle monache di Santa Chiara nel 1255. Un’altra opinione sostiene che frate Benedetto avrebbe fondato il convento l’anno 1340 con l’ aiuto del Signore del Piemonte. E poiché la vita nel monastero fuori le mura non era tranquilla, Ugonotto Provana avrebbe loro donato, nel 1359, il suo palazzo entro le mura. Nel quale però esse non entrarono se non più tardi.

  6. Si può fissare fra il 1250 e il 1300 la data di fondazione del primo monastero di Santa Chiara in Carignano e crederlo uno dei più antichi. Esiste poi un testamento del 1342 in forza del quale Bonifacio Provana ha stabilito la sua sepoltura nella chiesa di Santa Chiara di Carignano nella cappella di San Francesco: esistevano già il monastero e la chiesa con cappelle.

  7. Il primo monastero ebbe una vita molto breve, perché nel 1359-1360 venne distrutto in una guerra. Nel 1359 Giacomo, signore di Carignano, si rivoltò contro suo cugino Amedeo VI. Il conte Amedeo scese con un esercito, occupò tutte le città del principe ribelle, permettendo ai soldati di saccheggiarle. Giacomo si rinchiuse in Carignano, invitando le monache di Santa Chiara fuori le mura ad abbandonare il Monastero e a rifugiarsi in un palazzotto dei Provana, nobile famiglia carignanese. Il Monastero fu dato alle fiamme nel 1360 dai soldati di Amedeo. Amedeo VI e Giacomo fecero poi pace, dandosi il bacio del perdono sulla pubblica piazza. L’insediamento sul sito poi occupato dal lanificio avvenne intorno al 1370.

  8. Per le monache i guai non erano ancora finiti. Esse avevano ottenuto dal vescovo il permesso di adattare a monastero di clausura il luogo in cui si erano rifugiate, ma l’Abate di S.Michele negò il permesso. La sentenza infine fu favorevole alle monache. Nel 1372 fu concesso alle monache il permesso di far celebrare nella loro Chiesa una messa solenne. Offrendo il nuovo asilo alle monache di Santa Chiara, la famiglia Provana continuava la sua attività di protezione e beneficenza nei confronti del monastero. Lo dimostra il fatto che su undici testamenti a favore del monastero e delle monache, dieci sono dei Provana.

  9. LA CHIESA Il 1° marzo 1438 il nuovo vescovo di Torino venne in Carignano per consacrare una vera nuova chiesa. Erano presenti: il castellano di Carignano, i membri di tutte le illustre famiglie carignanesi, Provana e Romagnano. Ma la nuova chiesa non poteva dirsi opera d’arte: vastissima, a cinque navate, con venticinque altari; le molte navate e i numerosi altari sembra che avessero il solo scopo di offrire alle famiglie nobili la possibilità di avere il proprio altare con relativo sepolcreto, all’interno della chiesa.

  10. TRA IL 1600 E L’INIZIO DELL’800 Il monastero era insufficiente e le monache nel 1620 tentarono di ingrandirlo, chiudendo via Santa Chiara; ma l’idea non fu accolta dai consiglieri comunali. Finalmente nel 1685 le monache vennero in possesso del terreno incolto tra la balera e l’attuale via Umberto, ingrandendo il monastero verso ponente con una nuova costruzione. Così, le monache, festanti, andarono in processione a prendere possesso del nuovo edificio; ma la loro felicità fu presto turbata da una guerra tra il Piemonte e la Francia nel 1690. Molte città nei dintorni di Carignano furono occupate e alcune incendiate dai nemici; infine l’occupazione francese riguardò anche la nostra città.

  11. Parte del vecchio monastero ristrutturato lungo il canale dei Molini, un tempo “fosso Presidiale” del borgo fortificato

  12. Dopo un periodo di lunga calma la guerra ricominciò e vi furono momenti di grande terrore per le monache. Finalmente la guerra finì e nel 1763 si poté consacrare la nuova chiesa, progettata dall’architetto Lanfranchi. La rivoluzione francese portò grandi cambiamenti; vennero chiusi molti monasteri tra cui quello di Carignano: le clarisse dovettero andarsene perché il monastero era diventato di proprietà dello Stato. Nel monastero abbandonato si stabilì un collegio che dopo la caduta dell’impero napoleonico fu l’ostacolo più resistente al ritorno delle monache.

  13. IL RITORNO DELLE MONACHE Le sorelle Gianotti, clarisse cacciate da Carignano, ebbero modo di assistere nella tarda sera del 19 maggio 1815, al solenne ingresso di papa Pio 7° in Torino ricevuto da Vittorio Emanuele 1°. Le clarisse speravano in un prossimo ritorno al monastero. E invece molte difficoltà sorsero a ritardare quel momento. Il monastero era stato diviso in tanti alloggi, che si tardava a far sgombrare. Ma l’ostacolo più tenace era rappresentato dall’abate Perret, il quale vi aveva impiantato un collegio. Si trovò finalmente a Pinerolo un locale adatto per il Perret. Fu così che dopo quattordici anni di esilio, il 17 settembre 1816, le monache poterono tornare al loro nido e prendervi dimora. Tornarono alla spicciolata in abiti borghesi. I sacerdoti Oblati le prepararono, con gli esercizi spirituali, alla seconda vestizione monacale e alla nuova clausura.

  14. NUOVO ORDINE DI SOPPRESSIONE: LA LEGGE RATTAZZI Nel 1855 fu approvata una legge dal ministro Rattazzi che che impose lo scioglimento degli ordini religiosi e il passaggio dei loro beni allo Stato. Scoppiarono vivaci proteste, e i superiori ordinarono alle clarisse di non uscire dal monastero, se non cacciate con la forza. Si intimò inoltre alle monache di clausura di non lasciare fare l’inventario degli oggetti. Infatti non si trovò nulla che meritasse il sequestro (le monache avevano nascosto gli oggetti più preziosi della sacrestia). Il 23 marzo 1880 un consigliere provinciale si presentò in parlatorio e intimò alle monache di aggregarsi alle suore salesiane di Arona e di sgombrare il monastero entro due mesi. Monsignor Gastaldi (il nuovo arcivescovo di Torino) ottenne qualche mese di proroga all’espulsione, durante i quali cercò un nuovo rifugio per le monache.

  15. LA PARTENZA DELLE MONACHE L’arcivescovo di Torino trovò finalmente a Racconigi un locale adatto ad accogliere le clarisse di Carignano. Era un vecchio monastero delle suore Domenicane cacciate anch’esse dalle leggi del 1802. Il 21 novembre 1880 venne chiusa per sempre al culto la chiesa di Santa Chiara; prima però l’energica badessa volle fare una pubblica protesta “contro la violenza usata alle clarisse, contro la sacrilega violazione della santa clausura e di tutti i diritti che la comunità aveva sopra l’intero monastero esistente nella città da oltre seicento anni”. Il 3 dicembre 1880 partirono in vettura chiusa le prime otto monache, accompagnate dalla badessa e dal parroco, che si era proposto di condurle tutte a gruppi alla nuova dimora. Ma non ne ebbe il coraggio quando le sentì piangere. Quando l’ultima monaca uscì dal monastero, abbandonò le chiavi nella toppa, come se consegnandole temesse di mostrarsi complice del sopruso

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