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I PRIMATI

I PRIMATI. L’ordine dei Primati, definito per la prima volta da Linneo nel 1758 , comprendeva l’Uomo, le Scimmie, i Lemuri, i Tardigradi e i Pipistrelli.

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I PRIMATI

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Presentation Transcript


  1. I PRIMATI L’ordine dei Primati, definito per la prima volta daLinneo nel 1758, comprendeva l’Uomo, le Scimmie, i Lemuri, i Tardigradi e i Pipistrelli. In seguito, gli ultimi due gruppi vennero classificati a parte e attualmente questo ordine comprende le Proscimmie, le Scimmie Platirrine o Scimmie del Nuovo Mondo e le Scimmie Catarrine (di queste ultime fanno parte le Antropomorfe e l’Uomo).

  2. I Primati

  3. Charles Darwin (1809-1882) Thomas Henry Huxley (1825 - 1895) Pan paniscus (scimpanzé pigmeo o scimpanzé nano) Pan troglodytes (scimpanzè comune)

  4. NON C’E’ ANCORA CONSENSO SUI TEMPI DI DIVERGENZA. MENTRE IL PIU’ ANTICO FOSSILE DI PRIMATE DATA A 54 MYA RECENTI MODELLI STATISTICI DI PRESERVAZIONE DELLE SPECIE (Tavaré et al., 2002) SUGGERISCONO CHE L’ULTIMO ANTENATO COMUNE DI PRIMATI SIA VISSUTO 82 MYA, UNA DATA CHE SI ACCORDA MEGLIO CON IL TEMPO INIZIALE DI DIVERGENZA INFERITO DAI DATI MOLECOLARI

  5. EVIDENZE DERIVATE DAI FOSSILI Le specie più strettamente legate agli uomini e agli scimpanzé sono note come OMINIDI. Le caratteristiche prese in esame nei fossili sono: Capacità cranica: dimensioni e posizione del cranio sulla colonna vertebrale  Denti: strato di smalto e dimensione dei canini e degli incisivi più piccoli negli ominidi  Arti inferiori più lunghi, piedi e pelvi adattate alla deambulazione eretta  Sviluppo lento e prolungamento dell’età infantile  Mani adattate alla raccolta, con dita più lunghe e opponibilità del pollice  L’andatura bipede è testimoniata anche da tracce rinvenute su materiale lavico

  6. Differenze fenotipiche tra uomo e altri primati Carroll (2003) Nature422, 849-857

  7. NON TUTTI I CARATTERI MORFOLOGICI SONO UGUALI CLADISTICA= Scienza che ricostruisce le relazioni evolutive identificando antenati comuni attraverso la condivisione tra taxa di caratteri derivati piuttosto che di caratteri ancestrali. Distingue tra caratteri condivisi insorti una volta e caratteri insorti indipendentemente forse a causa di circostanze ambientali comuni. Se ricaviamo una vera filogenia da evidenze indipendenti possiamo testare l’accuratezza di filogenie alternative in rapporto a quella conosciuta.

  8. EVIDENZE CROMOSOMICHE In ciascuna specie, sia animale sia vegetale, i cromosomi sono costanti per numero e morfologia, cosicché il loro assetto complessivo o cariogramma ha grande interesse tassonomico ed evolutivo. Sebbene non sia possibile studiare i cariotipi degli antenati delle specie attualmente viventi, per mezzo dello studio dei cromosomi è possibile ricostruire le tappe attraverso le quali i cariotipi sono passati durante la loro evoluzione. La similitudine fra complementi cromosomici di specie diverse, ma affini, viene assunta come indicazione di comune origine, mentre le differenze permettono di ricostruire in qualche modo le tappe attraverso le quali si sono evoluti.

  9. LO STUDIO DEI CARIOTIPI RISULTA UTILE NEI CONFRONTI FILOGENETICI PER UNA SERIE DI RAGIONI: • Cambiano relativamente lentamente, in quanto si accoppiano alla meiosi che funziona da filtro per il controllo delle omologie, limitando grossi riarrangiamenti • forniscono la possibilità di un confronto globale dei genomi e non solo di porzioni specifiche che potrebbero essere sotto l’effetto di particolari forze selettive • Metodi di studio tecnicamente semplici che richiedono reagenti universali applicabili a d una vasta gamma di specie. • A causa della loro stabilità i confronti cariotipici tra i primati più evoluti possono fornire una informazione robusta circa l’ordine delle branche dell’albero, ma a causa dell’assenza di un “orologio citogenetico” non danno informazioni circa i tempi entro la filogenia.

  10. ALTO GRADO DI SIMILARITA’ TRA LE QUATTRO SPECIE

  11. Cariotipi dell’Uomo e delle Antropomorfe; è evidente la notevole affinità morfologica delle varie specie. La differenza più appariscente fra il cariotipo dell’Uomo e quello delle Antropomorfe sta nel numero dei cromosomi. L’Uomo ha 23 paia di cromosomi, le Antropomorfe 24.

  12. L’ipotesi più verosimile per spiegare queste differenze nel numero dei cromosomi è quella di una fusione “end to end” fra due piccoli cromosomi che potrebbe essere avvenuta in un ‘preominide ancestrale’ producendo un’importante distinzione fra il cariotipo delle Antropomorfe e quello dell’Uomo. La similitudine fra il tipo di bandeggiamento di due cromosomi dello scimpanzé con il cromosoma 2 dell’Uomo ha avvalorato l’ipotesi (formulata nel 1962 su sole basi morfologiche) che questo sia il grande cromosoma metacentrico originatosi nell’Uomo. I cromosomi allineati permettono di rivelare anche altri tipi di riarrangiamenti, molti dei quali sono inversioni di segmenti cromosomici, variazioni dell’eterocromatina adiacente ai centromeri. Le traslocazioni sembrano essere limitate a eventi reciproci tra l’equivalente cromosoma 5 umano e il 17 del gorilla rispetto alle altre specie. E’ possibile quindi ricostruire cariotipi ancestrali e dedurre una filogenia.

  13. Sebbene questo ordine si accordi con i dati molecolari, occorre considerare che lo stato di outgroup dell’orango era stato assunto a priori dagli autori.

  14. SEQUENZIAMENTO DEL GENOMA E CITOGENETICA Il sequenziamento del DNA e' passato attraverso l'assemblaggio di frammenti (cloni BAC/PAC) che si sono rivelati estremamente utili se usati come sonde per la citogenetica molecolare, ovverossia per lo studio dell'evoluzione dei cromosomi. Questo nuovo approccio allo studio del genoma ha portato alla luce fenomeni imprevedibili, alcuni dei quali danno una spiegazione esauriente a problematiche e fenomeni irrisolti. Esempio: una regione del cromosoma 15 (15q25), altamente plastica A questa plasticita' e' imputata la predisposizione ad una sindrome neurologica caratterizzata da fobie e attacchi di panico. Plasticita' vuol dire variabilita', nella popolazione, di regioni talmente grandi che e' possibile apprezzarne le differenze a livello citogenetico. Alcuni autori hanno inoltre riportato che in questa stessa regione si formano dei neocentromeri come conseguenza di riarrangiamenti. Plasticita' e formazione dei neocentromeri sono eventi di tipo evolutivo. I due cromosomi umani 14 e 15 erano anticamente un unico cromosoma (14/15).

  15. Con strumenti di citogenetica molecolare si è verificato che questa e' effettivamente la situazione ancestrale, in quanto presente in tutte le scimmie del vecchio mondo, del nuovo mondo e in alcuni mammiferi (il gatto per esempio). Solo le scimmie antropomorfe a noi piu' vicine (scimpanze', gorilla e orango) hanno, come l’uomo, i due cromosomi 14 e 15 separati. Nell'antenato comune delle scimmie antropomorfe si e' verificata una rottura (fissione) del 15/14 che ha portato alla formazione dei nostri attuali cromosomi 14 e 15. La fissione e' stata accompagnata dall'insorgere di due nuovi centromeri (neocentromeri) e dall’inattivazione del centromero ancestrale. Schema della fissione che ha generato i cromosomi umani (HSA, Homo sapiens). PHA7 e' il cromosoma No.7 formato dal 14+15 così come appare nel babbuino (Papio hamadryas, PHA). C: centromero; NC: neocentromero; AC: centromero ancestrale.

  16. I centromeri dei primati sono entita' complesse formate da varie milioni di paia di basi di DNA ripetuto e da duplicazioni tipiche delle regioni pericentromeriche (duplicazioni segmentali o dupliconi sono duplicazioni di regioni del genoma di grandezza che puo' andare da poche kb a centinaia di kb). La regione del centromero ancestrale e' esattamente in 15q25, e mostra ancora la presenza di dupliconi instabili che sono alla base della variabilita' cui viene imputata la suscettibilita' alla sindrome neurologica descritta. Inoltre, e' come se la memoria di essere stata una regione centromerica sia ancora presente, giustificando cosi' l'insorgere occasionale di neocentromeri. Questa regione sembra essere un vulcano spento che, dopo circa 25 milioni di anni dalla sua inattivazione, ha ancora un’ attivita' residua. Ulteriori indagini di questo tipo( 'archeologia genomica' ) sta evidenziando che nel genoma umano vi sono vari altri esempi di centromeri inattivati, con potenziale plasticita' che potrebbe estrinsecarsi anche nei tumori, ove i riarrangimenti del cariotipo sono molto comuni.

  17. I dupliconi sono stati trovati in varie regioni cromosomiche e rappresentano circa il 5% del nostro genoma. La presenza di duplicazioni relativamente vicine puo' innescare, attraverso vari meccanismi, dei riarrangiamenti cromosomici che finora sembravano essere 'de novo‘. In realtà risultano essere conseguenza di piccole inversioni, presenti nei genitori.. Queste piccole inversioni, sono presenti in molti individui della popolazione generale (una di queste e' presente nel 27% della popolazione), e quindi sembra piu' appropriato il temine di 'polimorfismo' che solitamente in genetica viene usato per forme alleliche comuni. Per gli individui questi fenomeni sono causa di malattie. Per la specie sono invece una fonte di variabilita' su cui si basa l'evoluzione. L'idea che queste duplicazioni abbiano giocato un ruolo tutt'altro che trascurabile nella evoluzione dei primati, delle scimmie antropomorfe e dell'uomo in particolare, va facendosi sempre piu' strada, dopo che si sono trovati esempi che puntano decisamente in questa direzione.

  18. EVIDENZE MOLECOLARI ANTROPOLOGIA MOLECOLARE Sarich & Wilson, 1967 “Immunological time-scale for Hominid evolution” Primo utilizzo di tecniche molecolari per stimare da data di divergenza uomo/grandi scimmie Studio basato sulle differenze tra le sequenze aminoacidiche di alcune proteine ematiche nell'uomo e nello scimpanzè. Tempo di divergenza tra le due specie stimato in base ai dati genetici. Nello stesso tempo fossili di Ramapithecus, datati circa 15 MYA, venivano classificati come Ominidi e si pensava potessero essere alla base della linea evolutiva che condurrà alle Australopitecine

  19. In particolare Sarich e Wilson (1967) hanno utilizzato una sola frazione proteica del siero: le albumine. Essi affermano che tale molecola è relativamente stabile in tutte le specie e che le variazioni nella sequenza degli amminoacidi, esistente in specie diverse, è un indice delle distanze filogenetiche esistenti fra le specie stesse. Essi hanno misurato l’omogeneità e calcolato l’indice di eterogeneità di questa frazione di siero in parecchie specie di Primati usando la tecnica della fissazione microcomplementare (MCF) su siero antialbumina, ottenuto immunizzando conigli con albumine purificate di questi Primati. Sviluppando questa ricerca Sarich e Wilson hanno potuto inoltre dimostrare che la differenziazione degli amminoacidi nelle molecole di albumina varia, nei diversi organismi, in misura costante nel tempo.

  20. Le basi di questo lavoro erano non solo la valutazione quantitativa delle differenze strutturali tra proteine ortologhe (siero albumine) in OWA, GA and Humans usando metodi immunologici, ma anche la calibrazione di queste misure usando una data di 30MYA per la divergenza tra OWM and Hominoids.

  21. ID= Immunological distance ID =1 reazione AA all’interno della stessa specie. Con antisiero anti-albumina umana: 1.9 per il gorilla,1.4 per scimpanzè e bonobo e una media di 2.46 per le sei specie OWM Assumendo che il log di ID è proporzionale al tempo, un tempo di 5 MYAè stato ricavato per la separazione tra gorilla, scimpanzè e uomo. TRICOTOMIA NON RISOLTA

  22. Tempi di divergenza dei diversi gruppi di Primati stabiliti in base alle differenze aminoacidiche dell’albumina

  23. Albero evolutivo degli Anthropoidea costruito in base alle distanze immunologiche misurate da Sarich e Wilson (1967)

  24. La risoluzione di questa tricotomia fu la base dei lavori successivi. • Inoltre esistevano altre limitazioni: • era stato saggiato un solo locus • erano state utilizzate distanze immunologiche come misura indiretta della distanza evolutiva. 1. Esperimenti di ibridazione DNA-DNA Gli heteroduplex formati tra molecole di specie differenti sono meno stabili degli homoduplex formati tra molecole della stessa specie e questa riduzione di stabilità fornisce una misura della divergenza tra specie. Metodo per confronto tra specie con divergenza superiore a 10 MYA, ma non per specie più vicine per le quali le piccole differenze possono venire mascherate da errori sperimentali casuali.

  25. Sibley e Ahlquist (1984): divergenza evolutiva tra OWM ed Hominoidei : tra 33-32 e 27-26 MYA Ramo Ilobatidi tra 22-21 e18-17 MYA Orango-Antropomorfe africane tra 16 e 13 MYA Gorilla tra 10 e 8 MYA MRA tra scimpanzè e uomo tra 7,7 e 5.8 MYA • Costruendo la retta di regressione tempo/n° differenze per una data proteina, si può inferire il tempo di separazione tra due specie • Il tasso di mutazione deve essere costante • Le mutazioni devono essere selettivamente neutrali Teoria dell'orologio molecolare

  26. Tali dati portavano quindi ad escludere che abbia potuto esister una linea evolutiva ominide già nel corso del Miocene. Nuovi ritrovamenti fossili e nuovi dati molecolari hanno stabilito che il Ramapithecus non era affatto un Ominide, ma la forma femminile del Sivapithecus, una specie con forte dimorfismo sessuale da porre nella diretta ascendenza dell’orango. A questo punto dati fossili e molecolari coincidevano.

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