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La struttura della Urbs

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La struttura della Urbs

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Presentation Transcript


    2. L’età monarchica L’espansione romana Conseguenze dell’espansione romana Tiberio Gracco Caio Gracco Gli Homines Novi Il governo di Caio Giulio Cesare La storia di Roma

    3. Le vicende di Roma durante il periodo monarchico sono per lo più leggendarie. Le prime informazioni ci sono fornite dagli annales, libri molto antichi sui quali erano riportate periodicamente tutte le notizie più importanti dell’Urbs.

    4. Nell’arco di 200 anni i re a succedersi furono sette,di cui gli ultimi tre di origine etrusca. Romolo Numa Pompilio Tullio Ostilio Anco Marzio Tarquinio Prisco Servio Tullio Tarquinio il Superbo

    5. La carica suprema dello Stato era quella del re. Rivestiva cariche religiose e sacerdotali. Era anche capo dell’esercito e il suo mandato aveva durata vitalizia. Il re era eletto dal senato,assemblea composta dai membri più anziani dell’aristocrazia. Il senato consigliava il sovrano nelle funzioni di governo. C’erano poi i comizi curiati, assemblea composta dai membri delle famiglie aristocratiche, che affiancava re e senato nelle questioni più importanti. Eleggeva anche i senatori.

    6. La tradizione attribuisce il passaggio dalla monarchia alla repubblica a una insurrezione contro il re etrusco Tarquinio il Superbo a causa della sua politica violenta. Secondo la leggenda il popolo romano si sarebbe ribellato nel 509 a.C. Il re etrusco Porsenna, lucumone della città di Chiusi,sarebbe intervenuto in sostegno del sovrano deposto dando origine a una difficile guerra con Roma.

    7. A questa versione leggendaria sono state fatte molte obiezioni. E’ difficile immaginare un brusco passaggio di forma di stato. Vi era infatti ancora la sopravvivenza di elementi monarchici nelle nuove istituzioni. La potenza etrusca non cessa nel 509 ma si protrae ancora La guerra contro Porsenna avrebbe originato la sottomissione di Roma ma il mantenimento delle proprie istituzioni.

    8. Le nuove istituzioni per evitare un ritorno alla monarchia godevano di quattro caratteri. Elettive:i magistrati erano incaricati tramite elezioni. Temporanee:ogni magistrato restava in carica per un periodo di tempo determinato. Collegiali:ogni magistratura era affidata contemporaneamente e più di una persona per garantire un controllo reciproco. Non retribuite :i magistrati non erano pagati

    9. La magistratura principale era il consolato. Vi erano due consoli che avevano preso il posto dell’unico re ed esercitavano il potere a vicenda. Il senato era composto da trecento membri patrizi e si occupava di politica interna ed estera. Ai comizi curiati si sostituiscono i comizi centuriati ,formati dalla divisione della popolazione sulla base del censo. Essi dovevano decidere in materi di guerra e di pace,approvavano leggi insieme ai consoli e decidevano anche in materia di giustizia capitale

    10. Pretori:eletti dai comizi centuriati si occupavano di cause penali. Censori:eletti ogni cinque anni dai comizi centuriati effettuavano il censimento della popolazione. Questori:si occupavano dei beni dello stato(erarium). Tribuni:in seguito alle lotte tra patrizi e plebei,esercitavano il diritto di veto sulle decisioni dehli altri organi,ritenute in contrasto con i loro interessi.

    20. Le conseguenze dell’espansione romana SOCIALI Nasce una grande classe di nullatenenti Aumentano i latifondi Arriva un gran numero di schiavi Nasce una nuova classe i cavalieri POLITICHE-ECONOMICHE Corruzione delle votazioni popolari Si generano 2 forze politiche(Optimates,Populares) Nasce un’economia di tipo schiavile Utilizzo di nuove tecniche di coltivazione

    21. Tiberio Sempronio Gracco In seguito ai cambiamenti della società romana,Tiberio Sempronio Gracco,audace tribuno della plebe,eletto nel 133 a.C propone una riforma agraria per frenare la crescita dell’aristocrazia senatoria. La sua riforma prevedeva una distribuzione più equa dell’ager publicus ai cittadini più poveri. La sua politica però ostacolava la crescita dei latifondi(spesso in mano ai senatori)e Tiberio trovò la morte ad opera di sicari.

    22. Caio Gracco Nel 123 a.C. Caio Gracco,fratello di Tiberio Gracco,fu eletto tribuno della plebe. Seguì la strada tracciata dal fratello ma in modo più razionale e radicale. Con la sua riforma fece approvare quattro provvedimenti principali: Attribuì più potere ai cavalieri Distribuì terra e grano al popolo affamato Raddoppiò il numero dei senatori Allargò la cittadinanza agli italici

    23. Gli Homines Novi Dopo la morte di Caio Gracco la classe senatoria assunse di nuovo il potere a Roma e da quel momento si andò ad accentuare lo scontro tra populares (cioè coloro che sostenevano la necessità di un governo più democratico) e gli optimates (cioè coloro che sostenevano che solo le famiglie romane potevano curare gli affari di Roma). Ed è proprio in questo clima che emergono alcune delle figure più importanti della storia romana Caio Mario Silla Pompeo e Crasso Cesare

    24. Caio Mario Era un comandante militare,divenne tribuno della plebe nel 119 a.C. Veniva da Arpino ed era di origine plebea. Nel 105 a.C. combatté contro Giugurta,re della Numidia e lo sconfisse grazie ad un nuovo esercito. Aveva infatti riorganizzato la vita militare rendendo volontario l’arruolamento e attribuendo le spese dell’armatura allo Stato. Al fianco di Silla sconfisse Teutoni e Cimbri. La gloria di Mario si esaurirà nell’86 a.C.,dopo la sconfitta da parte di Silla

    25. Silla Era un uomo aristocratico,appoggiava infatti gli optimates.Nel 91 a.C. intraprese una guerra contro i socii ma venne sconfitto ed allargò la cittadinanza agli italici. Nell’86 a.C. si schierò,insieme a Crasso e Pompeo,contro i populares guidati da Mario il giovane,figlio di Caio Mario.Sconfigge Mario e si fa eleggere dittatore a vita. Nel 79 a.C. si ritirò a vita privata e morì l’anno succcessivo

    26. Gneo Pompeo e Marco Licinio Crasso Pompeo,già distintosi come comandante al fianco di Silla,fu inviato nel 76 a.C. in Spagna per sedare una rivolta. Nel 73 a.C. però,in Italia scoppiò una grave rivolta di schiavi,che riuscì a essere faticosamente domata da Crasso,ricchissimo esponente della classe dei cavalieri. Una volta tornato in Italia allora Pompeo decise di allearsi con Crasso. Si autonominarono consoli e smantellarono la riforma di Silla,restituendo ai cavalieri il potere e riformando il senato. Nel 63 a.C. Pompeo è costretto a lasciare l’Italia e nascono numerosi scontri tra Optimates (Guidati da Cicerone e Catone) e Populares (Guidati da Cesare e Catilina)

    27. Caio Giulio Cesare Divenne console nel 59 a.C. Alleatosi con Pompeo e Crasso diede inizio al primo triumvirato. Elaborò diverse riforme che andavano a favore degli interessi di Pompeo e Crasso ma nel 53 a.C. a causa di evidenti contrasti tra i consoli Cesare assume l’assoluto potere sulla città. Modificò l’organizzazione dello Stato con incisive riforme: Aumentò il numero di senatori e magistrati,fondò numerose colonie,estese il diritto di cittadinanza romana,ridusse la disoccupazione e rafforzò l’esercitò. Negli optimates però nacque la paura di una possibile restaurazione monarchica e così il 15 Marzo del 44 a.C. Caio Giulio Cesare fu assassinato durante una seduta del senato.

    28. RITRATTO DI CAIO GIULIO CESARE Tra gli innumerevoli ritratti che di lui ci sono stati conservati, particolarmente significativi sono tre: quello del suo aspetto fisico, tracciato da Svetonio nelle sue Vite dei Cesari, e quelli morali, tra i quali uno fu tracciato dal suo grande avversario Cicerone in un passo della seconda Filippica, l'altro dall'amico Gaio Sallustio Crispo nel De Catilinae coniuratione. Ecco quello di Svetonio: « Cesare era di alta statura e ben formato, aveva una carnagione chiara, il viso pieno e gli occhi neri e vispi. Godeva di florida salute, ma negli ultimi tempi era solito rimanere vittima di svenimenti e incubi notturni; nell'esercizio delle sue funzioni, fu anche colto due volte da un attacco di epilessia. Nella cura del corpo fu alquanto meticoloso al punto che non solo si tagliava i capelli e si radeva con diligenza, ma addirittura si depilava, cosa che alcuni gli rimproveravano. Sopportava malissimo il difetto della calvizie per la quale spesso fu offeso e deriso, e per questo si era abituato a tirare giù dalla cima del capo i pochi capelli. Tra tutti gli onori che il popolo e il senato gli decretarono, infatti, non ne ricevette o abusò mai nessuno più volentieri che il diritto di portare sempre una corona di alloro. Dicono che fosse ricercato anche nel vestire: usava infatti un laticlavio frangiato fino alle mani e si cingeva sempre al di sopra di esso con una cintura assai lenta. [...] Molti lo descrissero come estremamente desideroso di lusso ed eleganza. » (Svetonio, Cesare, 44-45) Non meno incisivo quello di Cicerone: « Egli ebbe ingegno, equilibrio, memoria, cultura, attività, prontezza, diligenza. In guerra aveva compiuto gesta grandi, anche se fatali per lo stato. Non aveva avuto per molti anni altra ambizione che il potere, e con grandi fatiche e pericoli l'aveva realizzata. La moltitudine ignorante se l'era conquistata coi doni, le costruzioni, le elargizioni di viveri e banchetti. I suoi li aveva acquistati con premi, gli avversari con manifestazioni di clemenza, insomma aveva dato ad una città, ch'era stata libera, l'abitudine di servire, in parte per timore, in parte per rassegnazione. » I suoi gusti nella sfera sessuale furono spesso motivo di pettegolezzo e canzonatura da parte sia dei suoi detrattori che dei suoi stessi soldati. La sua fama di rubacuori a tutto campo veniva sintetizzata da Cicerone secondo cui egli era "il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti". Infatti, la pratica dell'omosessualità, molto diffusa in Oriente, era guardata con sospetto a Roma, dove veniva considerata un atto di sottomissione di un uomo nei confronti di un altro uomo.

    29. LE IDI DI MARZO Secondo la tradizione la morte di Cesare fu preceduta da un incredibile numero di presagi: da più parti si ivdero bruciare fuochi celesti, uccelli solitari giunsero nel foro e si udirono strani rumori notturni. Pochi giorni prima del suo omicidio Cesare non era riuscito, mentre compiva un sacrificio, a trovare il cuore della vittima e il che costituiva un presagio di malaugurio. Nello stesso periodo fu scoperta la tomba del fondatore di Capua, Capi, e sulla lapide tombale vi fu trovata la scritta: Quando verranno scoperte le ossa di Capi, un discendente di Julio verrà assassinato per mano dei suoi consanguinei, e subito sarà vendicato con grandi stragi e lutti. Le mandrie di cavalli che Cesare aveva fatto liberare al momento del passaggio del Rubicone iniziarono a piangere a dirotto, e uno scricciolo (che è anche chiamato uccellino regale), che era entrato nella Curia di Pompeo (dove il senato si riuniva dopo che la Curia era andata distrutta nell'incendio di cui sopra) portando un ramoscello d'alloro, fu subito attaccato e ucciso da parecchi uccelli che sopraggiunsero all'istante. Alla vigilia dell'omicidio, Calpurnia, la moglie di Cesare, donna del tutto priva di superstizioni religiose, fu sconvolta da sogni in cui la casa le crollava addosso, e lei stessa teneva tra le braccia il marito ucciso. Lo stesso Cesare sognò di librarsi nell'etere, volando sopra le nubi e stringendo la mano a Giove. Il giorno successivo, quello delle Idi di marzo, il 15 del mese, Calpurnia pregò dunque Cesare di restare in casa, ma quegli, che la sera prima aveva detto, a casa di Lepido, che avrebbe preferito una morte improvvisa allo sfinimento della vecchiaia, sebbene si sentisse poco bene, fu convinto dal congiurato Decimo Bruto Albino a recarsi comunque in senato, in quanto sarebbe sembrato sconveniente che non salutasse neppure tutti i senatori che si erano riuniti per nominarlo, proprio quel giorno, re. Cesare, che poco più di un mese prima aveva imprudentemente deciso di congedare la scorta che sempre lo accompagnava, uscì dunque in strada, e qui fu avvicinato da un indovino, Artemidoro di Cnido, che gli consegnò un libello in cui lo ammoniva del pericolo che stava per rischiare. L'indovino si sincerò che Cesare lo leggesse quanto prima, ma il dittatore, che più volte si apprestò a farlo, non vi riuscì per colpa della folla che lo circondava. Giunto alla Curia di Pompeo, Cesare fu avvicinato da un aruspice di nome Spurinna, che lo aveva avvisato di guardarsi dalle Idi di marzo: a questi il dittatore disse, con aria beffarda, che le Idi erano arrivate, ma l’indovino gli rispose che non erano ancora passate.

    30. L’ ASSANINIO DI CESARE Entrato in senato, si andò a sedere ignaro al suo seggio, dove fu subito attorniato dai congiurati che finsero di dovergli chiedere grazie e favori. Mentre Decimo Bruto intratteneva il possente Antonio fuori dalla Curia, per evitare che prestasse soccorso, al segnale convenuto, Publio Servilio Casca Longo sfoderò il pugnale e colpì Cesare al collo, causandogli una ferita superficiale e non mortale. Cesare invece, per nulla indebolito, cercò di difendersi con lo stilo che aveva in mano, e apostrofò il suo feritore dicendo "Scelleratissimo Casca, che fai?" o gridando "Ma questa è violenza!" Casca, allora, chiese aiuto al fratello (?de?f?, ß???e?), e tutti i congiurati che si erano fatti attorno a Cesare si scagliarono con i pugnali contro il loro obiettivo: Cesare tentò inutilmente di schivare le pugnalate dei congiurati, ma quando capì di essere circondato e vide anche Bruto farglisi contro, si coprì il capo con la toga, e spirò, trafitto da ventitré coltellate. Cadde ai piedi della statua di Pompeo, pronunciando ultime parole che sono state riferite in vario modo: ?a? s?, t?????; (Kai su, teknon?, in greco, "Anche tu, figlio?") Tu quoque, Brute, fili mi! (in latino, "Anche tu Bruto, figlio mio!“) Et tu, Brute? (in latino, "Anche tu, Bruto?"), che è la versione riportata da William Shakespeare nella tragedia Giulio Cesare.[ Svetonio riferisce che, secondo il medico Antistio, nessuna delle ferite subite da Cesare fu mortale, ad eccezione della seconda, in pieno petto.

    40. Il sec: il secolo d’oro dell’impero, periodo di massimo splendore massima espansione territoriale stabilità politica Principato adottivo Crisi economica italiana ( made in Italy)

    42. Antonio Pio 138-161: equilibrato e vicino ai sudditi. Marco Aurelio 161-180: imperatore filosofo (stoicismo), sovrano saggio e illuminato; campagne militari ai confini per invasioni germaniche. Commodo 180-192: inetto e infantile. Pone fine alla dinastia e al secolo d’oro dell’ Impero.

    44. Settimio Severo viene incoronato imperatore.

    45. - Con la fine del regno di Commodo (192 d.C.) si estinse la dinastia degli Antonini.Il prefetto Elvio Pertinace venne nominato imperatore dal Senato ma venne ucciso dai pretoriani poiché tale scelta appoggiava molto i Senatori stessi. L’impero (come mai era accaduto) venne messo all’asta evidenziando una situazione più che degenerata; la soluzione fu l’esercito che nominò imperatore il proprio comandante Settimio Severo (appartenente alle truppe stanziate sul Danubio). Il suo incarico durò dal 193 sino al 211, data della sua morte in una campagna in Britannia

    46. Caracalla Settimio Severo fu il fautore di una vera e propria Monarchia militare. Il rafforzamento dell’esercito portò però un grave disavanzo economico e finanziario. Per risolvere il problema ricorse a dei provvedimenti che portarono a una svalutazione della moneta che favorì l’inflazione. Dimezzò la quantità di argento presente nelle monete e raddoppiò la produzione e quindi il valore reale era ben diverso da quello nominale. Morì nel 211 e allora i suoi due figli Marco Aurelio Antonino ( detto Caracalla ) e Geta iniziarono a contendersi l’impero. Caracalla assassinò il fratello e gli avversari politici. Governò dal 211 sino al 217. é famoso per il suo editto del 212 con cui estendeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero.

    47. Morto Caracalla,Macrino si proclamò imperatore ma l’esercito fece salire al potere Eliogabalo, nipote quattordicenne di Caracalla. Questi esercitò il potere in modo crudele e irresponsabile a causa della sua giovane età e soprattutto delle potenti signore della sua casata, per le quali vennero introdotti a Roma culti di origine orientale. Dopo Eliogabalo venne nominato nel 300 d.C.,Alessandro Severo. Il suo governo però duro poco in quanto,per la sua età,La sua politica era simile a quella di Eliogabalo. La dinastia dei Severi si conclude con l’imperatore Massimino,il primo barbaro a salire al potere.

    48. DIOCLEZIANO AL POTERE (divisione dell’impero in 4 parti)

    49. Venne nominato un prefetto del pretorio per ogni area; questo aveva 3 funzioni: Giudiziario Mantenimento della corte il senato perde Mantenimento dell’esercito il potere Le regioni vennero divise in 3 circoscrizioni o diocesi, aloro volta divise in provincie Forte gerarchia all’interno del sistema Nascono le corti LA RIFORMA AMMINISTRATIVA

    50. LA RIFORMA DELL’ESERCITO I soldati vengono raddoppiati ? crisi economica e demografica L’esercito è diviso in 2 grandi gruppi Difensori del confine (limitanei) interno dell’impero (commitatienti) Per risolvere la crisi: Imposta dell’annona? sul patrimonio Capitazio? imposta sulla persona Editto dei prezzi nel 301? bloccava il prezzo delle merci Corporazioni agricole? vincola i contadini alla terra

    51. La struttura della Urbs La domus Le insulae Le terme

    53. La tipica domus romana risulta la combinazione di un antica casa italica con una greca. Essa,di pianta rettangolare,è l’abitazione di popolazioni meridionali che coinvolge la vita all’aperto.I vari e particolari ambienti sono tutti disposti intorno a due aree centrali da cui ricevono aria e luce. Solitamente è a un solo piano.

    59. Le domus dei ricchi,spaziose,areate ed igieniche,dotate di acqua,sono forse le più comode che si siano costruite fino al sec XX. Ancora oggi vengono fatti scavi sui siti archeologici e ciò che è ritrovato ha un inestimabile valore.

    61. La insula Romana

    63. Gli abitanti delle insulae In ogni insula potevano abitare fino a 200 persone. Queste però erano suddivise in base al loro ceto sociale e alla loro possibilità economica. I ricchi preferivano abitare ai primi piani in quanto era più facile scappare in caso di incendio e di crollo della palazzina. Salendo il eto sociale della popolazione diventa sempre più basso così come le condizioni igieniche e strutturali diventano sempre più precarie. Verso la soffitta le scale diventano sempre più insicure e le mura sono specialmente in legno. Questi piani non erano stati previsti dagli architetti ma sono stati aggiunti gradualmente dopo una serie di “ritocchi”. Anche le soffitte erano abitate. Erano il piano più malfamato dell’intera struttura,abitate spesso dai “muscoli” di Roma,cioè coloro che facevano funzionare la città ogni giorno:servi,operai,muratori etc. Nonostante siano i più poveri del insula,hanno qualcosa di cui nessun altro può godere:una delle viste più belle di Roma.

    68. GLI USI E I COSTUMI DEI ROMANI

    69. L’ EDUCAZIONE DELLA RAGAZZA I padri romani erano molto affezionati alle loro figlie; davano loro nomignoli gentili quali Uccellino o Mammina. Agli inizi della Repubblica, le figlie erano considerate effettivamente delle piccole madri: apprendevano a cucinare, a filare e a tessere: Più tardi, nelle famiglie tradizionaliste, le figlie continuavano a filare e a tessere; fierissimo, il padre faceva ammirare agli amici la toga tessuta dalla figlia. La figlia di una famiglia agiata era affidata alle cure di una nutrice greca che le raccontava le prime favole in lingua greca. La ragazza doveva imparare a dipingere, poiché la madre pensava che ciò le sarebbe più tardi servito nella scelta dei tappeti e dei tendaggi per la sua casa. Imparava anche a cantare, a danzare e a suonare alcuni strumenti. Se la famiglia non aveva precettore, a 6 anni la fanciulla veniva mandata a scuola per imparare a leggere e a scrivere. Verso i 10 anni veniva fidanzata dal padre o dal tutore, che le sceglievano il futuro sposo, a volte anche con l’aiuto di un sensale di matrimoni. Il futuro sposo regalava alla fidanzata un anello di fidanzamento d’oro o di ferro su cui aveva fatto incidere due mani che si stringevano. Il matrimonio avveniva alcuni anni dopo. Alla fine della Repubblica, essendo divenuto il divorzio un fatto assai comune, non era difficile vedere uomini o donne che si sposavano quattro cinque o volte . Cesare si sposò quattro volte; Cicerone divorziò da sua moglie per sposare un’ereditiera più giovane della figlia Tullia. Sua moglie però non si disperò a lungo. Si risposò infatti per ben due volte. Quando il matrimonio veniva celebrato religiosamente, la futura sposa portava sul capo un velo arancione sormontato da una corona di fiori d’arancio. Dopo aver firmato il contratto di matrimonio, una matrona la conduceva dal suo sposo. Anche presso i Romani, come presso i Greci, la sposa superava la soglia della casa fra le braccia del marito. Verso la fine della Repubblica, il matrimonio generalmente si limitava a una cerimonia civile. Lo sposo, davanti ai testimoni, domandava alla sposa se voleva diventare "madre di famiglia": ella rispondeva di sì e a sua volta domandava allo sposo se voleva diventare " padre di famiglia": Dopo di che, essi erano legalmente marito e moglie. Benché la sposa potesse disporre liberamente dei propri beni e della propria dote, in realtà il capo di casa era sempre il marito. Ma secondo quanto diceva un romano: "Noi governiamo il mondo, ma sono le nostre mogli a governare noi". Non era cosa rara che una sposa dodicenne abbandonasse la casa paterna per stabilirsi nella propria, passando per così dire dalla balia alla vita pubblica. Altre donne si occupavano di politica, preparavano le campagne elettorali in occasione delle elezioni e addirittura dipingevano frasi di incitamento sui muri delle case. Dopo le elezioni, iscrizioni del genere venivano cancellate con una mano di calce. Avendo il Senato proposto un giorno una legge tendente a limitare i gioielli di proprietà di una donna, una matrona infuriata tenne nel Foro, il luogo delle pubbliche riunioni, un discorso così violento che la legge fu subito abrogata. Negli ultimi anni della Repubblica vi furono perfino avvocatesse che difendevano i loro clienti nei tribunali. Durante l’Impero, donne di nobili famiglie lottarono come gladiatori nell’arena, parteciparono a incontri di lotta e guidarono carri durante la caccia al cinghiale. La matrona romana formosa era ormai una figura del passato: le ragazze portavano busti fin dall’infanzia . Quelle che non avevano forme snelle e aggraziate erano considerate "lottatrici". Tuttavia le matrone romane non persero mai il oro coraggio. Quando l’imperatore Claudio ordinò a Cecina Peto di uccidersi e questi esitò per paura, la sua sposa si pugnalò, estrasse il pugnale dalla ferita e lo tese al marito dicendo: " Non fa male, Peto": Sulla tomba delle loro spose i Romani facevano incidere epitaffi di questo genere: "Viandante, breve è il mio messaggio; arrestati leggi ! Questa pietra odiosa copre una bella donna".

    70. VESTI E ORNAMENTI FEMMINILI Mentre nel mondo moderno l’abbigliamento della donna si distingue nettamente da quello dell’uomo, in Roma la differenza non consisteva tanto nella foggia del vestire quanto piuttosto nei tessuti impiegati e nella varietà dei colori. Anche le donne usano la tunica, più lunga di quella maschile; su di essa indossano la "stola" che è la veste caratteristica della matrona romana, così come la toga è il costume nazionale degli uomini. La stola, che ha subito attraverso il tempo vari mutamenti a seconda della moda, è una sopravveste molto ampia che scende sino ai piedi; è stretta in vita da una cintura (talvolta le cinture sono due, una più alta e l’altra sui fianchi) ed è chiusa sul petto da una fibbia, oppure sulle spalle da bottoni ornati di pietre preziose; le maniche possono essere lunghe o corte: nella parte inferiore la stola è ornata da una striscia di porpora o da una balza ricamata in oro. Per uscire in pubblico, nei primi secoli dell’età repubblicana le matrone usavano gettare sulla stola un mantello quadrato di dimensioni piuttosto limitate, cui si va sostituendo, con il passar del tempo, la "palla" ossia un grande manto rettangolare che, a differenza della toga maschile, copre entrambe le spalle; può essere lungo fino ai piedi, ma generalmente scende fin sotto le ginocchia. In pubblico la donna talvolta si copre la testa con un lembo della palla; nei tempi antichi lo faceva sempre, poiché alla lana ed al lino vanno sostituendosi nell’età imperiale i tessuti misti: lana e cotone; cotone e lino, cotone e seta. Le donne amano soprattutto le stoffe fini e leggere, come la seta che rappresenta il massimo dell’eleganza e della raffinatezza. Anche nell’ambito dei colori vi è una larga possibilità di scelta: abilissimi tintori hanno creato tutta una gamma di sfumature che soddisfano qualsiasi esigenza. I gioielli: ecco la grande passione delle donne romane! Un tempo, nei primi secoli della Repubblica, il lusso eccessivo delle vesti e degli ornamenti era severamente riprovato dai Censori; allora l’austerità e la semplicità caratterizzavano ancora la vita del popolo romano. Poi vennero le grandi conquiste degli ultimi due secoli prima di Cristo e con le conquiste si operò una profonda trasformazione materiale e morale nella vita e nei costumi dei cittadini: la ricchezza ed il lusso ebbero un enorme incremento, le leggi che ogni tanto venivano emanate dal Senato per limitare le spese del vestiario, dei banchetti, degli ornamenti, rimanevano senza alcuna efficacia pratica: nessuno si curava di osservarle. Patrizi e grossi borghesi vanno a gara nel coprire di ornamenti preziosi le mogli e le figlie, per ostentare davanti a tutta la città la loro ricchezza ed il loro sfarzo; le donne, dal canto loro, si danno da fare per non rimanere indietro in questa competizione che solletica la loro vanità: pretendono pietre sempre più rare, le gemme più costose e si mettono addosso interi patrimoni. E naturalmente c’è chi esagera in questo sfoggio di gioielli e si trasforma in una specie di vetrina ambulante con risultati ridicoli. La varietà degli ornamenti femminili è enorme: vi sono diademi di metallo prezioso, nastri ornati di gemme che si inseriscono tra i capelli; spille e fibbie in oro e argento; anelli con pietre preziose che si portano non solo alle dita delle mani, ma anche a quelle dei piedi o intorno alla caviglia; braccialetti in oro massiccio; collane di perle e pendenti in smeraldo che adornano il collo ed il petto. Fra gli orecchini sono di gran moda i "crotalia" e cioè dei pendenti doppi che hanno all’estremità una perla; quando la donna cammina, producono un piacevole tintinnio. Affinché i l quadro sia completo ricordiamo ancora alcuni accessori che una signora veramente elegante non dimentica mai quando esce di casa: la borsetta, il ventaglio e l’ombrellino. I ventagli non sono pieghevoli come i nostri, ma rigidi: sono fatti di piume di pavone dai brillanti colori, oppure di foglie di loto.

    71. L’EDUCAZIONE DEL RAGAZZO Nove giorni dopo la nascita, il padre dava al figlio un nome, poi gli poneva al collo un piccolo amuleto d’oro o di bronzo o di cuoio, chiamato bulla e destinato a scacciare il " malocchio"; il ragazzi lo conservava fino alla maggior età. Nei primi tempi della repubblica il ragazzo veniva allevato dalla madre o da una vecchia parente; in seguito se la sua famiglia poteva permetterselo, egli veniva educato da una schiava greca apprendendo cosi’ a parlare il greco contemporaneamente al latino. I suoi passatempi erano il gioco a mosca cieca, la trottola, il cavallo di legno, i trampoli. Di solito era il padre che gli insegnava a leggere, scrivere nuotare e cavalcare. Un padre ricco poteva servirsi di un liberto o comperare uno schiavo colto perché facesse da precettore al figlio; altrimenti a sette anni il ragazzo veniva mandato a scuola. Le lezioni non si svolgevano in un edificio apposito; il maestro stesso affittava una stanza in qualche retrobottega oppure faceva lezione sul tetto a terrazza di una casa qualsiasi. Chiunque poteva aprire una scuola purché naturalmente trovasse allievi paganti. Le lezioni cominciavano piuttosto presto. Il ragazzo usciva di casa prima dell’alba, rischiarandosi il cammino con una lanterna. Il povero portava da se stesso il sacco con le tavolette incerate e comperava per via un pezzo di pane per la colazione; il ricco invece, si faceva accompagnare da uno schiavo che gli portava i libri. Il problema principale del maestro era quello di mantenere la disciplina. Se insegnava in una bottega, l’aula era separata dai rumori della strada soltanto da una tenda. L’insegnante era spesso un liberto che aveva imparato a leggere e scrivere quando ancora era schiavo; ma poteva anche essere un ex lottatore oppure un mimo, che i figli dei liberi cittadini non rispettavano minimamente. Le lezioni duravano sei ore, con una pausa per la colazione a mezzogiorno . A volte invece di tornare a scuola dopo l’intervallo gli allievi si intrufolavano nel circolo per vedere le corse dei carri. Durante la repubblica l’anno scolastico contava più di un centinaio di giorni festivi durante i quali la scuola era chiusa, senza tener conto naturalmente delle vacanze estive. Per cinque anni l’allievo imparava a leggere a fare di conto (addizioni sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni fatte con l’aiuto di un abbaco). L’abbaco più semplice era costituito da una scatola di sabbia con dischi metallici mobili. Gli abbachi più complicati, o pallottolieri, erano composti o di asticelle sulle quali si facevano scorrere alcune palline di legno colorate. L’insegnante stava seduto su una sedia, mentre gli allievi sedevano su panche e tenevano sulle ginocchia le tavolette per scrivere. Incidevano le lettere sulla cera mediante una cannuccia appuntita di ferro chiamata stylum (da cui e’ derivata la parola "stilografica"). Le lettere che essi tracciavano, erano praticamente identiche a quelle in cui noi ci serviamo oggi. A dodici anni il ragazzo iniziava lo studio, a casa o a scuola, della letteratura sotto la guida di un grammatico, generalmente greco, dell’Asia o di Egitto. Gli allievi dovevano arrivare a parlare, a leggere e a scrivere il greco correttamente come il latino. I Romani si burlavano di quei grammatici che tenevano corsi di lezione su argomenti assurdi: per esempio su quali fossero i canti delle sirene. Nei primi tempi della Repubblica, il ragazzo diventava ufficialmente uomo a 17 anni. Deponeva allora la "bulla" e la toga praetexta con un fregio rosso, per indossare la toga tutta bianca o toga virilis. Ormai era un cittadini che doveva prestare servizio nell’esercito. Verso la fine della Repubblica e sotto l’Impero, il ragazzo poteva a volte indossare la toga virilis gia’ a 14 anni senza per questo dover servire nell’esercito. Dopo aver rivestito la toga virile, il giovane studiava la filosofia e l’oratoria. Alla fine della Repubblica si recava anche all’estero: ad Atene ad Alessandria e Rodi. Cesare Cicerone e il poeta Orazio studiarono all’estero. Più tardi, ai tempi dell’impero il giovane poteva ricevere questa formazione "universitaria" anche nel suo paese, poiché gli imperatori favorirono l’istruzione superiore fondando nuove scuole e distribuendo borse di studio agli studenti poveri.

    72. L’ABBIGLIAMENTO MASCHILE Su di una specie di camicia di lino piuttosto corta e a diretto contatto con la pelle, il romano infila la "tunica", ossia una veste di lana formata da due pezzi di stoffa cuciti insieme e tenuta stretta intorno al corpo da una cintura piuttosto bassa sui fianchi; la tunica cade in modo ineguale: fin sul ginocchio davanti, un po’ più lunga dietro. Le maniche o mancano del tutto o non arrivano all’altezza del gomito; solo gli effeminati usano tuniche lunghe fino alla caviglia, senza cintura e con maniche fino ai polsi, il che è considerato, almeno nell’età repubblicana e nei primi secoli dell’Impero cosa assai riprovevole. La tunica è la veste che si indossa nell’intimità della casa, in campagna, in provincia ; è la veste che usa la gente che lavora, perché è semplice e pratica. Quando fa freddo si mettono due o più tuniche l’una sull’altra. Ornamento più comune della tunica è una striscia di porpora che serve a determinare l’ordine o la classe sociale cui si appartiene: quella dei senatori è molto larga, più ridotta quella dei cavalieri. Vi è poi la tunica "palmata" adorna di splendidi ricami che indossano i generali vincitori durante il trionfo. Il cittadino romano prima di uscire di casa si avvolge nella "toga": è questo l’abito ufficiale dei romani, inseparabile da tutte le manifestazioni della loro attività civica. La toga è stata usata fin dai tempi antichissimi; essa costituisce il costume nazionale e distintivo dei romani. La toga è un manto di lana bianca pesante, tutto di un pezzo; le sue dimensioni e il modo con cui si avvolge intorno al corpo hanno subito vari mutamenti attraverso i secoli. Alle origini doveva essere una specie di coperta di forma quadrata che si gettava semplicemente sulle spalle; poi, con il passare del tempo, quel manto fu tagliato in modo da permettere un drappeggio menu rudimentale. Nell’età di Augusto è di moda una toga molto ampia tagliata a forma di ellisse, che avvolge il corpo con una sapiente drappeggiatura, lasciando libero il braccio destro. Mettersi addosso la toga in modo che cada bene, che avvolga armoniosamente il corpo, richiede una notevole abilità; chi può si fa aiutare da uno schiavo che ha provveduto fin dalla sera prima a preparare l’abito disponendo in ordine le pieghe; gli altri si arrangiano da soli, ma talvolta non possono evitare che la toga, come dice Orazio, cada male, esponendo chi la porta ai commenti maligni del prossimo. Bello e dignitoso è questo abito, ma assai poco pratico: quando si cammina, quando si gesticola, quando ci si fa largo nelle vie e nelle piazze formicolanti di gente, è difficile mantenerlo composto ed in bell’ordine! E inoltre, quanti lavaggi sono necessari per conservare il suo candore immacolato! La lana a furia di lavarla, si rovina… Poiché la toga è veramente poco pratica, non c’è da stupirsi se i Romani cercano di limitarne l’uso alle situazioni in cui è strettamente indispensabile e se, con il passare del tempo, vanno via via sostituendola con manti più semplici e più comodi, alcuni dei quali, si possono indossare anche sulla toga, quando fa freddo. Così, soprattutto nell’età imperiale il cittadini romani comincia ad usare il "pallium", una sopravveste più corta, meno ampia della toga e che perciò non impaccia i movimenti. Quando ci si mette in viaggio, o in città quando fa molto freddo, si indossa sopra la tunica una specie di blusa interamente chiusa davanti, fornita di cappuccio, che si infila passando la testa attraverso una apertura centrale. Quando il romano indossa la toga o esce in pubblico, porta i "calcei", stivaletti alti fin quasi al polpaccio che coprono interamente il piede; neri sono i calcei dei senatori, rossi quelli dei patrizi generalmente i romani vanno a capo scoperto; solo quando si mettono in viaggio o a teatro quando stanno lunghe ore fermi al sole, si riparano con un cappello di feltro a larghe tese annodato sotto il mento o sulla nuca che si chiama "petasus". L’unico ornamento che gli uomini usano sono gli anelli. Nell’età imperiale si diffonde la consuetudine di portare anelli esclusivamente come ornamento; certi tipi stravaganti giungono al punto di metterne uno ad ogni dito e persino parecchi allo stesso dito; altri più bizzarri ancora sfoggiano anelli "d’estate" e anelli "d’inverno.

    73. BARBA E CAPELLI Prima di uscire di casa il cittadino romano dedica pochissimo tempo alla cura della propria persona: siccome al pomeriggio farà il bagno alle Terme, oppure in casa sua, al mattino si limita a lavarsi il viso e le mani nell’acqua fresca. Così, dopo che ha consumato una rapida colazione consistente in cibi leggeri quali pane, formaggio, miele, datteri, può uscire e dedicarsi alle sue occupazioni. Nel corso della mattinata egli farà certamente una sosta nella bottega del barbiere. Nei tempi antichissimi, i Romani si lasciavano crescere liberamente barba e capelli. Quando si diffuse l’influenza del mondo greco cominciò a farsi sentire nei costumi e nelle usanze, si diffuse tra i Romani la consuetudine di tagliarsi i capelli e radersi le guance. Soltanto in segno di lutto o in occasioni di calamità e sventure che colpivano la città, i cittadini tralasciavano per qualche tempo di tagliarsi capelli e barba. I giovani aspettavano che la barba diventasse bella folta, allora si sottoponevano per la prima volta all’opera del barbiere e l’avvenimento veniva festeggiato in modo solenne. Assumeva infatti il carattere di una cerimonia sacra: la barba deposta in una pisside d’oro, di vetro, o in un vaso di semplice fattura veniva offerta come primizia agli dei; in casa del giovane si faceva gran festa, si invitavano gli amici si scambiavano doni. La bottega di un barbiere dall’alba fino alle prime ore del pomeriggio è un continuo via vai di gente: chi si siede sulle panche che circondano la bottega, chi si rimira negli specchi appesi al muro, chi si ferma ad oziare, a pettegolare, a raccontare le ultime novità. All’interno avvolto in un accappatoio di mussola o di lino, oppure protetto da un asciugamano intorno al collo, sta il cliente di turno seduto su di uno sgabello; intorno a lui si affaccendano il barbiere e i suoi aiutanti. Gli strumenti che vediamo nelle loro mani(forbici e rasoio) ci danno un’idea della difficoltà dell’impresa. Poiché nessuna testimonianza accenna ad una qualche operazione preliminare per lubrificare la pelle con olio o con altre sostanze emollienti, è probabile che il barbiere si limitasse a passare sul viso del cliente un po’ d’acqua, prima di cominciare il suo lavoro. Chi non aveva il tempo di far lunghe sedute dal barbiere poteva ricorrere ad un altro sistema: si faceva strofinare la faccia con uno dei tanti linimenti depilatori. Si tratta di unguenti a base di resina e di pece, oppure di grasso d’asino o fiele di capra, o sangue di pipistrello, bava di rana, polvere di vipera… Sulla loro efficacia non possiamo pronunciarci, sappiamo soltanto che l’autore consiglia in ogni caso di far ricorso anche alle pinzette per strappare i peli ribelli della barba: i due sistemi combinati Insieme dovevano pur dare qualche risultato ed erano probabilmente preferibili al supplizio del rasoio. Ognuno si arrangiava come poteva; vi era persino chi usava in una sola volta, sulla propria faccia, tutti e tre gli strumenti del barbiere: forbici rasoio e pinzette. Il barbiere ha anche il compito di tagliare o arricciare i capelli; la grande maggioranza dei romani usa portarli né troppo lunghi, né troppo corti; solo la gente di campagna e gli schiavi di fatica si fanno rasare; gli schiavi di lusso ed i giovinetti liberi portano lunghi capelli ondulati sulle spalle. Naturalmente accanto ai comuni mortali che si accontentano di un taglio e di un colpo di pettine non mancano nella variopinta società romana quelli che noi oggi chiameremmo "gagà": bellimbusti dalle chiome arricciate e abbondantemente profumate con oli e balsami vari. Il barbiere deve cercare di accontentare sempre il cliente: gli elegantoni vogliono la pettinatura all’ultima moda; coloro che hanno i capelli grigi e bianchi vogliono illudersi di essere ancora giovani e allora bisogna ricorrere alla tintura; quelli che sono calvi o quasi calvi, devono essere aiutati a nascondere i danni che il tempo ha provocato, con risultati talvolta piuttosto ridicoli. Quello del barbiere è un mestiere assai redditizio; chi è particolarmente abile può arricchire facilmente, come ci dimostrano gli accenni nelle opere di Marziale e di Giovenale alla rapida ascesa di tanti barbieri, divenuti ricchi proprietari di fondi, o entrati nell’ordine dei cavalieri.

    74. CIBI E BEVANDE Due erano i pasti principali dei romani antichi .Il prandium e la cena. anche dopo poco il risveglio si mangiava qualcosa, generalmente pane, frutta secca e formaggio, ma questa prima colazione non era di tutti. C’era chi beveva soltanto una ciotola di latte. I cibi fondamentali erano ottenuti dai cereali e dai vegetali, per quanto riguarda la generalità della popolazione, che faceva poco uso di carne se non in particolari occasioni. La base della nutrizione era una pappa di cereali bolliti , farro o miglio o semola. Frequente era anche l’uso di pane bollito insieme ai vegetali. Chi poteva permetterselo, aggiungeva a questa pappa uova, formaggio o miele, ottenendo, cosi’, la cosiddetta puls punica. Col nome di polenta si indicava l’orzo bollito, se tale orzo già molle veniva allungato con miele e un po’ d’acqua si otteneva la tisana, una bevanda rinfrescante, altrettanto medicamentoso era il decotto di riso trattato con miele, che però veniva preparato raramente, poiché il riso era importato dall’India e costava un occhio.

    75. INSEGNAMENTO La primissima educazione avveniva in famiglia e comprendeva oltre a leggere, scrivere e far di conto anche nozioni musicali, poiché’ le gesta degli antenati – cosi’ come alcune cerimonie religiose – venivano cantilenate. Siccome l’ignoranza della legge non scusava nessuno, si imparava presto a compitare i caratteri e a tracciare le prime righe di scrittura, naturalmente con uno stilo su tavolette che più’ tardi furono chiamate codicilli da codex, che era il libro dei conti. Quindi, una volta esercitatisi in casa con stilo e tavoletta di cera, ragazzi e adulti erano in grado di usare il càlamo e scrivere sui rotoli di papiro, poi di pergamena romani appresero a usare rotoli e codici a seguito della diffusione della cultura greca e della costituzione di biblioteche asportate dalla Macedonia, da Atene, dal Ponto e da Alessandria d’Egitto. La prima biblioteca pubblica a Roma fu allestita soltanto nel 39 a. C. dal coltissimo funzionario Gaio Asinio Pollione.

    76. Anno scolastico: 2008-2009 Classe: IID Docente: Barbara Pecere Alunni: Cacciatore Gabriele Cacciatore Marta Calosso Ilaria Cataldi Davide Cavalera Michele Degli Angeli Federica De Matteis Chiara Ligetta Gabriele Mariello Massimo Reho Alberto Sabato Paola Solida Davide Trianni Erika Troisi Daniela

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