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VIVERE DI FEDE

VIVERE DI FEDE. «Oggi la salvezza è entrata in questa casa». PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA – BARI. Anno Pastorale 2013/2014. Il desiderio di Dio: la salvezza universale e cosmica.

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VIVERE DI FEDE

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  1. VIVERE DI FEDE «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA – BARI Anno Pastorale 2013/2014

  2. Il desiderio di Dio: la salvezza universale e cosmica «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19,9). Queste pa­role di Gesù suggellano il suo incontro con Zaccheo. La salvezza «avviene» in un incontro. La storia della salvezza è la storia del deside­rio di Dio che incontra il desiderio dell’uomo.

  3. Nel racconto lucano, la ri­cerca di Zaccheo (che «cercava di vedere chi fosse Gesù»: Lc 19,3) è incontrata dalla ricerca che Gesù già stava facendo di lui («il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e salvare quello che era perduto»: Lc 19,10).

  4. Colui che cercava di vedere e conoscere Gesù, si scopre vi­sto e conosciuto da Gesù stesso: «Gesù, alzando gli occhi gli disse: “Zaccheo...”» (Lc 19,5).

  5. La salvezza non rientra dunque nell’ambi­to del giuridico o dell’economico, non ha a che fare con «riscatto» o «soddisfazione» o «riparazione», ma è espressa al meglio dal ri­ferimento al desiderio: il Dio che «vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,4) raggiunge l’anelito e la domanda dell’uomo abi­tato dalla «speranza della salvezza» (1Ts 5,8).

  6. Dire «salvezza»significa toccare ciò che arde nel cuore di Dio e nel cuore dell’uomo. E che attraversa anche la creazione, come attesta Paolo parlando dei gemiti del creato che attende redenzione (cfr. Rm 8,19ss.).

  7. «Salvez­za»è ciò cui tende il desiderio di Dio, dell’uomo e dell’intero crea­to. Salvezza è il «desiderio dello Spirito» (Rm 8,27). Il Nuovo Testa­mento osa affermare la dimensione cosmica della salvezza, che coin­volge dunque ogni forma di vita.

  8. Una salvezza fatta di salvezze Al tempo stesso, la salvezza entrata nella casa di Zaccheo è la persona stessa di Gesù, sicché la salvezza ha una dimensione per­sonale e concreta. Per il Nuovo Testamento Gesù in persona è la salvezza di Dio.

  9. Salvezza che è nata fra gli uomini (cfr. Lc 2,11), si è resa visibile («i miei occhi hanno visto la salvezza»: Lc 2,30), può es­sere toccata e abbracciata (cfr. Lc 2,28). Con Gesù la salvezza assume un volto e un corpo, si concentra nella carne umana del Nazare­no.

  10. La storia della salvezza, che già nell’Antico Testamento è guidata da Jhwh, il «Dio di salvezze» (Sal 68,21), che interviene in modi, tempi e situazioni differenti, si declina al plurale come salvezze di storie.

  11. E di storie che hanno un volto e un nome preciso: il cieco Bartimeo (Mc 10,52: «La tua fede ti ha salvato»), la donna emor­roissa (Mc 5,22: «La tua fede ti ha salvata»), la peccatrice incontra­ta a un banchetto (Lc 7,50: «La tua fede ti ha salvata») ...

  12. La salvezza, categoria importante perché integra il male e il negativo della sto­ria senza rimuoverlo ma affermando che esso non ha l’ultima pa­rola sulla storia e sull’uomo, ha un aspetto presenziale e concre­to. Essa riguarda non solo l’aldilà, ma anzitutto il quotidiano.

  13. La to­talità e pienezza di cui è portatrice si frammenta in storie perso­nali e famigliari segnate da malattia, morte, dolore, male inflitto e subito, non senso e angoscia. E nel suo movimento rientrano così gli atti di guarigione e di perdono, ovvero tutte le situazioni in cui Gesù, nei suoi incontri, fa rifiorire la vita là dove essa era ferita o menomata.

  14. Alle radici della salvezza: la compassione Se il nostro modo di pensare la salvezza spesso la lega istintivamente (e riduttivamente) al peccato, nella Bibbia essa riveste una dimensione relazionale caratterizzata dalla capacità di sen­tire la sofferenza di chi soffre e dunque è bisognoso di salvezza.

  15. Biblicamente la salvezza è l’intervento di Dio nella storia per in­staurare un nuovo rapporto dialogico con l’uomo, un uomo che resta pienamente se stesso davanti a un Dio distinto da lui. Ora, Dio interviene nella storia entrando in contatto con la sofferenza dell’uomo e assumendola.

  16. Il Dio che salva è anzitutto il Dio che si prende cura della sofferenza del sofferente (cfr. Es 2,24; 3,7). È il compassionevole che non abbandona la vittima al suo destino ma vi si fa prossimo. La rivelazione neotestamentaria mostra fino all’estremo che la compassione, l’assunzione della sofferenza del­l’altro , è la radice dell’agire salvifico di Cristo.

  17. Agire salvifico per­ché narra e pratica ciò che è proprio di Dio: • è la compassione che muove il padre alla vista del figlio minore che ritorna a casa (Lc 15,20); • è la compassione che induce il samaritano a fermarsi ac­canto all’uomo mezzo morto lungo la strada e a prendersene cu­ra (Lc 10,33); • è la compassione che abita lo sguardo di Gesù e lo spinge a intervenire in favore di chi è nella malattia, nel lutto o nel bisogno (Mt 20,34: due ciechi; Mc 1,41: un lebbroso; Mc 6,34: una folla numerosa; Lc 7,13: una vedova che accompagna il fere­tro del figlio unico).

  18. Subito dopo la resurrezione di Gesù, la comunità cristiana ha celebrato la memoria degli eventi salvifici attuati da Cristo come memoria passionis. L’universale portata salvifica dell’evento pasquale ha a che fare con l’universale esperienza della sofferenza, non primariamente con l’universale esperienza del peccato.

  19. «Il primo sguardo di Gesù non si rivolgeva al peccato degli altri, ma alla sof­ferenza degli altri. Il peccato per lui era anzitutto rifiuto della par­tecipazione al dolore degli altri, era rinunzia a pensare oltre l’oscu­ro orizzonte della propria storia di sofferenza, era, come l’ha defi­nito Agostino, “il ripiegamento del cuore su se stesso”, una conse­gna al narcisismo latente della creatura. Ed è così che il cristiane­simo cominciò come comunità di narrazione e di memoria alla sequela di Gesù, il cui primo sguardo era rivolto alla sofferenza al­trui» (Johann Baptist Metz).

  20. Se le azioni di salvezza che Gesù ha operato hanno sanato per­sone preda della malattia o del male o della morte, l’Apocalisse estende a portata cosmica e universale tale salvezza e la esprime con l’immagine del Dio che asciuga ogni lacrima dagli occhi: degli uo­mini (7,17; 21,4).

  21. Come il Cristo risorto porta ancora i segni della crocifissione, così l’umanità glorificata porta ancora sul volto i se­gni delle lacrime versate. Una simile immagine nasce dall’espe­rienza concreta, quotidiana, storica del soffrire e del patire ed è l’equivalente su scala universale della beatitudine evangelica: «Beati gli afflitti perché saranno consolati» (Mt 5,4).

  22. Un mondo si­mile è sperato da chi soffre, dalle vittime della storia, non da chi è soddisfatto. Ma questa immagine nasce anche dall’esperienza concreta dell’asciugare le lacrime a qualcuno, cioè nasce dall’espe­rienza storica della lotta contro il male e la sofferenza. Un mondo simile è sperato da chi conosce l’attiva compassione, non dall’indifferente.

  23. Ciò che fa l’unità fra storia ed eternità, fra mondo e Regno, fra oggi ed eschaton, fra individuo e universalità dei popoli, è la compassione. La salvezza acquista così un carattere paradossale: essa tiene insieme elementi antinomici presentandosi come in­dividuale e universale, umana e cosmica, temporale e metatemporale.

  24. La salvezza come compimento dell’alleanza La salvezza, spesso connotata in senso negativo (salvezza «da» situazioni negative), appare biblicamente connotata in senso po­sitivo come pieno compimento dell’alleanza tra Dio e umanità.

  25. L’alleanza stretta con Israele è segno di un’alleanza che, in Cristo, viene estesa a tutti i popoli. L’universalismo della salvezza appare nella formula dell’alleanza presente nella visione finale dell’Apo­calisse: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli» (Ap 21,3).

  26. Dove non è importante solo il plurale «suoi popoli», ma anche l’espressione «con loro», esten­sione universale di quanto Gesù dice al malfattore crocifisso con lui nel terzo vangelo: «Oggi con me tu sarai in paradiso» (Lc 23,43). Dove la salvezza è espressa relazionalmente dal «con me» pronunciato da Gesù.

  27. L’espressione di sapore mitico «paradiso» è interpretata dalla parola di Gesù come relazione e comunione con lui. Queste parole, che Gesù pronuncia sulla croce, fanno anche l’unità tra croce e salvezza, cioè, vita piena ed eterna in Cristo e con Cristo.

  28. Solo l’amore salva Secondo il Nuovo Testamento, ciò che salva è l’amore. L’amore di Dio manifestato nel dono del Figlio all’umanità (cfr. Gv 3,16; Rm 5,8), l’amore con cui Gesù ha vissuto e con cui ha fatto della sua stessa morte un atto di amore e di donazione («Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me»: Ef 5,2), l’amore con cui ha amato i suoi fino all’estremo, fino al punto di non ritorno (cfr. Gv 13,1).

  29. Non la croce salva, ma la vita piena di amore di colui che vi è steso sopra, amore più forte della morte e che fonda l’evento della resurrezione. Non la sofferenza salva, ma l’amore con cui si vivono e si elaborano le situazioni di sofferenza e di lutto.

  30. L’amore dà senso anche al non senso del soffrire, all’inumanità e all’assurdo della croce. È l’amore che conduce a fare anche della morte non una fi­ne definitiva, ma un atto transitivo in cui si dona ancora una vol­ta e in cui si genera alla vita: «Gesù, chinato il capo, effuse lo Spi­rito» (Gv 19,30).

  31. Il tragico dell’esistenza umana Il legame con la croce dice che la salvezza cristiana sa toccare il tragico dell’esistenza umana, sa scendere negli inferi dell’esistenza, in ogni esistenza divenuta inferno.

  32. Perché la salvezza, per essere tale (cioè universale), non può non toccare e non raggiungere anche • il male innocente, • il non senso del vivere, • la casualità tragica che devasta le esistenze, • il lutto improvviso, • la morte del figlio, • la nascita del figlio portatore di handicap, • la morte in una catastrofe naturale, ovvero, quel male che è anteriore a ogni peccato e a ogni intenzione malvagia, quel male che sfugge alla responsabilità mo­rale dell’uomo.

  33. La salvezza c’è perché c’è l’irredento, l’enigma, l’inspiegabile e l’incomprensibile. L’antecedente storico ed esisten­ziale della salvezza cristiana è questa dimensione di tragedia e di enigma sintetizzata simbolicamente nella croce.

  34. Gesù stesso muo­re avendo sulle labbra il grido che esprime l’enigma del cuore: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (cfr. Mc 15,34; Mt 27,46). La discesa agli inferi (cfr. 1 Pt 3,18ss.; 4,6) esprime l’estensione univer­sale e senza confini spazio-temporali dell’annuncio della salvez­za.

  35. Quelle categorie spazio-temporali che connotano la salvezza entrata «oggi» nella «casa» di Zaccheo, si estendono nel tempo e nello spazio e fanno del Cristo risorto il contemporaneo di tutti gli uomini e la casa di tutti gli uomini.

  36. I segni della salvezza Le guarigioni, gli atti di perdono, gli incontri che Gesù ha vissu­to nel suo ministero storico hanno riguardato solo alcune persone, solo alcuni malati, solo alcuni peccatori.

  37. E possono essere intesi sol­tanto come segni di una salvezza ben più radicale perché estesa a tut­ti, anche alle vittime della storia, a coloro che nella vita non hanno potuto fruire neppure di questi segni, e perché passata attraverso il vaglio radicale della morte.

  38. Il cristianesimo, infatti, afferma la sal­vezza non dalla morte, ma attraverso la morte, attraverso la negati­vità e il male che attraversano la condizione umana.

  39. Analogamente i gesti di liberazione da oppressioni e ingiustizie, di guarigione e di cura, di perdono che gli uomini possono storicamente compiere, non sono tanto l’inizio di una salvezza che sarà completata nel Re­gno escatologico, ma sono segni, quelli possibili oggi nella storia, di tale salvezza. Segni spesso parziali e monchi.

  40. Ogni salvezza storica, ogni salvezza che si incarna nelle vite di popoli, ogni liberazione dell’oppresso dall’oppressore, dello schiavo dallo schiavista, della vittima dal malvagio, non riesce a uscire dalla logica della non pie­nezza: essa implica un vincitore e un vinto.

  41. E non può che essere co­sì. Anche questa dimensione situa il credente nella paradossalità della salvezza cristiana: paradossale perché già ottenuta in Cristo, ma non ancora realizzata per sempre e per tutti; paradossale per­ché confessata e, al tempo stesso, invocata e attesa; paradossale per­ché non può che essere testimoniata solo parzialmente.

  42. Ogni testi­monianza storica della salvezza è anche invocazione e supplica del­la salvezza piena: «Venga il tuo Regno!» (Mt 6,10).

  43. La salvezza come pratica di umanità Ciò che Cristo ha lasciato ai credenti è anzitutto la salvezza co­me pratica di umanità: Gesù ha vissuto una vita salvata, sensata, una vita in cui la relazione con Dio, con gli uomini e con il creato è sta­ta attraversata dall’amore, dalla comunione mai venuta meno con Dio e con gli uomini.

  44. Se il Nuovo Testamento afferma che Gesù ha condiviso tutto della condizione umana eccetto il peccato (cfr. Eb 4,15), quest’ultimo va inteso nel senso di rottura della solidarietà con gli uomini e della comunione con Dio.

  45. La salvezza che Gesù stesso ha vissuto è stata questa assiduità di comunione nella fidu­cia di essere amato da Dio: «Il Padre mi ama» (Gv 10,17). Così, la sal­vezza richiede la capacità di abbandono fiducioso: «la tua fede ti ha salvato» è una sorta di ritornello in bocca a Gesù che attesta come la fiducia sia la chiave per entrare nello spazio della relazione e dell’amore di Cristo.

  46. La fiducia nell’amore, il credere all’amore (e la fede si sintetizza in questo: «Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi»: 1 Gv 4,16), la capacità di far fiducia, sono condizioni di fondo per lasciar agire in sé le energie della salvezza.

  47. Mol­to più e molto prima del contenuto di fede, ciò che apre alla sal­vezza è l’umana capacità di fiducia.

  48. La salvezza cristiana in effetti è grazia. Zaccheo è sorpreso dai gesti e dalle parole di Gesù. Accogliendo con fiducia tale sorpresa egli si apre al dono e vi risponde con la conversione, entrando cioè nella logica del dono: «do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,8).

  49. Non vi è nessuna moralizzazione della salvezza, ma l’ingresso nel­la logica dell’amore, del dono, della gratuità che è anche l’ingresso nella logica di un’umanità salvata. Così Zaccheo diviene anche te­stimone della salvezza e narratore di speranza per chi ancora è nel­l’errore o preda del male: egli narra che è possibile cambiare.

  50. Cre­dendo alla fiducia che Dio, in Cristo, ha avuto in lui, «che era per­duto» (Lc 19,10), anch’egli ritrova fiducia in sé e diviene motivo di fiducia per altri uomini che, ascoltando la narrazione evangelica, si lasciano raggiungere dalle parole di Gesù, credendo che esse valgono anche per loro, sono destinate a loro.

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