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Qualche informazione su “L’Antologia”.
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Qualche informazione su “L’Antologia” “L’Antologia” fu un periodico importantissimo nel dibattito culturale italiano degli anni Venti. Uscì a Firenze, con cadenza mensile, dal gennaio 1821 fino al dicembre 1832, quando fu soppresso per ordine governativo. Il fondatore fu un uomo d’affari ligure, di origine ginevrina, Gian Pietro Vieusseux, che dopo essersi stabilito a Firenze fondò in città un gabinetto di lettura (1821): dalla cerchia di intellettuali che lo frequentavano nacque l’idea di un periodico simile alla parigina “Revue encyclopédique”. Il titolo completo della rivista era “Antologia, ossia scelta di opuscoli d’ogni letteratura tradotti in italiano”. Ma presto, anche per la levatura dei collaboratori, il periodico acquistò una fisionomia più autonoma, e non fu più solo una rassegna, ma anche una sede adatta alla pubblicazione di contenuti originali, e quindi al centro di un vivace dibattito culturale. [per saperne di più cfr. anche http://www.antologia-vieusseux.org/
Le materie delle quali trattavano i saggi pubblicati su “L’Antologia”(elenco basato sugli indici dei volumi) Agricoltura; Archeologia; Arti industriali e meccaniche; Astronomia; Belle arti; Bibliografia; Biografia (e necrologia); Carte geografiche; Corrispondenze (notizie sui progressi delle scienze, delle lettere, delle arti, dell’industria, del commercio e della pubblica economia nelle varie provincie d’Italia); Filologia; Filosofia (elogi accademici); Geografia statistica e viaggi scientifici; [attività delle] I. e. R Accademie dei Georgofili e della Crusca; Letteratura (filologia, poesia, drammatica, critica letteraria ec.); Medicina; Numismatica; Scienze economiche; Scienze fisiche e matematiche; Scienze militari; Scienze morali e politiche; Scienze naturali; Storia; Varietà (saggi, racconti, scoperte, invenzioni, arti industriali, ec.).
Alcuni tra i collaboratori più famosi de “L’Antologia” Le due “colonne” furono Giuseppe Montani e (soprattutto dal 1827) Niccolò Tommaseo. Ma parteciparono – più o meno assiduamente – Giuseppe Mazzini, Terenzio Mamiani (poi primo ministro della Pubblica Istruzione nell’Italia unita), Pietro Giordani (amico e corrispondente di Leopardi), Giovan Battista Niccolini (amico di Foscolo, classicista, poeta e tragediografo notissimo nel Risorgimento), Gino Capponi (storico, pedagogista e politico), il pedagogista livornese Enrico Mayer.
Nel gennaio 1826 escono su “L’Antologia”, come saggio delle Operette Morali (che verranno pubblicate in volume l’anno successivo a Milano, per l’editore Stella), tre Dialoghi, pubblicati pressoché contemporaneamente anche sulla rivista milanese “Nuovo Ricoglitore”: • Dialogo di Timandro ed Elandro • Dialogo di Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez • Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare.
Leopardi a Vieussuex, 4 marzo 1826(dall’Epistolario di Leopardi) La vostra idea dell’HeremitedesApennins, è opportunissima in sè. Ma perchè questo buon Romito potesse flagellare i nostri costumi e le nostre istituzioni, converrebbe che prima di ritirarsi nel suo romitorio, fosse vissuto nel mondo, e avesse avuto parte non piccola e non accidentale nelle cose della società. Ora questo non è il caso mio. La mia vita, prima per necessità di circostanze e contro mia voglia, poi per inclinazione nata dall’abito convertito in natura e divenuto indelebile, è stata sempre, ed è, e sarà perpetuamente solitaria, anche in mezzo alla conversazione, nella quale, per dirla all’inglese, io sono più absent di quanto sarebbe un cieco e sordo. Questo vizio dell’absence è in me incorreggibile e disperato.
Due precedenti di rilievo per il leopardiano Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani • Giuseppe Baretti: Account of the Manners and Customs of Italy, with observations on the mistakes of some travellers, with regard to the country, London, 1768 (trad. recente Dei modi e costumi d'Italia, cur. Mari, Aragno 2003) • Carlo Denina, Considération d’un Italien sur l’Italie, ou Mémoires sur l’état actuel des lettres et des arts en Italie et les caractères des habitants, Berlin 1796.
Nel Settecento, fino alla Rivoluzione Francese, l’Italia è per i viaggiatori stranieri il luogo in cui l’Antico può svelarsi ai Moderni. In Italia (soprattutto da Roma al Sud) si studiano le belle arti, l’archeologia,ma anche le nuove ‘scienze della terra’. Il viaggio di formazione offre spunti di riflessione estetica e anche politica, rivolta soprattutto all’ideale delle antiche repubbliche. Nell’Ottocento (soprattutto dopo il congresso di Vienna, ma già negli anni dell’impero napoleonico) lo spirito cosmopolita che era stato al vertice del sistema di valori illuministico viene marginalizzato. Crescono invece due nuove spinte ideologiche: • Il culto diversificato dello ‘spirito nazionale’ • Il culto diffuso del génie duChristianisme[Chateaubriand 1802] Cambiano così anche i percorsi dei viaggi in Italia. Stendhal viene colto dal disturbo che prenderà il suo nome a Firenze, uscendo da Santa Croce. La Sicilia perde molto del suo fascino. La stessa Roma viene guardata con occhi diversi: così, per esempio, la basilica di San Pietro diventa interessante quanto i Fori Imperiali.
L’importanza di Corinne, où de l’Italiedi Anne-Louise Necker De Staël (1766-1817) Corinne (1807) fu il romanzo più famoso di M.me de Staël, scrittrice francese di illustri natali (era la figlia del ministro Necker), grande oppositrice di Napoleone, mediatrice della diffusione in Europa della letteratura tedesca e della cultura ‘romantica’. Sue opere principali, oltre a Corinne: [1] De la littérature considérée dans ses rapports avec les institutions sociales (2 voll., 1800); [2] De l'Allemagne (3 voll.tra il 1810 e il ‘14). L’interesse ‘morale’ di Corinne sta nell’analisi – per lo più oppositiva – del caratteri e dei costumi dell’italiana Corinna (poetessa improvvisatrice, appassionata di arte, libera e passionale) e dell’inglese (anzi scozzese) lord Oswald Nelvil.
Zibaldone del 19 settembre 1821, pp. 1741-1742 Le circostanze mi avevan dato allo studio delle lingue, e della filologia antica. Ciò formava tutto il mio gusto: iodisprezzava quindi la poesia. Certo non mancava d’immaginazione, ma noncredetti d’esser poeta, se non dopo letti parecchi poeti greci. (Il mio passaggio però dall’erudizione al bello non fu subitaneo, ma gradato, cioè cominciando a notar negli antichi e negli studi miei qualche cosa più di prima ec. Così il passaggio dalla poesia alla prosa, dalle lettere alla filosofia. Sempre assuefazione.) Ionon mancava nè d’entusiasmo, nè di fecondità, nè di forza d’animo, nè di passione; ma non credetti d’essere eloquente, se non dopo letto Cicerone. Dedito tutto e con sommo gusto alla bella letteratura, io disprezzava ed odiava la filosofia. I pensieri di cui il nostro tempo è così vago, mi annoiavano. Secondo i soliti pregiudizi, io credeva di esser nato per le lettere, l’immaginazione, il sentimento, e che mi fosse al tutto impossibile l’applicarmi alla facoltà tutta contraria a queste, cioè alla ragione, alla filosofia, alla matematica delle astrazioni, e il riuscirvi. Io non mancava della capacità di riflettere, di attendere, di paragonare, di ragionare, di combinare, della profondità ec. ma non credetti di esser filosofo se non dopo lette alcune opere di Mad. di Staël.
Che cosa s’intende quando si parla di Leopardi come filosofo, o filosofo morale, o moralista? Per filosofia morale s’intende la riflessione sui comportamenti e sui costumi (modi di vivere, abitudini), in latino mores. Almeno tre opere leopardiane, tutte in prosa, traggono materia da una riflessione morale, sviluppata anche negli appunti dello Zibaldone: • Operette morali: I ed. 1827, definitiva 1845 (postuma) • Discorso sopra lo stato presente de’ costumi degl’Italiani, composto probabilmente nel 1824-’26, pubblicato per la prima volta solo nel 1906. • Pensieri [in una delle fasi progettuali definiti Pensieridi filosofia e di varia letteratura]: raccolta di aforismi, allestita a partire dal 1831-’32, pubblicata postuma nel 1845
Le tesi fondamentali del Discorso sopra i costumi degli Italiani [da ora in poi DCI: 1] La diffusione della cultura scientifica e filosofica ha distrutto le illusioni, e di conseguenza ha messo in crisi un sistema di valori ‘classico’ in cui il giusto e l’onesto sembravano ragionevoli e la virtù utile. In un mondo così inaridito l’amor proprio degli individui non trova più limiti: di conseguenza sono venuti meno i principi della morale, e con essi i vincoli sociali. In sintesi: in un mondo in cui ha la meglio chi pensa al proprio interesse come al bene unico e sommo, la società umana sembra destinata a disintegrarsi. Né può bastare la forze delle leggi a tenerla unita.
Le tesi fondamentali del DCI [2] Le altre nazioni d’Europa, diverse dall’Italia, hanno trovato un principio conservatore della società nella società stessa. Gli individui cioè si sentono uniti non solo perché sanno di aver bisogno gli uni degli altri (bisogno che è alla radice del ‘patto sociale’, o della social catena), ma perché la compagnia reciproca li diletta e li solleva dalla noia. Nell’ambito di questa società stretta l’amor proprio si alimenta anche del rispetto e dell’ammirazione del prossimo, per cui l’ambizione è (nella società stretta) un potente collante sociale. Ma attenzione: l’ambizione non è più diretta alla gloria, bensì all’onore, cioè alla stima dell’opinione pubblica. L’onore (a differenza della gloria) è un’illusione misera in sé, ma diventa grande in un mondo dove le illusioni più alte sono sparite.
[parentesi] La teoria delle illusioni nell’opera di Leopardi La raccolta delle liriche leopardiane (i Canti) e la raccolta delle sue prose filosofiche (le Operette morali) sviluppano la stessa teoria, ‘raccontano’ in chiave diversa, e attraverso generi diversi, la stessa esperienza esistenziale-antropologica. Ogni individuo che pensi (per conto suo) e ogni società (come insieme di individui) seguono infatti lo stesso percorso, fatto di poche tappe cruciali: 1. il sogno ingenuo (fanciullesco, antico) della felicità e dell’eterno2.la scoperta del piacere e del dolore indistinguibili nella passione amorosa 3. l’annichilimento assoluto (quando anche il dolore si spenge) prodotto dall’impatto con l’«arido vero»: 4. fino alla stagione matura dove il rinascere dei «dolci affanni», che solo sembravano perduti, s’intreccia alla riflessione sulla tenacia delle illusioni medesime, che tendono sempre a ritornare e a incantare gli umani.
Le tesi fondamentali del DCI [3] • In Italia i fondamenti ‘classici’ della morale sono svaniti, né più né meno come nel resto del mondo. Ma la società stretta non si è formata: ci sono abitudini, certo, e soprattutto il passeggio (favorito dal clima) , gli spettacoli e le cerimonie religiose. Ma per la mancanza di luoghi di vera sociabilità, e per l’assenza di un centro ‘politico’, ciascuno italiano fa tuono e maniera a sé. Di ‘costumi’, propriamente, non si può parlare • Gli Italiani sono meno colti degli altri Europei nelle materie filosofiche, ma sono ‘filosofi nella pratica’, cioè cinicamente distaccati dalle convenzioni sociali e dall’opinione pubblica. Alla vita stessa non viene dato un gran valore, e gli Italiani tendono a vivere giorno per giorno, senza impegnarsi seriamente in imprese utili alla collettività, obiettivi professionali e via dicendo.
Le tesi fondamentali del DCI [4] Nella società stretta anche il filosofo più disincantato non può fare a meno di vivere come se il mondo valesse qualcosa. D’altra parte l’uomo solitario, che vive distaccato dal mondo, vede continuamente alimentate dalla distanze le sue illusioni. Ma gli Italiani vivono in una dissipazione continua senza società, che li rende indifferenti a tutto: perciò ridono della vita e sono soliti riversare sul prossimo scherno e disprezzo. Questo è un comportamento collettivo ben comprensibile [e anzi a tratti condivisibile e condiviso da L. stesso] ma dannoso alla vita comune.
Le tesi fondamentali del DCI [5] La posizione dell’Italia è a metà fra quella delle nazioni più colte e istruite, più sociali e attive d’Europa (Francia, Inghilterra) e quella delle nazioni ancora ‘arretrate’ e ancorate ai vecchi pregiudizi che i Lumi hanno distrutto, insomma legate alla barbarie, perché equidistanti dalla civiltà e dalla natura (Russia, Polonia, Portogallo e Spagna). Eppure l’ignoranza e la superstizione conservano alle nazioni ‘barbare’ un insieme di costumi, un codice morale, che l’Italia non ha più, senza d’altra parte aver raggiunto uno stadio di civiltà sufficiente a maturare un nuovo costume moderno, come alle nazioni d’Europa e d’America più sociali e più vive di lei.
Le tesi fondamentali del DCI [6] L’attribuire agli Italiani un temperamento ‘caldo’, legato al clima mediterraneo, è il frutto di un equivoco. La vivacità naturale del loro carattere, scontrandosi col disinganno dell’esperienza e della cultura, li ha resi al contrario particolarmente freddi. La loro disposizione all’immaginazione si è inaridita in modo più radicale.
L’Epistola al conte Carlo Pepoli L’epistola in versi fu composta a Bologna nel marzo 1826, e letta pubblicamente da Leopardi in una seduta dell’Accademia dei Felsinei, della quale Pepoli era vicepresidente. Il testo uscì nel giugno 1826 nella raccolta dei Versi, stampata a Bologna dalla Stamperia delle Muse, insieme ad alcuni idilli L’edizione comprendeva, nella sezione degli Idilli, traduzioni da Omero e Simonide e altri testi che non vennero poi raccolti nei Canti (N.B. la prima edizione delle lirich eleopardiane raccolte sotto questo titolo uscirà a Firenze nel 1831). Carlo Pepoli (1796-1881) era un giovane nobile di idee liberali, discreto poeta, che di lì a poco, per aver partecipato ai moti del ‘31 (e poi del ‘48) avrebbe trascorso lunghi periodi di esilio. In Francia compose per Bellini il libretto de I Puritani (1835), e a Londra insegnò Letteratura Italiana all’University College.
L’“arido vero” spigato agli amici (cfr. Epistola a Pepoli, 140-49) [da una lettera a Giordani, 6 giugno 1825] Quanto al genere degli studi che io fo, come io sono mutato da quel che io fui, così gli studi sono mutati. Ogni cosa che tenga di affettuoso e di eloquente mi annoia, mi sa di scherzo e di fanciullaggine ridicola. Non cerco altro più fuorchè il vero, che ho già tanto odiato e detestato. Mi compiaccio di sempre meglio scoprire e toccar con mano la miseria degli uomini e delle cose, e d'inorridire freddamente, speculando questo arcano infelice e terribile della vita dell'universo. M'avveggo ora bene che spente che sieno le passioni, non resta negli studi altra fonte e fondamento di piacere che una vana curiosità, la soddisfazione della quale ha pur molta forza di dilettare, cosa che per l'addietro, finchè mi è rimasa nel cuore l'ultima scintilla, io non poteva comprendere.
‘triste meraviglia’ distacco e ‘absence’ riso, satira e finta palinodia
Disposizioni e registri espressivi nell’ultima stagione leopardiana (anni Trenta) Semplificando molto, si può dire che sussistono in parallelo:
La dedica Agli amici di Toscanadell’edizione Piatti dei Canti (Firenze 1831) Sia dedicato a voi questo libro, dove io cercava, come si cerca spesso colla poesia, di consacrare il mio dolore, e col quale al presente (nè posso già dirlo senza lacrime) prendo comiato dalle lettere e dagli studi. Sperai che questi cari studi avrebbero sostentata la mia vecchiezza, e credetti colla perdita di tutti gli altri piaceri, di tutti gli altri beni della fanciullezza e della gioventù, avere acquistato un bene che da nessuna forza, da nessuna sventura mi fosse tolto. Ma […] mi è stato tolto del tutto, e credo oramai per sempre. […] Ho perduto tutto: sono un tronco che sente e pena. Se non che in questo tempo ho acquistato voi: e la compagnia vostra, che m'è in luogo degli studi, e in luogo d'ogni diletto e di ogni speranza, quasi compenserebbe i miei mali, se per la stessa infermità mi fosse lecito di goderla quant'io vorrei, e s'io non conoscessi che la mia fortuna assai tosto mi priverà di questa ancora, costringendomi a consumar gli anni che mi avanzano abbandonato da ogni conforto della civiltà, in un luogo dove assai meglio abitano i sepolti che i vivi. L'amor vostro mi rimarrà tuttavia, e mi durerà forse ancor dopo che il mio corpo, che già non vive più, sarà fatto cenere. Addio. IL VOSTRO LEOPARDI
Le varie edizioni delle Operette disposte da Leopardi 1826: escono a gennaio su l‘«Antologia» (FI) e poi sul «Nuovo Ricoglitore» (MI) tre operette, in forma di anticipazione di una stampa completa. Sono il Dialogo di Timandro e di Eleandro; il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez; il Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare. 1827: esce a Milano per Stella la prima raccolta in volume, dove le Operette sono 20. Apre la raccolta la Storia del genere umano, la chiude il Dialogo di Timandro ed Eleandro. L’ordine di pubblicazione non rispecchia del tutto quello di composizione. 1834: esce a Firenze per Piatti una II edizione, accresciuta del Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere e del Dialogo di Tristano e di un amico. Entrambe composte nel 1832, le operette ‘nuove’ occuparono l’ultimo posto nella raccolta, secondo un ordine che è rimasto invariato. 1835: esce a Napoli per Starita il primo di due volumi che avrebbero dovuto accogliere in tutto 24 operette. Rispetto alle edizioni precedenti viene espunto il Dialogo di un lettore di umanità e di Sallustio. L’edizione fu bloccata dalla censura. 1845: Ranieri cura l’edizione delle opere di Leopardi che esce a Firenze per Le Monnier. Le Operette sono ora 24, come avrebbero dovuto essere già nell’edizione Starita: alle 21 rimaste dell’edizione Piatti vengono aggiunti il Frammaento apocrifo di Stratone da Lampsaco (composta nel 1825), Il Copernico e il Dialogo di Plotino e di Porfirio (entrambe del 1927).
Quali ragioni, più o meno sottili, avevano addotto i lettori di Leopardi contro la posizione espressa nelle sue opere? • non era legittimo, da parte sua, attribuire all’intera specie umana l’isolamento e l’infelicità sue personali [Palinodia 9-13] • non avrebbe dovuto guardare dentro di sé, ma trarre materia per la sua poesia da «i bisogni /del secol nostro» [Palinodia 237-238: e in genere l’VIII strofa]
Quali luoghi comuni dell’ottimismo ‘liberale’ attacca la Palinodia? • la possibilità di raggiungere uno stato di pubblica letizia [21], cioè la felicità universale; • le acquisizioni filosofiche, economiche, sociali del ‘secol nuovo’ [I str.] • le prospettive di progresso illustrate dai giornali [II str.] • la fiducia nel prevalere della ragione sulla forza, della giustizia sull’arbitrio dei potenti e del bene comune sugli interessi particolari [III-IV str.] • la confusione tra un accresciuto benessere (grazie allo sviluppo tecnico, l’uso di beni di consumo più raffinati, nuovi mezzi di trasporto, lo studio di scienze ‘giovani’ come la statistica) e il presunto, felice destino della specie umana; insomma, un nuovo antropocentrismo [IV- V str.] • le mode filosofiche che si avvicendano in continuazione, grazie alla risonanza che questo ‘pensiero debole’ trova fin sulle gazzette (cfr. il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere) [VII str.] • la speranza cieca nelle nuove generazioni [IX str.].
La similitudine della Natura-fanciullo nella VI strofa della Palinodia (134-171) La Natura agisce come un bambino capriccioso, che continuamente, per giocare, mette insieme e distrugge costruzioni di rami e foglie. Non serve quindi che gli uomini impieghino fatica e studio nel tentativo di mettersi al riparo da questo gioco reo [166]. Il meccanismo distruttore della Natura agisce eternamente: per cui ai mali estremi dello stato mortale, vecchiezza e morte [183], il nuovo secolo non potrà rimediare, come non hanno rimediato i secoli passati. Ed è stupido, quindi, cercare di contrapporre alla concreta esperienza dell’infelicità individuale l’utopia di una felicità collettiva.
A chi dice ‘tu’ l’‘io’ de La Ginestra? • la ginestra, fiore del deserto (solitaria, lenta, paziente, innocente …,) nelle strofe I e VII • il secol superbo e sciocco, nella strofa II • la prole dell’uomo, nella strofa IV … e attenzione a non confondere i destinatari del discorso!
L’umana prole e il personaggio di Eleandro (‘colui che ha compassione degli uomini) nelle Operette Come Leopardi, il suo inventore, anche Eleandro è uno scrittore «fuori moda», destinato a scontentare il pubblico con i suoi «scherzi in argomento grave», i meno consoni ad alimentare nei lettori la «stima di se medesimi, primo fondamento della vita onesta, della utile, della gloriosa». Rimproverato da Timandro per il suo «continuo biasimare e derider [...] la specie umana», Eleandro si difende dichiarandosi inabile e impenetrabile all'odio» verso i suoi simili, ma anche non affatto disposto a indossare, come loro, una maschera, a fingere di non aver compreso la «vanità delle cose umane». Ed è proprio la ferma «intolleranza di ogni simulazione e dissimulazione» a sancire la sua eccentricità, condannandolo all’incomprensione e all’isolamento.
La poetica della ‘renitenza al fato’ Da Amore e morte Da La ginestra E tu, lenta ginestra, Che di selve odorate Queste campagne dispogliate adorni, Anche tu presto alla crudel possanza Soccomberai del sotterraneo foco, Che ritornando al loco Già noto, stenderà l'avaro lembo Su tue molli foreste. E piegherai Sotto il fascio mortal non renitente Il tuo capo innocente: Ma non piegato insino allora indarno Codardamente supplicando innanzi Al futuro oppressor; ma non eretto Con forsennato orgoglio inver le stelle, Nè sul deserto, dove E la sede e i natali Non per voler ma per fortuna avesti; Ma più saggia, ma tanto Meno inferma dell'uom, quanto le frali Tue stirpi non credesti O dal fato o da te fatte immortali. E tu, […] Bella Morte, pietosa Tu sola al mondo dei terreni affanni, […] Non tardar più, t'inchina A disusati preghi, Chiudi alla luce omai Questi occhi tristi, o dell'età reina. Ma certo troverai, qual si sia l'ora Che tu le penne al mio pregar dispieghi, Erta la fronte, armato, E renitente al fato, La man che flagellando si colora Nel mio sangue innocente Non ricolmar di lode, Non benedir, com'usa Per antica viltà l'umana gente; Ogni vana speranza onde consola Se coi fanciulli il mondo, Ogni conforto stolto Gittar da me; null'altro in alcun tempo Sperar, se non te sola; Solo aspettar sereno Quel dì ch'io pieghi addormentato il volto Nel tuo virgineo seno.