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Progetto Comenius. Galileo Galilei e il Collegio Romano. I rapporti tra Fede e Scienza. La corrispondenza tra G.Galilei e P. Cristoforo Clavio. Liceo E. Q. Visconti. Classe V ° D. Emanuele Marchetti Nicolò Mariani Nicola Mastrangelo Olimpia Mastrogiacomo Laura Nicolosi
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Progetto Comenius Galileo Galilei e il Collegio Romano I rapporti tra Fede e Scienza La corrispondenza tra G.Galilei e P. Cristoforo Clavio
Liceo E. Q. Visconti Classe V ° D Emanuele Marchetti Nicolò Mariani Nicola Mastrangelo Olimpia Mastrogiacomo Laura Nicolosi Alessandra Patrono Stefano Pirrotta Chiara Rotondi Pamphilia Smeriglio Alessandra Tosti Arianna Ulizzi Leonardo Benucci Anjana Castellani Carola Cerrai Virgilio De Bono Gabriele Drudi Thomas Fangel Francesca Romana Fiano Fabia Fleri Nicolò Galeani Luana Ingrosso Leonardo Maltese COORDINATRICE: Prof.ssa D’Aleo REALIZZATO DA: Francesca Romana Fiano con la collaborazione di Virgilio De Bono
Galilei, Galileo(Pisa 1564 Arcetri, Firenze 1642), astronomo, fisico e filosofo che fu una figura fondamentale nella storia del pensiero scientifico. Figlio del musicologo Vincenzo, esperto anche in matematica, Galileo ricevette la prima formazione culturale presso i monaci di Vallombrosa; nel 1581 si iscrisse alla facoltà di medicina dell’università di Pisa, facoltà che il padre lo spinse ad intraprendere come aveva fatto un loro avo, Galileo Bonaiuti, che nel XV sec. si era distinto nell’esercizio dell’arte medica, in onore del quale un ramo della famiglia aveva preso il nome di Galilei; ma il maturare di nuovi interessi per la filosofia e la matematica lo spinse, dopo quattro anni, ad abbandonare gli studi intrapresi e a dedicarsi a queste discipline. Durante questi anni ebbe modo di impadronirsi della fisica aristotelica seguendo i corsi di F.Bonamico. Le sue prime indagini nel campo della fisica lo portarono a determinare tra il 1585 e il 1586 il peso specifico dei corpi tramite un congegno chiamato Bilancetta o Bilancia idrostatica simile ad un utensile già in uso presso i mercanti orafi. Ritornato a Firenze nel 1585 scrisse i primi trattati in volgare “Theoremata circa centrum gravitatis solidorum” sulla determinazione dei baricentri e “La Bilancetta”, progetto per uno strumento per la determinazione del peso specifico dei corpi, simile ad un utensile già in uso presso i mercanti orafi. Nel 1587 avviene a Roma il suo primo incontro con Padre Cristoforo Clavio e con l’ambiente del Collegio Romano (attuale Liceo Classico E.Q. Visconti). Scrisse le “Lezioni circa l’Inferno di Dante” e si dedicò anche alla teoria dell’impeto. Documento rappresentativo delle sue posizioni, ancora scolastiche, è il “De Motu” (1590), rimasto inedito. Non tralasciò tuttavia gli studi letterari come appariva negli scritti: “Considerazioni sul Tasso” e “postille su Ariosto”. Nel 1589, nonostante non si fosse laureato, grazie alla stima che si era guadagnato e all’aiuto di Guidobaldo dal Monte, ottenne una cattedra all’università di Pisa, dove insegnò matematica per un triennio e continuò le sue ricerche sul movimento e la caduta dei gravi, mediante numerosi esperimenti fatti dal campanile di Pisa [1]. Intanto nel 1591 moriva il padre e Galileo dovette provvedere alla
famiglia, preoccupazione che lo accompagnò per tutta la vita. In seguito al fatto che aveva molti nemici nell’ambiente accademico pisano nel 1592 lasciò la città per trasferirsi a Padova. Vi rimase fino al 1610; qui la Repubblica Veneta gli aveva offerto la cattedra di matematica con uno stipendio maggiore e la possibilità di vivere in un ambiente “vivo e stimolante”. In questo ambiente favorevole, Galileo inventò un “compasso” geometrico-militare per calcolare la soluzione di problemi balistici e realizzò numerosi esperimenti che lo condussero alla scoperta delle leggi che regolano la caduta libera dei gravi. Con l’aiuto dei suoi studenti, che faceva partecipare ai suoi esperimenti, riuscì a dimostrare che la curva di un proiettile è la risultante delle forze d’impulso e di gravità e formulò la legge dell’inerzia preparando la strada a Newton. Per quanto riguarda l’astronomia, dichiarò la sua adesione alla teoria copernicana sin dal 1597 e, in contrapposizione alla teoria geoastatica del cosmo elaborata da Tolomeo, promulgò una teoria delle maree che prevedeva il movimento della terra [2]. In questi anni conobbe Marina Gamba da cui ebbe due figlie, Virginia nel 1600 e Livia nel 1601 e un figlio Vincenzo, nel 1606. Negli ultimi mesi nel 1608 erano stati costruiti in Olanda da maestri artigiani i primi esemplari di cannocchiali. Galileo ne ebbe notizia e secondo la sua stessa testimonianza: “mi posi a pensar sopra ne problema e la prima notte dopo il mio ritorno (a Padova) lo trovai, ed il giorno dopo fabbricai lo strumento”. Dispute sulla priorità si ebbero allora ed in seguito: merito di Galileo non fu tanto di avere inventato il cannocchiale,quanto di averlo perfezionato e di averne intuite le profonde applicazioni Cannocchiale, quanto di averlo perfezionato e di averne intuite le profonde applicazioni in astronomia. Il 25 agosto del 1609 Galileo presentò il cannocchiale al Doge di Venezia, dopo aver dato pubblici saggi della potenza del cannocchiale dal campanile di San Marco. In quei mesi puntò il cannocchiale verso il cielo e la luna gli apparve non “ di superficie uguale, liscia e tersa, bensì “ aspra e disuguale ripiena di eminenze e di cavità simili, ma assai maggiori, ai monti ed alle valli”. Le osservazioni del satellite nelle sue fasi ed esposizioni alla luce solare ne rendeva evidenti i crateri.
Nella notte tra il 7 e il 12 gennaio del 1610, Galileo, rivolto lo strumento su Giove, scorge quattro dei suoi satelliti, ne segue le traiettorie e ne coglie il significato dinamico. E’ una conferma dell’ipotesi copernicana. Confessando il suo stupore redige il “Sidereus Nuncius” (12 marzo 1610) lo dedica a Cosimo II. I satelliti di Giove sono detti Medicei in suo onore. Nel 1610 Cosimo II dei Medici, granduca di Toscana, gli conferisce la carica di matematico primario dello studio di Pisa. Ciò gli permise di trasferirsi a Firenze e di dedicarsi completamente ai suoi studi. Le sue scoperte gli diedero un gran successo, ma anche l’ostilità dell’ambiente filosofico. Nel marzo del 1611 Galileo va a Roma dove divulga le proprie tesi che vengono in gran parte recepite da O. Van Maelcote [3] in un discorso ufficiale nel Collegio Romano, dove è accolto benevolmente dagli astronomi gesuiti tra cui Padre Clavio[4]che verificano le sue scoperte e le accettano ; è accolto anche dal papa Paolo V, festeggiato da F. Cesi ed eletto accademico dei Lincei. [5] Il contrasto con i teologi della curia romana si inasprì ulteriormente con la pubblicazione, nel 1612, di un’opera sulle macchie solari in cui Galileo faceva aperta professione delle teorie copernicane, considerate eretiche perché in contraddizione con il contenuto della Bibbia. Nel 1614 un sacerdote fiorentino, Niccolò Lorini, denunciò i seguaci di Galileo dal pulpito; Galileo rispose con una lunga lettera nella quale affermava che il conflitto tra il pensiero scientifico e l’interpretazione dei testi sacri non era sintomo di una duplice verità, bensì di una non corretta interpretazione di questi ultimi e che sarebbe stato un grave errore elevare qualsiasi posizione scientifica a dogma della Chiesa, così come era avvenuto per la teoria aristotelica o per il sistema tolemaico. Nel febbraio del 1616 Lorini citò lo scienziato presso il Santo Uffizio, denunciandone sia il copernicanesimo, sia il modo di intendere il rapporto scienza-sacre scritture [6] . Sempre nel 1616 il cardinale gesuita Roberto Bellarmino intimò a
Galileo di ripudiare la teoria sul motodella Terra. Galileo restò in silenzio peranni, lavorando a un metodo per determinare le longitudini sul mare in base alla posizione, da lui prevista, dei satelliti di Giove e riprendendo gli studi precedenti sulla caduta dei corpi. Espresse le sue opinioni sul metodo scientifico nel “Saggiatore” (1623) che, sebbene contenesse un’interpretazione non corretta del fenomeno delle comete, fu accolto benevolmente dal nuovo pontefice Urbano VIII. Nel 1624, incoraggiato dal credito ottenuto, iniziò un’opera che voleva chiamare “Dialogo sulle màree”, in cui le teorie tolemaica e copernicana venivano esaminate alla luce della fisica delle maree. Nel 1630 il libro ricevette il visto per la stampa dai censori della Chiesa di Roma e fu pubblicato due anni dopo col titolo “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” [7] .L’inquisitore di Firenze dette ordine di sospendere la diffusione dell’opera e, nell’ottobre del 1632, venne intimato a Galileo di trasferirsi a Roma e mettersi a disposizione del Sant’Uffizio.Galileo, dopo aver cercato di prender tempo adducendo motivi di salute, fu costretto a venire a Roma [8]. Costretto ad abiurare, venne condannato al carcere a vita, rapidamente commutato negli arresti domiciliari permanenti ad Arcetri perché vecchio e malato. Fu ordinato, inoltre, che il “Dialogo” venisse bruciato e che la sentenza contro lo scienziato fosse letta pubblicamente in tutte le università. L’ultimo libro di Galileo “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica” pubblicato nel 1638 a Leida, in Olanda, riesamina e perfeziona gli studi precedenti sul movimento e, in generale, i principi della meccanica. Quest’opera aprì una strada che avrebbe portato Newton a formulare la legge della gravitazione universale, collegando le leggi di Keplero sui pianeti alla fisica-matematica di Galileo. Muore ad Arcetri, nel suo “continuato carcere ed esilio” l’8/1/1642.Le sue spoglie vengono deposte a Santa Croce a Firenze nel 1736. Intorno al 1870, con la pubblicazione completa dei documenti del processo a Galileo, l’intera responsabilità della condanna dello scienziato fu attribuita alla Chiesa, trascurando il ruolo svolto dai professori di filosofia del tempo che, per primi, persuasero i teologi del contenuto eretico della scienza di Galileo. Un’indagine sulla condanna dell’ astronomo, con
la richiesta di cancellarla, fu ordinata nel 1979 da papa Giovanni Paolo II e si concluse nell’ottobre del 1992 con il riconoscimento, da parte della commissione papale, dell’errore del Vaticano. Clavio (Clavius) Christoph, matematico ed astronomo tedesco, nato a Bamberga (Baviera) nel 1537, gesuita dal 1555, studiò a Coimbra ed insegnò matematiche nel Collegio dei Gesuiti a Roma. Godette la stima dei papi Gregorio XIII e Sisto V; ebbe corrispondenza con Tycho Brahe e con G.Antonio Magini (matematico, astronomo ed astrologo padovano, professore a Bologna) e strinse amicizia nel 1611 a Roma con Galileo. Se eccessivo è il titolo, datogli da alcuni, di Euclide del XVI sec. egli merita tuttavia di essere ricordato per la sua edizione latina degli “Elementi” con note originali e per la sua collaborazione alla riforma Gregoriana del calendario (1582). Le sue opere, più volte ristampate, sono raccolte nell’edizione del 1612 di Magonza in 5 vol.dal titolo: “Opera matematica.”
NOTE 1-Osservando le oscillazioni di una lampada nel duomo di Pisa constatò che la durata era sempre la stessa , nonostante divenissero ogni volta meno ampie. Dopo altre prove concluse che le oscillazioni del pendolo permettono di scandire il tempo, scoperta sulla quale è basato il funzionamento degli orologi. Era inoltre la prima applicazione del metodo sperimentale che darà il via alla scienza moderna. Attirato dallo studio della matematica, lasciò dopo tre anni l’università di Pisa per tornare a Firenze, dove il matematico Ricci gli trasmise l’amore per Archimede. 2-Pare che l’idea fosse maturata nella mente di Galileo mentre viaggiava verso Venezia su di una imbarcazione che trasportava acqua dolce ad uso della città; egli osservava che al rallentare della nave a causa della frizione dello scafo contro le secche il livello dell’acqua nella barca si sollevava nel verso in cui essa procedeva incontrando il bordo del recipiente che la conteneva e successivamente continuava ad oscillare. La stessa cosa sarebbe dovuta accadere all’Adriatico, racchiuso dalle coste che lo circondano, se il moto del Mediterraneo, o della Terra intera, non fosse stato uniforme. L’acqua, infatti, tendendo a conservare il proprio moto iniziale, si sarebbe ammassata in maggior quantità verso quelle coste che ne avrebbero ostruito il flusso prodotto dalla disuniformità del moto della Terra. Tutto ciò ci dice non soltanto che Galileo in realtà intuì già la legge della conservazione del moto molto prima delle sue esperienze di laboratorio sul moto, ma anche e soprattutto, che egli pensava di avere scorto nelle leggi del moto applicate alle maree una prova decisiva in favore del moto della Terra, e quindi della teoria di Copernico. Oggi sappiamo che Galileo nella sua teoria sulle maree aveva torto, perché esse in realtà sono prodotte dall’attrazione gravitazionale della luna e, in misura minore del Sole, sulle masse fluide della Terra; ma Galileo non affrontò mai nella sua attività scientifica il problema della descrizione matematica della gravità (i suoi strumenti matematici del resto erano inadeguati) e, pur ammettendone l’esistenza, ammise di non capirne l’ “essenza”.
5-I matematici del Collegio romano (tra cui primeggiava C. Clavio), che inizialmente erano stati, ostili alle sue scoperte, lo accoglievano ora con favore e si mostravano persuasi dalla validità delle osservazioni astronomichesvolte con il telescopio come testimonia al seguente lettera di Galileo a F. Salviati.Molto Illustre Signor mio OsservandissimoNon avendo io tempo di scrivere a tutti gli amici e padroniparticolarmente, scrivendo ad un solo farò conto di scrivere a tutti. Io sono stato favoritoda molti di questi illustrissimi Sigg. Cardinali, Prelati e diversi Principi, li quali hanno voluto vedere le mie ossèrvazioni e sono tutti restati appagati, sì come all’incontro io nel vedere le loro maraviglie di statue,pitture, ornamenti di stanze, palazzi, giardini ecc. Questa mattina sono stato a baciare il piede a Sua Santità, presentato dall’Illustrissimo ed Eccellentissimo Sig. Ambasciator nostro, il quale mi ha detto che io sono stato straordinariamente favorito, poiché Sua Beatitudine non comportò, che io dicessi pure unaparola in ginocchioni. Tra i litterati reputati in queste corti, ne ho trovati alcuni veramente dotti, ma anco all’incontro de’ molto sori, come a bocca sentirà V. S. Circa al mio particolare, tutti gl’intendenti sono a segno, e in particolare i Padri Gesuiti, come per alcuni segni evidenti conoscerà ognuno in breve. G.Galilei, lettera a Filippo Salviati, da Roma, 22 Aprile 1611 3- Odon van Maelcote fu il più deciso, tra gli accademici del Collegio, nello spingere la Compagnia ad accogliere i nuovi sviluppi in astronomia e, almeno in parte, le loro implicazioni cosmologiche. 4-Vita di padre Clavio-vedi pag 7 6-ll preoccupante allargarsi delle polemiche, dal piano astronomico matematico a quello fisico e a quello religioso, indusse il Santo Uffizio a passare ai teologi (la faccenda copernicana). Questi, il 24 febbraio del 1616, dichiararono all’unanimità: 1) «assurda e falsa in filosofia formalmente eretica» la tesi eliocentrica; 2) V, assurda e falsa in filosofia» e «per lo meno erronea nella Fede» la mobilità della Terra. In seguito, il 3 marzo 1616, vennero poste all’indice l’opera di Copernico e di altricopernicani, ma non si fece cenno di Galileo, dato che le sue «lettere copernicane » pur essendo abbastanza note, erano un fatto di natura “privata”.
7-Premise al lavoro una prefazione in cui si faceva chiaramente capire al lettore ch’egli aveva scelto la formula del dialogo per sfuggire all’Inquisizione. Il dialogo è fra due sostenitori del sistema copernicano e un paladino di quello tolemaico.Galileo chiama costui Simplicio, come sinonimo di sempliciotto, e gli fa proferire tutti gli argomenti che i suoi avversari Gesuiti avevano svolto contro di lui, facendoli apparire come sofismi (quali del resto erano). Simplicio alla fine vince in forza di un assioma definitivo: la ragione di Dio, dice, ha delle ragioni che la ragione dell’uomo non può comprendere. Quindi è inutile cercar di capire che cosa ha fatto e come lo ha fatto: non resta che accettarlo nel suo imperscrutabile mistero. Ma questo era in realtà ciò che in precedenza aveva detto il Papa. E uno degli altri due interlocutori così lo commenta con evidente sarcasmo:«Mirabile e veramente angelica dottrina».I Gesuiti, che non aspettavano altro, mostrarono il passaggio a Urbano facendogli rilevare che Galileo aveva posto le sue parole in bocca a uno stolto. E il Papa, sentendosi (con qualche ragione) tradito e beffeggiato dal suo protetto, lo abbandonò alla furia del Sant’Uffizio. 8- Durante il processo la famosa frase “ep pur si muove” non fu mai pronunciata da Galileo, ma fu inventata nel 1757 a Londra dal giornalista Giuseppe Baretti. In realtà il 22/6/1633 nel convento di S. Maria sopra Minerva, udita la sentenza, Galileo ringraziò i dieci cardinali ( tre dei quali avevano votato perché fosse prosciolto) per la mitezza della pena. Al termine della vita Galileo lasciò scritto: “ In tutte le opere mie non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cose che declini dalla pietà e dalla reverenza di Santa Chiesa”. Morì con la benedizione del Papa e ricevendo l’indulgenza plenaria.
Il conflitto tra scienza ed etica: un conflitto che è sempre esistito a partire dalla nascita della scienza e di cui due momenti significativi sono rappresentati dalla figura di Galileo Galilei , forse il primo scienziato trovatosi a dover affrontare le forti divergenze teologiche tra le proprie scoperte ed i dogmi della Chiesa, indiscussi ed indiscutibili, e i nostri tempi, in cui i recenti progressi scientifici hanno messo in discussione sotto tanti aspetti il valore stesso della vita. Ai tempi di Galilei infatti la Chiesa aveva un’ importanza enorme all’interno della politica in Italia, una grande influenza su re ed imperatori europei, e soprattutto sulla coscienza della gente. I suoi fondamenti religiosi costituivano i limiti, invalicabili, oltre i quali nessuno poteva spingersi. E la Chiesa stessa era giudice di ciò che si poteva o non si poteva fare. Naturalmente Galileo , mettendo in discussione uno dei dogmi fondamentali, secondo cui il sole girava intorno alla terra, attirò su di sé le ire dell’Inquisizione, che lo costrinse ad abiurare. Ai giorni nostri l’influenza della Chiesa non è più così forte come ai tempi di Galileo Galilei , non tanto da limitare la libertà personale di pensare e dire ciò che si vuole; ciò nonostante esiste, anche nella società moderna, una coscienza morale, non sempre ben definita ed uguale per tutti, che può trovarsi in qualche modo in conflitto con la scienza. I progressi scientifici che sono stati portati avanti in questi ultimi anni vanno direttamente a toccare i valori fondanti dell’uomo e della vita, della libertà personale, dei diritti e dei doveri di ciascuno verso gli altri. Il problema dell’aborto, quello dell’eutanasia, l’altro della clonazione e di eventuali mutazioni genetiche che la scienza può o potrebbe un domani programmare ne costituiscono gli esempi più vistosi e conosciuti. Qual è, ad esempio, il limite della donna di scegliere se procreare o no?Qual è, riguardo a tale diritto, il diritto del feto a svilupparsi e a nascere? Esiste nell’uomo il diritto di scegliere il tempo ed il modo della propria morte, quando una malattia incurabile e dolorosa lo condanni ad una morte certa che Il rapporto tra fede e scienza
può essere solo anticipata? Può la scienza riprodurre l’uomo, quasi sostituendosi o affiancandosi a Dio o alla natura e alle sue leggi eterne? Questi sono soltanto alcuni dei problemi del rapporto tra scienza ed etica che rimangono tuttora irrisoluti. Credo che converrà , non operando più in questa materia la funzione arbitrale della chiesa cattolica, che si arrivi ad un grande accordo internazionale tra gli stati che regolamenti i problemi; oppure che regole comuni siano stabilite da una grande organizzazione sopranazionale; se questo non dovesse accadere, la scienza rischierebbe di uccidere l’etica. ALESSANDRA PATRONO Dai tempi di Galileo Galilei c’è sempre stato un conflitto tra la Chiesa e le nuove e rivoluzionarie scoperte scientifiche che mettevano in dubbio tutto ciò in cui si era creduto,ma sopratutto tutto ciò che la Chiesa aveva insegnato come verità che non poteva assolutamente essere smentita. Ma le teorie della Chiesa lentamente furono messe in discussione, e anche il popolo, che era sempre stato obbediente alle decisioni ecclesiastiche ed era andato contro quelli che osavano teorizzare vie diverse, iniziò a porsi dei dubbi cosicché anche la Chiesa dovette accettare le teorie che erano state dimostrate come vere. Tutto questo successe secoli fa, ma il conflitto tra etica e scienza è rimasto: restiamo tutti un po’ perplessi quando si parla di biogenetica, di clonazione, ma, se affrontiamo il problema dal punto di vista scientifico, ammettiamo che sono importantissime scoperte che potrebbero ridurre, per poi eliminare quasi del tutto, la fame nel mondo e la mortalità infantile. D’altra parte usare la biogenetica e la clonazione vorrebbe dire andare contro natura, e quindi è più che normale che le persone si pongano dei dubbi o che siano addirittura contrarie a questo tipo di modificazioni genetiche. Al tempo di Galilei il conflitto era tra Chiesa e scienziati, ora invece il conflitto maggiore è dentro ognuno di noi, perché le scoperte di oggi non sono dimostrabili come vere o false, ma possono forse portare ad un mondo migliore; ma noi, come possiamo essere certi che sia giusto farne uso?E come possiamo sapere che queste scoperte possano realmente salvare delle vite umane e che poi non verrebbero usate nella
maniera sbagliata,come successe con l’energia nucleare,che invece di portare benessere ha portato distruzione e morte? Purtroppo la scienza,che dovrebbe essere per definizione una materia certa, è invece molto vaga e insicura e ci lascia molti dubbi che, per adesso, sono difficili da chiarire. ARIANNA ULIZZI Nel momento in cui Galileo conduceva i suoi esperimenti e raggiungeva la verità scientifica apparve chiaro che questa contrastava con la dottrina ufficiale della Chiesa che considerava l'universo come l'emanazione della potenza creatrice di Dio e riteneva che nello studio del mondo (fisica) non si poteva prescindere dai contenuti dottrinali della rivelazione (metafisica). Insomma, il "fermati, o sole" della Bibbia, al fine della conferma dell'ipotesi geocentrica, era considerato prova ben più importante che i mille calcoli matematici su cui si fondava il modello eliocentrico di Copernico. In più si aggiungeva da parte della chiesa cattolica la preoccupazione di salvaguardare davanti ai fedeli l'autorità della sua tradizione interpretativa: si considerava tanto pericoloso abolire il vincolo dell‘ “ipse dixit" che nemmeno si discusse della bontà del metodo scientifico basato sull'osservazione dei fenomeni da cui scaturisce l'elaborazione di una teoria che a sua volta deve essere verificata con l'esperimento al fine di giungere alla formulazione di leggi generali. Galileo ha consapevolezza del valore e della novità del suo pensiero e del suo metodo, e si sforza di portare la chiesa ufficiale su posizioni che rendono accettabili i suoi principi. Ma la sua proposta di fondare la conoscenza di Dio sulla comprensione della natura da parte dell'uomo, cioè sulla scienza, di "finalmente adattare la filosofia al mondo della natura", venendo a negare il principio di autorità, ad opporre alla verità rivelata la verità scoperta dell'uomo, affermando una libertà critica che, se esercitata anche nei confronti delle verità morali, avrebbe potuto mettere in discussione i principi stessi sui quali la chiesa fondava il suo edificio teologico e politico, fu dalla chiesa respinta. Eppure Galileo ha cercato una conciliazione tra fede e scienza, tra verità naturali e proposizioni delle sacre scritture. Queste, secondo quanto Galileo scrive nel 1615 alla gran duchessa
Cristina di Lorena, hanno fini diversi da quelli cui aspira la scienza, in quanto tendono alla salvezza dell'anima e non alla conoscenza della natura. D'altra parte nella Bibbia Dio parla come si conviene alle illimitate capacità dell'umana comprensione, sicché le sacre scritture sono una cosa per ciò che dicono e un'altra per come lo dicono. Insomma è solo apparente la discordanza fra scienza e fede poiché, per adeguarsi alle limitate capacità degli uomini, le sacre scritture hanno dovuto dire cose molto diverse dal vero scientifico, quel vero scientifico che solo la scienza è in grado di scoprire attraverso il ragionamento razionale e matematico elaborato dall'intelletto umano. Quest'ultimo, nel Dialogo sui massimi sistemi è detto che non possa naturalmente competere con quello di Dio per quanto riguarda l'estensione delle conoscenze; ma la conoscenza che si realizza attraverso il rigore delle scienze matematiche non ha nulla da invidiare alla fondatezza e alla certezza della conoscenza divina, tanto più che la scienza è inarrestabile e infinita quanto Dio, come sostenuto ancora nella lettera a Cristina di Lorena. Nonostante la prudenza e la passionalità di Galileo era inevitabile che si arrivasse allo scontro: una scienza neutra e indipendente, il cui compito sia quello di arrivare per via di ipotesi a conclusioni certe e non a verità assolute, non poteva piacere a quella autorità che doveva controllare una scienza implicata nella filosofia e nella metafisica, nonché nelle concezioni generali del mondo. Ancora oggi del resto la scienza neutra è un mito: chi controlla una autorità che decide l'uso di una scoperta scientifica? E infine, se oggi la scienza è autonoma rispetto alla fede, lo è rispetto a chi la finanzia? STEFANO PIRROTTA Da sempre l’uomo per rispondere alle proprie domande può seguire due diverse vie: la via religiosa, basata sulla fede in verità trascendenti, e la via razionale, basata sull’osservazione del mondo e sul ragionamento. La “scienza” è, infatti, il sapere umano basato su fatti oggettivi e razionali che, se fino al seicento e alle opere di Galileo Galilei è rimasta strettamente intrecciata con la religione, dopo non lo è
stata più. Infatti, Galileo, Bacone, Keplero, Newton e Descartes sono i protagonisti principali di una sorta di movimento intellettuale che, in tempi e forme diverse, rifiutò la tradizione e si propose di indagare sistematicamente la realtà con uno spirito nuovo, uno spirito “scientifico”.Anche se nello scontro con la Chiesa Galileo, che sosteneva che fosse la terra a girare intorno al sole e non il contrario come si era sempre pensato, sostenne sempre che la Fede e la Scienza non si sovrappongono mai, trattandosi di due forme di coscienza diverse che indagano due realtà completamente differenti, lo scontro fu inevitabile; in ogni modo i “mea culpa” non sono tutti da accreditare alla Chiesa; è evidente che Galileo fu vittima di un’ingiustizia, ma è anche vero che nella nostra esperienza quotidiana l’immediata percezione è proprio che sia il sole a muoversi, e non vi è nulla che renda evidente il contrario, quindi non c’è da stupirsi che la Chiesa avesse qualche difficoltà ad accettare certe teorie. E’ intuibile che, nonostante la distinzione di Galilei, la Scienza, con la sua pretesa d’essere fonte di certezza oggettiva, fosse vista fin dall’inizio come una concorrente della Fede. Dal canto suo Galileo era piuttosto esplicito nelle pretese di sottrarre all’autorità delle Scritture i risultati della ricerca scientifica.In ogni caso non solo nel Seicento ma anche oggi la Scienza è in contrasto con la Chiesa, basti pensare al problema della clonazione o alle sperimentazioni biogenetiche. Si narra che il martedì grasso del 1632 nelle piazze d’Italia girava questa stornellata popolare:“Il saggio Galileo diede un’occhiata al cieloe disse: “Nella Genesi non c’è nulla di vero! bel coraggio! Non è cosa da poco:oggi queste eresie si diffondono come malattie. Che resta se si cambia la Scrittura? Ognuno dice e fa quel che gli comoda senza aver più paura.Se certe idee fan presa, gente mia, cosa capiterà? Non ci saran più chierici alla messa, le serve il letto non vorran più fareBrutta storia! cosa da poco il libero pensiero attaccaticcio come un epidemia.Dolce la vita, l’uomo irragionevole,e tanto per cambiare far quel che ci talenta è assai piacevole! Pover uomo che dall’etàremotaobbedisce al Vangelo, a chi governa
a porgi l’altra gotaper conquistar la ricompensa eterna,per obbedire più, è tempo ormai di vivere ognuno a suo vantaggio”Mentre il cantastorie si ferma, ecco apparire un fantoccio di grandezza superioreall’umana, Galilei che si inchina verso il pubblico. Davanti a lui un bimbo porta una gigantesca Bibbia aperta, dalle pagine cancellate, e il cantastorie ripete: “ECCOGALILEO GALILEI L’AMMAZZA-BIBBIA!” (B. Brecht : Vita di Galileo) LUANA INGROSSO
DA GALILEO GALILEI A CRISTOFORO CLAVIO IN ROMA.FIRENZE, 8 GENNAIO 1588LETTERA42In questa lettera datata 8 Gennaio 1588, che inizia la corrispondenza tra Galileo e Padre Cristoforo Clavio, scienziato del Collegio Romano, il matematico fiorentino chiede alcuni pareri al gesuita circa il modo di considerare le medesime grandezze in diverse bilance. Il Galilei riesce a dimostrare tale assunto solo per induzione, il che non lo soddisfa, sul centro di gravità del “conoidale rettangolo”, poi sui “frustri di conoidale”. Il testo del Lemma cui si fa riferimento non è unito alla lettera come anche il teorema che più avanti Galilei dice di aver lasciato a Clavio quando lo aveva visitato. Risulta che questi testi si trovassero nel Collegio Romano ancora alla metà del secolo XVII. Da questa e dalle successive lettere il Lemma si identifica con quello relativo alla determinazione del centro di gravità del “conoidale rettangolo”, il cui testo originale fu pubblicato nell’edizione delle Opere di Galileo. Lo scienziato avvisa Cristoforo Clavio che a portare la lettera, e le eventuali future, sarà un tale Cosimo Concini, appartenente a una nobile famiglia fiorentina, che scelse la vita ecclesiastica e si recò a Roma dove divenne funzionario di curia come referendario apostolico, poi ambasciatore di Ferdinando I. Inoltre gli scrive della sua impazienza nell’attesa dell’uscita di un trattato del gesuita sullariforma del calendario. La corrispondenza tra G.Galilei e P. Cristoforo Clavio
42 Galileo Galilei a Cristoph Clavius in Roma Firenze, 8 gennaio 1588 Molto Mag.co et Rev.do mio S.re Parmi hor mai tempo di rompere il silenzio sin qui usato con V S M R da che mi partii di Roma, si per rinfrescarli nella memoria il desiderio che ho di servirla, come ancora per darle occasione di satisfare al desiderio mio che è d’intender nuova di lei: et sentire di parer suo circa alcune mie difficoltà; delle quali una é questa che con la presente gli mando, intorno alla dimostrazione dell’infrascritto Lemma, la quale desidero saper da lei se interamente gli quieta l’intelletto; atteso che alcuni à i quali qui in Firenze l’ho mostrata dicono non ci haver l’intera satisfazione, non tollerando volentieri quel doppio modo di considerare le medesime grandezze in diverse bilancie, come benissimo V S M R nella dimostrazione scorgerà. Io ho cercato molti giorni con diligenza qualche altra dimostrazione, ma non trovo cosa alcuna, salvo che à dimostarla per induzione, il qual modo di dimostrare à me non satisfà molto. Io sono per anteporre il parere di V S M R ad ogn’altro et se la vi si quieta, me vi quieterò io ancora, quanto che no tornerò à cercare altra demostrazione: però desidero che quanto prima mi favorisca scrivermi l’opinion sua. Io credo che nella dimostrazione di quel teorema del centro della gravezza del frusto del conoidale rettangolo che lasciai a V S M R vi sia una scorrezione, poi che è ancora nell’originale d’onde la copiai: et dove credo che dica. Quam autem rationem habet composita ex tripla ns. et tripla sx. ad compositam ex ns. et dupla sx. si deve leggere. Quam autem rationem habet composita ex ns. et dupla sx. ad compositam ex tripla utriusque simul ns. sx. Questa scorrezione è di poca importanza, ma se ci fossero errori di momento desidero che la mi favorisca avvertirmene. Credo che questo che li porgerà la presente sarà l’IlI.re S. Cosimo Concini mio onorevolissimo padrone nella cui grazia desidero esser conservato con il favore di V S M R che sò che in ciò varrà assaissimo, et al medesimo volendo degnarsi di rispondermi, potrà consegnare le sue, et esso per sua cortesia si prenderà diligente cura che io le habbia. Sto aspettando intendere che il suo trattato sopra l’emendazione dell’anno sia uscito in luce, et con questo fine pregandola ad amarmi,
comandarmi, et ricordarsi di me nelle sue orazioni, le bacio le mani. Di Firenze, il di 8 di Gennaio 1587 Di V S M R Prontissimo Servitore Galileo Galilei. Al molto Rev.do P.re et mio S.r Colendissimo Il P.re Christoforo Clavio Matematico Eccell.mo Roma
DA CRISTOFORO CLAVIO A GALILEO GALILEI IN FIRENZE. ROMA, 16 GENNAIO 1588 LETTERA 43 Cristoforo Clavio, dopo aver ringraziato Galilei di una lettera ricevuta tempo prima, inizia a rispondere al quesito postogli dallo scienziato. Premettendo che non seguiva questi studi di centro-barica, ai quali si era dedicato, da “molto tempo”, dice di essere d’accordo con le teorie dello scienziato, visto che in parte coincidevano con quelle di Archimede. Pensa quindi che la dimostrazione di Galilei sul centro di equilibrio delle bilance stia procedendo bene, anche se il proprio parere, a detta sua, conta poco. Ringrazia poi Galilei di una correzione su una sua dimostrazione, che lo scienziato pisano gli aveva inviato tempo prima. Non aveva avuto però il tempo di sperimentare questa nuova dimostrazione, ma aspettava l’occasione buona per rinfrescarsi la memoria su quello studio, e provare la teoria di Galilei. Parla poi del Calendario, che aveva terminato, ma che voleva rivedere col Cardinale di Mondevi che era molto impegnato e, al momento, non se ne poteva occupare. Lo voleva però riesaminare ed eventualmente ampliare, come aveva intenzione di fare anche con l’ “Euclide”. Conclude dicendo di non aver incontrato Cosimo Concini, quando gli era stata recapitata la lettera; questi sarà il corriere della loro corrispondenza. Conclude mettendosi a completa disposizione di Galilei.
43 Christoph Clavius a Galileo Galilei in Firenze Roma 16 gennaio Molto Mag.co S.or mio oss.o Ho ricevuto la lettera di V.S., a me gratissima per intendere come si ricordi tanto particolarmente di me, si come lo fo anco io di lei. Circa il suo lemma dirò brevemente quello che mi pare, benche adesso sto molto rimoto di queste speculationi de aequiponderantibus, le quali, come V.S. sà bene, ricercono grande attuatione: ma però, per sodisfarla, dirò il mio parere. Il supposto, adunque, mi piace. Ma quanto alla dimostratione, non mi da fastidio quel doppio modo di considerare le medesime grandezze in diverse bilancie, perche Archimede fa quasi il medesimo nella propos. 6. del lib. 1. de aequiponderantibus; ma quando, nella libra ad, nel d, pende la massima et nel a, la minima, suppone V.S. che al hora il medesimo punto x sia il punto dell’equilibrio di tutte, si come il medesimo x, si pone il punto dell’equilibrio quando la massima pende nel a, et la minima nel b, nella libra ab. Il che pare che ricerca d’essere dimostrato, altrimente mi pare, quod petitur principium. Se costasse che ‘1 punto x, fosse il punto dell’equilibrio nella libra ad, si come gl’è nella libra ab, mi pare secondo il mio poco giuditio, (stando adesso così remoto di queste speculationi) che la sua dimostratione proceda bene. La ringratio poi della correttione della dimostratione del centro gravitatis del frusto del conoidale rettangolo, à me mandata. Io non ho ancora havuto tempo di vedere detta dimostratione. Spetto occasione che passi un poco rinfrescare la memoria di questo studio, et gli scriverà sinceramente, quello che io sentirò. Quanto al trattato del Calendario, l’ho finito, ma l’ho da rivedere co ‘1 Cardinale di Mondevi, il quale è occupatissimo, et trattiene questo negotio. M’avvisi con che via gli potrei mandare uno, quando sarà stampato, chè gli manderò volentieri uno. Vo adesso rivedendolo, con aggiongerle qualche cosetta. Et il medesimo fò nel Euclide, che presto comminciarò di stamparlo. Il S.or Cosimo Concini non ho visto, forse io non ero in casa, quando portò la lettera. Quando lo vedrò, farò l’officio di buon cuore. Con questo fo fine, offrendomi in ogni sua occorrenza potrò. Di Roma allì 16 di Gennaro del 1588. Di V. S. Servo nel Signore Christoph.o Clavio
DA GALILEO GALILEI A CRISTOFORO CLAVIO IN ROMA. FIRENZE, 25 FEBBRAIO 1588. LETTERA 44 Galileo Galilei risponde solo ora alla lettera inviatagli da Cristoforo Clavio, poiché era stato molto impegnato nei suoi viaggi e aveva avuto paura di disturbarlo. Lo ringrazia dell’aiuto che gli ha dato illustrandogli le sue idee; dopo tante ricerche è giunto alla conclusione della sua teoria: il punto di equilibrio è sempre “x” in qualsiasi composto, sito, o grandezza. Anche se i bracci della bilancia sono uno più lungo dell’altro il punto di equilibrio rimane invariato. Galileo invita Cristoforo Clavio a spedirgli una lettera con le sue considerazioni e ad inviargli il calendario tramite Ruggero Ruggeri, maestro delle poste del Granduca di Toscana, che in qualche tempo dell’anno risiedeva a Roma.
44 Galileo Galilei a (Cristoph Clavius in Roma). Firenze, 25 febbraio 1588 Molto Rev.do mi S. Col.mo Ricevetti più giorni sono una di V S R. à me gratissima alla quale non prima che hora ho dato risposta si per essermi convenuto fare alcuni viaggi sì ancora per non l’infastidire sapendo quanto sia di continuo occupata. La ringrazio infinitamente dell’amico affetto che mi hà dimostrato in cortesemente avvertirmi di quello che stima haver bisogno di dimostratione nel mio lemma più giorni sono mandatoli ;et perché sò che con gl’amici della verità quale è V S R. si può et devesi parlare liberamente dirò con brevità quanto in mia difesa mi sovviene. A quello dunque che V S R dice che non gli costa che quando nella libra ad. nel d. pende la massima et nell’. la minima il punto dell’equilibrio deva essere x. si come quando nella libra .ab. in .a. pende la massima et in .b. la minima et che si dà x. essere il punto dell’equilibrio; anzi gli pare che ciò habbia bisogno d’esser dimostrato; rispondo che se noi diamo che del composto di tutte le grandezze l’equilibrio sia .x. quando le parti componenti sono fghkn. del medesimo composto sarà ancora il punto dell’equilibrio il medesimo x. con tutto che io lo consideri esser composto delle parti n.o.r.s.t. atteso che del medesimo composto uno è il punto dell’equilibrio et le sue parti componenti per il diverso modo di considerarle non variano sito ò grandezza; mà forse meglio dichiarera l’intentione mia la figura che con questa gli mando nella quale (e tanto serve al mio bisogno) pongo le grandezze congiunte; posto dunque che di tutto il composto il punto dell’equilibrio sia x. il medesimo indubitatamente sarà ò se io considero tal composto costare delle parti fghkn. o delle parti norst., atteso che o compongasi dell’une o dell’altre parti sempre è idem numero compositum; et quando io lo considero esser composto // delle fghkn. sono le grandezze disposte ordinatamente nella libra .ab. et considerandolo composto delle norst. sono le grandezze con ordine contrario distribuite nella lìbra ad. onde per il postulato che io ponga mi pare poter concludere l’intento mio. Questo è quello che mi fà per ancora credere buona la mia dimostratione, il che quando non satisfaccia al molto giudizio di V S R. preponendolo al mio poco mi affaticherò in qualche altra investigazione.
Intanto V S R. per carità mi farà favore scriverne il suo parere, il quale in questo mezzostarò con desiderio attendendo, come faccio il suo trattato del calendari ;che volendomifavorir mandarmene uno potrà farlo consegnare à M. Ruggiero Ruggieri maestro delle poste del Gran Duca di Toscana che si piglierà diligente cura di mandarmelo. Et qui con ogni reverenza baciandoli le mani la prego ad amarmi et commandarmi, et conservarmì nella grazia del S. Cosimo Concini al che fare sommamente varra il mostrare a V S R. ciò esser grato.Di Firenze,il dì 25 di Febbraio 1588.Di V S M R. Obbligatissimo Servitore Galileo Galilei Al molto Rev.do S.reet mio Pad.ne Col. moil Padre Cristoph. Clavio Roma
DA PADRE CRISTOFORO CLAVIO A GALILEO GALILEI IN FIRENZE. ROMA, 5 MARZO 1588 LETTERA 45 Nella lettera padre Clavio scrive a Galileo che a causa delle sue “continue preocupationi”, non avendo potuto dedicare molto tempo allo studio della materia del centro “gravitatis”, si apprestava a dargli una risposta approssimativa riguardo questa. Tuttavia Galileo non avrebbe dovuto ritenerla certa poiché padre Clavio si sarebbe dovuto dedicare maggiormente allo studio dell’argomento per eliminare ogni dubbio. Segue una dimostrazione fatta da Clavio che si ricollega alla “petitio principii”, argomento su cui avevano discusso in alcune lettere precedenti. Egli conclude la dimostrazione dicendo che avrebbe dovuto dedicare ancora attenzione a questa teoria per renderla certa. Infine si scusa con Galileo per non aver potuto soddisfare pienamente le domande che Galileo gli aveva posto, e promette di intervenire a suo favore presso Cosimo Concini , dicendo di essere sempre pronto a prestare aiuto a Galileo. La lettera si conclude con la benedizione che padre Clavio invia a Galilei.
45 Christoph Clavius a Galileo Galilei in Firenze Roma 5 marzo 1588 Molto Mag.co S.or oss.o Ho ricevuto la risposta alla mia scrittali , et mi dispiace di non potere per le continue mie occupationi attendere con piu studio alla materia del centro gravitatis, per satisfare a V. S. nel suo quesito, come io desidero. Dirò pur quello che mi pare, V.S. però non pigli adesso mia risposta per oraculo, perche come ben sa, chi vole ben rispondere a simili dubii, bisognarebbe che fosse al hora attuato in simile studio, che adesso io non sono. Dico adunque, che mi pare ancora, che egeat demonstratione, che ‘1 punto x, resti il punto del equilibrio nella libra ad. Il postulato suo prova bene, che il punto del equilibrio nella libra ad, dividerà proportionalmente la libra ad, si come ‘1 x divide la libra ab. Ma dirà uno, che ‘1 detto punto nella libra ad, sarà un altra diverso dal x. Et volendo pur V. S. che sia ancora ‘1 x, suppone adunque che sia tale proportione di ax, a xa , quale è da ax à xd; quod est petere principium perche da qui procede tutta la dirnostratione. Se V. S. trova che veramente ‘1 punto x, sia nella libra ad, servisene, perche come dico, io per adesso non posso meglio considerare. A me certo pare, che si doverebbe provare. Perche dicendo l’adversario, che ‘1 punto del equilibrio nella libra ad sia Y, seguitarà per il suo postulato et bene, che sarà bx, ad xa, come aY ad Yd, et cosi mai proverà che bx, sia dupla alla xa. V.S. mi perdoni, se non lo satisfò a pieno, come desidera, per la causa suddetta. Della promessa mi ricordarò, et sarò sempre pronto a servirlo. Nostro Sig.re conservi V.S. nella sua santa gratia. Di Roma, a 5 di marzo dell’anno 1588. Di V.S. Servo in Christo Christoph.o Clavio. Al molto Mag.co S.or Galileo Galilei mio Oss.o Fiorenza.
DA PADRE CLAVIO A GALILEO GALILEI IN PADOVA. ROMA, 18 DICEMBRE 1604 LETTERA 240 Dopo 16 anni dall’interruzione della corrispondenza tra i due, Clavio riprende con questa lettera i contatti con Galileo. Non sappiamo le cause dell’interruzione della corrispondenza; può darsi che gli interessi di Galileo indirizzati in quegli anni alla meccanica più che alla matematica o alla astronomia in senso tradizionale gli facessero rallentare il dialogo scientifico con il gesuita. Clavio comunica che gli avrebbe inviato l’Astrolabio e la Geometria Pratica e chiede di poter ricevere in dono il “Compasso”. Gli parla di come ha descritto nel suo libro il compasso che gli fu mostrato da un “Tedescho”, ma che, dice, gli sembra inferiore a quello che ha inventato Galileo. Gli racconta anche della curiosità che c’è stato attorno allo studio della stella nova. I matematici del Collegio Romano esposero in una conferenza tenuta nel Collegio la sera del 23 dicembre (cinque giorni dopo questa lettera) le loro osservazioni sulla nova del 1604. Infine gli promette che se non avesse avuto ancora il libro della nuova descrizione di “ horiuoli” per via delle Tangenti farà in modo che lo abbia al più presto.
240 Christoph Clavius a Galileo Galilei in Padova Roma 18 dicembre 1604 Molto mag.co S.or mio oss.mo Mi vergogno quasi della mia negligentia, in fare a saper V.S. come molti anni sono, almeno 11, che finito di stampare il mio Astrolabio l’anno 1593 mandai subito uno a lei, et indrizzai al S.or Bali di Siena. Et andando io l’anno 1600 a i bagni di S. Cascìano, et a Siena trovai che ‘1 libro non era mandato a V. S., perche s’era partito da Pisa, senza sapere io niente di questo. Et un gentil huomo Sanese s’ l’ haveva usurpato per se, et pregandomi gli lo donai. Hora perche mi pare molto probabile che gia V. S. l’haverà visto, et se non, m’avisi, che gli manderò uno, che a punto mi restò. lnterim gli mando la Geometria Prattica stampato adesso, benche non è degna di lei, ma lo fò per continuare l’amicitia tra noi. Sono parecchi mesi, mandai a Padova per informarmi, quanto valeva quel suo compasso, e mi fu risposto che V. S. mi volevo mandare uno, il qual dono mi sarebbe gratissimo, se però V. S. mi lo potra mandare senza suo scommodo . Perché, ancorché in questa Geometria Prattica pongo una cosa simile mostratomi d’un certo Tedescho , stimo pur molto più il suo, per la varietà delli usi. Però in questo mi rimetto alla liberalità di V. S. Intendo che il S.or Albertino Barisoni ha procurato di fare far uno, et che V. S. dubitava che era per me: sappi che non è per me, ne manco ho saputo niente. Qui è stato un gran bisbiglio della stella nova, la quale habbiamo trovata nel 17. grado di #SGR#, con latitudine borea di gradi 11/2 in circa. Se V. S. ha fatto qualche osservatione, mi fara piacere d’avisarmi. Il Magino mi scrive d’haverla anco lui osservata nel medesimo grado. Et cosi anco scrivono di Germania, e Calabria . Vegga V. S. se posso niente per lei; et se non havesse havuta il libro della nova descrittione d’horiuoli per via delle Tangenti, insieme con un Compendio brevissimo, me lo significhi, che non mancarò di mandarglilo. Et con questo fò fine, pregandogli da Dio ogni bene. Et li baccio le mani. Da Roma, alli 18 di X.bre del 1604.Di V.S. servo nel s .re affett.mo Christoforo Clavio. Al molto Mag.co S.or Il Signor Galileo Galilei, Mathem. co excellentissimo, mio oss. mo Padova
LETTERA 315 Galileo scrive a P. Clavio dopo un lungo periodo di silenzio, nel momento in cui è tornato a Firenze come matematico di corte presso i Medici. La corrispondenza si era interrotta dopo la lettera di P. Clavio, accompagnata dal dono di una copia dell’Astrolabium, del dicembre del 1604. In quella lettera il gesuita chiedeva a Galileo l’invio di un compasso di proporzione, ma sembra che lo scienziato non abbia risposto, in seguito all’interdizione di Paolo V contro la repubblica di Venezia (aprile-maggio 1606) per cui la Compagnia di Gesù era stata espulsa dallo stato veneto ed era stato proibito ai sudditi della repubblica di tenere contatti con membri della Compagnia di Gesù.Lo scienziato assicura però il suo amico che non è venuta meno la sua “devozione”. Circa l’informazione ricevuta che i gesuiti del Collegio Romano non erano riusciti ad osservare i pianeti medicei con il cannocchiale in loro possesso( costruito da Paolo Lembo) Galileo non si meraviglia: lo strumento forse non era così perfetto, esso inoltre deve essere assai fermo, bastando solo il respiro a renderlo impreciso. Egli comunica che è riuscito a vedere Giove e i suoi pianeti assai chiari fino allo spuntare del Sole e al sorgere di esso 15° sopra l’orizzonte. Comunica questi dati all’amico perché vuole assicurarlo della verità delle sue scoperte e lo informa della sua prossima venuta a Roma. DA GALILEO GALILEI A CRISTOFORO CLAVIO IN ROMA. FIRENZE, 17 SETTEMBRE1610 N. B. – Nell’ottobre-novembre 1610, con il secondo strumento di P.Lembo, i Gesuiti osserveranno i pianeti medicei.
315 Galileo Galilei a Cristoforo Clavio in Roma Firenze, 17 settembre 1610 Molto Rev.do Sig.re mio Pad.ne Col.mo E’ tempo che io rompa un lungo silenzio che la penna più che ‘l pensiero ha usato con V. S. M. R. rompolo hora che mi trovo rimpatriato in Firenze per favore del serenissimo G. D. il quale si è compiaciuto richiamarmi per suo Matematica et Filosofo la causa per che io l’habbia sino à questo giorno usato, mentre ciò è che mi sono trattenuto a Padova non occorre che io particolarmente la narri alla sua prudenza; ma solo mi basterà l’assicurarla che in me non si è mai intepidita quella devozione che io devo alla sua gran virtù.Per una sua lettera, scritta al S. Antonio Santini ultimamente à Venezia ho inteso come ella insieme con uno dei loro Fratelli havendo ricercato intorno à Giove con un’Occhiale de i Pianeti Medicei, non gli era succeduto il potergli incontrare: di ciò non mi fò io gran meraviglia potendo essere che lo strumento ò non fusse esquisito si come bisogna; ò vero che non l’havessero ben fermato, il che è necessariissimo perché tenendolo in mano, benche appoggiato à un muro ò altro luogo stabile, il solo moto dell’arterie, et anca del respirare, fà che non si possono osservare, et //massime da chi non gli ha altre volte veduti, et fatto, come si dice, un poco di pratica nello strumento. lo oltre all’osservazioni stampate nel mio avviso Astronomico, ne feci molte dopo sin che Giove si vedde Occidentale; ne hò poi molte altre fatte da che egli è ritornato orientale mattutino, e tuttavia lo vò osservando; et havendo ultimamente perfezionato un poco piu il mio strumento; veggonsi i nuovi Pianeti così lucidi et distinti, come le stelle della seconda grandezza con l’occhio naturale: si che volendo io 15 giorni sono far prova quanto duravo à vedergli mentre si rischiarava l’aurora, erano già sparite tutte le stelle eccetto la canicola, et quelli ancora si vedevan benissimo con l’occhiale; spariti dopo questi ancora, andai seguitando Giove per veder parimente quanto durava à vedersi, et finalmente ora il Sole alto più di 15 gradi sopra l’orizonte, et pur Giove si vedeva distintissimo et grande, in modo che posso esser sicuro, che seguitandolo col Cannone, si saria veduto tutto ‘1 giorno.Ho voluto dar conto a V. S. M. R.a di tutti questi particolari, acciò in lei cessi il dubbio, // se però ven’ha mai hauto, circa la verità del fatto della quale, se non prima, li succederà accertarsi alla
mia venuta costà, sendo io in speranza di dover venire in breve à trattenermi costà qualche giorno. Restami, per non tediarla più lungamente, il supplicarla a ripormi in quel luogo della sua grazia, il quale dalla sua cortesia et dalla conformità degli studii mi fu conceduto gran tempo fà, assicurandosi niuna cosa essere in poter mio della quale ella non possa con assoluta potestà disporre: et con ogni reverenza baciandogli le mani gli prego dal S. Dio felicità. Di Firenze li 17 di 7bre 1610. Di V. S. M. R.da Devotissimo Servitore Galileo Galilei.
DA CRISTOFORO CLAVIO A GALILEO GALILEI IN FIRENZE. ROMA, 17 DICEMBRE 1610 LETTERA 318 Nella lettera scritta da C. Clavio a Galileo Galilei, Clavio esterna allo scienziato il suo grande interessamento alle nuove scoperte riguardanti l’ astronomia che Galileo ha compiuto. In particolare quellesui pianeti medicei e sulla loro particolarita’ di essere stelle erratiche, che mutano posizione tra se’ e Giove. In seguito loda piu’ volte la riuscita osservazione di Cancro, Orione e della Via Lattea. Cita poi la scoperta delle tre stelle di Saturno e la sua meraviglia verso l’ inegualita’ della superficie lunare Infine spende molte parole in lode di Galileo ed esprime la sua curiosità sull’uso e sulla forma del telescopio.
318 Christoph Clavius a Galileo Galilei in Firenze Roma 17 dicembre 1610 Molto Mag.co Sig.or mio Oss.mo Si maravigliarà V. S. che alla sua lettera scritta alli 17 di Settembre, non habbia fin qui risposto .Ma la causa e, che io aspettai di di in di la sua venuta a Roma, et anco perché volevo prima tentare di vedere i novi pianeti Medicei. Et casi l’habbiamo qua in Roma piu volte veduti distintissimamente. Al fine della lettera mettero alcune osservationi, delle quali chiarissimamente si cava, che non sono stelle fisse, ma erratiche, poi che mutano sito tra se et tra Giove. Veramente V. S. merita gran lode, essendo il primo, che habbi osservato questo. Gia molto prima havevamo vedute moltissime stelle nelle Pleiabi, Cancro, Orione, et via Lactea, che senza 1’ instromento non si veggono. Questi giorni mi scrisse il S.or Antonio Santini ,che V. S. ha scoperto che Saturno sia composto da tre stelle, cioè che listiano da canto due stelle piccole di qua e di là. Questo ancora non habbiamo potuto osservare; solo habbiamo notato co’l instromento, che pare che Saturno sia oblongo a questo modo Vostra Signoria seguiti pur ad osservare, forse che scoprirà altre cose nove nelli altri pianeti. Nella luna, mi maraviglio grandemente della sua inequalità, et asprezza, quando non è piena. In vero questo in strumento sarebbe di valore inestimabile, se non fosse così fastidioso in adoprarlo. V.S. mi tenghi per suo affettionato; et con questo fo fine, biaciandoli le mani e pregandoli da Dio ogni contento. Da Roma alli 17 di Dicembre del 1610 Di V.S. Servitore nel sig.re affetion.mo Chrisotoforo Clavio
Si sono visti qui in Roma alcuni occhiali mandati da V.S. i quali hanno li vetri convessi assai grandi, ma coverti con restarvi solamente un bucco piccolo libero. Desiderarei di sapere che serve tanta grandezza, se ha da coprirsi in questo modo. Pensano alcuni, che siano fatti grandi; accio scoprendosi tutti la notte, si possono meglio vedere le stelle. Al molto Mag.co Sig.or Galileo Galilei Mio oss.mo P.Clavio
DA GALILEO GALILEI A CRISTOFORO CLAVIO IN ROMA. FIRENZE, 30 DICEMBRE 1610. LETTERA 319 In questa lettera Galileo Galilei scrive di quanto gli è stata “grata” la lettera, con la quale Clavio gli aveva comunicato che agli osservatori del Collegio Romano, Saturno non appariva diviso in tre sfere ma come un corpo unico con rigonfiamenti simmetrici ai lati dell’equatore. Su questo si trovavano d’accordo le idee di Galileo che, se non fosse stato malato, sarebbe partito per Roma per incontrare Clavio, con il quale avrebbe visto tramite “uno strumento eccellente”, il telescopio, “i pianeti Medicei”. Galileo ora espone ciò che è riuscito a vedere e capire attraverso il telescopio. Infatti trae una legge generale dal comportamento di Venere e Mercurio: i due pianeti interni, infatti, come già affermato da Copernico, sembrano percorrere un'orbita eliocentrica. Nella lettera Galileo parla anche di Saturno, già argomento di riflessioni nella lettera 318, precisandone alcuni dettagli. Galileo poi comunica a Clavio che aveva ragione riguardo l'eclissi di luna: c'è un taglio d'ombra molto "indeterminato". Infine scrive a Clavio di aver inventato due vetri per il telescopio che permettevano, con un po' di modifiche, di perfezionare la "potenza" dello "strumento eccellente".
319 Galileo Galilei a Cristoforo Clavio in Roma. Firenze, 30 dicembre 1610 M: R.do Padre, et mio Sig.r Col.rno La lettera di V. R.a mi è stata tanto più grata quanto più desiderata et meno aspettata, et havendomi ella trovato assai indisposto, et quasi fermo in letto mi hà in gran parte sollevato dal male, portandomi il guadagno di un tanto testimonio alla verità delle mie nuove osservazioni, il quale prodotto ha guadagnato alcuno degl’increduli, ma però i più ostinati persistono, et reputano la lettera di V. R.a ò finta o scrittami à compiacenza et insomma aspettano che io trovi modo di far venire almeno uno dei quattro Pianeti Medicei di cielo in terra à dar conto dell’esser loro, et chiarir questi dubbii; altramente non bisogna che io speri il loro assenso. Io credevo a quest’ora dovere essere à Roma, havendo non piccolo bisogno di venirvi, ma il male mi ha trattenuto, tuttavia spero in breve di venirvi, dove con strumento eccellente vedremo il tutto; in tanto non voglio celare à V. R.a quello che hò osservato in Venere da 3. mesi in qua. Sappia dunque come nel principio della sua apparizione vespertina la cominciai ad osservare, et la veddi di figura rotonda, mà piccolissima: continuando poi le osservazioni, venne crescendo in mole notabilmente, et pur mantenendosi circolare, sin che avvicinandosi alla maxima digressione cominciò à diminuir dalla rotondità nella parte aversa al sole, et in pochi giorni si ridusse alla figura semicircolare; nella qual figura si è mantenuta un pezzo, cioè è sino che hà cominciato a ritirarsi verso il Sole, allontanandosi pian piano dalla tangente; hora comincia a farsi notabilmente cornicolata // et così anderà assottigliandosi sin che si vedrà vespertina; et a suo tempo la vedremo mattutina, con le sue cornicelle sottilissime, et averse al Sole, le quali intorno alla massima digressione faranno mezzo cerchio, il quale nanterranno inalterato per molti giorni; passerà poi venere dal mezocerchio al tutto tondo prestissimo; et poi per molti mesi la vedremo così interamente circolare, mà piccolina, si che il suo diametro non sarà la 6.a parte di quello che apparisce adesso; io ho modo di vederla così netta, così schietta, et così terminata, come veggiamo l’istessa luna con l’occhio naturale; et la veggo adesso di diametro eguale al semidiametro della *LNA* veduta con la vista semplice. Hora
eccoci S. mio chiariti come Venere (et indubitatamente farà l’istesso Mercurio) và intorno al Sole, centro senz’alcun dubbio delle massime rivoluzioni di tutti i Pianeti : in oltre siamo certi come essi pianeti sono per se tenebrosi, et solo risplendono illustrati dal Sole: il che non credo che occorra delle Stelle fisse per alcune mie oservazioni; et come questo sistema de i pianeti stà sicuramente in altra maniera di quello che si è comunemente tenuto; così nel determinare le grandezze delle Stelle (trattone il Sole et la *LNA#) si sono presi errori nella maggior parte de i Pianeti et in tutte le fisse di 3. 4. et 5. mila per cento, et più ancora. Quanto a Saturno, non mi meraviglio che non l’habbino potuto distintamente osservare, prima perchè ci bisogna strumento che multiplichi le superficie vedute almanco 1000 volte; di più Saturno adesso è tanto lontano dalla terra, che non si vede // se non piccolissimo, tuttavia l’ho fatto vedere qui a molti dei loro fratelli così distintamente che non vi hanno alcuna dubitanza et si vede giusto così *o0o*. cinque mesi sono si vedeva assai maggiore, da quel tempo in quà è diminuito molto, ne però si è mutata pure un capello la costituzione delle sue 3. stelle, le quali per quanto io stimo sono esattamente parallele non al zodiaco, ma all’Equinoziale. La notte passata osservai l’Eclissi della #LNA*, ma però senza novità alcuna, non havendo veduto altro che quello appunto che mi ero immaginato ciò è che il taglio dell’ombra è indeterrninantissimo, et confuso, come quello che è cagionato dal corpo della Terra posto lontanissimo dalla #LNA#. dove che le ombre che si scorgono nella medesima #LNA#. cagionate dalle eminenze che sono nell’istesso corpo, sono terminate crude, et taglienti, delle quali eminenze, rupi et grandissimi tratti di gioghi eminentissimi sparsi per tutta la parte più lucida della #LNA#, V. R.a non ne habbia dubbio alcuno, perchè à chi haverà buona vista, et intenderà un poco poco di perspettiva, et di ragione di ombre, et di chiari, lo farò così manifestamente toccar con mano, quanto manifestamente siamo, certi delle montagne, et delle valliterrestri, et niente meno ; Hora la notte passata con l’occasione dell’aspettar l’eclissi osservai molte volte Pianeti Medicei, notando le loro mutazioni nella medesima notte in diverse hore, le quali furono tali, notando anco le distanze trà essi et #GVE# in proporzione al diametro apparente di esso *GVE*: Die 29 Xmbr.Hora sequentis noctis 3.a
Vedremo dunque quanto ci piacerà le mutazioni anco nella medesima notte;ma perché le osservazioni che hò fatte da due mesi in qua, le hò fatte tutte la sera, non hò potuto incontrare quelle che ella mi hà mandate, fatte costà la mattina; perché come vede in 7. ò 8. Hore fanno gran mutazione.Hora per rispondere interamente alla sua lettera restami di dirgli come hò fatto alcuni vetri assai grandi, benche poi ne ricuopra gran parte, et questo per 2. ragioni, l’una per potergli lavorar più giusti, essendo che una superficie spaziosa si mantiene meglio nella debita figura, che una piccola; l’altra è che volendo veder più grande spazio in un’occhiata si può scoprire il vetro, ma bisogna presso all’occhio mettere un vetro meno acuto, et scorciare il cannone, altramente si vedrebbono gl’oggetti assai annebbiati. Che poi tale strumento sia incomodo ad usarsi, un poco di pratica leva ogni incomodità et io gli mostrerò come lo uso facilissimamente, et con minor fatica assai che altri non fà nell’ astrolabio, quadrante armìlle, o altro astronomico strumento. Haverò soverchiamente tediata S. R.a scusi il diletto che hò nel trattar seco, et continui di conservarrni la sua grazia, di che la supplico con ogni instanza, come anco che ella mi procacci quella dell’altro Padre Cristoforo suo discepolo da me stimatissimo per le relazioni che hò del suo gran valore nelle matematiche. Et per fine all’uno et all’altro con ogni reverenza bacio le mani, et dal Signore Dio prego felicità. Di Firenze li 30 di Dicembre 1610. Di V. S. M. R.da Servitore Devotissimo Galileo Galilei.
LETTERA 327In questa lettera Galileo esprime a Padre Clavio la sua speranza di venire a Roma, nel Collegio Romano, per esporre le sue nuove teorie sul movimento degli astri. Scrive che potrà arrivare al più tardi fra otto giorni a causa di alcune occupazioni e per colpa di un leggero attacco di malattia e della cattiva stagione durata a lungo. Galileo continua scrivendo che non ha potuto rispondere ad alcune lettere perché era da più di un mese in procinto di partire.Conclude augurandosi la felicità dell’amico. Il 29 marzo Galileo incontrò P. Clavio per la seconda volta, dopo la loro conoscenza nel 1587. Durante il suo soggiorno i matematici del Collegio Romano riconobbero la correttezza delle sue osservazioni con il telescopio. Nella cerimonia pubblica, che ebbe ivi luogo, O. Van Maelcote lesse il testo noto come “Nuncius Sidereus Collegii Romani”(opere di Galilei III, l,pp.291-8). DA GALILEO GALILEI A CRISTOFORO CLAVIO IN ROMA. FIRENZE, 5 MARZO 1611
327 Galileo Galilei a Cristoforo Clavio in Roma Firenze, 5 marzo 1611 R ev:do P.re et mio Sig.r CoI.mo La speranza di dover trasferirmi sin costà per alcuni miei affari ,mi hà di giorno in giorno trasportato sino à questo tempo senza rispondere alla cortesissima et dottissima lettera del m. R.do Padre Cristoforo Griembergero, alla quale mi pareva di non poter pienamente satisfare se non à bocca, per le molte repliche che mi potriano esser fatte; ma prima un poco di malattia, poi alcune straordinarie occupazioni, et insieme una pessima, et fastidiosissima stagione lungamente durata, et che ancor dura, mi hanno condotto à questo tempo; finalmente, per grazia di Dio et del Serenissimo G. Duca mio Signore sono ridotto in termine di spedizione, et in procinto di partirmi come spero alla più lunga frà 8 giorni, concedendomi la benignità del G. Duca ogni comodità nel venire, nello stare, et nel ritorno; con tutto questo non hò voluto restare di scrivere à V. S. M. R.da et al molto R.do Padre Griembergero insieme, acciò più lungamente non prendessero ammirazione del mio silenzio, proceduto solamente perché è più di un mese che sono come si dice col piede in’ staffa per partire. Subito giunto sarò con le Reverenze loro à far mio debito, et à satisfare almeno col reverirle all’obbligo, et all’animo mio. Intanto si compiaccino di continuarmi la gratia loro nella quale con ogni affetto mi raccomando mentre dal S. Dio gli prego felicità. Di Firenze li 5 di Marzo 1610 Di V.S. M. R. Servitore Devotissimo Galileo Galilei. Al molto Rev.do mio Sig.or Col.mo P.re Cristoforo Clavio, Giesuita. Roma.
DA CRISTOFORO CLAVIO E ALTRI MATEMATICI DEL COLLEGIO ROMANO A ROBERTO BELLARMINO IN ROMA, 24 APRILE 1611 LETTERA 331 In questa lettera, che risale al 24 aprile del 1611, Cristoforo Clavio, Cristoforo Grienberger, Odo Maelcote e Paolo Lembo, cioè i più prestigiosi studiosi del Collegio Romano, scrivendo al Cardinal Bellarmino, che si era sempre mostrato interessato agli studi di Galileo Galilei, confermano molte tesi dello scienziato pisano. Essi hanno potuto osservare con il cannocchiale la costellazione del Cancro, le Pleiadi, la Via Lattea con la sua moltitudine di stelle. Hanno constatato che Saturno ha forma ovale e oblunga, ma non sono riusciti a vedere le due stelle che l’affiancano. Hanno visto sorgere e tramontare Venere ed hanno osservato la ineguale superficie della Luna, quando non è in opposizione con il Sole, tuttavia riconducono questo fatto, diversamente da Galileo, alla maggiore o minore densità del corpo lunare. Infine attestano di aver potuto osservare i quattro corpi celesti rotanti intorno a Giove, che si muovono con proprio moto, come aveva affermato lo scienziato pisano.
331 Christoph Clavius e altri matematicidel Collegio Romano a Roberto Bellarmino in Roma Roma 24 aprile 1611 Il1.mo et R.mo et Padrone Col.mo Responderemmo in questa carta conforme al comandamento di V. S. Ill.ma intorno alle varie apparenze che si vedono nel cielo con l’occhiale, et con lo stesso ordine delle proposte che V.S. Ill.ma fà. Alla p.a è vero che appaiono moltissime stelle mirando con l’occhiale nelle nuvolose del Cancro, è Pleiadi. Ma nella via lattea non è cosi certo che tutta consti di minute stelle, et pare più presto che siano parti più dense continuate, benche non si può negare che non ci siano ancora nella via lattea molte stelle minute. E vero che, per quel che si vede nelle nuvolose del Cancro, et Pleiadj, si può congetturare probabilmente che ancora nella via latta sia grandissima moltitudine di stelle, le quali non si ponno discernere per essere troppo minute.Alla 2.a habbiamo osservato che Saturno non è tondo, come si vede Giove e Marte: ma di figura ovata et oblonga in questo modo *oOo*. Se bene non habbiam visto le due stellette di quà, et di là tanto staccate da quella di mezzo, che possiamo dire essere stelle distinte.Alla 3.a E’ verissimo che Venere si scema, et cresce come la Luna, èt havendola noi vista quasi piena, quando vespertina, habbiamo osservato, che à puoco, à puoco andava mancando la parte illuminata, che sempre guardava il Sole, diventando tutta via più cornicolata. Et osservatala poi matutina, dopo la congiontione col Sole, l’habbiamo veduta cornicolata con la parte illuminata verso Il Sole. Et hora và sempre crescendo secondo il lume, et mancando secondo il diametro visuale.Alla 4.a non si può negare la grande inequalità della Luna; ma pare al P. Clavio più probabile che non sia la superficie inèquale, ma più presto che Il corpo lunare non sia denso uniformemente, et che habbia parti più dense, et più rare, come sono le macchie ordinarie, che si vedono con la vista naturale. Altri pensano essere veramente inequale la superficie: ma infin hora noi non habbiamo intorno a questo tanta certezza, che lo possiamo affermare indubitatamente.Alla 5. a Si veggono intorno à Giove quattro stelle, che velocissimamente si movono hora tutte verso levante; hora tutte verso ponente (et quando parte verso levante, et quando parte verso ponente) in linea quasi retta. le quali non panno essere stelle
fisse poiche hanno moto velocissimo, et diversissimo dalle stelle fisse; et sempre mutano le distanze fra di loro, et Giove.Questo è quanto ci occorre in risposta alle domande di V. S. Ill.ma alla quale facendo humilissima riverenza, preghiamo dal Sig.r compiuta felicità. Dal Collegio Romano, li 24 d’Aprile 1611.Di V. S. Ill.ma et R.ma Indegni Servi in ChristoChristoforo Clavio Christoforo Grienberger Odo Maelcote Gio.Paolo Lembo Attestazione de’ PP.i Giesuiti al Rever.mo Card. Bellarmino.
Bibliografia Enciclopedia Zanichelli, voce Galileo Galilei Enciclopedia Encarta 2000, // // Dizionario Enciclopedico U.T.E.T., // // Enciclopedia Omnia, // // Enciclopedia Universo // // Enciclopedia Rizzoli // // Enciclopedia Larousse // // Enciclopedia Gedea // // Enciclopedia Garzanti // // Enciclopedia De Agostini // // Abbagnano-Fornero,Protagonisti e testi della filosofia, vol.II Torino ed.Paravia Guglielmino-Grosser, Il sistema letterario, ed. Principato 1988 Galileo Galilei, Le opere, curate da M.A.Favaro, Firenze 1934 La corrispondenza di Padre Cristoforo Clavio,a cura di U.Baldini – P.D. Napolitani, Università Pisa, Dipartimento matematica, 1992 E.C.Phillips, The Corrispondence of Fr. Christopher Clavius S. I., 1937 WWW.STUDENTI.IT WWW.GALILEOGALILEI.IT
Un ringraziamento al Preside del Liceo “ E.Q. Visconti” prof. Bruno V. Ramundo che ha reso possibile tale pubblicazione, alla dott.ssa Giorgi Direttrice della Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana per la sua disponibilità. Ornella D’Aleo