380 likes | 703 Views
Luigi Meneghello: Studi e formazione. 16 feb. 1922 : nasce a Malo, in provincia di Vicenza. Il padre gestisce un’officina meccanica; la madre è maestra; Sulle memorie e il mito del paese, cfr. il suo primo libro, Libera nos a Malo (1963)
E N D
Luigi Meneghello: Studi e formazione • 16 feb. 1922: nasce a Malo, in provincia di Vicenza. Il padre gestisce un’officina meccanica; la madre è maestra; • Sulle memorie e il mito del paese, cfr. il suo primo libro, Libera nos a Malo (1963) • 1932: Viene ammesso al ginnasio “Pigafetta” di Vicenza, che frequenta facendo la spola dal paese; • 1937 la famiglia si trasferisce a Vicenza per favorire gli studi dei figli (Luigi è il maggiore). Frequenta il liceo classico e ha una carriera scolastica brillante; tuttavia, il sistema degli studi gli sembra troppo lento, quindi abbandona la frequenza e decide di fare gli ultimi due anni da autodidatta, condensando due anni in uno. Sostiene la maturità a 16 anni; • 1939: Si trasferisce a Padova, dove si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia; ma il corso di studi viene interrotto dalla guerra, e si laureerà in Filosofia a guerra finita (il 17 dic. 1945); • Sulla sua educazione in epoca fascista, cfr. Fiori italiani (1976).
Luigi Meneghello: Guerra e Resistenza • Estate 1940: Incontra Antonio Giuriolo e prende contatto anche con altri antifascisti; tra l'autunno del 1942 e il gennaio 1943, da questo gruppo nasce a Vicenza il Partito d’Azione; • Gen. 1943: si trova a Merano, dove frequenta il corso di addestramento degli allievi ufficiali alpini; • Inizio estate 1943: Il suo reparto viene inviato in presidio a Tarquinia, in Toscana, e qui lo sorprende l’8 settembre; • Scatta il “tutti a casa”, e anche lui compie un viaggio difficile e avventuroso verso nord, verso i suoi luoghi d’origine; • Aderisce – con i suoi compagni – al Partito d’Azione e passa alla resistenza armata, prima sull’Altopiano di Asiago poi (a partire dall’estate 1944) nella zona collinare a ridosso della pianura; • Su tutte queste vicende, cfr.I piccoli maestri (1964).
Luigi Meneghello: Il “dispatrio” • Set. 1947: Decide di espatriare e di trasferirsi in Inghilterra (cfr. Il dispatrio, 1993); • Fonda la cattedra di letteratura italiana all’Università di Reading, e lì insegna per più di trent’anni; • 1980ss.: Fa la spola tra l’Inghilterra e il paese di Thiene, dove si trasferisce definitivamente nel 2000 e dove risiede fino alla morte, avvenuta il 26 giu. 2007. • Sull’esperienza dell’insegnamento in Inghilterra, cfr. La materia di Reading (1997).
I piccoli maestri: L’antefatto e la genesi del testo Italo Calvino, Prefazione 1964 al Sentiero dei nidi di ragno: “Eppure, eppure, il segreto di come si scriveva allora non era soltanto in questa elementare universalità dei contenuti, non era lì la molla (forse l’aver cominciato questa prefazione rievocando uno stato d’animo collettivo, mi fa dimenticare che sto parlando di un libro, roba scritta, righe di parole sulla pagina bianca); al contrario, mai fu tanto chiaro che le storie che si raccontavano erano materiale grezzo: la carica esplosiva di libertà che animava il giovane scrittore non era tanto nella sua volontà di documentare o informare, quanto in quella di esprimere.
I piccoli maestri: L’antefatto e la genesi del testo Italo Calvino, Prefazione 1964 al Sentiero dei nidi di ragno: Esprimere che cosa? Noi stessi, il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora allora, tante cose che si credeva di sapere o di essere, e forse veramente in quel momento sapevamo ed eravamo. […] Mai si videro formalisti così accaniti come quei contenutisti che eravamo, mai lirici così effusivi come quegli oggettivi che passavamo per essere. […] Il ‘neorealismo’ per noi che cominciammo di lì, fu quello […] In realtà gli elementi extraletterari stavano lì tanto massicci e indiscutibili che parevano un dato di natura; tutto il problema ci sembrava fosse di poetica, come trasformare in opera letteraria quel mondo che era per noi il mondo”.
I piccoli maestri: L’antefatto e la genesi del testo Luigi Meneghello, Il tremaio (1986): “In ciò che scrivo c’è di mezzo la faccenda della ripetizione delle esperienze. […] Ciò che ho fatto (scrivendo) è stato sempre di voler rivivere con le parole qualcosa per cui ero passato, qualche esperienza, di rifare quasi una determinata esperienza […] e capisco che questo processo si può interpretare quasi come un esercizio psicanalitico, rivivere un’esperienza per esorcizzarla, svelenarsi…”.
I piccoli maestri: L’antefatto e la genesi del testo Luigi Meneghello, L’esperienza e la scrittura (1984): “Vorrei fare ora qualche osservazione sui diversi modi in cui l’esperienza può esprimersi nella scrittura. / Anzitutto la faccenda del distacco tra l’una e l’altra, un distacco (per quanto ne so io) necessario: ci vuole una separazione sensibile, in pratica un intervallo di tempo. […] Sembra che le nostre passioni non possano favorire la scrittura finché non ci si mescola il contrario della passione. Si scrive, idealmente, in uno stato che è insieme di eccitazione, e di calma. E per arrivarci, normalmente è necessario che sia passato del tempo. Nel mio caso molto tempo. […] A quanto pare la mia voglia di scrivere su un determinato argomento, di cercare le forme scritte delle cose sublunari che mi interessano, si compie in cicli di molti anni”.
I piccoli maestri: L’antefatto e la genesi del testo Luigi Meneghello, Di un libro e di una guerra (Notaintroduttiva che accompagna la seconda edizione del libro, 1976): “Al principio degli anni Cinquanta c’è stato un tentativo di scrivere una prima versione organica dei Piccoli maestri in inglese […] In tutti questi assaggi, scrivevo a fatica e con l’animo contratto. Sentivo che c’era un territorio in cui non potevo ancora addentrarmi senza ribrezzo. Ogni tanto avevo il senso di toccare un punto più pericoloso, quasi una breccia in un argine; e mi pareva che smuovendo sarebbe venuto giù un fiotto di caotiche affezioni personali, civili e letterarie che mi avrebbe portato via.
I piccoli maestri: L’antefatto e la genesi del testo Luigi Meneghello, Di un libro e di una guerra: Per anni ho continuato a tentare di dar forma a singoli pezzi di questa materia: sapevo che per formarla bisognava capirla, scrivere è una funzione del capire. Di stagione in stagione, sono tornato su questo o quel frammento, per lo più in italiano, talvolta in dialetto vicentino (che fu la lingua di quella nostra guerra), e non di rado in magri versi, senza mai trovare vero sollievo, e senza mostrare a nessuno ciò che scrivevo, neanche a mia moglie”.
I piccoli maestri: L’antefatto e la genesi del testo Luigi Meneghello, Quanto sale? (1986): Ricostruendo la genesi del testo parla del “fattore scatenante, l’elemento che fa ‘partire’ le cose: nel mio caso un soggiorno ad Asiago nell’inverno del 1963. C’era la neve, un gran freddo, un sole abbagliante, enormi spessori e vaste distese luminose, più singolari per me dopo tanti grigi inverni inglesi, uno shock dei sensi che forse ha contribuito a determinare le mie reazioni. In questo ambiente mi è tornata alla memoria, vividamente, un’altra visita all’Altipiano di Asiago subito dopo la liberazione del 1945, e ho sentito che quel minuscolo germe conteneva tutto il racconto. […] L’entrata in gioco per il mio racconto è legata appunto a quel primo ritorno del ’45, ‘con una amorosetta che avevo e una tendina celeste’. Non dunque l’inizio o il decorso della guerra civile, ma la fine della guerra, la conclusione della nostra storia”.
I piccoli maestri: L’antefatto e la genesi del testo Luigi Meneghello, Di un libro e di una guerra: “Quando lo ebbi finito e copiato [il primo libro, Libera nos a Malo], e spedito il manoscritto a fine dicembre, entro pochi giorni, stando nella casa che un mio amico mi aveva prestato sull’Altipiano di Asiago, in mezzo alla neve, mi misi a pensare un’altra volta al giugno 1945, quando ero tornato sull’altipiano con una amorosetta che avevo, e una tendina celeste, sul fianco el monte Colombara proprio nei posti dive un anno prima ero stato coinvolto in un rastrellamento; e mi accorsi che finalmente ci vedevo abbastanza chiaro, era nato il distacco, l’intera faccenda di quei nostri dolori di gioventù si schiariva, potevo scriverla”.
I piccoli maestri: L’antefatto e la genesi del testo Riassumendo: La genesi del libro passa attraverso varie fasi scaglionate nel giro di vent’anni: 1943-45: Esperienza della guerra partigiana; • Giugno 1945: Ritorno con la Simonetta per cercare il parabello (cfr. antefatto) • Gennaio 1963: Altro soggiorno sull’Altipiano che recupera nella memoria l’episodio precedente e, attraverso di esso, tutta la storia.
I piccoli maestri: L’antefatto e la genesi del testo Luigi Meneghello, Di un libro e di una guerra: “Scrissi per circa un anno, con lo stesso senso di liberazione con cui avevo scritto l’altro libro. qualche punto doleva ancora, e nel testo si sente. Molte parti furono riscritte più volte, cercando i mezzi stilistici per tenere a bada la commozione. Un mare di fogli, da cui le pagine della stesura conclusiva emersero poi da sole: tirandosi dietro qualche impurità”.
I piccoli maestri: La pubblicazione Meneghello continua per molti anni a riprendere in mano il testo già edito; lo rivede, lo corregge, pubblicando varie versioni: • Prima edizione, 1964: Suscita critiche e disappunto, soprattutto tra gli ex-partigiani; • Seconda edizione, 1976: Nasce in seguito a una revisione capillare del testo, che comunque non riguarda aspetti strutturali ma la superficie espressiva, “l’involucro esterno”, più che altro a livello linguistico. E’ corredata della Notaintroduttiva; • Terza edizione, 1986: Fa un ulteriore lavoro di revisione, ma molto lieve.
L’esperienza e la scrittura Luigi Meneghello, Quanto sale? (1986): “Sono convinto che la fedeltà alla propria materia (una fedeltà che nel mio caso so che può apparire leggermente fanatica) non sia mai sprecata, anche se al lettore non importa molto che un certo dettaglio sia o non sia fedele. Ciò che conta è l’effetto che questa fedeltà ha su di te che scrivi. […] Io sono piuttosto scrupoloso nel riferire le cose”.
L’esperienza e la scrittura Luigi Meneghello, Quanto sale? (1986): “Quest’ultima frase [si riferisce a un episodio del cap. 7] può parere civettuola, forse sarebbe stato meglio lasciarla fuori per non creare false impressioni, ma non è stata scritta in uno spirito di civetteria, piuttosto per scaramanzia. Le parole di Bene ‘bisognerebbe che tra noi ci fosse uno scrittore’ sono vere, cioè il mio amico le ha veramente dette, 42 anni fa come oggi. Questi dettagli, a inventarli, sarebbero invenzioni un po’ insipide: ma se invece sono parte di ciò che è effettivamente accaduto, pare che il loro senso cambi in modo drammatico, almeno (come dicevo prima) per chi scrive; perché si sente che hanno relazione col reale, con ciò che è stato, col modo in cui è fatto il mondo. Naturalmente, scrivendo, tutto sta a far sentire che le percepiamo come cose reali e non le abbiamo banalmente immaginate”.
L’esperienza e la scrittura Luigi Meneghello, Di un libro e di una guerra: “È toccato a me, tra i miei compagni, scrivere questo libro […] Mi sono attaccato all'orgoglio di fare almeno un buon libro, di non mancare in questo ai miei compagni e alla memoria del nostro maestro: sperando di trasmettere una testimonianza della nostra esperienza in forme letterariamente vitali”.
L’esperienza e la scrittura Luigi Meneghello, Quanto sale?: “Il rapporto tra l’esperienza e l’espressione […] è il nodo di fondo di tutto ciò che ho scritto”; [A proposito dei PM]: “Devo sottolineare che ci sono due livelli distinti: c’è l’esperienza, che risale a più di quaranta anni fa, esperienza mia e di alcuni miei compagni nella guerra civile, dal ’43 al ’45; e c’è il resoconto che io stesso ne ho dato venti anni più tardi. Avete dunque da una parte le vicende e le idee di un ragazzo ventenne e di certi suoi coetanei, dall’altra il racconto che ne fa un uomo di quarant’anni. Sono due ordini di cose che anche volendo non potrei tenere disgiunti […]: come due strutture saldate insieme da una serie di raccordi inamovibili”.
L’esperienza e la scrittura Luigi Meneghello, L’esperienza e la scrittura: “Mi interssa in particolare quello che si presenta come l’aspetto meno ovvio dei rapporti tra esperienza e scrittura; l’effetto della seconda sulla prima, il modo in cui la scrittura si oppone alla transitorietà dell’esperienza. L’esperienza è flusso, attorno a noi tutto scorre, siamo immersi in un fiume, c’è il fluire del tempo, il fluire della vita biologica e quello della vita sociale, la società cambia attorno a noi, con ritmi che a volte paiono perfino più rapidi dei ritmi biologici… Scrivendo si sottrae qualcosa a questo flusso, è come attingere acqua da un fiume con una scodella, e sembra di avere preservato almeno qualcosa del senso delle nostre esperienze”.
L’esperienza e la scrittura Luigi Meneghello, Quanto sale?: “In questo episodio del 1945 ‘cercavo il senso’ della nostra esperienza di partigiani, e lo cercavo invano. Credo fosse perché mi sembrava insopportabile non aver combinato qualcosa di un po’ più importante nella guerra civile: non trovavo ‘il senso’ perché non volevo trovarlo, era un senso che mi pareva misero, quasi indegno”. “Oggi, finalmente, mi sento tranquillo. Non mi dolgo affatto di non essere stato un po’ più bravo in guerra. Oggi so che il ‘senso’ della nostra esperienza non è qualcosa di separato, ma è l’esperienza stessa: purché, ovviamente, si riesca ad esprimerla, a comunicarla”.
L’esperienza e la scrittura Luigi Meneghello, L’esperienza e la scrittura: “La riproduzione letterale della realtà, il rifarla così com’è, non sarebbe molto interessante; e la spinta che sembra in atto nella direzione di questo rifacimento meccanico non porta in nessun luogo”.
L’esperienza e la scrittura Luigi Meneghello, Di un libro e di una guerra: “Anzitutto, due parole sul genere. Il vecchio editore lo chiamò ‘romanzo’, il secondo anche, e io non ho niente in contrario; ma non mi ero certo proposto di scrivere un romanzo (né del resto un non-romanzo). Ci tenevo bensì che si potesse leggere come un racconto, che avesse un costrutto narrativo. Ma ciò che mi premeva era di dare un resoconto veritiero dei casi miei e dei miei compagni negli anni dal '43 al '45: veritiero non all'incirca e all'ingrosso, ma strettamente e nei dettagli. […] Mi ero proposto di tener fede a tutto, ogni singola data, le ore del giorno, i luoghi, le distanze, le parole, i gesti, i singoli spari. Come per ciò che ho scritto sul mio paese, non prendevo nemmeno in considerazione la possibilità di adoperare altra materia che la verità stessa delle cose, i fatti reali della nostra guerra civile, così come li avevo visti io dal loro interno”.
L’esperienza e la scrittura Luigi Meneghello, Per non sapere né leggere né scrivere (1977-78): Nei Miserabili il punto centrale pareva il gruppuscolo degli studenti rivoluzionari, specialmente i due capi. Veramene il capo vero e proprio era quello che si chiamava Enjolras, l’altro ‘meno alto e più largo’ era la guida. Entrambi ‘spandevano luce’. A rigore ce n’era anche un terzo, che era il centro, ma gli altri due contavano di più. Mi immedesimai con loro a tal punto che divenni entrambi. Mi domando se è possibile che nascesse proprio qui l’idea di un gruppo di giovani intellettuali, coinvolti in una forma volontaria di guerra civile, dalla parte del popolo, indipendenti, scherzosi, intransigenti…: un’idea che poi ricomparve nella mia vita, con certe conseguenze pratiche. Parlo, s’intende, non del fatto che ci fu a un certo punto una banda di studenti vicentini fuori-legge, ma del senso privato e soggettivo che la faccenda ebbe per me”.
L’esperienza e la scrittura Luigi Meneghello, Quanto sale?: “Il gruppo e il reparto erano meno omogenei (e meno simili a me) di ciò che può sembrare dal mio libro […] Non c’è dubbio che parecchie caratteristiche che attribuisco ai miei compagni erano piuttosto mie che loro: in questo senso si potrebbe perfino dire che i piccoli maestri li ho inventati io”.
La rappresentazione della Resistenza Luigi Meneghello, Di un libro e di una guerra: “I Piccoli maestri è stato scritto con un esplicito proposito civile e culturale: volevo esprimere un modo di vedere la Resistenza assai diverso da quello divulgato, e cioè in chiave anti-retorica e anti-eroica. Sono convinto che solo così si può rendere piena giustizia agli aspetti più originali e più interessanti di ciò che è accaduto in quegli anni. Mi proponevo però anche di registrare la posizione di un piccolo gruppo di partigiani vicentini, che eravamo poi io e i miei amici, come esempio di una merce di cui non c’è molta abbondanza nel nostro paese, il non-conformismo. In Italia ci piace dire che siamo grandi individualisti, ma a me sembra che in fatto di etica civile siamo invece profondamente conformisti.
La rappresentazione della Resistenza Luigi Meneghello, Di un libro e di una guerra: L’esperienza di questa singolare squadretta, frutto della scuola di un ignorato maestro, mi era sembrata retrospettivamente paradigmatica. […] Devo confessare però che, scrivendo, ho sentito anche organizzarsi attorno al mio nucleo un quadro organico di ciò che è stata la Resistenza nel Veneto, e qualche volta sono stato tentato di considerarmi il suo cronista. Sentivo di stare raccontando dall'interno, con l'autorità di chi parla di ciò che sa, e solo di ciò che sa. Certo non ignoro che il disegno generale degli eventi non si vede sempre bene dall'interno; ma d’altra parte se il materiale di cui altri si serve per fare quel disegno dall'esterno non è assolutamente autentico, il disegno non conta nulla, e può riuscire uno sgorbio. Questo libro non ha lo slancio sintetico di certi resoconti generali dei fatti in questione, ma non è, a differenza di alcuni di essi, uno sgorbio”
L’ethos dei piccoli maestri Luigi Meneghello, Quanto sale? Dietro la “postura anti-eroica” “c’era un rimpianto segreto dell’eroismo, non quella forma che in inglese si chiamerebbe heroics, e cioè l’eroismo delle pose, ma l’altro, la piega eroica della mente – vera o immaginaria che sia questa nozione. È un rimpianto (in me e in quelli tra i miei amici che lo condividevano) che considero un portato della mia gioventù, una cosa naturale. Più tardi nella vita questa forma o immagine dell’eroismo l’ho incontrata in un libro postumo di un partigiano che era eroico nel modo che dico io, succhiava forza eroica dalle cose […]. Era un piemontese, un coetaneo mio. Mi sono immaginato di incontrarlo in Altipiano, […] arrivato lassù non so come, vagamente in visita: e di parlargli di guerra, degli inglesi, di noi. […] Un incontro breve, degli scambi scabri, alcuni in inglese. Poi lui sarebbe ripartito verso la sua parte d’Italia, a riprendere il fucile…”
L’ethos dei piccoli maestri Luigi Meneghello, Fiori italiani (1976): • Inizia con la domanda “Che cos’è un’educazione?”; e risponde attraverso una rievocazione autobiografica della sua educazione sotto il fascismo; • Riflette sulla profonda “diseducazione” subita dai giovani della sua generazione, fatta di un impasto tra la retorica e la propaganda fascista e la tradizione letteraria più aulica, astratta, priva di qualunque contatto con la realtà e l’esperienza vissuta. • “C’erano delle grandissime balle”; • A scuola, si imparavano parole che non avevano nessun rapporto con le cose, “parole vuote sotto cui non c’era nulla di reale”.
L’ethos dei piccoli maestri Luigi Meneghello, Fiori italiani (1976): “Il vero centro dell’educazione che ci era impartita stava proprio lì, nel farci imparare […] l’astrusa lingua della ‘poesia’. […] Peccato che ciò che s’imparava nella fattispecie fosse di così scarsa rilevanza intrinseca ai fini delle successive avventure linguistiche e intellettuali del secolo […] Era la lingua aulica della tradizione, nella sua versione ottocentesca: quella di creommi, appo le siepi, mi rimembra, cotanta speme, sarammi allato, risovverrammi; […] In generale non si era nutriti di cose, ma di parole sulle cose”. Poi era arrivata “una guerra vera, e con essa il senso improvviso di essere vissuti finora tra scenari di parole, e di cartone” .
L’ethos dei piccoli maestri Luigi Meneghello, Fiori italiani (1976): “L’incontro con lui [Antonio Giuriolo] ci è sempre parso la cosa più importante che ci sia capitata nella vita: fu la svolta decisiva della nostra storia personale, e inoltre (con un drammatico effetto di rovesciamento) la conclusione della nostra storia personale”.
Le parole e le cose Cesare Pavese, Ritorno all’uomo (“L’Unità”, 20 mag. 1945): “Parlare. Le parole sono il nostro mestiere. […] Le parole sono tenere cose, intrattabili e vive, ma fatte per l’uomo e non l’uomo per loro. Sentiamo tutti di vivere in un tempo in cui bisogna riportare le parole alla solida e nuda nettezza di quando l’uomo le creava per servirsene. E ci accade che proprio per questo, perché servono all’uomo, le nuove parole ci commuovano e afferrino come nessuna delle voci più pompose del mondo che muore, come una preghiera o un bollettino di guerra”.
Le parole e le cose Elio Vittorini (da un articolo di giornale sulle Occasioni di Montale):“Una parola può dare a un fatto non nuovo un significato nuovo. Ma anche di per se stessa una parola può essere significato. La parola può essere fatto”: In Falcetto81. La parola come tramite attraverso il quale l’uomo reinterpreta il mondo oggettivo. Introduzione del 1948 al Garofano rosso: “È in ogni uomo di attendersi che forse la parola, una parola, possa trasformare la sostanza di una cosa. Ed è nello scrittore di crederlo con assiduità e fermezza. È ormai nel nostro mestiere, nel nostro compito. È fede in una magia…”.
Le parole e le cose Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno: Gli intellettuali che combattono “hanno una patria fatta di parole, o tutt’al più di qualche libro. Ma combattendo troveranno che le parole non hanno più nessun significato, e scopriranno nuove cose nella lotta degli uomini e combatteranno così senza farsi domande, finché non cercheranno delle nuove parole e ritroveranno le antiche, ma cambiate, con significati insospettati”.