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Formazione per il governo clinico APPROPRIATEZZA

Formazione per il governo clinico APPROPRIATEZZA. PRIMA PARTE – Background , definizioni, modelli concettuali. Appropriatezza Concetto complesso e multidimensionale, con diverse prospettive di lettura. PRIMA PARTE – Background , definizioni, modelli concettuali. Appropriato: adeguato

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Formazione per il governo clinico APPROPRIATEZZA

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Presentation Transcript


  1. Formazione per il governo clinico APPROPRIATEZZA

  2. PRIMA PARTE – Background, definizioni, modelli concettuali Appropriatezza Concetto complesso e multidimensionale, con diverse prospettive di lettura

  3. PRIMA PARTE – Background, definizioni, modelli concettuali Appropriato: adeguato preciso calzante opportuno (dizionario Zingarelli)

  4. PRIMA PARTE – Background, definizioni, modelli concettuali Si riferisce a: espressione verbale comportamento azione scelta adatta, conveniente, giusta per la situazione

  5. PRIMA PARTE – Background, definizioni, modelli concettuali Appropriatezza in ambito sanitario: una cura è appropriata se si associa a un beneficio netto ovvero quando massimizza il beneficio/minimizza il rischio per il paziente c’è un punto prima del quale e uno oltre il quale un servizio diventa inappropriato

  6. PRIMA PARTE – Background, definizioni, modelli concettuali L’appropriatezza comporta implicazioni dirette e indirette riguardanti la procedura corretta sul paziente giusto al momento opportuno e nel setting più adatto va misurata per evitare che la complessità delle cure mediche non determini il mancato godimento di cure necessarie ovvero cure inutili

  7. PRIMA PARTE – Definizioni (1) Le varie definizioni proposte implicano “effetti positivi per il paziente” (revisione del 2008 ha identificato 14 definizioni di alttettanti articoli èubblicati nel1996-2006) La definizione RAND ha introdotto i concetti di “rischi” e “benefici”

  8. PRIMA PARTE – Definizioni (2) La definizione RAND si applica a un paziente “medio” che si presenta ad un medico “medio”: una procedura è appropriata se: il beneficio atteso supera le eventuali conseguenze negative con un margine sufficientemente ampio, tale da ritenere che valga la pena effettuarla viene considerata inappropriata una procedura il cui rischio sia superiore ai benefici attesi.

  9. PRIMA PARTE – Definizioni (4) Definizioni degli anni ’80-’90: risposta adeguata ai bisogni del singolo paziente Successivamente viene considerata la variabile “costi sanitari” (in crescita e dato il mutato contesto economico): i third-payer mettono un freno al rimborso delle prestazioni fornite

  10. PRIMA PARTE – Definizioni (5) Definizione complessa: processo decisionale che assicura il massimo beneficio netto per la salute del paziente, nell’ambito delle risorse che la società rende disponibili”

  11. PRIMA PARTE – Definizioni (6) Il giudizio di appropriatezza dipende dai medici interpellati, dal luogo dove vivono, dal peso di evidenze e di esiti, da pazienti e famiglie, dalle risorse di un determinato sistema sanitario e infine dai valori prevalenti sia nel sistema stesso sia nella società in cui si è sviluppato.

  12. PRIMA PARTE –Europa (1) Raccomandazione n. 17 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (1997): appropriatezza elencata tra “le componenti potenziali della qualità dell’assistenza sanitaria” Convenzione di Oviedo sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina (1997), all’art.3, gli Stati firmatari della Convenzione si impegnano a garantire un “accesso equo a cure della salute di qualità appropriata”

  13. PRIMA PARTE –Europa (2) Workshop Ufficio regionale europeo WHO (2000) in collaborazione con il Ministero della Salute tedesco: riconosciuta la definizione RAND, per quanto generica e ripreso il report del DirectorofResearch and Developmentof the DepartmentofHealth (1993)

  14. PRIMA PARTE –Europa (3) selezione sulla base di prove dell’intervento con la maggiore probabilità di produrre gli esiti di salute attesi soddisfatti determinati criteri disponibili competenze tecniche e altre risorse per prestazione con uno standard sufficiente modalità accettabili dal paziente informazioni al paziente e suo coinvolgimento preferenze del paziente (scelta tra interventi efficaci) avversi che si potrebbero verificare. contesto sociale e culturale giustizia nell’allocazione delle risorse

  15. PRIMA PARTE –Italia (1) PSN1998-2000: criterio per definizione LEA (D.Lgs 229/99) Appropriatezza organizzativa dell’assistenza ospedaliera (liste DRG a rischio di inappropriatezza) Appropriatezza clinica è l’oggetto del SNLG (PSN 1998-2000) coordinato dall’ISS definizione complesso (differenza efficacia, efficienza…)

  16. PRIMA PARTE –Italia (2) Definizione Glossario Ministero della Salute. L’appropriatezza definisce un intervento sanitario (preventivo, diagnostico, terapeutico, riabilitativo) correlato al bisogno del paziente (o della collettività), fornito nei modi e nei tempi adeguati, sulla base di standard riconosciuti, con un bilancio positivo tra benefici, rischi e costi

  17. PRIMA PARTE – Varie definizioni

  18. PRIMA PARTE – Varie definizione

  19. PRIMA PARTE – Concetti correlati (1) L’appropriatezza è una dimensione della qualità dell’assistenza e, data la sua complessità e multidimensionalità, sono molti i termini ad essa correlati

  20. PRIMA PARTE –Concetti correlati (2) Efficacia nella pratica clinica (effectiveness): grado in cui i miglioramenti di salute raggiungibili sono effettivamente raggiunti Efficacia teorica (efficacy): l’abilità della scienza e della tecnologia sanitaria di produrre miglioramenti nella salute quando usate nelle condizioni più favorevoli

  21. PRIMA PARTE – Concetti correlati (3) Equità: capacità del sistema di rispondere ai bisogni di gruppi e singole persone, sulla base dei possibili benefici, indipendentemente da fattori quali età, etnia, genere, disabilità, livello socioeconomico, scolarità

  22. PRIMA PARTE – Concetti correlati (4) Efficienza: rapporto tra risorse impiegate e l’intervento erogato, considerando anche le modalità di applicazione delle risorse.

  23. PRIMA PARTE – Concetti correlati (5) Necessità clinica (uno dei modi per descrivere l’appropriatezza da parte finanziatori negli Stati Uniti e in Canada e per definire i criteri di rimborso dei servizi): i servizi clinicamente necessari sono “quelli di cui un paziente ha bisogno per sottrarsi a conseguenze negative sulla propria salute”.

  24. PRIMA PARTE – Concetti correlati (6) Servizi necessari o critici: quelli destinati a un “paziente in determinate condizioni tali da indurre il medico a effettuare un certo trattamento, poiché il non farlo costituirebbe una scelta deleteria per la salute del paziente”.

  25. PRIMA PARTE – Concetti correlati (7) Variabilità della pratica clinico-assistenziale(geografica, organizzativa, professionale): le differenze nel ricorso ai servizi risultano da più fattori combinati: caratteristiche pazienti (socio-demografiche, gravità clinica) attitudini professionisti (scuola di riferimento, orientamento personale, meodo di pagamento vigente) il contesto istituzionale e organizzativo.

  26. PRIMA PARTE – Appropriatezza clinica e organizzativa (1) Appropriatenessof a service, appropriatezza clinica Appropriatenessofsetting, determinante della appropriatezza organizzativa. Lavis ed Anderson (fine anni ’90)

  27. PRIMA PARTE – Appropriatezza clinica e organizzativa (2) Appropriatezza clinica livello di efficacia di una prestazione per un particolare paziente determinata in base a informazioni cliniche e diagnostiche orienta verso l’intervento sanitario verosimilmente benefico (simile a RAND) non considera i costi

  28. PRIMA PARTE – Appropriatezza clinica e organizzativa (3) Appropriatezza organizzativa identifica la situazione in cui l’intervento viene erogato (ambito assistenziale, professionisti coinvolti) considera l’appropriata quantità di risorse (efficienza operativa), quindi la relazione costi-efficacia utile per verificare corrispondenza tra asistenza teoricamente richiesta e assistenza concretamente offerta

  29. PRIMA PARTE – Sovra/sotto-utilizzo l’appropriatezza non è concetto dicotomico (appropriato vs inappropriato) ma un continuum di situazioni a diversa “intensità” di appropriatezza. concetto di appropriatezza va inquadratao nel contesto di sottoutilizzo (under-use) e sovrautilizzo (over-use) delle prestazioni Sharpe e Faden (fine anni ’90)

  30. PRIMA PARTE – Prospettive (1) L’equilibrio tra benefici e rischi della definizione di appropriatezza proposta dalla RAND deve essere letto secondo almeno tre prospettive

  31. PRIMA PARTE – Prospettive (2) 1) Livello di evidenza, classifica interventi sanitari in base a rapporto rischi-benefici: fortemente raccomandabili (o fortemente controindicati), quando il rapporto è dimostrato da RCT conclusivi o replicati raccomandati (o controindicati), quando il rapporto è dimostrato da un RCT o una revisione sistematica o altri studi di buona qualità potenzialmente benefici (o dannosi), con equilibrio tra benefici e rischi incerto, quando sono disponibili solo case report o studi clinici non controllati

  32. PRIMA PARTE – Prospettive (3) 2) Prospettiva dei pazienti, che contribuire alla determinazione dell’appropriatezza: rispetto ad un “paziente medio”: le informazioni su esiti e misure contribuiscono alle stime di efficacia rispetto al “singolo paziente”: mirata sull’accettabilità della cura (intervento è accettabile o desiderabile se “liberamente accettato da un paziente informato o da un suo rappresentante”)

  33. PRIMA PARTE – Prospettive (4) 3) Prospettiva della società (sempre più importante in conseguenza dell’incremento dei costi): una società deve definire gli obiettivi di salute che si è disposti a perseguire in base a evidenze scientifiche, valori etici condivisi dalla società, elementi relativi alla distribuzione sociale o alla necessità di contenere i costi

  34. SECONDA PARTE – Variazioni della pratica clinica (1) Variazioni delle pratiche clinico-assistenziali tra aree geografiche, organizzazioni sanitarie, gestione di pazienti Evidenziate già dagli anni ’40 (chirurgia) Rapporto del King’s FundInstitute (1988) ricostruisce storia delle variazioni per esplorare allocazione risorse, variazioni di performance, variabilità geografica nell’accesso alle cure e nell’utilizzo dei servizi da parte di popolazioni residenti in determinate aree Differenze di equità, efficienza e sicurezza Rimangono sostanzialmente invariate

  35. SECONDA PARTE – Variazioni della pratica clinica (2) Questione della variabilità desiderabile (“positiva”) rispetto a indesiderata (“negativa”) Se le differenze evidenzia inappropriatezza: • quali sono le cure alle quali attribuire le differenze? • dove la frequenza di cure inappropriate è più elevata (c’è sovra-utilizzo da parte di regioni/strutture o professionisti?) • dove la frequenza di cure inappropriate è più bassa c’è sotto-utilizzo)? O la frequenza ottimale sta da qualche parte nel mezzo o al di là dell’uno o dell’altro estremo?” (modificato da Evans)

  36. SECONDA PARTE – Variazioni della pratica clinica (3) Non esiste una relazione chiara e ripetibile tra appropriatezza e variabilità geografica Differenze risultano da combinazione di diversi fattori (pazienti, professionisti, organizzazione e contesto) … La difficoltà consiste nel ridurre la quota di variabilità “cattiva” (limiti professionali, fallimenti) e quella buona” (esigenze dei singoli pazienti) (modificato da Mulley)

  37. SECONDA PARTE – Cause delle variazioni (1) Fattori che comportano ricorso a prestazioni: fattori riconducibili al paziente: gravità clinica, convinzioni e percezioni sulla malattia, fiducia, inclinazione al rischio decisionale, tipo di comunità e famiglia, influenza medico curante, suggerimenti fattori inerenti il sistema dell’offerta: disponibilità di servizi nella zona di residenza, distanze geografiche, organizzazione (orari, tempi d’attesa, numero di posti letto), sistemi di finanziamento e incentivazione fattori riguardanti il professionista: competenza, adesione a linee guida, esperienza.

  38. SECONDA PARTE – Cause delle variazioni (2) Variations in Health Care. The King’s Fund, 2011

  39. SECONDA PARTE – Metodi e misure delle variazioni L’identificazione dei fattori che possono spiegare le differenze di utilizzo di servizi o di prestazioni sanitarie costituisce una sfida concreta, che implica la costruzione e la validazione di ipotesi e di modelli statistici

  40. SECONDA PARTE – Metodi (1) Small-areavariationanalysis(SAV) metodologia di analisi dei servizi sanitari, nota già negli anni ‘30 e diffusasi negli anni ’80-’90 mira a descrivere le differenze geografiche nella distribuzione di un fenomeno (per esempio il ricorso a un determinato servizio o prestazione sanitaria, la frequenza di una patologia) e dare spiegazioni in termini di attitudini dei professionisti, caratteristiche dei pazienti, fattori ambientali

  41. SECONDA PARTE – Metodi (2) Differenze di pratica clinica: secondo aree geografiche di residenza secondo singoli ospedali o servizi (in questo caso è necessario affrontare specifici problemi di metodo inerenti, ad esempio, il referralbias, il case-mix)

  42. SECONDA PARTE – Metodi (3) Referralbias è un selectionbias, che si verifica quando si confrontano gruppi differenti come comparabili accade di interpretare le differenze come effetto di variabili in studio, mentre sono invece intrinseche ai gruppi a confronto si verifica quando le preferenze degli individui o le pratiche locali influiscono sulla selezione, i professionisti applicano criteri diagnostici o terapeutici diversi

  43. SECONDA PARTE – Metodi (4) Case-mix è una caratteristica misurabile di gruppi o popolazioni utile per descrivere e quantificare la diversità della casistica con probabilità diversa di esiti, complicanze e eventi non tenerne conto determina distorsioni nei risultati delle osservazioni, errate interpretazioni, decisioni e interventi scorretti/dannosi la variabilità del case mix viene trattata attraverso procedure di case mix adjustment

  44. SECONDA PARTE – Misure (1) Variations in Health Care. The King’s Fund, 2011

  45. SECONDA PARTE – Misure (2) Range differenza tra il valore più alto e il valore più basso osservati. È una misura intuitiva ma fortemente influenzata dai valori estremi. Range interquartile distanza tra il primo quartile (che corrisponde al 25° percentile) e il terzo quartile (il 75° percentile). Anche questa misura è abbastanza intuitiva e meno influenzata dagli estremi: tuttavia è basata su due sole osservazioni. …

  46. SECONDA PARTE – Misure (3) … Quoziente tra gli estremi rapporto tra il valore più alto e il più basso. Facilmente comprensibile, ha gli stessi limiti delle due precedenti misure di range. Deviazione standard (DS) misura il grado di dispersione dei dati rispetto alla media. Relativamente intuitiva e basata su tutte le osservazioni. Non fornisce alcuna informazione sul pattern di variazione. …

  47. SECONDA PARTE – Misure (4) …. Coefficiente di variazione (CV) rapporto tra DS e media. Ha il vantaggio di poter essere usata per confrontare le variazioni tra dati espressi con differenti unità di misura. Tuttavia, non consente l’aggiustamento per le variazioni intra-area (ad es. le variazioni casuali), è sensibile a piccoli cambiamenti se il valore della media è molto vicino allo 0 e non è intuitiva come le misure più semplici …

  48. SECONDA PARTE – Misure (5) …. Componente sistematica di variazione (SCV) è fondata su un modello che considera il numero di eventi osservati in relazione al numero atteso secondo la distribuzione per età e genere della popolazione in studio. Consente l’aggiustamento per le variazioni intra-area.

  49. SECONDA PARTE – Esempio tonsillectomia (1) Storicamente, parecchi studi sulle differenze di pratica clinica si sono concentrati sull’intervento chirurgico di tonsillectomia Glover (1938) osservò che la frequenza della tonsillectomia variava fino a 20 volte tra i vari quartieri di Londra. Più o meno nello stesso periodo fu condotto a New York uno studio su 1.000 bambini in età scolare con tonsilliti aute ricorrente

  50. SECONDA PARTE – Esempio tonsillectomia (2) Risultati: il 61% dei bambini aveva già subito una tonsillectomia; il rimanente 39% fu visitato da un gruppo di medici scolastici, che raccomandarono l’intervento nel 45%; il rimanente 55% fu visitato da un altro gruppo di medici che raccomandarono l’intervento nel 46%; infine, i bambini ai quali, per due volte di seguito, non era stata consigliata la tonsillectomia furono inviati a un terzo gruppo di medici che consigliarono l’intervento nel 44% dei casi. In definitiva, se tutti i bambini a cui era stata raccomandata la procedura l’avessero effettivamente subita, sarebbero stati operati 935 su 1000.

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