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Sergio Corazzini. Nato a Roma da una famiglia benestante, nel 1886, frequentò il ginnasio ma a causa della difficile situazione della famiglia, abbandonò gli studi e iniziò a lavorare in una società di assicurazioni.
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Sergio Corazzini • Nato a Roma da una famiglia benestante, nel 1886, frequentò il ginnasio ma a causa della difficile situazione della famiglia, abbandonò gli studi e iniziò a lavorare in una società di assicurazioni. • Con alcuni amici fondò la rivista «Cronache latine»; il periodico cessò presto le attività. • Iniziò a comporre in vernacolo, poi passò alla lingua.
Le opere • Queste le raccolte Di Corazzini: • Dolcezze (1904) • L’amaro calice (1905) • Piccolo libro inutile (1906) • Libro per la sera della domenica (906) • Si pose come caposcuola del movimento crepuscolare.
La negazione del ruolo del poeta • L’attenzione verso le piccole cose e le emozioni comuni non giustificano l’essere poeta. Questo è quanto dichiara C. Eppure, proprio questo tipo di sensibilità è alla base della poesia crepuscolare, che riprende spunti dal decadentismo, con il poeta pronto a guardare in sé. Tuttavia i crepuscolari non esprimono ribellione né maledettismo: raccontano una realtà malinconica, umbratile, dismessa.
Il silenzio • Il silenzio è la dimensione scelta dal poeta, ovvero meditazione e rinuncia, stanchezza di vivere. • C. segue un andamento prosastico, con un linguaggio antiretorico, e tono quotidiano e dismesso.
Ermetismo • La definizione di e viene data, in senso negativo, dal critico Francesco Flora, in un volume del 1935. Il termine servì poi ad indicare tutta la nuova lirica italiana, ad eccezione di Saba.
Giuseppe Ungaretti • U cerca e pratica una lirica essenziale ed assoluta, capace di riflettere il vuoto e la consunzione del linguaggio. • La sua poesia parte dalla constatazione dell’esaurimento di tutte le potenzialità della parola. Per questo U cerca il silenzio, il segreto, e pratica una mistica della parola che staglia la poesia sullo sfondo della tradizione.
La vita • Per questo U si allinea al simbolismo europeo. • Nato ad Alessandria d’Egitto, 1888, apparteneva ad una famiglia emigrata dalla zona di Lucca. Ad Alessandria si legò ad Enrico Pea e ai fratelli Thuile. • Nel 1912 si traferì a Parigi, dove frequentò Apollinaire e conobbe Soffici, Papini, Palazzesci • Iniziò a collaborare a «Lacerba»
La vita • Trasferitosi a Milano, irriducibile interventista, partecipò come soldato semplice alla guerra, combattendo sul Carso. • Nel 1916 esce Il porto sepolto • Nella primavera del ‘18 il suo reggimento passò a Parigi e lì si stanziò come corrispondente del giornale fascista «il Popolo d’Italia»; • Nel 1919 uscì Allegria di naufragi
La vita • 1920 sposa Jeanne Dupoix, da cui avrà Ninon e Antonietto • 1921 a Roma, lavora per il ministero degli esteri • 1928 piena adesione al fascismo e conversione religiosa • Collabora ai maggiori periodici italiani e stranieri; tiene cicli di conferenze in tutta Europa
La vita • e nel mondo. • 1933 Sentimento del tempo • 1936 si trasferisce in Brasile • Dopo aver perso il figlio Antonietto, torna in Italia • 1939 Il dolore • 1969 Vita d’un uomo
La poetica • La poesia di U nasce dalla congiunzione di due opposte tensioni: il senso d’avventura e la percezione dello spaesamento, dell’esilio. • Allo stesso modo U è attratto dalle avanguardie ma si allinea nel solco della tradizione. • Alla base della sua formazione c’è l’esperienza francese e il contatto con il simbolismo europeo.
La poetica • Prima dell’esperienza della guerra era entrato in contatto con la cultura espressionista: per questo motivo IL SUO SIMBOLISMO SI ARRICCHISCE DI DATI ESISTENZIALI-AUTOBIOGRAFICI. • La sua poesia reca sempre le tracce di un’esistenza concreta, deve raccontare la vita di un uomo.
La poetica • Questa immagine di umanità emerge dal silenzio, dal vuoto, in un grido che afferra il senso profondo della condizione naturale. • U. non ha una prospettiva sociale, non attacca la società; tuttavia la sua poesia riesce a raccogliere –nel dato autobiografico ed esistenziale- la condizione di un’epoca, il senso profondo dei valori collettivi.
La poetica • Per U la poesia è l’unica possibile testimonianza dell’uomo, è sacra, resiste alle distruzioni della storia; essa adopera una parola essenziale e scarnificata, «moderna», lontanissima dalla retorica dannunziana.
La poetica dell’analogia • Tutta l’esperienza di U è dominata dalla poetica dell’analogia. • Nel primo momento, quello dell’Allegria, fino agli anni Dieci, è caratterizzato da un’assoluta concentrazione linguistica, che riduce al minimo la parola e spezza il ritmo del verso, fino alla sillabazione. • I componimenti di questo momento sono
La poetica dell’analogia • brevissimi (Mattina, M’illumino/d’immenso), versi essenziali che sconvolgono ogni consuetudine metrico sintattica. • Sparisce la punteggiatura, la parola lirica si isola nel suo nucleo primigenio. • In un secondo momento, negli anni Venti, con Sentimento del tempo, la poesia cerca espressioni più distese, recupera le forme più eleganti e preziose
Barocco • Della tradizione, ritorna alla metrica tradizionale, guarda ai modelli supremi di perfezione Leopardi e Petrarca. • Il linguaggio non è più scarno ma si avvolge in complessi intrecci, tra suggestioni e immagini analogiche. Questa seconda fase porta U alla scoperta del Barocco: tutto il linguaggio della letteratura universale è per lui un immenso repertorio di analogie, uno sterminato
barocco • campo di immagini e metafore che possono essere combinate all’infinito. • Il lavoro del poeta è ora la manipolazione magica e sacrale di tutte queste forme. La poesia è un’inchiesta sui nuovi segreti da scoprire, sui misteriosi legami tra le parole, che alludono ad una realtà profonda e inconoscibile. • La parola recupera il suo significato
religioso e la continuità dei valori eterni dell’uomo. • U concepisce tutta la sua opera come un rapporto di analogie, un intreccio di riscritture, correzioni, perfezionamenti; tutto è in relazione, tutto si tiene.
Simbolismo • Talvolta U porta all’estremo la sua concezione simbolista della poesia; spesso l’affermazione del valore sacrale della parola poetica resta qualcosa di astratto e programmatico, lontano da un’autentica capacità di conoscenza.
L’Allegria • L’Allegria è la raccolta che contiene tutta la prima produzione di U, quella tra il 1914 e il 1919 • I primi componimenti rivelano la concentrazione del poeta sulla parola. La guerra porta al confronto tra l’io poetico e la realtà esterna minacciosa, la natura ostile e indifferente. • La poesia è un modo per affermare nel
vuoto minaccioso la tragica dignità di un destino umano e collettivo. La guerra appare come un dato ineluttabile: il paesaggio, percorso dalle macchine belliche, è espressione di una violenza naturale ed artificiale. L’io prova ad affermare la sua vitalità, ad attaccarsi alle illusioni per sopravvivere («Ungaretti/ uomo di pena/ti basta un’illusione /per farti coraggio»)
Lo stesso titolo Il porto sepolto –ad Alessandria si credeva vi fosse un antico porto sepolto nella sabbia- allude a «ciò che di segreto rimane in noi indecifrabile» e alla funzione della poesia come scavo alla ricerca di un «nulla/ d’inesauribile segreto». • Il titolo Allegria – quello originario era Allegria di naufragi- allude alla paradossale vitalità che si afferma in mezzo alla morte
alla forza allegra della sopravvivenza nel vuoto e nel naufragio. • Questo è il senso della condizione moderna, il residuo vitale di un’umanità che ritrova se stessa nel nulla, nello svuotamento, nella sopravvivenza incosciente ed euforica. • Questa poesia raggiunge i suoi risultati migliori quando registra lo svuotamento del’io annullato dalla esperienza della guerra.
L’io diviene parte del paesaggio bellico: «eccovi un’anima/ deserta/ uno specchio impassibile». • L’ analogia mette sullo stesso piano il mondo scarnificato e l’io, che coincide con il paesaggio carsico. La parola è ridotta, l’io poetico si indentifica col grado zero dell’universo. Talvolta vi sono elementi di nostalgia e di meditazione morale.
Sentimento • Sullo sfondo desolato della guerra la parola poetica si allontana dal linguaggio consumato: la distruzione è un fatto naturale, connaturata al vivere stesso. • Nei componimenti successivi alla guerra –in quelli nell’ultima sezione di A- U va verso forme più allargate, distese, composte. • Nella successiva raccolte –Sentimento del tempo-
torna all’endecasillabo, alla punteggiatura, alle immagini della poesia tradizionale. Le esperienze che condizionano questa fase sono legate a Roma, la città barocca per eccellenza, in cui il p sperimenta l’orrore del vuoto e i ricostituirsi dello spazio. Inoltre, in questo momento U vive la sua conversione religiosa. • Questa è la poesia dell’analogia, un arcano dialogo tra voci diverse ricavate dal fondo della
natura. • Il gioco poetico confonde concreto e astratto, sommerge la parola sotto metafore; l’anima si ricava da immagini sfuggenti, proietta se stessa in forme del mito. • I componimenti migliori sono quelli in cui il poeta si libera da questo reticolato di analogie e affronta temi legati alla solitudine dell’uomo di fronte al male e alla morte
Il Dolore • Nel 1947 pubblica Il Dolore, raccolta legata alla scomparsa del figlio, del fratello, alle immagini dell’occupazione nazista di Roma. Il verso endecasillabo si modula in un discorso disteso, accorato, essenziale, un amaro accordo musicale.
Aldo Palazzeschi • Nato a Firenze nel 1885, Aldo Giurlani, si diede alla letteratura dopo aver frequentato una scuola di recitazione insieme a Moretti. Assunse lo pseudonimo Palazzeschi dal cognome della nonna. • Dopo i primi volumi di poesie legati al crepuscolarismo –I cavalli bianchi (1905), Lanterna (1907), Poemi (1909)- pubblicati sotto il finto nome di Cesare Blanc –che in
La vita • era il suo gatto- P. conobbe Marinetti e aderì al futurismo, producendo alcuni tra i testi futuristi più originali; fece da tramite tra Marinetti e il gruppo di «Lacerba». La sua indole indipendente e la sua inclinazione pacifista lo spinsero ad abbandonare il futurismo, già nel 1914, quando si scatenò nella battaglia antinterventista.
La vita • Fu costretto all’esperienza militare (anche se riuscì ad evitare di essere spedito al fronte), nel dopoguerra visse una vita isolata, solitaria, estranea al fascismo. Era impegnato nell’attività di narratore. Dal 1926 iniziò a collaborare al «Corriere della sera» e partì per lunghi soggiorni a Parigi. Nel 1941 si traferì a Roma. Negli anni ‘60 i neoavanguardisti riscoprirono la sua opera, recuperando la sua produzione giovanile.
La vita • Fu una fase di nuova creatività, felice, che durò fino alla scomparsa, nel 1974. • P. attraversa sia l’esperienza delle avanguardie degli anni Venti, che la tensione al ritorno all’ordine e infine la ripresa sperimentale delle avanguardie degli anni Sessanta, con un atteggiamento giocoso, ironico, inafferrabile. Evidenzia nella realtà l’incongruenza, le sproporzioni; distrugge i normali rapporti tra
I temi • le cose. La sua distruzione è contenta di se stessa, paga di potersi concentrare sugli oggetti. P. è un distruttore che conosce il suo valore e i suoi limiti, un estremista che non vuole davvero azzerare e annullare. P. ha bisogno della vita e delle cose; sa che vi è una dimensione di irrazionalità; il suo io è attratto da questo nulla, in cui le cose si rivelano nella loro inconsistenza.
I temi • L’io del poeta è leggero, guizza in questo nulla, nella libertà dalle cose e dal mondo; tuttavia, c’è sempre in P. una dimensione più fonda, qualcosa di oscuro e indecifrabile. • P. ha la giocosità di un saltimbanco, che tutto sembra poter risolvere in superficie.
Le opere • La prima fase della produzione di P. è legata alla poesia. • L’incendiario 1913 è una sistemazione delle prime raccolte di poesie. I testi sono legati al crepuscolarismo, vi sono echi della poesia postsimbolista francese, ritmi crepuscolari (ripetizioni, cantilene…). È indagata la stessa condizione del poeta (Chi sono?), inteso come saltimbanco, secondo uno stilema
Consueto della tradizione tardo ottocentesca. • La sua vicinanza al futurismo fa esplodere la sua aspirazione a trasformare la parola in puro divertimento, in un libero ricamo sul nulla, che si incanta di fronte a tutte le cose e rivela tutta la stranezza della normalità. • Le cose più minute, i paesaggi più semplicie convenzionali, le situazioni umane più banali, tutto si risolve in insensatezza
in un meraviglioso che vuole essere privo di ogni valore e di ogni aura, tra smorfie, sberleffi, parole balbettate, gesti sconci, che riducono la parola ad una pura ripetizione di echi vocali. • P svuota la poesia e la rende vuota filastrocca, sciorinamento di corbellerie (Lasciatemi divertire). Vengono ridicolizzate tutte le etichette sociali, tutti i presupposti valori,
tutte le esaltazioni programmatiche della poesia e della cultura del suo tempo. Il mondo contemporaneo è ridicolizzato, appare una vuota successione di parole-insegne, parole di immagini pubblicitarie, che il poeta attraversa come in un’allucinazione ridicola. • L’incendiario è , in questo senso, un poeta che svuota e distrugge, così come profetizzava il futurismo.
P e il Futursimo • La sua pulsione distruttrice non è la stessa dei futuristi. Non mira ad una poesia che cooperi o partecipi al progresso, che scandisca la storia. • Il controdolore 1913 è il suo manifesto poetico. Il gioco e il riso vengono indicati come i possibili principi regolatori dell’universo; essi suggeriscono un metodo di vita che sottopone
ogni esperienza umana al soffio vivificatore del riso e della follia, che trasformi il dolore e la morte in occasioni comiche. • P. suggerisce così un’utopia della gioia e della leggerezza, opposta alla seriosità dei miti letterari, ideologici, politici del ‘900. • Su questa linea anche le sue prove narrative; :riflessi e Il codice di Perelà (1911), il romanzo dell’uomo di fumo, una sorta
Il codice… • Di nuovo messia che dovrebbe salvare l’umanità dalla falsa razionalità e dalle costrizioni sociali, ma che esala verso il cielo dissolvendosi. • Dopo la rottura con il futurismo, P reagì alla guerra con la testimonianza vibrante di Due imperi…mancati, che esprime disinganno verso i modi delle avanguardie
La prosa • e torna alla tradizione. Nelle novelle emerge liberà una comicità fatta di favole leggere, piene di sorprese, di incastri, ambientata in un modesto mondo borghese, popolato da personaggi dimessi e mediocri. • 1934 Il romanzo Sorelle Materassi ha una struttura realistica tradizionale, appesantita da un tono di conversazione «toscana», che vuol essere misurato e cordiale. La vicenda è basata
sull’introduzione, nella vita di due attempate e zitelle sorelle, di un nipote scapestrato.
Camillo Sbarbaro • Nato a Santa Margherita Ligure nel 1888, S visse con grande coerenza, appartato dal mondo letterario, in un solitario spazio privato e quotidiano. • Impartiva lezioni private, compiva traduzioni, collaborava a vari periodici. • La sua poesia si rivelò con Pianissimo (1914), in cui dava voce ad una condizione di indifferenza e aridità, che ricorda i crepuscolari
La vita • Dopo il diploma lavorò in un’industria siderurgica; allo scoppiò della prima guerra mondiale abbandonò l’impiego e si arruolò nella croce rossa. • Nel 1927 cominciò ad insegnare, ma dovette abbandonare l’incarico per aver rifiutato la tessera del Fascio.
I temi • S però è lontano dalle immagini e dall’ironia dei crepuscolari. In realtà la poesia di S cerca l’essenzialità, scarnifica i contorni delle cose. La ricerca di essenzialità conduce alla constatazione del vuoto, che domina il mondo e il soggetto costretto ad abitare il nulla. • Per Montale «spaesato e stupefatto S passa tra gli uomini che non comprende, tra la vita che lo sopravanza e gli sfugge».
I temi • S cammina tra le cose come un sonnambulo; a tratti gli viene incontro qualche barlume di vitalità, che subito ricade nel vuoto, perché il mondo è deserto e altro non si può fare che contemplare la propria arida esistenza. • Con un verso dal ritmo stanco, la poesia di S attraversa i frammentari momenti e scenari della vita urbana e sembra voler portare l’io indifferente a identificarsi e a perdersi
I temi • In mezzo alle esperienze più degradate, confuse e distorte delle vie cittadine. L’io si muove in un’odissea ridotta, si priva di sé, ricalcando moduli della poesia maledetta, pur senza avere spirito eroico e ribelle proprio di quella poesia.