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Procedimenti minorili: peculiarità. Istituto Superiore di Tecniche Investigative dell’Arma dei Carabinieri.
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Procedimenti minorili: peculiarità Istituto Superiore di Tecniche Investigative dell’Arma dei Carabinieri dott. Claudio De Angelis Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Roma
Il procedimento penale minorile è disciplinato dal DPR 22 settembre 1988 n° 448, entrato in vigore il 24 ottobre 1989, contestualmente al nuovo codice di procedura penale (c.d. codice Vassalli)
La normativa, che costituisce un vero e proprio microsistema, è stata introdotta affinché l’intervento anche penale nei confronti del minore non dia mai luogo ad un minusdi garanzie rispetto a quelle riconosciute ai maggiorenni, neppure quando detto intervento si presenta come diretto a proteggere il minore da abusi o rischio di devianza.
Accanto al diritto del minore ad avere un proprio giudice (il Tribunale per i minorenni è stato istituito nel 1934), è stato sancito il suo diritto ad avere un proprio processo.
Il minore è stato pertanto incluso nel sistema penale in modo attivo e non passivo, solo entro i limiti necessari alla valutazione della sua azione.
Nel procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale. Tali disposizioni sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne (art. 1 co. 1 del DPR n° 448 del 1988).
Le modificazioni ed integrazioni che caratterizzano la peculiarità del rito penale minorile si muovono, anche sulla scorta delle Regole di Pechino e delle raccomandazioni di Strasburgo, importanti documenti internazionali che hanno di poco preceduto il DPR n° 448, lungo due linee fondamentali: da un lato il rafforzamento delle garanzie processuali per il minorenne, dall’altro la prevenzione dei rischi e dei pregiudizi derivanti dal contatto del minore con il circuito penale, con conseguente pericolo di etichettamento.
Le due linee fondamentali, apparentemente armoniche, possono entrare in conflitto: concorrono le esigenze educative e quelle della sanzione dei comportamenti devianti, che devono essere armonizzate. Il giudice illustra all’imputato il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza nonché il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni. (Art. 1 co. 2 del DPR n° 448 del 1988).
Art. 97 c.p. Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto non aveva compiuto i quattordici anni. L’infraquattordicenne non è imputabile e, pertanto il necessario epilogo di tutti i procedimenti che lo riguardano è la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità (art. 26 DPR n° 448 del 1998). Peraltro, per consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità presuppone l’accertamento della responsabilità del minore, potendo anche comportare l’applicazione di misure di sicurezza nei suoi confronti ed essendo destinata, in ogni caso ad essere iscritta, sia pure temporaneamente, nel casellario giudiziale. Per tale ragione è necessario attivare, sia pure in via sommaria, un contraddittorio, per consentire alla difesa di interloquire. Diretta conseguenza di quanto sopra è la necessità, con la quale la prassi della polizia giudiziaria di base non è sempre in linea, di corredare sempre le comunicazioni di notizia di reato riguardanti minori non imputabili per età con i dati relativi ai primi accertamenti sui fatti e alla compiuta identificazione dei soggetti.
Art. 98 c.p. co. 1 È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di intendere e di volere; ma la pena è diminuita. Il giudice deve effettuare l’accertamento caso per caso e la legge non pone alcuna presunzione, né di imputabilità, né di non imputabilità. Dottrina e giurisprudenza hanno individuato, rispetto al proscioglimento ai sensi dell’art. 98 c.p., la categoria dell’immaturità.
Accertamento sull’età del minorenne Quando vi è incertezza sulla minore età dell’imputato, il giudice dispone, anche di ufficio, perizia. Qualora, anche dopo la perizia, permangono dubbi sulla minore età, questa è presunta ad ogni effetto. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano altresì quando vi è ragione di ritenere che l’imputato sia minore degli anni quattordici (art. 8 DPR 448 del 1988).
La diminuente (o attenuante) della minore età prevista dall’art.98 c.p. concorre con le altre circostanze aggravanti ed attenuanti nell’applicazione della pena e può quindi essere ritenuta prevalente, equivalente o soccombente rispetto alle circostanze aggravanti, con il solo limite dell’esclusione dell’applicazione al minorenne della pena dell’ergastolo, sancito dalla Corte costituzionale con sentenza n°168 del 1994.
Perdono giudiziale (artt.169 c.p. e 19 R.D.L. 20 luglio 1934 n° 1404) Se per il reato commesso dal minorenne il tribunale crede che si possa applicare una pena restrittiva della libertà personale non superiore a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore a euro 1.549 anche se congiunta a detta pena, il giudice può astenersi dal pronunciare condanna e applicare il perdono giudiziale. Il perdono giudiziale non può essere concesso più di una volta, ma due sentenze della Corte costituzionale hanno stabilito che il perdono può estendersi ad altri reati legati dal vincolo della continuazione a quelli per i quali è stato concesso il beneficio (sentenza n°108 del 1973) e che può concedersi un nuovo perdono in caso di reato commesso anteriormente alla prima sentenza di perdono, purché la pena cumulata non superi i limiti di applicabilità del beneficio (sentenza n°154 del 1976)
Sospensione condizionale della pena (art. 163, co.2 c.p.) Per il reato commesso da un minore degli anni diciotto la sospensione condizionale della pena può essere ordinata quando si infligga una pena restrittiva della libertà personale non superiore a tre anni ovvero una pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell’art. 135 c.p., sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a tre anni.
Il processo penale minorile è, prima ancora che processo del fatto processo della persona. Questa a ben vedere è la principale peculiarità, collegata del resto alle esigenze educative. Mentre per gli adulti esiste addirittura il divieto di accertamenti sulla personalità al di fuori dell’indagine sull’eventuale vizio di mente (art. 220, 2° co. c.p.), principio cardine del minorile è quello che prescrive gli accertamenti sulla personalità del minorenne (a mente dell’art. 9 del DPR n° 488 del 1988 il pubblico ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili).
Alle importanti finalità endoprocessuali, strettamente collegate alla pronuncia penale, si aggiungono finalità parapenali, da iscriversi nel paradigma della “presa in carico” e della protezione del minore, con la possibile apertura di un procedimento civile nel suo interesse: al fine dell’eventuale esercizio del potere di iniziativa per i provvedimenti civili di competenza del tribunale per i minorenni, l’autorità giudiziaria informa il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni nella cui circoscrizione il minorenne abitualmente dimora dall’inizio e dell’esito del procedimento penale promosso in altra circoscrizione territoriale (art. 4 DPR n° 448 del 1988).
I principali procedimenti civili di competenza del tribunale per i minorenni sono la procedura di adottabilità nei casi di abbandono del minore (Legge 4 maggio 1983 n° 184 e successive modificazioni) e le procedure di decadenza e di limitazione della potestà genitoriale (artt. 330, 333 e 336 c.c.)
Il tribunale per i minorenni è un giudice specializzato. Nella sua composizione ordinaria, in civile e in penale, è un organo collegiale a composizione mista ( due magistrati di carriera togati e due giudici onorari scelti fra gli esperti di scienze umane quali la psicologia, la pedagogia, la psichiatria ecc.). In penale esercita la funzione di GIP un giudice togato monocratico, mentre il GUP (Giudice dell’Udienza Preliminare) ha una composizione collegiale (un giudice togato e due giudici onorari).
Specializzato è anche il pubblico ministero minorile, organo che presiede e coopera al conseguimento del peculiare interesse-dovere dello Stato al recupero del minore, cui è addirittura subordinata la realizzazione o meno della pretesa punitiva, dovere primario del rappresentante dell’accusa (sentenza della Corte Costituzionale n° 49 del 1973).
Specializzata è anche la polizia giudiziaria. In ciascuna procura della Repubblica presso i tribunali per i minorenni è istituita una sezione specializzata di polizia giudiziaria, alla quale è assegnato personale dotato di specifiche attitudini e preparazione (art. 5 DPR n° 448 del 1988).
Costante è la necessaria presenza, accanto agli esercenti la potestà sul minore, dei servizi minorili, per tutte le attività di assistenza affettiva e psicologica, di osservazione, di sostegno e di controllo. L’assistenza affettiva e psicologica all’imputato minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altra persona idonea indicata dal minorenne e ammessa dall’autorità giudiziaria che procede (art. 12 co.1 DPR n° 448 del 1988). A tutti gli atti garantiti deve presenziare, a pena di nullità, un esercente la potestà sul minore e, ai sensi dell’art. 7 del DPR n° 448, l’informazione di garanzia e il decreto di fissazione dell’udienza, devono essere notificati, a pena di nullità, anche all’esercente la potestà dei genitori. La regola si applica, durante le indagini preliminari, anche agli inviti a presentarsi e agli interrogatori dei minori. In ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria si avvale dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia. Si avvale altresì dei servizi di assistenza istituiti dagli enti locali (art. 6 DPR n°448 del 1988).
Specializzati sono i difensori d’ufficio. Il consiglio dell’ordine forense predispone gli elenchi dei difensori con specifica preparazione nel diritto minorile (art. 11 DPR n° 448 del 1988).
Punto qualificante del rito penale minorile è quello relativo alla libertà personale: le misure precautelari della polizia giudiziaria e le misure cautelari applicate dal giudice sono sempre facoltative e sono consentite solo per reati gravi, specificamente individuati o per reati puniti con pena elevata.
Misure cautelari per i minorenni Le misure cautelari per i minorenni sono tipiche e nel disporle il giudice deve tenere conto, oltre che dei consueti criteri, validi anche per gli adulti, previsti dall’art. 275 c.p.p., dell’esigenza di non interrompere i processi educativi in atto. Con la misura cautelare il giudice affida l’imputato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia. Le misure diverse dalla custodia cautelare possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (art. 19 co.4 DPR n°488 del 1988)
Custodia cautelare La custodia cautelare può essere applicata quando si procede per delitti non colposi per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni. Anche fuori dei casi predetti, la custodia cautelare può essere applicata quando si procede per uno dei delitti, consumati o tentati, previsti dall’art. 380, comma 2 lettere e),f),g),h) del codice di procedura penale nonché, in ogni caso, per il delitto di violenza carnale (art.23 co. 1 DPR n°448 del 1988). Non può essere preso in considerazione il parametro b (relativo alle ipotesi in cui l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga, perché il parametro stesso è stato dichiarato incostituzionale con sentenza della Consulta n°359 del 2000). Restano i due parametri a e c di cui al 2° comma dell’art.23, relativi rispettivamente alle esigenze probatorie e alla pericolosità del prevenuto.
Le altre misure cautelari previste per i minorenni sono: Collocamento in comunità(art. 22 DPR n°488 del 1988); Permanenza in casa(art. 21 DPR n°488 del 1988); Prescrizioni (art. 20 DPR n° 488 del 1988). Il minorenne in comunità o in permanenza in casa è considerato in stato di custodia cautelare ai soli fini del computo della durata massima della misura a decorrere dal momento in cui la misura è eseguita ovvero dal momento dell’arresto, del fermo o dell’accompagnamento. Il periodo è computato nella pena da eseguire a norma dell’art. 657 c.p.p. Le prescrizioni sono un istituto tipicamente minorile e ineriscono ad attività di studio a di lavoro ovvero ad altre attività utili per l’educazione del minore.
Arresto in flagranza (art. 16 DPR n° 488 del 1988) Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere all’arresto del minorenne colto in flagranza di uno dei delitti per i quali a norma dell’art. 23, può essere disposta la misura della custodia cautelare. Nell’avvalersi della facoltà prevista dal comma 1° gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria devono tenere conto della gravità del fatto nonché dell’età e della personalità del minorenne . Fondamentale e delicata è la valutazione della polizia giudiziaria di base rispetto all’eventuale arresto in flagranza, anche alla luce dell’eventuale consultazione preventiva del pubblico ministero minorile di turno. Fermo di minorenne indiziato di delitto (art. 17 DPR n° 448 del 1988) È consentito il fermo del minorenne indiziato di un delitto per il quale, a norma dell’art.23, può essere disposta la misura della custodia cautelare, sempre che, quando la legge stabilisce la pena della reclusione, questa non sia inferiore nel minimo a due anni.
Provvedimenti in caso di arresto o di fermo del minorenne (art. 18 DPR n° 488 del 1988) Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto o il fermo di un minorenne ne danno immediata notizia al pubblico ministero nonché all’esercente la potestà dei genitori e all’eventuale affidatario e informano tempestivamente i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia. Quando riceve la notizia dell’arresto o del fermo, il pubblico ministero dispone che il minorenne sia senza ritardo condotto presso un centro di prima accoglienza o presso una comunità pubblica o autorizzata che provvede a indicare. Qualora, tenuto conto delle modalità del fatto, dell’età e della situazione familiare del minorenne, lo ritenga opportuno, il pubblico ministero può disporre che il minorenne sia condotto presso l’abitazione familiare perché vi rimanga a sua disposizione.
Accompagnamento a seguito di flagranza (art. 18 bis DPR n°488 del 1988) Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono accompagnare presso i propri uffici il minorenne colto in flagranza di un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e trattenerlo per il tempo strettamente necessario alla sua consegna all’esercente la potestà dei genitori o all’affidatario o a persona da questi incaricata. In ogni caso il minorenne non può essere trattenuto oltre dodici ore. Si tratta di un particolare istituto introdotto con Legge n° 12 del 1991 in sede di modifica del DPR n° 448 che, perlomeno a Roma, è scarsamente applicato in quanto di regola si provvede in tempi rapidi a convocare i genitori e riconsegnare agli esercenti il minore denunziato a piede libero. Quanto agli stranieri non accompagnati o per i quali comunque non sia stato reperito un’esercente la potestà, si provvede in sede civile al collocamento in una comunità assistenziale ai sensi dell’art. 403 c.c. (in tali ultimi casi il minore straniero è in stato di libertà e collocato presso la struttura per soli fini di protezione).
Altre peculiarità del procedimento penale minorile Nel procedimento penale minorile non è ammessa la costituzione di parte civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato (art. 10 DPR n°448). L’udienza dibattimentale davanti al tribunale per i minorenni è tenuta a porte chiuse (art.33 co.1 DPR n°448) salvo l’astratta possibilità di derogare alla regola in alcune ipotesi tassative, nell’esclusivo interesse dell’imputato che abbia compiuto sedici anni. L’esame dell’imputato in udienza è condotto dal presidente e non sono ammesse domande o contestazioni dirette da parte degli altri giudici, del pubblico ministero o del difensore; è pertanto vietata la c.d. cross examination, prevista per i maggiorenni dal codice Vassalli. L’esercente la potestà può proporre impugnazione e in caso di contrasto prevale l’eventuale impugnazione proposta dall’imputato minore (art.34 DPR n° 448).
Peculiarità relative ai procedimenti speciali (art. 25 DPR n°448 del 1988) Nel procedimento minorile è esclusa l’applicabilità del c.d. patteggiamento e del procedimento per decreto. Il giudizio direttissimo è ammesso solo se possibile compiere gli accertamenti sulla personalità previsti dall’art.9 e assicurare al minorenne l’assistenza prevista dall’art. 12 del DPR n° 448. Il pubblico ministero non può procedere a giudizio direttissimo o richiedere il giudizio immediato nei casi in cui ciò pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore .
Con la riforma del 1988 sono stati introdotti nel rito penale minorile due nuovi istituti che assumono particolare rilievo: Sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 DPR n° 448) Sospensione del processo e messa alla prova (art. 28 DPR n° 448)
Sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 co.1 e 4 DPR n°448 del 1988) Durante le indagini preliminari, se risulta la tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento, il pubblico ministero chiede al giudice sentenza di non luogo sa procedere per irrilevanza del fatto quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne. Nell’udienza preliminare, nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato, il giudice pronuncia di ufficio sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, se ricorrono le condizioni previste dal comma 1. Gli elementi sono tre: tenuità del fatto, occasionalità del comportamento, pregiudizio per le esigenze educative del minorenne. Si tratta di un meccanismo processuale rispettoso del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale che si fonda, per i c.d. reati bagattellari (frequenti nel minorile) su una delicata valutazione comparativa fra le valenze positive e negative del processo. La declaratoria presuppone la responsabilità del minore e consente allo stesso una rapida uscita dal circuito penale nei casi in cui la stessa afflittività del procedimento in quanto tale, prima ancora della eventuale pena, appaia sproporzionata rispetto alla condotta posta in essere e, quindi, non in linea secondo le esigenze educative e di socializzazione del ragazzo. L’istituto è stato ripreso ed inserito nella disciplina del procedimento davanti al giudice di pace (art. 34 della legge n° 274 del 200, esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto).
Sospensione del processo e messa alla prova (ART. 28 DPR n°448 del 1988) Il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova disposta a norma del comma 2. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione. Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato. Contro l’ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore. La sospensione non può essere disposta se l’imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio immediato. La sospensione è revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte.
Dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della prova (art. 29 DPR 448 del 1988) Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo. Altrimenti provvede a norma degli articoli 32 e 33.
Analisi dell’istituto della messa alla prova Emergono i seguenti aspetti: La sospensione può essere disposta dal giudice anche d’ufficio, quando lo ritenga (valutazione, quindi discrezionale) ed ha luogo, a differenza di quanto previsto dall’omologo istituto dell’ordinamento penitenziario, non nella fase esecutiva, dopo la condanna definitiva, ma in cognitivis, quando il giudice non si è ancora pronunciato sulla responsabilità. Le parti, anche se spesso sono loro (in particolare la difesa) a chiedere la sospensione, devono essere solo sentite (a ben vedere non è richiesto un vero e proprio parere). La sospensione può essere chiesta per tutti i reati (es. anche per l’omicidio o per la strage), senza alcuna limitazione rispetto alla loro gravità e alla misura della pena edittale. Unica condizione è l’esigenza di valutare la personalità del minore imputato all’esito della prova. Il baricentro si sposta dunque dal fatto reato alla persona del minore imputato, con chiare finalità educative e di recupero. Se l’esito della prova è positivo, vi è una sostanziale rinuncia al processo e al giudizio sul fatto: il giudizio ha per oggetto l’evoluzione della personalità del minore e il reato si estingue, con formula meramente processuale (anche se, per giurisprudenza e dottrina prevalenti, è necessaria, nel merito, almeno una implicita ammissione di responsabilità). L’eventuale pena con la sua connotazione meramente repressiva, è sostituita da un obbligo di facere (studio. Attività lavorative, volontariato) che, unito agli obblighi di non facere (rispetto a comportamenti devianti, altre denunzie, abbandono scolastico), caratterizza in maniera tutta particolare la risposta dello Stato alla violazione della legge panale da parte del minore. L’istituto costituisce il più delicato punto di interferenza fra la repressione e l’intervento educativo, anche per le attività di conciliazione e di riparazione che possono restituire alla famiglia e alla società un minore che ha elaborato il suo sbagli e si riscatta. L’istituto è efficace solo nella misura in cui il giudice minorile ne faccia un uso equilibrato e i servizi siano propositivi e validi nella presa in carico del ragazzo : in caso contrario si tratterà di uno stanco rito, senza alcun significato, sia sotto il profilo della risposta sanzionatoria che sotto il profilo dell’azione educativa.
Applicazione delle misure di sicurezza (art. 36 DPR n°448 del 1988) Per i minorenni la misura di sicurezza della libertà vigilata è eseguita o nelle forme delle prescrizioni o in quelle della permanenza in casa . La misura di sicurezza del riformatorio giudiziario può essere applicata solo per i delitti per i quali è consentita la custodia cautelare ed è eseguita nelle forme del collocamento in comunità.