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La Divina Commedia. Buio d'inferno e di notte privata d'ogne pianeto, sotto pover cielo, 3 quant'esser può di nuvol tenebrata, non fece al viso mio sì grosso velo come quel fummo ch'ivi ci coperse, 6 né a sentir di così aspro pelo, che l'occhio stare aperto non sofferse;
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Buio d'inferno e di notte privata d'ogne pianeto, sotto pover cielo, 3 quant'esser può di nuvol tenebrata, non fece al viso mio sì grosso velo come quel fummo ch'ivi ci coperse, 6 né a sentir di così aspro pelo, che l'occhio stare aperto non sofferse; onde la scorta mia saputa e fida 9 mi s'accostò e l'omero m'offerse. Sì come cieco va dietro a sua guida per non smarrirsi e per non dar di cozzo 12 in cosa che 'l molesti, o forse ancida, Purgatorio canto XVI
m'andava io per l'aere amaro e sozzo, ascoltando il mio duca che diceva 15 pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo». Io sentia voci, e ciascuna pareva pregar per pace e per misericordia 18 l'Agnel di Dio che le peccata leva Pur 'Agnus Dei ' eran le loro essordia; una parola in tutte era e un modo, 21 sì che parea tra esse ogne concordia. Quei sono spirti, maestro, ch'i' odo?», diss'io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi, 24 e d'iracundia van solvendo il nodo». «Or tu chi se' che 'l nostro fummo fendi, e di noi parli pur come se tue 27 partissi ancor lo tempo per calendi?» Così per una voce detto fue; onde 'l maestro mio disse: «Rispondi, 30 e domanda se quinci si va sùe». Purgatorio canto XVI
E io: «O creatura che ti mondi per tornar bella a colui che ti fece, 33 maraviglia udirai, se mi secondi». «Io ti seguiterò quanto mi lece», rispuose; «e se veder fummo non lascia, 36 l'udir ci terrà giunti in quella vece». Allora incominciai: «Con quella fascia che la morte dissolve men vo suso, 39 e venni qui per l'infernale ambascia. Purgatorio canto XVI
E se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso, tanto che vuol ch'i' veggia la sua corte 42 per modo tutto fuor del moderno uso, non mi celar chi fosti anzi la morte, ma dilmi, e dimmi s'i' vo bene al varco; 45 e tue parole fier le nostre scorte». Lombardo fui, e fu' chiamato Marco; del mondo seppi, e quel valore ama 48 al quale ha or ciascun disteso l'arco. Per montar sù dirittamente vai». Così rispuose, e soggiunse: «I' ti prego 51 che per me prieghi quando sù sarai». E io a lui: «Per fede mi ti lego di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio 54 dentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego Prima era scempio, e ora è fatto doppio ne la sentenza tua, che mi fa cert 57 qui, e altrove, quello ov'io l'accoppio Lo mondo è ben così tutto diserto d'ogne virtute, come tu mi sone, 60 e di malizia gravido e coverto; ma priego che m'addite la cagione, sì ch'i' la veggia e ch'i' la mostri altrui; 63 ché nel cielo uno, e un qua giù la pone Purgatorio canto XVI
Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!», mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate, 66 lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui. Voi che vivete ogne cagion recate pur suso al cielo, pur come se tutto 69 movesse seco di necessitate. Se così fosse, in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia 72 per ben letizia, e per male aver lutto. Purgatorio canto XVI
Lo cielo i vostri movimenti inizia; non dico tutti, ma, posto ch'i' 'l dica, 75 lume v'è dato a bene e a malizia, libero voler; che, se fatica ne le prime battaglie col ciel dura, 78 poi vince tutto, se ben si notrica. A maggior forza e a miglior natura liberi soggiacete; e quella cria 81 la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura. Però, se 'l mondo presente disvia, in voi è la cagione, in voi si cheggia; 84 e io te ne sarò or vera spia. Esce di mano a lui che la vagheggia prima che sia, a guisa di fanciulla 87 che piangendo e ridendo pargoleggia, l'anima semplicetta che sa nulla, salvo che, mossa da lieto fattore, 90 volontier torna a ciò che la trastulla. Di picciol bene in pria sente sapore; quivi s'inganna, e dietro ad esso corre, 93 se guida o fren non torce suo amore. Onde convenne legge per fren porre; convenne rege aver che discernesse 96 de la vera cittade almen la torre. Purgatorio canto XVI
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? Nullo, però che 'l pastor che procede, 99 rugumar può, ma non ha l'unghie fesse; per che la gente, che sua guida vede pur a quel ben fedire ond'ella è ghiotta, 102 di quel si pasce, e più oltre non chiede. Ben puoi veder che la mala condotta è la cagion che 'l mondo ha fatto reo, 105 e non natura che 'n voi sia corrotta. Purgatorio canto XVI Nullo – nessuno.; perché l’ufficio dell’imperatore è di fatto vacante; e il pastore, il pontefice, che procede, va innanzi al gregge e lo guida, ormai solo (avendo usurpato anche il governo temporale), possiede bensì la retta cognizione della legge divina, ma non distingue, come dovrebbe il bene del male e, mostrandosi avido dei beni mondani, dá il malo esempio agli altri uomini (Sapegno – nota al canto XVI) L’umanità segue la sua guida spirituale, il papa, nella ricerca dei beni materiali, dimenticando i beni celesti (Mineo et alii –nota ai vv 100-102)
Soleva Roma, che 'l buon mondo feo due soli aver, che l'una e l'altra strada 108 facean vedere, e del mondo e di Deo. L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada col pasturale, e l'un con l'altro insieme 111 per viva forza mal convien che vada; però che, giunti, l'un l'altro non teme: se non mi credi, pon mente a la spiga, 114 ch'ogn'erba si conosce per lo seme. La teoria dei due soli Secondo Dante, Dio ha destinato all’uomo due guide, una spirituale, nella persona del pontefice, per guidarlo alla felicità eterna, ed una temporale, che lo indirizzi alla vita terrena. Le due autorità ricevono direttamente da Dio il loro dovere e devono essere indipendenti l’una dell’altra, pur operando per fini che si integrano. Sono come due soli, splendenti emtrambi di luce propria e non come il sole e la luna, secondo affermano i teologi medievali, i quali, identificano il sole nel pontefice e la luna, che gode di luce riflessa, nell’imperatore. Quest’ultimo, secondo Dante, deve essere come um figlio nei confronti del padre. Sanguinetti (1985) Purgatorio canto XVI
In sul paese ch'Adice e Po riga, solea valore e cortesia trovarsi, 117 prima che Federigo avesse briga; or può sicuramente indi passarsi per qualunque lasciasse, per vergogna 120 di ragionar coi buoni o d'appressarsi. Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna l'antica età la nova, e par lor tardo 123 che Dio a miglior vita li ripogna: Currado da Palazzo e 'l buon Gherardo e Guido da Castel, che mei si noma 26 francescamente, il semplice Lombardo. Dì oggimai che la Chiesa di Roma, per confondere in sé due reggimenti, 129 cade nel fango, e sé brutta e la soma». «O Marco mio», diss'io, «bene argomenti e or discerno perché dal retaggio 132 li figli di Levì furono essenti. Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio di' ch'è rimaso de la gente spenta, 135 in rimprovèro del secol selvaggio?» O tuo parlar m'inganna, o el mi tenta» rispuose a me; «ché, parlandomi tosco, 138 par che del buon Gherardo nulla senta. Purgatorio canto XVI
Per altro sopranome io nol conosco, s'io nol togliessi da sua figlia Gaia. 141 Dio sia con voi, ché più non vegno vosco. Vedi l'albor che per lo fummo raia già biancheggiare, e me convien partirmi (l'angelo è ivi) prima ch'io li paia». 145 Così tornò, e più non volle udirmi. Purgatorio canto XVI
Marco Lombardo Sapegno – introdução ao Canto XVI (p.171) “personaggio senza volto [perché Dante à avvolto da una nebbia così fitta che non riesce a vedere nessuno] e quase senza storia, distinguibille tutt’al più per certa asciuttezza e concisione del discorrere sempre dignitoso e alto; non figura autonoma, ma portavoce della dottrina etico-politica dello scrittore”. Il discorso di Marco si può distinguere in tre parti: • pone una premessa filosofica generale: l’uomo è dotato di libero arbitrio; dall’ uomo dunque e non dall’ influsso degli astri, dipende l’attuale corruzione dei costumi. • svolge la dottrina del governo dell’umanità , secondo i prindipi argomentati ne 4º libro del Convivio e poi nel terzo della Monarchia: all’uomo, perché apprendesse a distinguere fra i veri e i falsi beni, furono dati da Dio due guide, una per la vista temporale e una per quella spirituale [ma ora il primo a dare esempio è il più corrotto = il papa]; • introduce l’esempio della decadenza morale dell’Alta Italia. Il punto essenziale del ragionamento (l’ordine mondano è guasto perché si svia dal modello divino a cui dovrebbe conformarsi).
Purgatorio canto XVIcommenti Anche sotto il profilo stilistico, oltre che per quel che afferisce alla concezione politica, il canto di Marco Lombardo può essere assunto a prova della unitarietà stilistica del poema: canto centrale nella seconda cantica, e di conseguenza canto centrale, il cinquantesimo dei cento della Commedia: un canto in cui ritorna l'immagine del buio d'inferno e si anticipa, come in molti altri, il tema della beatitudine celeste nella preghiera. (Petrocchi)
SCHEDA CRITICA L’immagine iniziale evoca una notte ottenebrata, anzi “privata” degli astri; così è divenuto il mondo privato dei “due soli” e perciò “cieco”. Dante stesso viene dal mondo ed è irretito dall’errore... se nella accezione letterale il fumo indica l’ottenebramento dell’ira, nella sua valenza metaforica, lo aveva suggerito il Mazzamuto, richiama il buio sceso sul mondo in seguito ad una gravissima crisi religiosa e politica. Da Mineo et alii La Divina Commedia - testi, strumenti, percorsi. Palumbo, 1999.p. 319
Uscito dal fumo e dalle tenebre che avolgono gli iracondi, Dante, nuovamente immerso in estatico rapimento, contempla esempi di ira punita, ritratti con un vivacissimo gusto scenografico e spettacolare. Obbedienti all’invito dell’angelo della pace, i deu pellegrini salgono poi verso il quarto girone e, giunti al termino della scala sostano a riposare. Purgatorio
Virgilio fa un discorso sulla natura dell’amore e sul libero arbitrio. La classificazione delle anime nel Purgatorio non si fonda, come quella dei dannati, sulle colpe effetivamente commesse, ma sulle tendenze peccaminose, e viene quindi dedotta sul fondamento di un’indagine psicologica: l’analisi del concetto d’amore, principio di ogni virtù e di ogni vizio. Purgatorio
Purgatorio Lo schema del ragionamento si può così riassumere: L’amore , cge è in ogni creatura , come nel Creatore, si distingue in amore naturale e amore d’elezione. Il primo, in quanto è istintivo, non può mai errare e non comporta responsabilità di chi agisce. L’amore d’elezione invece, nel quale intervengono l’intelligenza e la volontá dell’agente, può errare in tre modi:
Per malo obietto In quanto cioè si rivolge al male, e precisamente a desiderare il male del prossimo (superbia, invidia, ira) 2. Per poco di vigore In quanto porta tiepidezza e negligenza nell’amore del vero bene, che è Dio (accidia) 3. Per troppo vigore In quanto ama senza misura i beni finiti e imperfetti (avarizia, gola, lussuria). Purgatorio
Purgatorio GLI AVARI E I PRODIGHI canti XIX a XXII. Questi giacciono bocconi a terra legati nei piedi e nelle mani. Dante parla Con Adriano V (canto XIX) e Ugo Capeto (cantoXX). Improvvisamente il monte si scuote e da tutte le anime si leva un grido: Gloria in excelsis Deo. Questo succede ogni volta che un’anima ha scontato la sua pena. I due poeti incontrano Stazio, che comincia a parlare del grande Virgilio senza sapere che gli cammina accanto, quando Dante glielo dice lui vuol buttarsi ai piedi del poeta, perché la sua opera fu la causa della sua converzione al cristianesimo.
Purgatorio La figura di Stazio Stazio, inoltre, è personaggio del Purgatorio anche sotto il riguardo della rappresentazione narrativa: c'è in lui quella dolcezza, unita ad affettuosità e a benevolenza, che caratterizza tutte le anime del secondo regno, e che trova il suo punto saliente nel momento in cui, appreso da Dante che l'altra ombra è quella di Virgilio, già s'inchinava ad abbracciar li piedi / al mio dottor sospinto da un moto irrefrenabile di filiale adorazione per il sommo poeta di Roma. E altri tratti, altre parole di Stazio contribuiscono a creare intorno a lui un alone d'umana simpatia, che è il modo con cui Dante si sdebita di quanto la lettura della Tebaide gli sia stata salutare ed essenziale per la sua formazione letteraria, non rinunciando a dipingere, dietro un altro dottore e un antico vate, l'immagine vivida d'un uomo. (Petrocchi)
VI. I GOLOSI - canti XXII, XXIII e XXIV. I golosi, irriconoscibili per la magrezza, soffrono la sete e la fame in un bello bosco con acqua fresca e alberi di odorosi frutti. Purgatorio
VII. I LUSSURIOSI - canti XXV e XXVI. Questo girone è tutto investito dalle fiamme che emanano della costa del monte, restando immune solo l’orlo esterno. Il sole proietta sulle fiamme l’ombra di Dante con meraviglia dei peccatori. Questi sono divisi in due schiere — gli incontinenti e i peccatori contro natura — che camminano in direzioni opposte e, quando s’incontrano, si cambiano un breve bacio e gridano il proprio peccato. Un angelo invita i viaggiatori a andare di là delle fiamme. Dante ha paura e Virglio riesce a convincerlo, quando gli racconta che al di là potrà vedere Beatrice. Purgatorio
Volsersi verso me le buone scorte; e Virgilio mi disse: «Figliuol mio, 21 qui può esser tormento, ma non morte. Ricorditi, ricorditi! E se io sovresso Gerïon ti guidai salvo, 24 che farò ora presso più a Dio? Credi per certo che se dentro a l'alvo di questa fiamma stessi ben mille anni, 27 non ti potrebbe far d'un capel calvo. E se tu forse credi ch'io t'inganni, fatti ver lei, e fatti far credenza 30 con le tue mani al lembo d'i tuoi panni. Pon giù omai, pon giù ogni temenza; volgiti in qua e vieni: entra sicuro!» 33 E io pur fermo e contra coscïenza. Quando mi vide star pur fermo e duro, turbato un poco disse: «Or vedi, figlio: 36 tra Bëatrice e te è questo muro». Purgatoriocanto XXVII Virgilio esorta Dante a attraversare le fiamme
Purgatorioriassunto canti XXVII e XXVIII Dante si decide e segue la sua guida nel fuoco, mentre Stazio chiude il piccolo gruppo. Virgilio, per esortare il discepolo e sostenerlo nel difficile momento, continua a parlar di Beatrice finché, guidati da un canto, i tre poeti escono dalle fiamme, trovandosi davanti a un angelo, che li invita a salire prima che sopraggiunga la notte. Poco dopo, tuttavia, essendo tramontato il sole, essi si coricano su tre gradini tagliati nella roccia, per aspettare il nuovo giorno. Il Poeta, mentre osserva il cielo stellato, viene preso dal sonno; quando l'alba è vicina egli sogna una giovane donna, bella e leggiadra, che percorre la campagna cogliendo fiori e che, cantando, rivela il proprio nome: è Lia, che fu la prima moglie di Giacobbe e rappresenta il simbolo della vita attiva, mentre Rachele, che fu la seconda moglie del patriarca ebraico, è simbolo della vita contemplativa. Ogni tenebra è scomparsa quando Dante si riscuote dal sonno; subito dopo il maestro gli spiega che è ormai vicina quella felicità che tutti i mortali cercano ansiosamente e che è simboleggiata dal paradiso terrestre. Virgilio, dopo aver accompagnato Dante fino al termine della scala che conduce all'Eden, si congeda da lui: il suo compito si è concluso, il discepolo ha raggiunto la totale purificazione e non gli resta che attendere la venuta di Beatrice . Luigi de Bellis
Purgatorioriassunto canti XXVII e XXVIII Dante, lasciato da Virgilio alla soglia del paradiso terrestre, sì dirige verso il bosco, folto e ricco di verde, che occupa gran parte dell'Eden. Entrato nella selva, il Poeta si trova la strada interrotta da un ruscello, le cui acque, benché prive di ogni impurità, appaiono tutte scure sotto l'ombra perpetua della divina foresta. Sulla sponda opposta appare una figura di straordinaria dolcezza: una donna cammina sulla riva del fiumicello cantando e cogliendo i fiori più belli. Dante la prega di avvicinarsi di più a lui, affinché gli sia possibile udire le parole del suo canto, e la donna, muovendosi con la stessa grazia di una figura danzante, ne esaudisce la richiesta. Matelda, questo è il nome (che sarà rivelato solo nel canto XXXIII, verso 119) della dolce apparizione, dichiara di essere giunta per soddisfare ogni domanda di Dante, il quale subito le chiede una spiegazione: come possono esserci nel paradiso terrestre l'acqua e il vento, dal momento che al di sopra della porta del purgatorio non esistono alterazioni atmosferiche? Il monte del purgatorio - incomincia Matelda - fu scelto da Dio per essere la dimora dell'uomo, il quale ne fu privato dopo il peccato originale; esso fu creato altissimo, affinché le perturbazioni atmosferiche non nuocessero alla creatura umana, ma la sfera dell'aria, che si muove con il muoversi dei cieli, colpisce gli alberi della selva facendoli stormire. Questi ultimi impregnano dei loro semi l'aria intorno, la quale, muovendosi, li sparge dovunque sulla terra. Quanto al ruscello che Dante ha visto, esso non nasce da una sorgente alimentata dalle piogge, ma da una fonte che riceve direttamente da Dio tanta acqua, quanta ne perde. Infatti due sono i fiumi del paradiso terrestre: il primo, già incontrato dal Poeta, è il Letè, la cui acqua dona l'oblio dei peccati commessi, il secondo è l'Eunoè, che fa ricordare solo le opere buone compiute.
I poeti e Matelda, camminando lungo le opposte rive del Lete, risalgono il corso del fiume quando inizia una mistica processione Inizia la descrizione della mistica processione che si svolge lungo la riva del Letè e che vuole presentare "in sintesi la storia ideale della Chiesa, in quanto essa coincide, secondo l'interpretazione patristica, con la storia dell'umanità tutta e la illumina facendola convergere nel suo complesso al momento culminante della Rivelazione, preannunziata e preparata dal Vecchio Testamento, attuata nell'avvento dell'Uomo-Dio, perpetuata infine attraverso la predicazione apostolica in un istituto depositario e interprete della dottrina e amministratore dei doni della Grazia" (Sapegno). Purgatorioriassunto canto XXIX
Purgatorioriassunto canto XXIX corteo è aperto dall'apparizione dei sette candelabri, le cui fiammelle lasciano dietro di sé sette strisce luminose e lunghissime, sotto le quali avanzeranno tutti i partecipanti alla processione. I candelabri (la cui immagine Dante ha derivato dalla visione iniziale dell'Apocalisse I, 12) rappresentano i sette doni dello Spirito Santo o, secondo un'altra interpretazione, i sette Sacramenti, oppure ancora le sette Chiese dell'Asia, come nell'Apocalisse: tuttavia la maggior parte dei critici antichi e moderni propende per la prima spiegazione.Nella parte superiore l'insieme dei candelabri fiammeggiava assai più luminoso della luna piena (quando splende) nell'aria limpida nel cuore della notte a metà del mese lunare.Io mi rivolsi pieno di meraviglia al valente Virgilio, ed egli mi rispose con uno sguardo non meno stupito del mio.Poi volsi di nuovo gli occhi a quegli oggetti mirabili che si muovevano verso di noi così lentamente, che sarebbero stati superati anche dal lento passo delle spose novelle (nel corteo nuziale, o quando la sposa lascia la casa paterna o quando entra in chiesa).
55 «Dante, perché Virgilio se ne vada, non pianger anco, non piangere ancora; ché pianger ti convien per altra spada». Quasi ammiraglio che in poppa e in prora viene a veder la gente che ministra per li altri legni, e a ben far l'incora; in su la sponda del carro sinistra, quando mi volsi al suon del nome mio, che di necessita qui si registra, vidi la donna che pria m'apparío velata sotto l'angelica festa, drizzar li occhi ver me di qua dal rio. Tutto che 'l vel che le scendea di testa, cerchiato delle fronde di Minerva, non la lasciasse parer manifesta, regalmente ne l'atto ancor poterva continuò come colui che dice e 'l più caldo parlar dietro reserva: «Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice. Come degnaste d'accedere al monte? Non sapei tu che qui è l'uom felice?» Li occhi mi cader giù nel chiaro fonte; ma veggendomi in esso, i trasse a l'erba, tanta vergogna mi gravò la fronte. Così la madre al figlio par superba, com'ella parve a me; perché d'amaro sente il sapor de la pietade acerba. Ella si tacque; e li angeli cantaro di subito “In te, Domine, speravi”; ma oltre “pedes meos” non passaro. Sì come neve tra le vive travi per lo dosso d'Italia si congela, soffiata e stretta da li venti schiavi, Purgatoriocanto XXX- Dante incontra Beatrice
poi, liquefatta, in sé stessa trapela, pur che la terra che perde ombra spiri, sí che par foco fonder la candela; così fui sanza lagrime e sospiri anzi 'l cantar di quei che notan sempre dietro a le note de li etterni giri; ma poi che 'ntesi ne le dolci tempre lor compatire a me, più che se detto avesser: “Donna, perché sì lo stempre?”, lo gel che m'era intorno al cor ristretto, spirito e acqua fessi, e con angoscia de la bocca e de li occhi uscì del petto. Ella, pur ferma in su la detta coscia del carro stando, a le sustanze pie volse le sue parole così poscia: Purgatoriocanto XXX- Dante incontra Beatrice
103 «Voi vigilate ne l'etterno díe, sì che notte né sonno a voi non fura passo che faccia il secol per sue vie; onde la mia risposta è con più cura che m'intenda colui che di là piagne, perché sia colpa e duol d'una misura. Non pur per ovra de le rote magne, che drizzan ciascun seme ad alcun fine secondo che le stelle son compagne, ma per larghezza di grazie divine, che sì altri vapori hanno a lor piova, che nostre viste là non van vicine, questi fu tal ne la sua vita nova virtualmente, ch'ogne abito destro fatto avrebbe in lui mirabil prova. Purgatoriocanto XXX- Dante incontra Beatrice
Ma tanto più maligno e più silvestro sì fa 'l terren col mal seme e non colto, quant'elli ha più di buon vigor terrestro. Alcun tempo il sostenni col mio volto: mostrando li occhi giovanetti a lui, meco il menava in dritta parte volto. Sì tosto come in su la soglia fui di mia seconda etade e mutai vita, questi mi tolsi a me, e diessi altrui. Quando di carne a spirto era salita e bellezza e virtù cresciuta m'era, fu'io a lui men cara e men gradita; e volse i passi suoi per via non vera, imagini di ben seguendo false, che nulla promession rendono intera. Né l'impetrare ispirazion mi valse, con le quali e in sogno e altrimenti lo rivocai; sì poco a lui ne calse! Tanto giù cadde, che tutti argomenti a la salute sua eran già corti, fuor che mostrarli le perdute genti. Per questo visitai l'uscio d'i morti e a colui che l'ha qua sú condotto, li preghi miei, piangendo, furon porti. Alto fato di Dio sarebbe rotto, se Leté si passasse e tal vivanda fosse gustata sanza alcun scotto di pentimento che lagrime spanda.» Purgatoriocanto XXX- Dante incontra Beatrice
O tu che se' di là dal fiume sacro», volgendo suo parlare a me per punta, 3 che pur per taglio m'era paruto acro, ricominciò, seguendo sanza cunta, «dì, dì se questo è vero: a tanta accusa 6 tua confession conviene esser congiunta». Era la mia virtù tanto confusa che la voce si mosse, e pria si spense 9 che da li organi suoi fosse dischiusa. Poco sofferse; poi disse: «Che pense? Rispondi a me; ché le memorie triste 12 in te non sono ancor da l'acqua offense». Confusione e paura insieme miste mi pinsero un tal «sì» fuor de la bocca, 15 al quale intender fuor mestier le viste. Come balestro frange, quando scocca da troppa tesa la sua corda e l'arco, 18 e con men foga l'asta il segno tocca, sì scoppia' io sottesso grave carco, fuori sgorgando lagrime e sospiri, 21 e la voce allentò per lo suo varco Ond'ella a me: «Per entro i mie' disiri, che ti menavano ad amar lo bene 24 di là dal qual non è a che s'aspiri, Purgatoriocanto XXXI
quai fossi attraversati o quai catene trovasti, per che del passare innanzi 27 dovessiti così spogliar la spene? quali agevolezze o quali avanzi ne la fronte de li altri si mostraro, 30per che dovessi lor passeggiare anzi?» Dopo la tratta d'un sospiro amaro, a pena ebbi la voce che rispuose, 33 e le labbra a fatica la formaro. Piangendo dissi: «Le presenti cose col falso lor piacer volser miei passi, 36 tosto che 'l vostro viso si nascose». Purgatoriocanto XXXI
Ed ella: «Se tacessi o se negassi ciò che confessi, non fora men nota 39 la colpa tua: da tal giudice sassi! Ma quando scoppia de la propria gota l'accusa del peccato, in nostra corte 42 rivolge sé contra 'l taglio la rota. Tuttavia, perché mo vergogna porte del tuo errore, e perché altra volta, 45 udendo le serene, sie più forte, pon giù il seme del piangere e ascolta: sì udirai come in contraria parte 48 mover dovieti mia carne sepolta. Purgatoriocanto XXXI
Mai non t'appresentò natura o arte piacer, quanto le belle membra in ch'io 51 rinchiusa fui, e che so' 'n terra sparte; e se 'l sommo piacer sì ti fallio per la mia morte, qual cosa mortale 54 dovea poi trarre te nel suo disio? Ben ti dovevi, per lo primo strale de le cose fallaci, levar suso 57 di retro a me che non era più tale. Non ti dovea gravar le penne in giuso, ad aspettar più colpo, o pargoletta 60 o altra vanità con sì breve uso. Novo augelletto due o tre aspetta; ma dinanzi da li occhi d'i pennuti 63 rete si spiega indarno o si saetta». Quali fanciulli, vergognando, muti con li occhi a terra stannosi, ascoltando 66 e sé riconoscendo e ripentuti, tal mi stav'io; ed ella disse: «Quando per udir se' dolente, alza la barba, 69 e prenderai più doglia riguardando». Con men di resistenza si dibarba robusto cerro, o vero al nostral vento 72 o vero a quel de la terra di Iarba, Purgatoriocanto XXXI
ch'io non levai al suo comando il mento; e quando per la barba il viso chiese, 75 ben conobbi il velen de l'argomento. E come la mia faccia si distese, posarsi quelle prime creature 78 da loro aspersïon l'occhio comprese; e le mie luci, ancor poco sicure, vider Beatrice volta in su la fiera 81 ch'è sola una persona in due nature. Sotto 'l suo velo e oltre la rivera vincer pariemi più sé stessa antica, 84 vincer che l'altre qui, quand'ella c'era. . Purgatoriocanto XXXI
Di penter sì mi punse ivi l'ortica che di tutte altre cose qual mi torse 87 più nel suo amor, più mi si fé nemica. Tanta riconoscenza il cor mi morse, ch'io caddi vinto; e quale allora femmi, 90 salsi colei che la cagion mi porse. Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi, la donna ch'io avea trovata sola 93 sopra me vidi, e dicea: «Tiemmi, tiemmi!» Tratto m'avea nel fiume infin la gola, e tirandosi me dietro sen giva 96 sovresso l'acqua lieve come scola Purgatoriocanto XXXI
Quando fui presso a la beata riva, 'Asperges me' sì dolcemente udissi 99 che nol so rimembrar, non ch'io lo scriva. La bella donna ne le braccia aprissi; abbracciommi la testa e mi sommerse 102 ove convenne ch'io l'acqua inghiottissi. Indi mi tolse, e bagnato m'offerse dentro a la danza de le quattro belle; 105 e ciascuna del braccio mi coperse. «Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle: pria che Beatrice discendesse al mondo, 108 fummo ordinate a lei per sue ancelle. Purgatoriocanto XXXI
Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo lume ch'è dentro aguzzeranno i tuoi 111 le tre di là, che miran più profondo». Così cantando cominciaro; e poi al petto del grifon seco menarmi, 114 ove Beatrice stava volta a noi. Disser: «Fa che le viste non risparmi; posto t'avem dinanzi a li smeraldi 117 ond'Amor già ti trasse le sue armi». Mille disiri più che fiamma caldi strinsermi li occhi a li occhi rilucenti, 120 che pur sopra 'l grifone stavan saldi. Come in lo specchio il sol, non altrimenti la doppia fiera dentro vi raggiava, 123or con altri, or con altri reggimenti. Pensa, lettor, s'io mi maravigliava, quando vedea la cosa in sé star queta, 126 e ne l'idolo suo si trasmutava. Mentre che piena di stupore e lieta l'anima mia gustava di quel cibo 129 che, saziando di sé, di sé asseta, sé dimostrando di più alto tribo ne li atti, l'altre tre si fero avanti, 132 danzando al loro angelico caribo. Purgatoriocanto XXXI
Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi», era la sua canzone, «al tuo fedele 135 che, per vederti, ha mossi passi tanti! Per grazia fa noi grazia che disvele a lui la bocca tua, sì che discerna 138 la seconda bellezza che tu cele». O isplendor di viva luce etterna, chi palido si fece sotto l'ombra 141 sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna, che non paresse aver la mente ingombra, tentando a render te qual tu paresti là dove armonizzando il ciel t'adombra, 145 quando ne l'aere aperto ti solvesti? Purgatoriocanto XXXI
CommentiPetrocchi Nel racconto del viaggio nel Paradiso terrestre Matelda ha inoltre un'altra funzione, la quale per sé sola non sarebbe sufficiente a spiegare il simbolo che la bella donna esprime, anche nel caso in cui si volesse far coincidere in Matelda tanto il valore della vita attiva quanto quello della vita contemplativa (Lia che va intorno tessendosi una ghirlanda di fiori, e la sorella Rachele che non si disgiunge mai dal suo specchio). È la funzione dell'attesa di Beatrice, il rito preparatorio del ritorno del poeta alla sua stessa origine emotiva e concettuale, la "messa dei catecumeni" celebrata da una donna bella e prototipica sì, ma che è destinata a dileguarsi, sebbene lentamente, da un territorio dottrinario che d'ora in poi dovrà essere occupato soltanto da Beatrice. Tutti i primi sessantatré canti della Commedia (sessanta multiplo di sei e di tre, e tre numero perfetto) altro non sono che una faticosa preparazione al ritorno di Beatrice, ma dalle fiamme dei lussuriosi all'apparizione di Matelda il ritmo che precede il ritorno della gentilissima si fa più incalzante. Scoprire i tempi di questo ritmo nella complicata simbologia della processione mistica, è anzitutto affidare un reale valore poetico ad uno scenario così sovraccarico di figure e riferimenti allegorici, diviso nei due atti della processione mistica, al cui centro vibra la requisitoria della riapparsa Beatrice contro il traviamento del poeta.
CommentiPetrocchi Gli elementi che compongono eventi e personificazioni del rito, non offrono insormontabili difficoltà all'esegesi: • i sette candelabri d'oro, accesi alla sommità, con cui inizia la processione, e che rappresentano i sette doni dello Spirito Santo . • ai susseguenti ventiquattro seniori biancovestiti, procedenti a due a due, con in capo corone di gigli, ed esaltanti la bellezza di una donna, eccelsa tra tutte le figlie di Adamo: sono i libri dell'Antico Testamento. • Sùbito dopo vengono quattro animali, ciascuno dei quali è fornito di sei ali e ha una corona di fronde verdi: sono i quattro Evangeli, le cui corone sono il segno del trionfo della parola di Cristo, e le sei ali simboleggiano la vastità della potenza speculativa
CommentiPetrocchi I quattro animali stanno ai lati d'un carro che è trainato da un grifone, un mostro col corpo di leone, la testa e le ali d'un'aquila, protese in alto. Il triunfal veiculo è la Chiesa trionfante e militante; il carro ha due ruote, che possono essere intese come i due Testamenti (ma essi erano già stati rappresentati), o come la vita attiva e la vita contemplativa; il grifone è Cristo, la cui parte leonina simboleggia la potenza, e quella aquilina la sapienza (Cristo nella sua duplice natura: divina e umana). Le tre donne alla ruota destra sono la Fede (quella vestita di bianco), la Speranza (verde), la Carità (rossa), le tre virtù teologali, mentre alla ruota sinistra procedono quattro donne, le virtù cardinali, Prudenza, Fortezza, Giustizia e Temperanza: tutte quattro in porpora vestite perché mosse prevalentemente dallo spirito della Carità. Appresso tutto il pertrattato nodo seguono due vecchi con abiti disuguali e in portamento austero e dignitoso; l'uno pare un medico (è san Luca, veramente già rappresentato in uno dei quattro Evangelisti, ma qui rivisto nella funzione, a lui affidata nel Medioevo, di autore degli Atti degli Apostoli), l'altro ha una spada affilata in mano: è san Paolo, che prima della conversione era soldato nell'esercito romano, e come Apostolo si distinse per la combattività della propria oratoria, la forza dell'insegnamento profuso nelle Lettere.
CommentiPetrocchi Altri quattro uomini che seguono nella processione in umile paruta, in quanto portatori di messaggi di minore importanza, sono i rappresentanti delle altre Epistole: di san Giacomo, di san Pietro, di san Giovanni e di san Giuda; e di retro da tutti un vecchio solo / venir, dormendo, con la faccia arguta: è la figura dell'Apocalisse, opera di sogno profetico vissuta da un veggente che sa penetrare, "arguto", nel mistero. Questi ultimi sette personaggi sono vestiti di bianco come i seniori, ma recano corone di rose e di altri fiori rossi, anziché di gigli; infatti sono bianchi gli scrittori del Vecchio Testamento, la cui essenziale virtù fu la fede nel Cristo venturo, e rossi gli scrittori del Nuovo Testamento, che per l'appunto testimoniano la passione di Gesù, e quindi la parola di Cristo venuto. Giunto il carro dinanzi al poeta, si ode un tuono e la processione subitamente s'arresta, in attesa di un evento eccezionale che richiede una sosta, una meditazione su tutto ciò che è stato prima e su quel che ora accadrà.
CommentiPetrocchi Il secondo tempo della mistica processione avviene dopo l'apparizione di Beatrice (di cui vedremo tra breve), la scomparsa di Virgilio, i rimproveri aspri della donna, la contrizione di Dante, la magia del paesaggio silvestre che si fonde armoniosamente con i profondi significati del simbolo religioso (paesaggio visto e accarezzato con l'occhio del pittore, e interiore paesaggio di un'anima assetata della conquista di se stesso), il pianto di Dante che consacra il sublime istante in cui l'uomo ha preso coscienza della Grazia divina che è scesa in lui e lo ha redento da tutte le passioni e i desideri terreni, e infine lo svenimento, l'immersione nelle acque del Letè per le cure di Matelda. Le quattro virtù cardinali accompagnano il poeta, pentito e redento dal suo pianto, dinanzi a Beatrice e lo invitano ad ammirare la bellezza di lei, nei cui occhi Dante vede riflesso, come il sole in uno specchio, il grifone, che gli appare ora nella sua sembianza leonina, ora in quella d'aquila.
CommentiPetrocchi Il ritorno di Beatrice è il centro e il fine del poema, la soluzione di tutti gli enigmi, il perfezionamento di ogni stimolo intellettuale, l'occasione che ha dato vita al realizzarsi letterario e filosofico-teologico della Commedia dal tempo della mirabile visione; la meta suprema dell'intellettuale fiorentino Dante Alighieri, che ha vissuto in Toscana tutte le sue amare esperienze politiche, s'allontana da una terra insanguinata dalle risse cittadine, e a Verona (non già nell'amata-odiata Firenze) ritrova, durante la scrittura dei canti XXVIII-XXXIII del Purgatorio, la donna della giovinezza: figuralmente a dieci anni dalla morte (1290-1300), realmente a vent'anni dalla Vita Nuova (1292-1312 circa), a dieci anni dalla sentenza di morte (1302-1312), in una rispondenza numerologica che non appaga soltanto il letterato medievale, ma l'uomo di fede che àncora al ritornare nel tempo, secondo i numeri perfetti, i sogni e le speranze d'un passato che, non senza grande sofferenza, riesce a tradurre in presente, e a trasmettere, in quanto il sacrato poema è profezia dei tempi che verranno, nel futuro.
Occorre riguardare con attenzione le date di cui sopra: il vero ritorno di Beatrice, quello poetico e interiore, attua il pieno riscatto del poeta, ma ciò avviene non in conseguenza (come la fabula della Commedia vorrebbe far supporre) in modo da "disbramare" la decenne sete, ma come effetto d'un lunghissimo processo catartico (un ventennio!) che si avvarrà sia delle remote esperienze del periodo fiorentino, sia e ancor di più di tutte le ricerche filosofiche, delle ansie politiche, delle conquiste retorico-stilistiche, d'una completa acquisizione della teologia non quale semplice tessuto della Commedia, ma come onnipresenza concettuale. CommentiPetrocchi
CommentiPetrocchi Ancora una volta si realizza nel poema (notevolissima prospettiva dalla quale non dobbiamo mai distaccarci se vogliamo dare un senso concreto alle affermazioni e ai fantasmi della Commedia) una duplicazione tra il viaggio di Dante nell'oltretomba quale fictio poetica e gli stati d'animo di lui nel momento in cui genera il singolo episodio, quel canto, quella parte della cantica. Il personaggio ricerca e ritrova l'altro personaggio, Beatrice, mentre il poeta realizza in quella riapparizione una parte essenziale del suo messaggio di maestro e profeta di una nuova età; il personaggio trasmette all'episodio la sua somma d'incertezze, di dubbi, di tormenti, indispensabili per una rigenerazione interiore: è un uomo ancora stretto dalle colpe, con una percezione in qualche modo confusa dei modi della propria salvezza, con la coscienza che soltanto un processo implacabile quale può nascere dalla requisitoria di Beatrice varrà a cancellare le responsabilità del passato. Il poeta è al di là del muro di fuoco, al di là d'una drammatica stretta d'affanni morali quali la visita delle cornici del Purgatorio può accrescere e poi trasfigurare in rito purificatorio (il quale è sempre più severo, al contrario del cammino del viator che è sempre più spedito) e "finge" di creare una situazione scenica (il processo al peccatore Dante, la faticata assoluzione dal proprio traviamento), immagina un'attualizzazione che nella realtà degli anni veronesi non esiste più.
Purgatorioriassunto canto XXXII Le figure femminili che simboleggiano le sette virtù invitano Dante a distogliere il suo sguardo da Beatrice per volgerlo alla processione, la quale, in questo momento, riprende a muoversi in direzione opposta rispetto a quella prima seguita; finché tutti i suoi membri si fermano intorno a un albero altissimo e spoglio di fronde. Dopo che il grifone vi ha legato il suo carro, la pianta rinasce a nuova vita, coprendosi di fiori e di foglie. Il canto dolcissimo innalzato dai personaggi del corteo provoca in Dante una specie di tramortimento, e, quando si risveglia, Matelda gli indica Beatrice che siede sotto l'albero circondata dalle sette virtù, mentre i ventiquattro seniori, il grifone e gli altri componenti del corteo risalgono al cielo. La seconda parte del canto è occupata dalla rappresentazione delle vicende del carro della Chiesa attraverso successive allegorie. Dante ricorda - con la figura dell'aquila - le persecuzioni portate contro i primi cristiani e con l'immagine della volpe il diffondersi delle eresie; in un secondo tempo l'aquila - simbolo dell'Impero - ritorna e lascia sul carro una parte delle sue penne, per indicare il potere temporale di cui fu investita la Chiesa dopo la donazione territoriale fatta dall'imperatore Costantino a papa Silvestro.