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L'Eneide. di Publio Virgilio Marone. Il disegno politico di Augusto. L’autore. La poesia epica. La traccia narrativa. Gli episodi. Cuma e il tempio di Apollo. Dedalo e le porte del tempio. La Sibilla invasata. L’entrata nel Tartaro. Caronte. L’incontro con Didone.
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L'Eneide di Publio Virgilio Marone
Il disegno politico di Augusto L’autore La poesia epica La traccia narrativa Gli episodi
Cuma e il tempio di Apollo Dedalo e le porte del tempio La Sibilla invasata L’entrata nel Tartaro
Caronte L’incontro con Didone Il silenzio di Didone Anchise ed Enea
La poesia epica Il più grande esponente della poesia epica prima dell’età Augustea è sicuramente Omero, il quale raccolse e rielaborò i materiali precedenti organizzandoli in due opere di grandi dimensioni, l'Iliade e l'Odissea attraverso un vasto e complesso sistema di formule, cioè di espressioni stereotipate che avevano la funzione di facilitare la composizione improvvisata. Questa formularietà propria dei poemi omerici diventa poi un elemento caratterizzante del genere letterario, e conferirà ai testi l’impronta epica. Il poema epico è caratterizzato dalla narrazione delle imprese dei protagonisti, dall’inserzione di lunghi discorsi in forma diretta, dalla frequenza di similitudini, da descrizione di persone, oggetti, luoghi. Temi ricorrenti sono anche: interventi delle divinità; battaglie; giochi funebri in onore di un eroe defunto; sogni profetici.
L’epica è presente nelle lettere latine fin dalle origini e continua ad essere ampiamente coltivata nell’età di Augusto dove trova il suo più grande esponente in Virgilio, la cui ultima opera,l’Eneide, si inserisce pienamente nel genere epico di ascendenza greca, riuscendo a farsi interprete dei valori della romanità e dello spirito di restaurazione morale augusteo, tanto da divenire il poema nazionale di Roma. L'Eneide mantiene quella compresenza di mitologia e storia che caratterizzava l’epica latina arcaica, differenziandosi però per l'argomento: il mito assume un posto centrale e diventa nucleo primario della vicenda tanto che il protagonista non è Augusto, ma Enea. In virtù di questa impostazione Virgilio evita un coinvolgimento troppo diretto con gli eventi contemporanei e può, in questo modo, ampliare la prospettiva e il significato della propria poesia.
L’Eneide quindi risulta un’opera originale, nella sua straordinaria densità e complessità, grazie all’enorme quantità di materiali culturali, storici, letterari, antiquari, filosofici e mitologici. Il modello principale è Omero, di cui Virgilio ha ripreso entrambi i poemi riducendoli in uno solo. La prima metà, chiamata parte "odissiaca", ha come tema principale il viaggio, la seconda, detta "iliadica", invece ha la guerra. La presenza di Omero è massiccia oltre che nell’intreccio, nella ripresa di molti episodi. Virgilio segue Omero anche in ciò che riguarda l’apparato mitologico, con alcune differenze fondamentali come il rinnovamento dei materiali poetici di cui si serve, che organizza e orienta in modo diverso in funzione del significato complessivo dell’opera. Il punto d’arrivo a cui tende la storia universale è Ottaviano Augusto che viene unificato così alla celebrazione di Roma su di un piano ideologico.
Nell’Eneide, capolavoro dell’epica classica accanto all’Iliade e all’Odissea, VIRGILIO narra le lunghe vicissitudini del troiano Enea, che elegge a fondatore della futura grandezza di Roma e a progenitore di Ottaviano Augusto. VIRGILIO
Lasciata la patria in fiamme insieme al padre Anchise, al figlio Ascanio e ad alcuni compagni, l’eroe approda prima a Cartagine dove si innamora di DIDONE
Durante un banchetto in onore degli ospiti, Enea racconta la fine di Troia. Dopo anni di inutili combattimenti i Greci decidono di vincere i Troiani con l’inganno
Fingono di ripartire per la Grecia ed abbandonano davanti a Troia un enorme cavallo di legno che conteneva nel ventre cavo, un gruppetto di guerrieri armati.
Il cavallo è trascinato entro le mura della città nonostante l’opposizione di Laocoonte che sospetta l’inganno e viene soffocato con i suoi figli da due giganteschi serpenti inviati dagli dei ostili ai troiani. Non vi fidate, Troiani. Sia ciò che vuole. Temo i Danai, e più quand’offrono doni.
Durante la notte i guerrieri nascosti nel cavallo aprono le porte della città che viene invasa, distrutta ed incendiata. E via per la città sepolta nel sonno e nel vino: massacran guardie, spalancan le porte, tutti introducono i loro compagni…
Enea mette in salvo il padre Anchise e il figlio Julo. Insieme partono alla ricerca di una nuova patria
La prima terra toccata è la Tracia , dove Enea, staccndo un ramoscello per accendere il fuoco, vede colare sangue da un cespuglio. Una voce gli dice di essere Polidoro figlio di priamo, mandato come ambasciatore in quella terra e ucciso, trasformato in pianta per volere degli dei.
L’eroe prosegue il viaggio e giunge nell’isola delle Arpie , mostri con corpo da uccello e testa di donna. Esse predicono sciagure al suo popolo "...Ali hanno late, e colli e visi umani,piè con artigli, e pennuto l'gran ventre;fanno lamenti in su li alberi strani..." (If. XIII, 13-15) Per saperne di più…
La navigazione prosegue ma , giunti presso le coste della Sicilia, Anchise muore. Per lui verranno celebrati riti funebri
In seguito al racconto Didone si innamora ed il suo sentimento è ricambiato ma Enea per volere degli dei deve ripartire. Didone disperata si uccide dopo aver giurato eterno odio tre la sua Cartagine e la città che Enea fonderà.
A Cuma , Enea consulterà la Sibilla che lo guiderà agli inferi. Anchise svelerà al figlio la missione assegnatagli dal Fato: dare origine alla stirpe romana che dominerà il mondo. L’antro La Sibilla
Presso le foci del Tevere Enea verrà ospitato dal re Latino che promette in sposa ad Enea la figlia Lavinia.
ma il patto provoca l’ira di Turno, principe dei Rutuli, già candidato a quelle nozze. Scoppia dunque una vera e propria guerra destinata a concludersi con l’uccisione di Turno da parte di Enea, e con questo episodio si chiude il poema.
Con le nozze tra Enea e Lavinia, la pace torna nel Lazio. Dal matrimonio discenderà Romolo, futuro fondatore di Roma
Poeta latino, nacque presso Mantova nel 70 a. C. Tra il 42 e il 39 compose le Bucoliche di argomento pastorale, che probabilmente gli valsero l’ingresso nel circolo di Mecenate (e quindi anche di Ottaviano). Nel 29 può considerarsi ultimata la seconda sua fatica letteraria, le Georgiche, poema didascalico in quattro libri dedicato alle principali attività agricole. Da quel momento Virgilio si dedicò completamente alla stesura dell’ENEIDE , poema epico in dodici libri: alla sua morte, avvenuta a Brindisi, il 21 settembre del 19 a. C., l’opera rimarrà, se non incompiuta, certo priva dell’ultima revisione. Immensa fu la fortuna di Virgilio, considerato il classico per eccellenza della letteratura latina Publio Virgilio Marone
vv. 1-13 Cuma e il tempio di Apollo Così dice, lacrimando, e allenta le briglie alla flotta e finalmente approda alle spiagge Euboiche di Cuma Girano le prore verso il mare; allora con dente tenace l'àncora teneva ferme le navi e le curve poppe coprono i lidi. Una schiera di giovani ardente balza sul lido Esperio; parte cerca i semi della fiamma nascosti nelle vene della selce, parte percorre le selve, folti rifugi di fiere e segnala i fiumi trovati. Il pio Enea si avvia verso la rocca, che l'alto Apollo protegge, e lontano verso i luoghi segreti, antro smisurato, dell'orrenda Sibilla, cui il vate Delio infonde la sua grande conoscenza e la sua volontà e svela il futuro. Tempio di Apollo
vv. 14-33 Dedalo e le porte del tempio Dedalo , come è noto, fuggendo dal regno Minoico , su penne veloci osò affidarsi al cielo, e per l'insolito cammino volò fino alle gelide Orse e leggero infine si fermò sulla rocca calcidica. E qui, appena toccata la terra, a te, o Febo, consacrò le ali ed eresse un tempio immane. Sulle porte era raffigurata la morte di Androgeo , quindi i Cecropidi obbligati - miserando tributo - a dare come pena ogni anno sette corpi di figli e sta raffigurata l'urna da cui si estraevano le sorti. Di contro compare la terra di Cnosso elevata sul mare: qui vi è il crudele Minotauro
vv. 42-53 la Sibilla invasata L'immenso fianco della rupe Euboica s'apre in un antro, dove si può entrare per cento larghi accessi, per cento porte, donde erompono altrettante voci, i responsi della Sibilla. Erano giunti all'ingresso, quando la vergine disse:- È tempo di chiedere i Fati: il dio, ecco il dio! E a lei che così parlava, si tramutarono all'improvviso il volto e il colore e le composte chiome; il petto è ansante e il cuore selvaggio si gonfia di furore e sembra più grande e non ha voce mortale, perché ispirata dalla volontà ormai vicina Disse:- Indugi nei voti e nelle preghiere, Troiano Enea? Indugi?
vv. 255-263 l'entrata nel Tartaro Quand'ecco ai primi chiarori del sorgere del sole mugghiare la terra sotto i piedi e le cime delle selve cominciare a tremare e le cagne sembrano ululare attraverso l'oscurità all'avvicinarsi della dea . - Lontani, state lontani, o profani, - grida la veggente, - e allontanatevi da tutto il bosco; e tu intraprendi la via e strappa la spada dal fodero: ora, o Enea, ci vuole coraggio, ora ci vuole un animo risoluto. Detto questo entrò furente nell'antro aperto; ed egli con passo sicuro eguaglia la guida che avanza.
vv. 295-316 Caronte Di qui comincia la via che porta alle onde del Tartareo Acheronte, qui un gorgo torbido di fango ribolle in una vasta voragine ed erutta tutta la sua melma nel Cocito. Queste acque e i fiumi custodisce Caronte , orrendo nocchiero nella sua terribile asprezza, che porta sul mento una folta e incolta barba bianca, stanno fissi gli occhi fiammeggianti e un sordido mantello gli pende dalle spalle legato con un nodo. Egli stesso spinge la barca con un palo, la governa colle vele e traghetta sulla navicella di cupo colore, ormai vecchio, ma per il dio quella vecchiaia è ancor fresca e verde. Per saperne di più…
Qui, sparsa sulle rive, si precipitava tutta la turba, madri e uomini e corpi privati della vita di magnanimi eroi, fanciulli e nubili fanciulle e giovani posti sui roghi sotto gli occhi dei genitori: come numerose nelle selve cadono le foglie staccandosi al primo freddo dell'autunno, o come numerosi gli uccelli si rifugiano sulla terra venendo dall'alto mare quando la fredda stagione li mette in fuga dai luoghi posti oltre il mare e li sospinge verso terre assolate. Le anime stavano ferme e pregavano di compiere per prime il tragitto e tendevano le mani per il desiderio della riva opposta. Ma l'iracondo aspro nocchiero accoglie ora queste ora quelle e scaccia gli altri, sospinti lontano dalla riva.
Né lontano di qui vengono indicati i campi del Pianto estesi in ogni direzione: così, con questo nome li chiamano. Qui occulti sentieri celano coloro che un amore crudele consumò con disumano struggimento e intorno li copre una selva di mirti: neanche nella morte sono lasciati in pace dagli affanni. In questi luoghi vede Fedra e Procri e la mesta Erifile che mostra le ferite inferte dal figlio crudele, Evadne e Pasifae , con queste come compagna va Laodamia e Ceneo , giovinetto un tempo, femmina ora, di nuovo cambiata dalla morte nell'antica forma. Tra queste la Fenicia Didone, ancor fresca di ferita, errava nella vasta selva. Appena l'eroe Troiano le fu vicino e la riconobbe indistinta fra le ombre come chi o vede o crede di aver visto la luna attraverso le nubi al cominciar del mese, si mise a piangere e parlò con dolce amore:
- O infelice Didone, mi era dunque giunta vera la notizia che eri morta e che avevi seguito il tuo fato col ferro? Ahimé, io sono stato la causa della tua morte? Giuro per le stelle e per gli dei celesti e se qualche fede esiste sotto la profonda terra, contro voglia, o regina, mi sono allontanato dal tuo lido. Ma gli ordini degli dei, che ora mi costringono ad andare tra queste ombre, per questi orridi luoghi infernali e per la profonda notte mi spinsero coi loro comandi. Né ho potuto credere di arrecarti un così grande dolore con la mia partenza. Ferma il passo e non sottrarti al nostro sguardo. Chi fuggi? Questa è l'ultima volta che il fato mi concede di parlarti.
vv. 467-476 il silenzio di Didone Con queste parole Enea cercava di lenire l'animo ardente di Didone che guardava in modo torvo e scoppiava in lacrime. Lei ostile teneva gli occhi fissi al suolo, col volto immobile, mentre parlavo, come la dura selce o la rupe Marpesia . Infine si allontana e nemica si rifugia nella selva ombrosa dove l'antico coniuge Sicheo corrisponde ai suoi affanni ed uguaglia il suo amore. Nondimeno Enea, scosso dall'iniqua sventura di Didone, prosegue per lungo tratto in lacrime e prova dolore per lei che si allontana.
vv. 679-702 incontro tra Anchise ed Enea Intanto il padre Anchise nel fondo di una valle verdeggiante percorreva con lo sguardo meditando (riflettendo) con attenzione le anime racchiuse e destinate ad uscire alla luce superna e a caso passava in rassegna tutta la schiera dei suoi e gli amati nipoti e i destini e le vicende e i costumi e le imprese di quegli uomini. E quando vide Enea che gli veniva incontro sul prato, lieto tese entrambe le mani e lacrime gli rigarono il volto e queste parole gli uscirono dalla bocca:
Ed Enea: - La tua, o padre, la tua triste immagine apparendomi molto spesso mi ha spinto a venire a queste soglie; le mie navi son ferme sul mare Tirreno. Dammi, da stringere la destra, concedimelo, o padre, e non sottrarti al nostro abbraccio. Così discorrendo insieme, rigava il viso di largo pianto. Tre volte tentò di circondargli il collo con le braccia; tre volte l'ombra invano abbracciata sfuggì alle sue mani, simile ai venti leggeri, simile ad un sogno alato.
Sul lato meridionale della terrazza sorgeva il Tempio di Apollo, portato alla luce nel 1912. La terrazza è tutt'intorno pavimentata da un lastricato di tufo ed è delimitata sulla destra da un parapetto, anch'esso di tufo. Sul lato meridionale della terrazza sorgeva il Tempio di Apollo, portato alla luce nel 1912. La terrazza è tutt'intorno pavimentata da un lastricato di tufo ed è delimitata sulla destra da un parapetto, anch'esso di tufo. Cuma , parco archoelogico.
Siamo nel I secolo a.C. e a Roma Ottaviano Augusto ha posto fine alle guerre civili e rafforzato il rispetto di alcuni valori tradizionali ma ha anche consolidato il proprio potere assumendo i titolo di imperatore. Il suo è un disegno politico che ha bisogno dell’ appoggio anche del mondo della cultura. L’imperatore deve apparire come l’uomo segnato dal destino discendente da una famiglia votata a grandi imprese.
La città di Roma deve essere riscattata dalle sue origini oscure , così come deve essere esaltato il popolo romano con le sue fondamentali virtù: l’amore per la famiglia, per la patria e il senso del dovere
Augusto chiede al poeta mantovano Virgilio di comporre un ’opera nella quale siano rispecchiati tutti i valori della civiltà romana. Il poeta accetta perché apprezza l’operato di Augusto e crede nella sua capacità di assicurare la pace universale .
Secondo la mitologia Greca, le Arpie erano le figlie che Nettuno, il Dio dei mari, aveva avuto con Elettra, Tarmante e Anfitrite. La mitologia classica narra che erano state confinate nelle isole Strofadi, nel Mar Ionio, dallo stesso Giove, che se serviva a proprio vantaggio contro tutti coloro che voleva perseguitare. Ci sono differenti concezioni sul loro aspetto: secondo alcuni era terrificante, assomigliano ad un umano vecchio, con la parte inferiore del corpo e le gambe di un uccello, di cui hanno anche le ali. I capelli sono arruffati e sporchi, gli occhi neri e carichi di malvagità.La loro particolarità sta nel loro famoso e pericolosissimo canto: si narra infatti che tutti gli uomini che hanno ascoltato le loro nenie sono stati come ipnotizzati, perdendo il libero arbitrio e provando un incredibile senso di attrazione nei confronti di queste... attrazione che spesso portava alla morte!
Caronte, figlio dell'Erebo e della Notte, è, nella tradizione classica, il traghettatore delle anime nell'aldilà.Il personaggio è descritto da Virgilio in Eneide, VI, 298-304, nei più minuti particolari, che Dante efficacemente sintetizza in pochi tratti. Caronte, come MINOSSE, CERBERO, GERIONE e PLUTO e FLEGIAS, è uno dei demoni pagani passati nell'inferno cristiano di Dante e collocati poi come guardiani dei vari cerchi, dopo essere stati trasformati in esseri demoniaci sulla traccia dell’interpretazione dei Padri della Chiesa, concludendo, così, il processo di assimilazione della cultura classica, iniziato fin dalle origini del cristianesimo.