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GLI ERRORI DEI COPISTI. L’amanuense del ms. Laurenziano Redi 129, Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze
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GLI ERRORI DEI COPISTI L’amanuense del ms. Laurenziano Redi 129, Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze Errori e varianti da lui introdotte nel corso del processo di copia della Mandragola di Niccolò Machiavelli, riscontrati al confronto con il testo della prima edizione a stampa della commedia, la cosiddetta “Edizione del Centauro”. P. Stoppelli, Filologia della letteratura italiana, giovedì 20 ottobre 2011
Il ms. Laurenziano Redi 129 • Il Laurenziano Redi 129 (= R) è un manoscritto fiorentino compilato nello scorcio del secondo decennio del xvi secolo. Il testo della Mandragola occupa le carte dalla 110r alla 131r. La prima riga è occupata dal monogramma yħs (Yesus), seguito dalla data 1519; quindi l’intestazione: Commedia facta per niccolo machiavegli. Alla fine del testo la parola Finis. La scrittura, non calligrafica, è sufficientemente ordinata, ma non mancano cancellature e aggiunte interlineari. Tutti coloro che hanno studiato il testo della commedia nel Rediano hanno notato un certo scrupolo dell’amanuense («fiorentino di mezza cultura» lo ha definito Pasquini, «uomo colto» è invece per De Robertis) nel rispettare l’esemplare di copia. Così egli dopo aver scritto per errore debbano invece di debbono, dando luogo a una forma popolare fiorentina, si premura di correggere soprascrivendo o ad a; quando invece le sue abitudini lo portano a scrivere vorremo, si ferma dopo m e vi ricalca sopra n prima di concludere la parola con o e dar luogo alla forma vorreno. Altrove sbarra dopo averle scritte parole come castello, tiene, uno, quello,per riscriverle in forma tronca: castel, tien, un, quel. Questo scrupolo nel riprodurre con fedeltà l’antecedente ha fatto ritenere che le lezioni palesemente scorrette, i salti e le altre mende che pure il manoscritto presenta dovessero essere ascritte, piuttosto che a esso, ai passaggi di copia che l’avevano preceduto. Senonché l’accuratezza e la precisione pertengono più alle intenzioni che non alle capacità reali del copista. La copia del Rediano non è affatto impeccabile. Si contano almeno nove luoghi in cui chi scrive, forse perché nel copiare memorizza una pericope troppo lunga, legge una parola e ne mette sulla carta un’altra: si accorge dell’errore, traccia un frego su quanto ha scritto e riscrive o di seguito o nell’interlinea la parola corretta. Il quiproquò può essere determinato da affinità di corpo e di suono: vecchissimi per richissimi (I 27), vivere per vincere (IV 1); da sinonimia o analogia: non mi ricordi invece di non mi risenta (III 28), fiorini per ducati (III 87), sto io per sono io (IV 1: sto si leggeva due parole più avanti), restette per restò (IV 24); da un’interferenza logica: una sola parente invece di una sua parente (I 15); metterlo ad letto per metterlo ad lato; da semplice assonanza: di qui sempre invece di qui depende; da semplificazione sintattica o di costrutto: e’ mi consigliano per e’ mi consigliassino, l’ànno facta invece di l’habbino facta. In altri due casi comincia a riscrivere un tratto di testo che aveva già trascritto: parte alli studi parte a’ piaceri et parte alli studi, il secondo alli studi poi corretto in alle faccende (I 11); insulla sala doue era in sulla sala (V 16), con il secondo insulla sala poi sbarrato. Per non dire di altre incertezze, come quella di pericolo scritto due volte e due volte sbarrato (II 52), prima che fosse scritta definitivamente proprio la stessa parola. Ci sono parole saltate in prima stesura e poi aggiunte nell’interlinea. Insomma il copista del Rediano si lascia cogliere troppe volte distratto. A opera di Tiziano Zanato (L. de' Medici, Canzoniere, a cura di T. Zanato, I, Firenze, Olschki, 1991, pp. 33-35); poi di D[omenico] D[e] R[obertis] nel catalogo All'ombra del Lauro. Documenti librari della cultura in età laurenziana, a cura di A. Lenzuni, Milano, Silvana Editoriale, 1992, pp. 26-27. Emilio Pasquini (Una "bucolica" anonima del primo Cinquecento e il manoscritto della Mandragola, «Giornale storico della letteratura italiana», cxliv, 1967, pp. 170-233) ne ha pubblicato la tavola completa (pp. 224-31). [Continua]
Riporto la descrizione del manoscritto fatta da Domenico De Robertis nel catalogo All'ombra del Lauro. Documenti librari della cultura in età laurenziana, a cura di A. Lenzuni, Milano, Silvana Editoriale, 1992, pp. 26-27.: • «Cart., entro il primo ventennio del sec. XVI (la trascrizione dell'ultimo testo è sormontata dalla data 1519), 290 x 213, di cc. III, 132, III, ma la numerazione antica superstite 3-142 e la fascicolazione, nonché lembi di carte ritagliate, denunciano la perdita (ma in genere senza danno del testo) di 2 cc. all'inizio, probabilmente bianche, e la 1a mai numerata (cfr. L. d. M., Canzoniere, 33-34 - il 1° fascicolo, doppio quaderno come gli altri 8, termina così con la c. 15 ant., corrispondente alla 1a n. n., come la 14 ant. alla 1 perduta, la 13 alla 2 ant. superstite, ora 1, sul cui verso, di mano di Francesco Redi, sono scritti il titolo, Opere del Magnifico Lorenzo / De Medici, e la nota di possesso, «Della Libreria di Francesco Redi»), 1 (51 ant.) quarta del 4° fasc., 5 (107-111 ant.) alla fine del 7° fasc. (e questa volta si perde almeno il seguito del serventese di Giovan Damiani Becci, iniziato a c. 106 ant. v.), 1 (112 ant.) all'inizio del fasc. seg., 1 (126 ant.) penult. del medesimo, 2 (140 e 143 ant.) quartult. e ult. del 9° e ultimo fascicolo. La c. 88 lacerata per il lungo. Scritto da una sola mano, d'uomo colto, in più tempi, tranne un sonetto a c. 105 v, di mano coeva e probabilmente in risposta al sonetto precedente. A c. 1 r, prove di scrittura e nota di possesso di Domenico Torsi. Contiene buona parte delle rime di Lorenzo divise e numerate partitamente in sonetti (da i a cil, a cominciare dai 41 del Comento), sestine (i-v), canzoni (i-viiii, inclusa la ballata pluristrofica Parton leggeri e pronti)capitoli e inni in terzine, ecloghe (Corinto, Apollo e Pan, Diva nell'inquieto mar creata), altre due ballate, laudi, canzoni a ballo (i-xxx), le Sette allegrezze, Stanze II,canti carnascialeschi (cc. 2 r-87 v), il Simposio (cc. 89 v-103 v). Seguono rime di Giuliano de' Medici, Giovan Damiani de' Becci (serv. mutilo), i sonetti di Luigi Pulci In principio era il buio e Costor che fan sì gran disputazione di parodia religiosa (dopo il primo un'altra mano inserì il son. El buio al mio parere è bon compagno), le ottave anonime Che bella vita (cc. 104 r-105 v, 107 v-109 r); infine La Mandragola di Machiavelli semplicemente intitolata Commedia (cc. 110 r-131 r), di cui il presente è l'unico manoscritto noto. Le cc. 87 vb, 88 r-89 r, 106 r-107 r, 109 v, 131 v-132 v, rimaste bianche, furono farcite di ricette, spesso con vistose cancellature, e altri scritti curativi.»
L’edizione del Centauro • Stampa adespota senza indicazione di data, di luogo e di tipografo che raffigura nella xilografia del frontespizio un centauro che suona una lira da braccio (= C). L’edizione, ritenuta tradizionalmente la princeps della commedia, si presenta come un prodotto di bassa qualità: carta scadente, assenza di titoli correnti, caratteri logori di disegno simile a quello dei tipi in uso alla fine del XV secolo. Dunque un libro di fattura dozzinale, che per caratteristiche materiali è più prossimo alle fattezze di un incunabolo che non agli standard tipografici degli anni intorno al 1520. Questi i dati dell’edizione: 8° in quarti. Registro: A-K4 [$ 2 segnati]. Tipo romano. • A1r] Xilografia di mm 115 x 80. Entro una cornice a fregi l'immagine di un centauro con arco a tracolla che suona la lira. Nella parte bassa il titolo: Comedia di Callima | co: & di Lucretia. Mancano i titoli correnti. Gamba dichiara che la carta è marcata con la figura di un giglio; Ridolfi 1968, p. 29, nota invece «una testa di donna racchiusa in un circolo». Negli esemplari da me direttamente visionati (nn. 1, 2, 3 e 5 dell'elenco che segue) non sono riuscito a intravedere alcuna filigrana. Esemplari conosciuti: • 1. Milano, Biblioteca Trivulziana, M 249 (mm 135x90). • 2. Parma, Biblioteca Palatina, GG.III.117.3 (mm 143x100). • 3. Parma, Biblioteca Palatina, Pal. 11389 (mm 140x100). • 4. Den Haag, Koninklijke Bibliotheek, 229 J 21 (mm 135x95). • 5. New Haven (CO), Beinecke Library, Hd 7 861 R (mm 141x100).
1. Prologo v. 75 - Errore di banalizzazione che rende il verso ipometro. C: istima
2. Atto I , 7- Salto per quasi-omeoteleuto. C: sendo miopadre e mia madre morti.
3. Atto I , 11- Cattiva lettura. C: quietissimamente. La messa a testo della lezione di C è richiesta sia dalla maggiore pertinenza col contesto (ma è di opinione opposta Inglese 1997, p.113: «giustissimamente, di R, è coerente col seguito: giovando a ciaschunoecc.»), sia dall’uso di Machiavelli. Infatti, delle 19 occorrenze di “quietamente” riscontrate negli scritti machiavelliani ben 7 sono riferite a “vivere”, contro nessuna di “giustamente + vivere”; peraltro “giustamente” occorre 4 volte e solo nelle Istorie fiorentine. La lezione di Rpotrebbe avere avuto origine, come altre volte in casi come questo, da travisamento del copista.
10. Atto II , 25- Forse cattivo scioglimento di abbreviazioni. C: torniamo ad rem nostram. All’origine della sostanziale divergenza doveva esserci una lezione compendiata, sciolta male e adattata alla meno peggio in R. La lezione di C è infatti indiscutibilmente superiore per pertinenza (Nicia ha già accennato il suo problema a Callimaco, quindi si tratta di tornare all’argomento, non di cominciare a parlarne), qualità (a dire è lettura evidentemente banalizzata di ad rem)e rispondenza all’uso di Machiavelli. Nei Discorsi: «Ma tornando al ragionamento nostro» (II proe., 18); «Ma tornando al discorso nostro» (III 22, 15); nell’Arte della guerra: «tornando alla materia principale nostra» (II 318); «Ma torniamo al ragionamento nostro» (IV 48 e VII 77); «torniamo alla materia nostra» (V 135); ecc. Nella Mandragola, Prologo 79: «Torniamo al caso nostro». Ma è soprattutto probante il seguente luogo: «Sì che, per tornare ad rem nostram, quando...» (LC, p. 547).
12. Atto II , 86 - Cattiva lettura forse per attrazione di un termine successivo. C: cercando.
13. Atto II , 108 - Cattiva lettura. C: morto. Cattiva lettura del ms. «Io son morto!» traduce i vari interii, perii, occidi delle commedie plautine e terenziane, esclamazioni stereotipe del personaggio di commedia quando si vede perduto. Machiavelli aveva impiegato la stessa espressione quattro volte nella traduzione dell’Andria e la impiegherà due nella Clizia.
15. Atto III , 14 - Cattiva interpretazione di un precedente forse poco chiaro. C: trincati. R ricostruisce tanto cattivi a partire da gruppi di lettere di trincati. In Machiavelli: «E' bisogna andar lesto con costui, perché egli è trincato come il trentamila diavoli» (Lettere, p. 1206b). trincati “scaltri, smaliziati”
16. Atto III , 94 - Salto di parole (incerto). C: e disegni .
17. Atto V , 1 - Errore di ripetizione. C: sabato. Le lodi alla Madonna sono una pratica liturgica del sabato. Il ms. ripete ogni sera, che cade esattamente sopra nella riga precedente.