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CAMMINANDO NELLA STORIA. ROMOLO E REMO, LA LUPA E L’ARCHEOLOGO. LE GUERRE PUNICHE. LA PRIMA GUERRA PUNICA.
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CAMMINANDO NELLA STORIA ROMOLO E REMO, LA LUPA E L’ARCHEOLOGO
LA PRIMA GUERRA PUNICA Roma nacque come un piccolo villaggio, in seguito le sue espansione le fece dominare la maggio parte delle terre che comprendevano la penisola italica: dalla Romagna fino alla Puglia e alla Calabria. Aveva sconfitto le popolazioni autoctone come i Sabini, gli Etruschi e i Volsci. Con altre creò delle alleanze, il suo esercito cominciò a prendere rispetto e incutere timore. Sulla terra sembrava essere invincibile ma sul mare non era per nulla conosciuta, anche per i commerci infatti usava navi greche e etrusche; anzi, non aveva neanche le basi per costruire una nave da combattimento! I Cartaginesi invece erano potentissimi proprio grazie alle loro navi che permettevano commercio e conquiste lontane, infatti dominavano buona parte del Mediterraneo Occidentale. Avevano un potente esercito formato per lo più da truppe mercenarie. La sua forza si basava soprattutto sui commerci e l’agricoltura molto sviluppata. La prima guerra punica scoppiò per la crescente rivalità politica ed economica tra Roma e Cartagine. Dopo le guerre tarantine, infatti, Roma aveva posto sotto la propria diretta influenza le città italiote della Magna Grecia, minacciando in questo modo la supremazia cartaginese nel Mediterraneo Meridionale, che poteva contare sui vasti possedimenti punici in Sicilia; il controllo del mare era fondamentale per l’economia di Cartagine, la cui agricoltura e la cui attività manifatturiera, allora molto prospere, avevano nel commercio d’oltremare il loro sbocco naturale.
L’occasione del conflitto, fu data dai mercenari campani mamertini, che chiesero aiuto a entrambe contro Gerone II di Siracusa. Cartagine, controllava già parte della Sicilia e i Romani accolsero la richiesta con l’intenzione di cacciare i Cartaginesi dall’isola. Preparata la loro prima grande flotta, i Romani dichiararono guerra e sconfissero i Cartaginesi nella battaglia di Mylae (Milazzo); le navi romane, sotto la guida del Console Duilio Caio avevano per l’occasione sperimentato i cosiddetti ‘’corvi’’, pontili ribaltabili che consentivano di agganciare le navi nemiche e farvi salire i propri soldati, trasferendo così le battaglie navali alcune delle modalità del combattimento terrestre in cui erano superiori. I romani vinsero anche a Tindari e a largo del promontorio Ecnomo, messi non riuscirono a conquistare la Sicilia. Nel 256 a.C. un armata romana sotto il comando del console Marco Attilio Regolo stabilì una base in Nord Africa, ma l’anno seguente i Cartaginesi li costrinsero a ritirarsi in esso, dopo averla duramente sconfitta presso Tunisi: Regolo stesso venne fatto prigioniero e molti dei soldati Romani superstiti morirono travolti da una tempesta l’anno successivo. La guerra continuò, in gran parte attorno alla Sicilia e si concluse solo nel 241 a.C. con una battaglia navale presso le isole Egadi, vinta dai Romani guidati dal console Caio Lutazio Catulo. La vittoria fruttò a Roma il controllo della Sicilia (prima provincia Romana) e nel 237 a.C. la conquista della Sardegna e della Corsica. Le condizioni di pace imposte ai Cartaginesi del console Lutazio Catulo, furono durissime: oltre alle perdite territoriali ed all’impegno di non belligeranza, essi dovevano restituire senza riscatto i prigionieri Romani e impegnarsi a pagare un’ esorbitante indennità di guerra.
ATTILIO REGOLO – MONETE DI GERONE II NAVE DA GUERRA CON “CORVO”
La prima guerra punica (264 - 241 a.C.) fu la prima di tre guerre combattute tra l'Antica Cartagine e la Repubblica romana. Per 20 anni, le due potenze si scontrarono per acquisire la supremazia nel Mar Mediterraneo occidentale, principalmente combattendo in Sicilia e nelle acque circostanti, ma anche in maniera minore nella penisola italiana e in Nordafrica. Cartagine era situata in quella che è l'odierna Tunisia ed era la potenza dominante del Mediterraneo occidentale all'inizio del conflitto. La Repubblica romana risultò vincitrice al termine della guerra e impose a Cartagine pesanti sanzioni economiche. Nel 280 a.C. Roma era in una condizione di vittoriosa espansione. Dopo secoli di conflitti e ribellioni l'intera penisola italiana a sud dell'Appennino Tosco-emiliano era strettamente controllata dalle forze romane; tutti i nemici prossimi come gli Etruschi, i Sabini, i Volsci erano stati sconfitti. I Marsi, gli Apuli, i Vestini erano federati o alleati. I Galli Senoni erano stati fermati al Piceno (attuali Marche). Roma aveva stretto accordi di alleanza o di non-interferenza con varie popolazioni italiche e colonie greche dell'Adriatico come Ancona (aiutata contro i Galli). Operazioni di consolidamento si stavano effettuando soprattutto nei territori del sud appena entrati nell'orbita della Repubblica. Roma era abituata al successo e riponeva un'enorme fiducia nel suo sistema politico e nel suo esercito. Per contro non possedeva, in pratica, una vera Marina e per i commerci si affidava soprattutto agli Etruschi e ai Greci. Le guerre sannitiche avevano portato Roma a cercare di accerchiare il Sannio con l'alleanza degli Apuli (in Puglia) e una politica di controllo dei territori a stretto contatto con le colonie greche del Mar Ionio fra cui Tarentum. I tarantini, in lotta con Thurii che aveva chiesto aiuto a Roma, dal momento che la loro fragile coalizione con Sanniti, Bruzi e Lucani non riusciva ad aver ragione delle forze romane, si rivolsero a chiedere aiuto a Pirro, re dell'Epiro. Ci furono due tipi di combattimenti nella guerra punica che si sono svolti diversamente: il primo si svolse sulla terra, un tipo di combattimento che Roma conosceva bene ma che giocò un ruolo secondario nella prima guerra punica. Le operazioni rimasero confinate ad alcune scaramucce fra le forze in campo, con solo qualche vera battaglia. In genere si assistette ad assedi e blocchi di comunicazioni che furono le sole operazioni degli eserciti. Lo sforzo maggiore fu posto nei tentativi di chiudere i porti principali in quanto i due contendenti erano entrambi nella condizione di dover rifornire le truppe di viveri, materiali ed effettivi, non avendo nessuna delle due città vere e proprie basi militari in Sicilia.
Ciononostante almeno due battaglie di larga scala furono combattute durante questa guerra. Nel 262 a.C. Roma assediò Agrigento in un'operazione che coinvolse entrambi gli eserciti consolari per un totale di quattro legioni (circa 20.000 legionari e 2.000 cavalieri) e che tenne campo per molti mesi. La guarnigione cartaginese di Agrigento riuscì a chiedere rinforzi che giunsero, guidati da Annone. I romani passarono quindi da assedianti ad assediati e, perso il supporto di Siracusa, dovettero costruire un vallo per propria difesa dalle sopraggiungenti forze cartaginesi. Dopo alcune schermaglie si venne a una vera battaglia, la battaglia di Agrigento, che fu vinta dai romani, le cui legioni erano più disciplinate ed efficienti delle armate cartaginesi, composte invece da mercenari. Immenso fu il bottino e il saccheggio del campo che durò buona parte della notte. Se Annibale Giscone, comandante delle truppe ad Agrigento, avesse disposto di forze sufficienti forse avrebbe potuto infliggere gravi perdite ai romani intenti al bottino ma i superstiti dopo sette mesi di assedio erano così sfiniti e sfiduciati che preferirono la fuga. Durante la notte, senza esser visti dai romani, uscirono dalla città e raggiunsero la flotta. Il secondo si svolse sul mare, a causa delle difficoltà di operare in Sicilia, la maggior parte della prima guerra punica, comprese le battaglie più decisive, fu combattuta in mare, uno spazio ben noto alle flotte cartaginesi che da secoli lo percorrevano vincenti. In più, la guerra navale permetteva il blocco dei porti nemici con il conseguente possibile o mancato rinforzo per le truppe a terra. Entrambi i contendenti dovettero investire pesantemente nell'allestimento delle flotte e questo diede fondo alle finanze pubbliche sia di Roma che di Cartagine. Probabilmente segnò il corso della guerra. All'inizio della prima guerra punica, Roma non aveva nessuna esperienza di guerra navale. Le sue legioni erano vittoriose da secoli nelle terre italiche ma non esisteva una Marina, tanto meno una Marina militare. Nondimeno il Senato comprese immediatamente l'importanza del controllo del Mediterraneo centrale nel prosieguo del conflitto. La prima grande flotta fu costruita dopo la battaglia di Agrigentum del 261 a.C. che fu vinta, ma che mise in evidenza l'importanza del controllo delle linee di comunicazione nemiche. Roma mancava della tecnologia navale e, quindi, dovette costruire una flotta basandosi sulle triremi e quinqueremi cartaginesi catturate. Per compensare la mancanza di esperienza in battaglie fra navi, Roma sviluppò una tecnica di combattimento che permetteva di sfruttare la conoscenza delle tattiche di combattimento terrestri in cui era maestra. Le navi romane furono equipaggiate con uno speciale congegno d'abbordaggio: il corvo. Questo congegno agganciava le navi nemiche e permetteva alla fanteria di combattere quasi come sulla terraferma. L'efficienza di quest'arma fu provata per la prima volta nella battaglia di Milazzo, la prima vittoria navale romana; e continuò ad essere provata negli anni successivi, specialmente nella dura Battaglia di Capo Ecnomo.
LA SECONDA GUERRA PUNICA Annibale parte da Carthago Nova in Spagna, per andare a sconfiggere i romani a Roma. Questa è la seconda guerra punica durata dal 219 al 202 a.C. Questa guerra è stata caratterizzata da tantissime battaglie tra romani e cartaginesi. Nel mese di maggio del 218 a.C., Annibale lascia la penisola Iberica con un esercito di circa: 90.000 fanti 12.000 cavalieri e 37 elefanti. Dopo aver lasciato la Spagna, entrò in Gallia, dove cercò alleanze per il suo esercito;ciò non fu facile, perché dovette combattere con diverse tribù e perse alcune migliaia di uomini. Giunse sulle rive del Rodano, a fine agosto con circa 40.000 uomini, la metà del suo esercito iniziale. Doveva forzatamente attraversare il Rodano, nei pressi di Marsiglia; ma dall’ altra parte lo aspettava Publio Scipione, con l’esercito romano, ormai a conoscenza delle intenzioni di Annibale. Annibale evitò lo scontro e deviò il suo percorso, per le Alpi. Ci troviamo verso la metà di settembre perciò, all'inizio dei primi freddi sia l’esercito che gli elefanti erano abituati al caldo della Spagna perciò ci furono dei problemi. Comunque male attrezzati riuscirono a raggiungere la pianura padana, prima che le nevi occupassero le vallati. Ai piedi delle Alpi l’esercito cartaginese rimaneva con 30.000 uomini e 21 elefanti.
C’è da dire che aveva annesso a sé numerose tribù. Scipione cercava di capire dove fosse Annibale e quale strada stesse percorrendo per Roma . Si scontrarono nella battaglia del Ticino, dove, i Romani si accorsero che l’esercito dei cartaginesi era troppo forte. La sconfitta per Scipione fu pesante, perché ne rimase ferito, salvato da suo figlio Publio Cornelio Scipione, che va in Africa e la rase al suolo, e per questo venne soprannominato Scipione l’ Africano. A Dicembre, Annibale finse un attacco contro i romani presso il Trebbio, finse anche una fuga, i Cartaginesi erano ben preparati alla battaglia, mentre i romani erano digiuni, e furono costretti col freddo, ad attraversare il fiume. Dove trovarono le crudeli truppe di Annibale che distrussero l’esercito comandato da Sempronio che fu letteralmente decimato. Nel frattempo, a Roma giunse voce dell’abile condottiero Cartaginese che cominciò ad organizzarsi meglio. Ancora una volta però; Roma perse le tracce di Annibale. L’esercito romano di 25.000 uomini, guidato dal console Flaminio, fu preso improvvisamente d’assalto sulle rive del lago Trasimeno; le truppe Cartaginesi spinsero quelle romane nel lago. In migliaia annegarono, le perdite furono di 15.000 uomini e i 6.000 prigionieri furono trucidati. A questo punto Annibale pensa bene di non attaccare subito Roma, per cui decide di recarsi a Sud, dove nel frattempo ricreò il suo esercito. Giunse nel 216 a.C., nella cittadina di Canne, dove poi viene sconfitto da Scipione l’ Africano.
LA TERZA GUERRA PUNICA La terza guerra PUNICA fu combattuta fra Cartagine e la Repubblica di Roma tra il 149 ed il 146 a.C. Fu l'ultima delle tre guerre fra le antiche civiltà del Mediterraneo. In seguito a questo conflitto Cartagine viene definitivamente distrutta.Cartagine dopo la sconfitta di Zama, nonostante le condizioni onerose imposte da Roma, tra cui ricordiamo il pagamento di 200 talenti d'argento per 50 anni e l'essere costretta a prestare un contingente (guerrieri) alle forze di Roma nelle sue guerre di conquista, a poco a poco si riprese soprattutto grazie al rifiorire del commercio, in cui i cartaginesi erano maestri, e un nuovo impulso dato all'agricoltura, in particolare alle coltivazioni di ulivo e vite con tecniche moderne. Le cause della guerra La città africana si era impegnata a non far guerra senza il consenso di Roma ed a rispettare i regni vicini sotto la protezione di Roma tra cui la Numidia. Ma i contrasti frequenti con Massinissa, suo sovrano, portarono Cartagine a dichiarare guerra alla Numidia senza chiedere il permesso a Roma. Cartagine non ebbe la meglio in questa contesa cosicché il rischio per Roma era che essa, ancor più indebolita, cadesse preda della Numidia. Naturalmente a Roma non si sarebbe visto di buon occhio il formarsi in Africa di uno stato economicamente potente, esteso dall'Atlantico all'Egitto e con notevoli masse umane da impiegare nelle inevitabili guerre.
La guerra La rottura dei patti, in ogni caso, era inaccettabile e fornì Roma di un pretesto perfetto per poter intervenire. Contrariamente ai desideri del senatore Marco Porzio Catone che voleva un'immediata dichiarazione di guerra, Roma inizialmente (149 a.c.) mandò una missione diplomatica per evitare il conflitto. In questa occasione i Romani imposero ai cartaginesi di distruggere la parte della città che si trovava sul mare e ricostruire gli edifici distrutti a più di 5 km dal mare. Inoltre i Romani volevano che i cartaginesi consegnassero tutte le armi e le navi da guerra. Come abbiamo visto, l'intera economia dei cartaginesi si fondava sugli scambi commerciali sul Mediterraneo. Loro quindi non accettarono le condizioni dettate da Roma che a quel punto dichiarò guerra all'eterna rivale. I Cartaginesi decisero di resistere ad oltranza, si chiusero nella città decisi a difenderla fino all’ultimo e resistettero valorosamente. Infatti, tra il 149 ed il 148 i Romani non riuscirono ad espugnare Cartagine. Nel 147, Scipione Emiliano, figlio di Scipione l’Africano, riuscì a debellare l’esercito cartaginese bloccando la città e privandola di ogni rifornimento. La fame e le malattie indebolirono la resistenza degli assediati dando la possibilità ai Romani di sferrare l’attacco definitivo. Cartagine fu rasa al suolo e incendiata. I cinquantamila superstiti vennero ridotti in schiavitù. Cartagine scomparve e la costa settentrionale dell’Africa divenne provincia romana.
GLI ALANI Gli Alani erano un popolo nomade di origini iranica compreso nel gruppo dei Sarmati; bellicosi pastori di origini miste che parlavano una lingua iranica e condividevano una cultura comune. I primi a parlare degli Alani sono stati gli storici greco-romani e i cinesi nel primo secolo a.C. Alcuni secoli dopo, durante la dinastia HAN, la cronaca cinese HOU HAN SHU menziona che la terra delle steppe di YEN-TS'AI adesso aveva preso il nome di ALAN-LIAO. Il regno di Yancai ha cambiato il suo nome diventando regno di ALANLIAO. La sua capitale è la città di DI. Si dice che circa a 832km a nord ovest di K'ang-chu c'è lo stato di YEN-TS'AI. Il numero degli arcieri che allenano è 100000. sono situati presso la Grande Palude, al di là della quale non esistono altre coste, la Grande Palude potrebbe essere la PALUDE DEL DELTA DEL DANUBIO,un ostacolo che rallentava molto il passaggio dei nomadi verso occidente.Cosi all'inizio del primo secolo , gli alani avevano occupato delle terre a nord est del mar d'Azzov, lungo il Don. Le scritture dicono che dalla seconda meta del primo al quarto secolo gli Alani avevano una supremazia tale sulle tribù circostanti da creare una potente confederazione. Gli Alani furono un problema per i romani con le loro incursioni nelle province presso il Danubio ed il Caucaso nel secondo e terzo secolo
Erodoto descrive gli alani come alti e biondi. Furono vinti da Gneo Pompeo Magno nel 60 a.C. e combattuti dai romani sotto gli imperatori vespasiani, Marco Aurelio ed Adriano. Furono respinti nel 276 dall'imperatore Tacito nei loro confini quando con i goti invasero l'Anatolia. Nella seconda meta del quarto secolo furono sottomessi dagli Unni. Una parte si unì a questi nelle loro incursioni, altri si fermarono nel Caucaso ed un altro gruppo si spinse in Pannonia. Da qui si unirono ad altre tribù barbare, suebi e vandali. A seguito della morte del sovrano alano ATTACO nello scontro contro i visigoti, la corona fu offerta dal capo vandalo Gunderico. Da allora le due etnie si unirono e buona parte degli alani seguì i vandali in nord africa, alcuni servirono l'impero romano d'Occidente come mercenari, altri si unirono ai Sassoni, nell'invasione dell'arcipelago Britannico. Alani comandati da Saulo erano i cavalieri dell'esercito romano che sconfisse Alarico I nella battaglia di Pollenzo, nel 402.
I GALLI Con il nome di Galli si intende un vasto insieme di popoli di lingua celtica che, nel mondo antico, occupavano gran parte di quella che oggi costituisce l'Europa centrale e che i Romani chiamarono Gallia. Benché non abbiano lasciato testimonianze scritte nella loro lingua, i Galli erano tutt'altro che barbari ed erano in possesso di importanti tecniche metallurgiche La terra dei Galli Tra l'inizio del 7° e la fine del 5° secolo a.C. una serie di migrazioni portò gruppi di Celti provenienti dall'Europa centro-orientale a occupare il territorio approssimativamente coincidente con l'attuale Francia. I Romani designarono col nome di Galli queste popolazioni e chiamarono Gallia la loro terra, che distinguevano in due diverse e grandi regioni: la Gallia Cisalpina ‒ il termine, che in latino vuol dire "al di qua delle Alpi", indicava la parte di territorio corrispondente all'attuale Italia settentrionale, suddivisa a sua volta in Gallia Cispadana ("a sud del Po") eTranspadana ("a nord del Po") ‒ e la Gallia Transalpina ("al di là delle Alpi"). Anche la Gallia Transalpina era suddivisa in due regioni: la Gallia Narbonensis e la Gallia Comata. La Gallia Narbonensis ‒ che fu la prima regione della Gallia Transalpina a essere conquistata da Roma, nel 121 a.C. ‒ prendeva il nome dall'antica città di Narbona (attuale Narbonne) e corrispondeva più o meno alla Francia del Sud. La Gallia Comata (dal latino comatus "capelluto"), così chiamata a causa delle lunghe capigliature portate dai suoi abitanti, fu invece sottomessa solamente sotto Giulio Cesare, e durante l'impero di Augusto fu divisa in tre provincie: l'Aquitania, la Lugdunense e la Belgica. Bisogna anche ricordare che nel 3° secolo un'orda di Galli sciamò addirittura in Asia Minore, costituendo nei pressi dell'attuale Ankara un regno che prese il nome di Galazia.
I Galli d'Italia… Nell'Italia antica le popolazioni galliche erano molto numerose, dal momento che occupavano tutta l'Italia settentrionale, a nord e a nord-est dell'arco appenninico. Particolarmente temuti da Roma erano i Galli Senoni, che erano insediati nei pressi di Sena Gallica (Senigallia), sulla costa marchigiana. Questa tribù, nel 390 a.C., agli ordini del re Brenno riuscì a saccheggiare Roma. Secondo la tradizione i Romani, costretti a rifugiarsi sul Campidoglio, furono salvati in quell'occasione dallo starnazzare delle oche, che li mise in guardia da un tentativo di attacco notturno. La spavalda sicurezza dei Romani sulla loro invincibilità in guerra subì così un duro colpo: da allora il cosiddetto metus Gallicus ("terrore dei Galli") diventerà un sentimento largamente condiviso nel popolo romano. Le tappe più importanti per la conquista della Gallia Cisalpina da parte di Roma furono la fondazione delle colonie di Ariminum (Rimini) nel 268 a.C., Cremona e Placentia (entrambe nel 218). Fu soprattutto la fondazione di queste ultime due a irritare le popolazioni galliche della regione, tanto che nello stesso anno si allearono con Annibale che aveva varcato le Alpi. …e quelli di Francia Il momento decisivo nella storia della Gallia Comata è la metà del 1° secolo a.C., quando Gaio Giulio Cesare decide di sottomettere i popoli delle regione. La grande avventura di quella immensa impresa militare è raccontata nei suoi Commentari sulle guerre galliche, uno degli indiscussi capolavori della narrativa storica latina. L'impresa richiese diversi anni, dal 58 al 51 a.C., e un numero enorme di vite umane. A seguito di una conquista abbastanza rapida, ottenuta con clamorose vittorie dovute all'indiscusso genio militare di Cesare, si ebbe una fase in cui i Galli, vinti, riuscirono a riorganizzarsi e a ribellarsi sotto la guida di un grande capo militare, Vercingetorige, re del popolo degli Arverni, una delle numerose stirpi tra le quali erano suddivisi i Galli. Lo scontro finale avvenne ad Alesia dove, nel 52 a.C., Cesare ottenne una vittoria risolutiva grazie all'espediente di costruire una grande fortificazione doppia: per assediare l'esercito di Vercingetorige, chiuso ad Alesia, e per difendersi dall'assedio di un grande esercito di soccorso, inviato dagli altri popoli galli in aiuto degli assediati. La vittoria su entrambi i fronti portò alla cattura di Vercingetorige il quale, dopo aver fatto parte del trionfo di Cesare, venne ucciso. D'allora in poi la Gallia fu parte integrante dell'Impero Romano.
GLI UNNI Gli Unni si calarono sulle pianure dell’Ucraina e della Bielorussia tra il 374 d.c. e il 37 6 d.c. e questo fu nominato “Effetto Domino” perché travolse i Sarmati ,Alani,Ostrogoti,Sciri e Rugi. Un gruppo di Unni misti avevano messo a ferro e fuoco l’Impero Sassanide di Persia e si stanziarono tra il fiume Indo e il lago Balqas ed anche tutta l' India. Nel 395 gli Unni si spostarono a nord del Mar Nero. In Europa le tribù gotiche si unirono alle famiglie degli Unni sotto il comando del re Rua(zio di Attila),sotto Attila e Bleda l’ esercito cominciò a rafforzarsi Gli Unni erano un popolo dedito alla guerra che sviluppò una grande abilità nel combattimento. Nomadi di stirpe uralica proveniente dalla Asia , giunsero in Europa nel IV secolo e vengono ricordati perché nel V secolo andarono contro l’Impero Romano d’ Occidente. Gli Unni sotto la guida di Attila e Bleda costrinsero l’Imperatore romano d’Oriente,Teodosio II,a pagargli un tributo annuale. Nel 451 Attila sconfisse l’esercito romano in Gallia e poi si diresse verso l’ Italia occupando (sue) le regioni settentrionali. Dopo la morte di Attila, nel 453,gli Unni decaddero .Alcuni clan dicevano di essere Unni semplicemente dal prestigio del loro nome o per il luogo dove erano nati. La Cultura Due scrittori descrivono gli Unni e le loro usanze in modo diverso:Ammiano dice che gli Unni non si lavavano e non si cambiavano i vestiti,ma soprattutto dice che a loro non serviva il fuoco e che non mangiavano cibi conditi. Giordane dice, invece, che praticavano la deformazione cranica per imitare i nomadi Sarmati fasciando la testa ai bambini che cosi’ da adulti avrebbero avuto il cranio deformato.
I BURGUNDI I Burgundi (Burgundes) erano una tribù della Germania dell’Est che potrebbe aver migrato dalla Scandinavia all’isola di Bornholm e poi nell’Europa continentale. Nel 455 si ha un riferimento in Sidonio Apollinare, che collega un anonimo capo burgundo traditore con l’assassinio dell’imperatore Petronio. Nel caos precedente il sacco di Roma ad opera dei Vandali (un’altra tribù germanica), anche il patrizio Ricimero è menzionato e ciò indica il primo segnale del legame esistente tra i Burgundi e Ricimero. I Burgundi, confidando nel loro crescente potere, nel 456 negoziarono un’espansione territoriale verso il sud-ovest dell’area Rodano-Saona e un accordo per la spartizione del potere coi senatori romani locali. Nel 457, Ricimero sconfisse un altro imperatore, Avito, così salì al trono Maggioriano. Questo nuovo imperatore non risultò molto utile per Ricimero e i Burgundi. L’anno dopo la sua ascesa Maggioriano tolse ai Burgundi le terre che avevano conquistato due anni prima. Fu assassinato da Ricimero nel 461. Dieci anni dopo, Nel 472, Ricimero, complottò con Gundobado per uccidere il suocero; Gundobado uccise l’imperatore decapitandolo. Ricimero nominò Anicio Olibrio ma entrambi morirono nel giro di poco tempo. Sembra che Gundobado sia succeduto a Ricimero come patrizio e nella funzione di manovratore occulto dell’Impero d’Occidente, e infatti innalzò Glicerio al trono. Nel 474 l’influenza burgunda sull’impero terminò. Glicerio fu deposto in favore di Giulio Nepote. Fu allora, o poco dopo, che il regno burgundo fu diviso tra Gundobado, che ricevette la parte più importante, con Lione capitale, e i suoi fratelli Godigiselo, Chilperico II e Gundomano I. Nel 478 il confine meridionale si estendeva fino al fiume Durance. A nord la conquista portò a scacciare gli Alemanni da Langres e Besançon. Il regno fu messo sotto pressione a nord dai Franchi e a sud dai Goti e Visigoti. Gundobado tentò di diminuire queste pressioni legandosi attraverso matrimoni con i re dei regni vicini. Il figlio Sigismondo si sposò con Ariagne, figlia del re degli OstrogotiTeodorico il Grande, mentre Clotilde figlia di Childerico II sposò il re dei FranchiClodoveo I.
GLI OSTROGOTI Gli ostrogoti dal latino Ostrogothi o Austrogothierano un ramo dei Goti, tribu’ tedesca che cambiò la vita di Roma e il suo impero nel tardo impero romano. Dopo aver sconfitto Odoacre che aveva scelto Romolo Augustolo come ultimo imperatore di Roma d’occidente, si insediarono in Italia venendo però poi sconfitti dai Bizantini. I romani li chiamavano anche Barbari. Il primo re fu Ostrogota. Nel 340 iniziarono le scorrerie e conquistarono il mondo vandalo,successivamente vennero incalzati dagli unni che li avevano cacciati dai confini naturali,allora gli ostrogoti chiesero asilo a Valente. Nel 476 Odoacre sconfisse l’ ultimo imperatore di Roma e conquistò l’occidente. Abitavano a oriente del fiume Dnestr, pressappoco l’odierna Ucraina, e per questo li chiamavano “Goti dell’Est”. Erano più organizzati dei Visigoti e avevano un re, sia pure eletto dal’esercito. Attorno al 370, però, furono sconfitti e assoggettati dagli Unni. Soltanto dopo la morte di Attila (453), gli Ostrogoti riconquistarono la loro indipendenza e con Teodorico giunsero al culmine della potenza. Teodorico (454-526) è stato il re più abile degli Ostrogoti, ma forse anche il più crudele. Apparteneva a un nobile casato e aveva trascorso gli anni giovanili a Costantinopoli. Teodorico, per i servizi resi all’impero bizantino, ottiene dall’imperatore Zenone l’autorizzazione di stanziarsi in Italia con il suo popolo. Nella primavera del 489 varca le Alpi Giulie con 100.000 soldati. Teodorico entra in Ravenna ed è proprio in Italia, con l’assassinio di Odoacre, che Teodorico si rivela barbaro di efferata crudeltà. Dopo un assedio pluriennale di Ravenna, promette di lasciar salva la vita al rivale e invece lo uccide e stermina tutta la sua famiglia . Teodorico favorisce i buoni rapporti fra la sua gente e gli italici - romani, ma mantiene ben distinte le funzioni: agli Ostrogoti quelle militari, ai Romani quelle amministrative. Vieta i matrimoni fra le due stirpi e conserva la diversità di culto, dato che gli Ostrogoti professano l’arianesimo. Fu proprio la mancata fusione fra i due popoli la causa principale del crollo del regno. La disgregazione comincia subito dopo la morte di Teodorico, avvenuta nel 526 e nove anni dopo, quando le armate di Giustiniano sbarcano in Italia per riprendere il diretto controllo dell’impero, gli Ostrogoti non possono contare sull’aiuto delle popolazioni italiche. Combattono per vent’anni con grande valore, ma alla fine devono soccombere e scompaiono dalla storia italiana quasi senza lasciare traccia.
I VISIGOTI I Visigoti erano i Goti dell’ ovest che si fermarono nella metà del III secolo sul confine nordorientale dell’ Impero Romano nella regione Dacia. Loro contribuirono alla caduta dell’ Impero Romano. ORGANIZZAZIONE SOCIALE E POLITICA Per i Visigoti il nucleo più importante era quello familiare. Le donne non avevano gli stessi diritti degli uomini perché venivano utilizzate per porre rimedio alle offese e inseguito si sarà usato il rimedio attraverso il denaro. La società dei Visigoti era divisa in: Arimanni, soldati che possedevano i diritti civili; Aldii, non avevano il diritto di proprietà e quelli civili; infine, gli schiavi, non avevano nessun diritto e lavoravano per i più ricchi. Solo nelle guerre i Visigoti eleggevano un re che doveva rimanere in carica fino alla fine della guerra. STORIA I Goti dell’ ovest , nel 395, nominarono re Alarico e invasero l’ Europa sud-orientale, l’ odierna Grecia e Macedonia. Il 24 Agosto 410 saccheggiano Roma per tre giorni; poi fondarono un regno nella Gallia Meridionale stanziandosi a Tolosa. Nel VI secolo i loro possedimenti si ampliarono arrivando nella parte settentrionale della penisola Iberica. RELIGIONE I Visigoti, come gli Unni, credevano negli sciamani ossia persone in grado di parlare con i morti; quindi praticavano l’ arianesimo ma la penisola Iberica negli anni successivi non si convertì al cristianesimo e alla Chiesa Cattolica. La loro legislazione ossia l’ insieme di leggi fu il più complicato e venne disintegrato nel 711 dai Musulmani.
I SASSONI Questo antico popolo germanico, si insedia nel nord della Germania e, a partire dal III secolo, intensifica la sua espansione territoriale. Dal mare del Nord si sposta sino in Gran Bretagna e in Francia dove costituisce vari insediamenti coloniali. La sua conquista più importante rimane quella dell'Inghilterra, che tra il V e il VI secolo deve accogliere, almeno nelle sue regioni costiere meridionali, gli immigrati-colonizzatori germanici (angli, frisoni, juti e sassoni) che si stabiliscono tra Essex e Sussex. I sassoni allargano il loro dominio anche sul continente: nell'VIII secolo controllano la metà settentrionale della Germania. Proprio allora intensificano i rapporti con i loro vicini occidentali, i franchi, mentre missionari cattolici si spingono sempre più spesso nell'entroterra tedesco (fondazione di Fulda nel 743). Potenza sassone e resistenza popolare alla cristianizzazione provocano l'intervento di Carlo Magno, che avvia una spietata guerra di conquista e spesso di annientamento che si conclude nel 797. Nel corso del IX secolo i sassoni del continente perdono quasi tutte le loro caratteristiche peculiari e si integrano nel più vasto ambito germanico, mentre in Gran Bretagna danno vita ai regni anglosassoni.
I VANDALI Il nome Vandali indicò dapprima un vasto gruppo di popoli germanici orientali, di cui facevano parte i Burgundi e i Goti, che nel tempo si restrinsero ad una singola gente. Furono costretti da altre popolazioni germaniche (Longobardi, Rugi e Burgundi) a spostarsi verso sedi dell’Europa centrale (Slesia, Polonia meridionale). In seguito alla migrazione dei Goti, essi furono costretti ad una nuova migrazione fino ai confini della Dacia. Nel 335 subirono una pesante sconfitta dai Goti, che costò la vita al loro re Visimero. L’invasione degli Unni fu determinante e la tregua tra Impero e Vandali durò poco: nel 406 questi, insieme ad Alani e Svevi, ripresero il cammino verso occidente e, attestatisi sul Reno, ne forzarono il passaggio. Per due anni razziarono le regioni galliche, distruggendo molte città, penetrarono nella penisola iberica, dove gli Asdingi e gli Svevi si stabilirono nella Galizia, i Silingi nella Betica, gli Alani nella Lusitania e nei dintorni di Cartagena. Vallia, re dei Visigoti, giunse in Spagna con l’incarico di debellare gli usurpatori: i Silingi e gli Alani furono annientati, gli Astingi e gli Svevi riuscirono ad evitare la medesima sorte. Di tali circostanze approfittarono gli Asdingi, il cui re, Gunderico, assunse il titolo di rex Vandalorum et Alanorum, estendendo la propria sovranità su tutte le genti che con i Vandali erano giunte nella penisola iberica. Genserico, il successore di Gunderico, chiamato dal comandante imperiale Bonifazio che intendeva servirsi dei Vandali per contrapporli alle truppe del patrizio Felide, irruppe nell’Africa settentrionale, ottenne di abitare i territori conquistati, che si fece riconoscere come dominio dall’imperatore Valentiniano III. Allestita una flotta, i Vandali si diedero alla pirateria e alle incursioni. Dalle coste africane raggiunsero la foce del Tevere e nel 455 per due settimane misero a sacco Roma. Inoltre Genserico acuì i dissensi con persecuzioni verso tutti coloro che non erano di religione ariana. Alla sua morte la situazione si fece più tesa, i suoi successori alternarono la guerra a pause di tregua e i conflitti si inasprirono ulteriormente con il re Ilderico. Nel 530 divenne re Gelimero, che sollevò l’ultima reazione del popolo vandalo contro l’Impero, perché intervenne l’imperatore Giustiniano con una spedizione comandata dal generale Belisario, che riportò in breve un successo trionfale (533-534). I Vandali vennero sconfitti e il loro regno fu riunito all’Impero, mentre una parte della popolazione fu ridotta in servitù e un’altra parte si mescolò ai Berberi, scomparendo lentamente dalla storia.
TITO LIVIO La vita Tito Livio, secondo una notizia di S. Girolamo, nacque a Padova nell’anno 59 a.C. da una ricca famiglia. Gli studi da lui seguiti erano quelli informati all’ideale ciceroniano, tendenti cioè a fare dell’uomo il perfetto cittadino e il perfetto oratore. Non per nulla Padova era città di severi costumi, di tradizioni repubblicane, di aperta simpatia per i fautori dell’uccisione di Cesare. Frutto di questi studi filosofico-retorici furono alcune operette ricordate da diversi scrittori: Seneca, ricorda alcuni Dialoghi, che stavano tra la riflessione storica e la filosofia, ed alcuni libri di filosofia vera e propria; di retorica trattava una sua lettera indirizzata al figlio: di essa restano due frammenti, dei quali uno condanna gli oratori oscuri, l’altro esorta alla lettura di Cicerone, considerato il più grande oratore di tutta l’antichità. Le sue idee erano di aperta simpatia repubblicana ed ostili all’istituzione del principato. Egli, però, era un uomo di apertura mentale molto larga, per cui, ad un certo punto, capì che tra i mali possibili, il minore era quello costituito dal saggio ed umano governo d’Augusto: con lui, pertanto, si legò di strettissima amicizia, al punto d’essere ospite assiduo e forse consigliere privato del Principe. Ciò avvenne senza pregiudizi per le sue convinzioni politiche, come risulta dal fatto che Augusto soleva scherzosamente chiamarlo pompeiano. Secondo alcuni, nella casa Augustea Livio fu precettore di Claudio, nipote adottivo di Augusto e futuro imperatore. Lo storico incominciò la sua grande opera verso il 29 a.C. e ad essa attese per tutta la vita. Tuttavia, dopo la morte d’Augusto, lasciò Roma e si ritirò nella natìa Padova, dove morì nel 17 d.C., all’età di settantasei anni. La personalità Il suo nome, più che quello d’uno storico, appassionato ricercatore dei fatti, è rimasto attraverso i secoli come il simbolo della romanità, da lui celebrata con l’animo commosso del poeta e dell’artista. Tale sua posizione spirituale gli dettò quell’atteggiamento fiero e senza compromessi di fronte ai reggitori della cosa pubblica dei suoi tempi, che gli permise di celebrare i più grandi nomi della Roma repubblicana. Livio, pur essendo un repubblicano convinto, pur parlando spesso di libertà, pur celebrando talvolta le virtù del popolo, pur ammettendo che la grande realizzazione del dominio di Roma era frutto dell’esercito, ossia del popolo, le sue simpatie le concesse sempre agli ottimati, alla classe aristocratica. La sua figura, si presenta maestosa come quella d’un romano antico, per il quale non vi erano altri valori che la pietà verso gli dèi, il volere ineluttabile dei Fati espresso apertamente nella grandezza della gloria patria, la santità del diritto, la severità dei costumi, l’orrore per ogni forma di nequizia.
Notizie generali sull’opera liviana Tito Livio è l’autore dell’opera storica più vasta della latinità: essa, si articolava in ben 142 libri ed abbracciava un arco di tempo che si estendeva dalle origini mitiche di Roma (venuta di Enea in Italia) al 9 a.C., anno in cui morì il valoroso Druso. Il disegno dell’autore pare che fosse di condurla fino all’anno della morte d’Augusto (14 d.C.), portandola a 150 libri, ma la morte troncò il suo piano. L’opera, a mano a mano che le singole sue parti venivano completate, veniva pubblicata in decades, ossia in gruppi di 10, ma è probabbile che lo scrittore procedesse anche per gruppi minori, specialmente quelli che riferivano ad uno stesso grandioso avvenimento. Il metodo seguito era quello annalistico, metodo predominante in tutta la storiografia romana, tuttavia ad esso, che consisteva nell’esporre gli avvenimenti anno per anno, si intrecciava anche il metodo tipico della monografia, consistente nella narrazione di eventi particolari, ed anche quello delle Historiae, il cui carattere era di dare degli avvenimenti narrati una visione d’insieme. Il titolo tramandatoci da vari codici è T. Livi ab Urbe condita libri e pare che esso sia quello legittimo, quello cioè dato definitivamente dallo scrittore; è da tenere presente, però, che una volta lo stesso Livio chiamava i suoi libri Annales e Plinio il Vecchio dà all’opera liviana il titolo generico di Historiae. Quanto alla tecnica del racconto, l’autore era naturalmente più rapido per la narrazione degli avvenimenti primitivi, dove la materia lo soccorreva scarsamente, e più particolareggiato, e quindi più lento, per gli eventi che si avvicinavano ai suoi tempi e per i quali aveva abbondante materiale documentario. Le fonti d’un’opera così immensa dovettero essere necessariamente numerosissime. Tra esse, distinguiamo: le fonti storiche latine, le fonti storiche greche, le fonti letterarie e le fonti orali ossia le tradizioni sia popolari che colte, a cui è da aggiungere anche qualche indagine antiquaria personale. Nonostante che l’opera sia giunta così mutila, noi abbiamo la possibilità di seguirne lo sviluppo generale, perché ci sono pervenuti alcuni sommari, detti periochae, di tutti i 142 libri, si tratta d’una specie d’indici generali, che servivano per la scuola; e pare che non abbiano direttamente origine dal testo liviano, ma da un suo riassunto; il loro autore ci è ignoto.
Contenuto dei libri liviani pervenuti Il libro 1 della prima dècade liviana comprende il periodo mitico-storico, che va dalle origini di Roma al 509 a.C., ossia fino all’anno in cui venne abbattuta la monarchia e instaurata la repubblica. Seguono, nei libri successivi, gli avvenimenti di storia esterna ed interna fino al 293: i primordi della repubblica, le guerre con Porsenna, con i Sabini, con i Latini, con i Volsci, con gli Equi e con i Sanniti; inoltre, le lotte fra patrizi e plebei, l’introduzione delle leggi delle Dodici Tavole, l’avvento dei plebei al consolato, l’introduzione degli spettacoli scenici, i primi trattati d’alleanza e di commercio, tra cui quello con i Cartaginesi. In questa dècade si parla di quel luttuoso avvenimento che fu l’incendio e la distruzione di Roma ad opera dei Galli. I libri della terza dècade parlano di quel grande duello che fu la guerra annibalica, ossia la seconda guerra punica. La quarta dècade è dedicata alle guerre con l’Oriente, cioè con la Macedonia, la Grecia e la Siria. Nella prima metà della quinta dècade, infine, si parla della conquista definitiva dell’Oriente e di alcuni avvenimenti interni: l’anno in cui si arriva è il 167 a.C. Gli avvenimenti degli anni successivi sono sommariamente ricostruibili attraverso le periochae. Caratteri della storiografia liviana Vi è, inoltre in Livio una passione potente per la materia da lui trattata: il suo entusiasmo lo porta quasi sempre al tono celebrativo, epico, eroico. Storiografia celebratrice, elogiativa è, dunque, la sua, appartiene cioè a quel tipo di storiografia che noi moderni indichiamo col nome di retorico-ellenistica. Eppure, in tale celebrazione è insito un motivo di profonda tristezza, che avvolge di malinconia tutto il racconto: il fatto è che lo scrittore sente che quella grande storia è forse vicina al suo epilogo, per cui una sottile amarezza si diffonde su numerosissime pagine.
ENEA La leggenda di Enea occupa buona parte dell’Iliade. Le soste effettuate dai protagonisti sulle coste del Mediterraneo, fanno credere ad una presenza degli antenati Romani. Enea prese parte alla guerra di Troia finché essa non fu sconfitta e fino a quando Enea decise di “trasferire” i suoi Dei tutelari da Troia in una nuova terra. Enea, in sogno, fu avvisato che la terra dove doveva recarsi era l’Italia, ma una tempesta spinse le navi sulla costa dell’Africa. Enea fu così costretto dai Penati a ripartire da Cartagine per l’Italia. Una volta arrivati a destinazione, Enea e i suoi Penati approdarono sulle rive del Tirreno. Fu accolto con amore dal re latino e durante una guerra, Enea, scomparve e fu portato da Venere nell’Olimpo dove i Romani incominciarono a venerarlo come una divinità. Fu così che il figlio Ascanio fondò la città di Albalonga. La leggenda di Enea fu associata alla fondazione di Roma che per questo assume un carattere divino.
ROMOLO E REMO Rea Silvia, ebbe due gemelli che sosteneva fossero del dio Marte. Essa fu gettata in carcere dal re, che adagiò i gemelli in una cesta e li lasciò nel fiume Tevere, che però era in piena e stava straripando. Il fiume li portò sulla riva di Fico Ruminale, dove i due gemelli si dice che furono allattati da una lupa e poi trovati da un pastore che li diede a sua moglie Larenzia, detta Lupa perchè attirava i pastori. Forse è questa l'origine della leggenda. I due ragazzi crebbero, e diventarono così forti da riuscire a derubare i ladroni. Ogni anno sul colle Palatino c'era una festa, istituita da Evandro, che si chiamava Lupercale. I partecipanti più giovani facevano delle smorfie nudi in onore del dio Pan. Quell'anno parteciparono anche i due gemelli, che furono accusati di furto. Romolo fuggì e Remo invece fu catturato e portato da Numitore. I due ragazzi vennero a conoscenza delle loro origini chi dal pastore che li aveva adottati chi da Numitore. Dopo di che radunarono entrambi tanta gente in due schiere e sconfissero il re Amulio. Numitore poi denunciò il vecchio re, e svelò l'identità dei due giovani che furono acclamati dalla gente. Numitore divenne re e i ragazzi decisero di fondare una città nel luogo dove erano stati trovati. Siccome la popolazione di Alba Longa crebbe, si trasferirono nel sito scelto dai due gemelli,che affidarono ai segni augurali la scelta di chi dovesse regnare e decidere il nome della città. Inizialmente Romolo si stabilì sul colle Palatino, e Remo sull'Aventino. Si narra che a Remo apparvero per primo sei avvoltoi, e poi a Romolo ne apparvero dodici. Si scatenò così una discussione tra chi doveva essere il re, e si dice che Remo fu ucciso nella massa della popolazione, ma si dice anche che fu Romolo ad ucciderlo per aver attraversato il muro di confine della sua città . Così essa fu chiamata Roma e l'unico re fu Romolo.