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Introduzione allo Humanistic management Marco Minghetti Lezione 7 Narrare l’Identità Molteplice Pavia Ottobre 2007. L’Anonimo Multiforme.
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Introduzione alloHumanistic managementMarco Minghetti Lezione 7Narrare l’Identità MolteplicePaviaOttobre 2007
Nella Tempesta di Shakespeare Prosperoviene a definirsi già nell’antefatto come Duca ma anche come Sapiente: nel primo ruolo, in teoria quello di maggior potere, riesce perdente, mentre trionferà nel secondo mettendo a frutto le sue innate capacità, le conoscenze acquisite e le sue più profonde motivazioni. Non solo, ma nell’isola in cui si svolge l’azione drammatica vera e propria egli assume altre qualificazioni: di Padre (in questa veste segue le vicende amorose della figlia Miranda), di Padrone (dell’isola ed in particolare degli spiriti Ariel e Calibano), di Mago (egli è il vero demiurgo del mondo fantastico in cui si svolge il dramma che, come la tempesta della prima scena, è interamente creato da Prospero. Il che consente l’apertura del testo a numerosi livelli di lettura: scatta l’identificazione fra Prospero e lo stesso Shakespeare; si propone il tema del rapporto fra vita reale e teatro; la storia narrata si eleva sul piano metafisico rimettendo in questione il classico dilemma Realtà/Apparenza –“We are such stuff as the dreams are made on; and our little life is rounded with a sleep”). Al termine, “il sapere è diventato, nell’isola-palcoscenico, l’unico e più forte potere”: Prospero conclude così la sua vicenda tornando ad essere Duca, ma con ben altra consapevolezza e forza rispetto all’inizio del dramma. Occupando dunque, con alterna fortuna/abilità, ruoli differenti, egli esplica a pieno la propria personalità.
La nera schiena del tempo PROSPERO. The hour's now come; The very minute bids thee ope thine ear. Obey, and be attentive. Canst thou remember A time before we came unto this cell? I do not think thou canst; for then thou wast not Out three years old. MIRANDA. Certainly, sir, I can. PROSPERO. By what? By any other house, or person? Of any thing the image, tell me, that Hath kept with thy remembrance? MIRANDA. 'Tis far off, And rather like a dream than an assurance That my remembrance warrants. Had I not Four, or five, women once, that tended me? PROSPERO. Thou hadst, and more, Miranda. But how is it That this lives in thy mind? What seest thou else In the dark backward and abysm of time? If thou rememb'rest aught, ere thou cam'st here, How thou cam'st here thou mayst. MIRANDA. But that I do not.
La nera schiena del tempo Nella Tempesta Miranda non ricorda nulla della sua infanzia se non come in un sogno. Prospero allora le narra la storia, ricostruisce la sua memoria, stabilisce quale è il suo passato traendolo da tutti i passati possibili, definendo quale è quello vero. Da Domani nella battaglia, p. 136-137: “Ciò che quando accade non è volgare né fine né gioioso né triste può essere triste o gioioso o fine o volgare se viene raccontato, il mondo dipende dai suoi relatori….le storie non appartengono soltanto a chi vi assiste o a chi le inventa, una volta raccontate appartengono a chiunque, si ripetono di bocca in bocca e si modificano e si deformano, nulla viene raccontato due volte nella stessa forma né con le stesse parole, neppure se quello che racconta due volte è la stessa persona, neppure se il relatore è unico per tutte le volte”. In azienda, vedi saggio di Varanini
Il remoto re degli uccelli, il Simurg, lascia cadere in mezzo alla Cina una piuma splendida; IL SIMURG gli uccelli risolvono di cercarlo, stanchi della loro antica anarchia.
Sanno che il nome del loro re significa trenta uccelli; sanno che la sua reggia è nel Kaf, la montagna o cordigliera circolare che cinge la terra.
Al principio, per paura, alcuni si scherniscono: l'usignolo allega il suo amore per la rosa; la pernice non può prescindere dalle colline, nè la gazza dalle paludi, nè il gufo dai ruderi. il parrocchetto la sua bellezza, che gli è ragione di vita ingabbiata
Alla fine, si lanciano nella disperata avventura; superano sette valli, o mari; il ponte del penultimo è Vertigine; l'ultimo si chiama Annichilimento. Molti pellegrini disertano; altri periscono nella traversata.
Trenta, purificati dalle proprie fatiche, toccano la montagna del Simurg. Lo contemplano finalmente : s'accorgono che essi stessi sono il Simurg e che il Simurg è ciascuno di loro.
Dal solido al liquido Bauman propone di opporre alla modernità solida e al capitalismo “pesante” del fordismo l’attuale modernità liquida, espressione del capitalismo leggero, dove contano soprattutto le risorse finanziarie e quelle intangibili della conoscenza, della creatività.
La modernità liquida Interruzione, incoerenza, sorpresa “sono le normali condizioni della vita” • Notarnicola, Manifesto h. m., • Morace, Nulla due volte, • Baricco I barbari
Il cambiamento non è più una fase dell’evoluzione d’azienda, è uno stato permanente delle organizzazioni chiamate ad essere “camaleonti” in mutamento continuo. Il cliente esige l’innovazione costante e il benchmark per ogni manager di ogni settore è Madonna: ogni anno nuovo look, nuovo prodotto, sempre “cool”, sempre diverso. I fattori critici di successo sono la ricerca e il coraggio. • Questa evoluzione senza sosta non può più poggiare sulla costante della metodologia organizzativa scientifica ma su fondamenta che sono culturali e di identità. In questo senso il paradigma scientifico è sfidato dal fatto che non sono più le tecnologie o determinate abilità “scientifiche” il fondamento della competizione strategica ma elementi di cultura interna da cui muovono continue innovazioni: la fabbrica delle idee. • Il capitale intellettuale è dunque al centro, ma mette in crisi il paradigma scientifico perché si fonda sulla creatività, sulla imprevedibilità, sulla sorpresa, sull’emozione. Andrea Notarnicola, dalle risposte date al questionario h.m.
Le aziende hanno cercato di “addomesticare” gli uomini, privandoli della loro inevitabile e straordinaria unicità vitale. Si tratta di una vera e propria disumanizzazione dell’impresa, che in nome del controllo (sui colleghi, sul mercato, sui consumatori) tende a produrre squadre di animali “ammaestrati” come quelli tristi e melanconici dei vecchi circhi. Animali in gabbia costretti a ripetere un copione che non stupisce più nessuno. Ed è questo il punto. Perché ancora oggi la magia del circo sta proprio nella sorpresa. Nel mondo previsto e programmato che i manager cercano di costruire, la sorpresa e la meraviglia costituiscono invece componenti pericolose, che spaventano e che ad ogni costo si cerca di evitare. Eppure scopriamo che le persone e i consumatori adorano l’inaspettato, privilegiano la sorpresa e la meraviglia, come i bambini. Quindi c’è qualcosa che non torna. Le organizzazioni devono imparare a stimolare e poi gestire i contributi creativi e inaspettati. E poi imparare a valorizzarli. Trasformare la minaccia in opportunità, reagire creativamente all’imprevisto e all’imprevedibile, gestire l’organizzazione lasciando spazio ai talenti e alle vocazioni individuali, coordinare e valorizzare le storie di ognuno. (Morace)
L’età dell’impermanenza • La natura della contemporaneità: incessantemente mutevole, rinnovata, imprevedibile. In una parola, “impermanente”. • Come nel fiume di Eraclito, le persone e le organizzazioni oggi sono immerse in processi che trasformano la loro vita attimo dopo attimo: devono così essere pronte a modificare in tempi rapidissimi abitudini quotidiane, metodi e strumenti di lavoro, modi di pensare e di agire. • Per questo motivo, le tradizionali scuole di management hanno proposto numerose teorie volte a produrre culture aziendali improntate alla mutazione istantanea, alla formazione continua, alla “distruzione creatrice”.
La formula e la metafora • Nonostante le prediche (costose) loro impartire da schiere di consulenti, esperti, guru, i manager sembrano incapaci di andare oltre la gestione, spesso poco efficiente, dell’emergenza. • La ragione di questo fallimento è semplice. Va ricercata nel difetto d’origine del cosiddetto scientific management: la persistente ricerca di una formula in grado di dominare integralmente la complessità della vita e quindi delle imprese, mentre la realtà non consente più di essere regolata da un paradigma ordinatore dalla validità assoluta.
La poesia all’opera Ha scritto Borges: “ Non possiamo definire la poesia proprio come non possiamo definire il gusto del caffè, il colore rosso o l’amore per il nostro paese. Sono cose così profonde dentro di noi, che possono essere espresse solo da quei simboli comuni che tutti condividiamo.”
AD ALCUNI PIACE LA POESIA Ad alcuni - cioè non a tutti. E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza. Senza contare le scuole, dove è un obbligo, e i poeti stessi, ce ne saranno forse due su mille. Piace - ma piace anche la pasta in brodo, piacciono i complimenti e il colore azzurro, piace una vecchia sciarpa, piace averla vinta, piace accarezzare un cane. La poesia - ma cos'è mai la poesia? Più d'una risposta incerta è stata già data in proposito. Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo come alla salvezza di un corrimano.
Il vero poeta non accetta di ingabbiare l’esistente in un ordine dato: la poesia va alla ricerca degli infiniti percorsi che l’impermanenza della realtà rende possibile tracciare. Emily Dickinson così esprime questa idea: “Nella prosa mi chiudono come quando, bambina, mi chiudevano dentro lo stanzino, perché volevano stessi “tranquilla”. Tranquilla! Avessero potuto sbirciare, vedere la mia mente che frullava, tanto sarebbe valso rinchiudere un uccello, per tradimento, dietro uno steccato.”
Oh, oh, la poesia in azienda non solo è inutile: è addirittura pericolosa! osserverà lo scientific manager dedito al culto della pianificazione burocratica e del controllo rigido - invece che alla riflessione sui fini da perseguire, all’esplorazione delle potenzialità dell’impresa e alla ricognizione dei mezzi necessari per tradurle in atto, al rafforzamento di una leadership flessibilmente disposta a percorrere le imprevedibili biforcazioni dei sentieri che si snodano nel giardino del futuro: culto dominante in un mondo pervaso da quella stupidità dei nostri tempi che purtroppo, come ha ben chiosato Wislawa Szymborska in un altro luogo, “non è ridicola” (così come “la saggezza non è allegra”).
Risposta: certamente è così, se è la stabilità ciò che si vuole preservare, dei campioni della quale la nostra poetessa ha già scritto l’epitaffio: Ogni loro previsione è andata in modo totalmente diverso/o un po’ diverso, il che significa anche totalmente diverso (Le lettere dei morti) Ma se per caso è la creatività, l’innovazione, la capacità di svelare le ipocrisie dell’organizzazione presente, per edificarne una più forte e rivolta al futuro, fondata su trasparenza, fiducia e attenzione reciproca dell’uno per l’altro; se è questo ciò che serve, l’immissione di dosi massicce di poesia in azienda diviene forse l’unica salvezza.
Il che non significa dimenticare il passato, tutt’altro. Scrive Kundera: “L' incessante attività dell'oblio conferisce a ciascuno dei nostri atti un carattere fantomatico, irreale, evanescente. Che cosa abbiamo mangiato l' altro ieri a pranzo? Che cosa mi ha raccontato ieri il mio amico? E persino: a che cosa ho pensato tre secondi fa?..... Contro il nostro mondo reale, che è per natura fugace, le opere d' arte si ergono come un altro mondo, dove tutto, ogni parola, ogni frase, merita di essere ricordato ed è stato concepito a questo scopo. Sotto questo profilo, la poesia è privilegiata. Chi legge un sonetto di Baudelaire non può saltare una sola parola. Se gli piace, lo leggerà più volte e, forse, ad alta voce. Se gli piace da impazzire, lo imparerà a memoria. La poesia è la roccaforte della memoria.”
Ma, e questo è il paradosso, è memoria di una realtà che è continuamente mutevole, cangiante, imprevedibile come denuncia la struttura stessa, ad un primo sguardo semplicissima, quasi ingenua, di questa poesia in cui ci si domanda, come in un gioco di specchi o labirinto borgesiano, cosa sia la poesia. Di fatto l’articolazione tripartita adotta la stessa modalità con cui ci viene insegnato a fare l’analisi logica alle scuole medie. Cosa c’è di più banale? Eppure non appena solleviamo il della banalità facciamo una scoperta vertiginosa: ciascuno dei tre termini – soggetto, oggetto, complemento oggetto - che apparentemente rimandano a definizioni inequivocabili nel quadro di una frase scontata, di un vero e proprio luogo comune (ad alcuni piace la poesia), è invece carico di ambiguità, è passabile di interpretazioni molteplici. Alcuni non sono tutti, ma neanche pochi, non sono la maggioranza ma neppure la minoranza, e fra gli stessi cosiddetti poeti c’è ne sono (forse!) due su mille. Il verbo piacere? Ma cosa significa, piacere? Il piacere dato da una pasta in brodo non è quello offerto dalla visione estetica del colore azzurro. E la poesia, infine, chi può dire veramente che cosa è. Nessuno: perché anche la poesia, come la vita, è inafferrabile, se ci si illude di racchiuderla in una frase, in un significato precostituito o, come fa lo scientific manager, in una formula.
Memoria ne Le Città Invisibili • A livello individuale, non si possono separare i processi del pensare e del ricordare: ma se la memoria è l'elemento più importante nel processo cognitivo, essa è particolarmente decisiva nel processo della lettura. Per questo ne Le Città Invisibili Marco parla e Kublai ascolta con attenzione e curiosità, proprio come deve ascoltare un lettore. Leggere in questa accezione non significa venire a sapere dei fatti, ma cercare di comprendere un senso, e le molte descrizioni del linguaggio misterioso di Marco e del suo parlare così diverso da quello degli altri ambasciatori alludono evidentemente sia alla peculiarità linguistica e comunicativa del narrare, sia all’eco profonda e indistinta del comprendere. C'è dunque una specie di straordinaria unità, una identità virtuale, tra la lettura, la cognizione, la memoria attiva e l’identità individuale.
A sua volta, ogni azienda si identifica con la sua memoria vivente - la sua storia, i suoi valori, miti e riti. La corporate identity non è che la memoria diffusa e fatta propria da tutti coloro che abitano l’impresa attraverso la narrazione orale e scritta (storytelling). Inoltre il manager, di fronte ad informazioni abbondanti ma scarsamente organizzate, deve individuare percorsi di senso utilizzando le nuove tecnologie della comunicazione per costruire conoscenze in merito al funzionamento dell’organizzazione, agli andamenti del mercato, alle relazioni con i clienti. Lettura, narrazione orale, produzione letteraria e knowledge management costituiscono un unico processo (lo dimostra dettagliatamente Varanini ne Il Manifesto dello humanistic management), che trova nella memoria collettiva aziendale la sua sintesi.
Ma c’è di più. Perché il divenire inarrestabile del tempo non finisca per travolgere nel suo corso l’identità stessa della città/azienda, è necessario che questa sappia ritrovarsi costantemente continuando a rapportarsi col proprio passato e col proprio futuro dal punto di vista del presente sempre appena nato e sempre sul punto di scomparire nuovamente nel già stato. Nel descrivere le ‘città della memoria’ Calvino-Marco Polo vuole richiamare la nostra attenzione proprio sull’importanza che il passato della città ha per il costituirsi della fisionomia del suo presente; importanza che non si esaurisce nel semplice fatto che il presente è sempre in qualche misura determinato dal passato, ma si configura anche come una richiesta ben precisa, la richiesta che il passato sia espressamente ricordato, tenuto vivo nel presente della città sotto forma di memoria cosciente. Come dice Calvino, “una descrizione di Zaira (memoria III) quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira”.
Tuttavia, se, da un lato, per non smarrire la propria identità, la città deve riscoprire ogni giorno il legame con ciò che essa è stata (più o meno recentemente), d’altro lato questo non deve portarla ad appiattirsi sulla propria storia cristallizzandosi nelle sue forme. La forma naturale della città è quella del divenire, un perpetuo rinnovarsi ascoltando i desideri e le esigenze di un presente che del passato è figlio, non fratello gemello: una città che non si adegua a questo movimento fluido e vitale è una città morta. E così come Maurilia (memoria v) smette di essere se stessa in quanto è incapace di connettersi al proprio passato, in modo del tutto speculare è condannata a scomparire Zora (memoria iv), che dal proprio passato non riesce a distaccarsi.
Ha scritto Salman Rushdie: “Ne Le città invisibili, Calvino descrive la favolosa città di Ottavia (città sottili v), sospesa tra due montagne dentro qualcosa che assomiglia a una tela di ragno. Se l'influenza del passato, lo scorrere del vecchio nel nuovo, è la tela di ragno alla quale sospendiamo il nostro lavoro, allora il lavoro è come la stessa città di Ottavia: un gioiello scintillante, una città di sogno sospesa tra i filamenti della tela, fintanto che sono in grado di sostenerne il peso.”
Le città sottili. V. • Se volete credermi, bene. Ora dirò come è fatta Ottavia, città - ragnatela. C'è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c'è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s'intravede più in basso il fondo del burrone. • Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno. Tutto il resto, invece d'elevarsi sopra, sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d'acqua, becchi del gas,girarrosti, cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anelli per i giochi,teleferiche, lampadari, vasi con piante dal fogliame pendulo. • Sospesa sull'abisso, la vita degli abitanti d'Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge.
Le aziende sottili. V. • Se volete credermi, bene, disse Fordagtes il Giovane. Ora dirò come è fatta Impermanence, l’azienda startup. C’e’ un burrone da affrontare, un passaggio tra il mercato iniziale, visionario ed anticipatore, ed il largo mercato, che richiede un cambio di mentalità, prodotti pronti e funzionanti in cambio di ricchezze e gloria. • L’azienda è sul vuoto, legata strettamente ai due mercati da accordi, contatti, relazioni, amicizie, sguardi, e soprattutto sogni. Si avanza verso l’obiettivo stabilito nel business plan, stando attenti ai passi falsi, ai contratti che spingono fuori dalla mission aziendale, per dedicarsi anima e corpo alla realizzazione del prodotto atteso chissà quanto. Sotto non c’e’ niente per centinaia e centinaia di metri: qualche altra società scorre, e s’intravedono in fondo al burrone i resti di gloriose scommesse, ottime tecnologie, servizi innovativi o strampalati che non sono riusciti ad arrivare o ad ammaliare il grande pubblico. • Questa è la base dell’azienda: una rete di contatti, sottili fili che legano sudati sforzi alla ricerca di una ragione di vita. • Tutto il resto, invece d'elevarsi sopra, sta appeso sotto, e fornisce la forza di continuare nel fragile passaggio: piccoli successi, gite in montagna, articoli sui giornali, lo sguardo preoccupato della madre che non capisce il sogno del giovane imprenditore, uffici allegri e colorati negli scantinati delle Università, barbecue con i colleghi, speranze che si avverano e a piccoli passi si fanno strada verso l’obiettivo, domande inquisitrici dei Venture Capitalist anche loro al seguito pronti a farsi trascinare verso quotazioni in borsa e compensi inimmaginabili. Sospesa sul burrone, la vita degli imprenditori high-tech di Impermanence è meno incerta che in altre aziende. • Sanno che un’azienda startup è un’avventura che può reggere una vita, 5 anni od un solo giorno.
In maniera simile il tema della memoria, che al tempo stesso viene tramandata e re-inventata attraverso la narrazione, è trattato in Nulla due volte, poiché la città (l’azienda) continua a esistere solo nella misura in cui accetta di riconoscere come proprio il volto in perenne evoluzione del sempre nuovo presente; da questo presente la realtà di oggi abbraccia quella di ieri e quella di domani nel suo orizzonte, orizzonte che solo in quanto cambia ogni giorno può assumere per ogni giorno lo stesso senso (vedi anche alla voce Segni). E’ l’impermanenza il segreto di Eutropia, città irrequieta, che continua a cambiare non solo la sua posizione geografica ma anche il suo assetto interno, stando attenta però a contenere questi mutamenti entro i limiti ben precisi dettati da alcuni elementi invarianti (il territorio in cui Eutropia si muove è sempre lo stesso, e anche i ruoli dei suoi abitanti permangono, pur essendo diversi gli attori che di volta in volta li interpretano). In questo modo Eutropia (scambi iii) riesce a conservare ciò che Maurilia e Zora hanno irrimediabilmente perduto: l’identità con se stessa.
I barbari di Baricco Qualcosa non mi torna. Potrebbe essere, me ne rendo conto, il normale duello fra generazioni, i vecchi che resistono all' invasione dei più giovani, il potere costituito che difende le sue posizioni accusando le forze emergenti di barbarie, e tutte quelle cose che sono sempre successe e abbiamo visto mille volte. Ma questa volta sembra diverso. E' così profondo, il duello, da sembrare diverso. Di solito si lotta per controllare i nodi strategici della mappa. Ma qui, più radicalmente, sembra che gli aggressori facciano qualcosa di molto più profondo: stanno cambiando la mappa. Forse l' hanno perfino già cambiata. Dovette succedere così negli anni benedetti in cui, per esempio, nacque l' illuminismo, o nei giorni in cui il mondo tutto si scoprì, d' improvviso, romantico. Non erano spostamenti di truppe, e nemmeno figli che uccidevano padri. Erano dei mutanti, che sostituivano un paesaggio a un altro e lì fondavano il loro habitat. Forse è un momento di quelli. E quelli che chiamiamo barbari sono una specie nuova, che ha le branchie dietro alle orecchie e ha deciso di vivere sott' acqua.
CARATTERISTICHE DEI BARBARI 1: identita’ molteplice/….. • Epigrafe di un libro di Paul Auster: «L' uomo non ha una sola e identica vita; ne ha molte giustapposte, ed è la sua miseria». (Chateaubriand) • E’ quella che nel Manifesto viene definita “unità molteplice”
CARATTERISTICHE DEI BARBARI 1: identita’ molteplice/mutante • Scrive Bauman: “la risposta alla domanda sulla nostra identità non è più «sono ingegnere della Fiat (o alla Pirelli)» o «faccio l’impiegato statale» o «il minatore» o «il gestore di un negozio Benetton», ma – in base al metodo usato di recente da uno spot pubblicitario per descrivere la persona che avrebbe indossato quella marca prestigiosa – sono uno che «ama i film dell’orrore, beve tequila, possiede un kilt, tifa per il Dundee United, ama la musica anni Ottanta e gli arredi anni Settanta, va pazzo per i Simpson, coltiva girasoli, preferisce il grigio scuro e parla con le piante»….I dettagli sono tutto”. Dettagli che cambiano e si rimescolano e si trasformano e si sovrappongono e si contraddicono e si dimenticano e a volte ritornano, ma non esattamente come prima: nulla due volte accade/ne accadrà…
Lo stile di vita esperienziale “Il nuovo stile pone l’accento sull’individualismo, l’affermazione del sé, l’accettazione delle diversità e il desiderio di esperienze ricche e sfaccettate…spinti dell’ethos creativo fondiamo lavoro e stile di vita per costruirci una nuova identità…Una persona può essere al tempo stesso scrittore, ricercatore, consulente, ciclista, rocciatore, appassionato di musica elettronica/world music/acid jazz, cuoco o gourmet dilettante, enologo appassionato e microbirraio…Questo tipo di sintesi è essenziale per affermare una personalità creativa originale” Richard Florida L’ascesa della classe creativa
Sesta Variazione • “Nel secolo scorso l’identità corrispondeva ad un uno immaginario. La vita stessa poteva essere monocorde o molto orchestrata e variata, ma comunque era una dentro una famiglia, dentro un luogo di lavoro, dentro una città. Il nuovo secolo è rappresentato dal desiderio dell’uomo di vivere non più una sola identità o una sola vita (cioè una sola storia) ma tante storie e tante vite insieme. E’ la metafora del telecomando. Negli USA la gente cerca una vita bicoastal, con una casa a New York e un lavoro a Los Angeles o magari due o tre: perché non lavorare il lunedì a Miami, il martedì a New York facendo ogni giorno una professione diversa? Perché non essere sposati con una donna a San Francisco, con un uomo a Chicago e avere due figli «artificiali» a Boston?”
I barbari si sono inventati l'uomo orizzontale. Avevano davanti il modello del borghese colto, chino sul libro, nella penombra di un salotto con le finestre chiuse, e le pareti imbottite: l'hanno sostituito, istintivamente, con il surfer. Una specie di sensore che insegue il senso là dove è vivo in superficie, e lo segue ovunque nella geografia dell'esistente, temendo la profondità come un crepaccio che non porterebbe a nulla se non all'annientamento del movimento, e quindi della vita. Pensate che non sia faticosa una cosa del genere? Certo che lo è, ma di una fatica per cui i barbari sono costruiti: è un piacere, per loro. E' una fatica facile. Alessandro Baricco I barbari
Il passato non esiste: è un materiale del presente. Sarà probabilmente vero, pensa il barbaro, che il brasato al barolo è più buono di questo orrendo hamburger: ma io ho fame qui e adesso, e se devo andare fino nelle Langhe per mangiare quello splendore, io là ci arrivo morto. Specie da quando la strada per le Langhe è diventata un viaggio lunghissimo, selettivo, sofisticato, elitario e pallosissimo. Quindi mi fermo qua. E mangio il mio hamburger, sentendo nel mio Ipod le quattro stagioni di Vivaldi versione rock, leggendo intanto un manga giapponese, e soprattutto mettendoci dieci minuti dieci, così me ne esco di nuovo fuori, e non ho più fame, e il mondo è lì, da attraversare. • Alessandro Baricco I barbari