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IL FIGLIO DI GENITORI SEPARATI E LA SCUOLA Dott.sa Erica Gilardini Psicologa dell’Età Evolutiva. IL BAMBINO.
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IL FIGLIO DI GENITORI SEPARATIE LA SCUOLADott.sa Erica GilardiniPsicologa dell’Età Evolutiva
IL BAMBINO Quando parliamo di “bambini” si è fatta solo la metà del cammino: bisogna conoscere i bambini per riuscire a capire loro e il loro mondo, poiché ci si trova di fronte ad un universo speciale ed in continua evoluzione. Già nell’800 si sosteneva che il bimbo non è un essere amorfo, indifferente alle sollecitazioni esterne; S. Hall si rese conto come l’adulto invece tendeva a considerarlo simile a sé, ad attribuire a ciò che fa o che dice un significato conforme al proprio modo di riflettere e sentire, non riuscendo a vedere il pensiero o le emozioni del bambino per quello che sono. Certo è che “non esiste un bambino senza un ambiente”, ovvero senza le figure primarie di accudimento, come sosteneva Winnicott. Ma bisogna porre una grande attenzione a non proiettare nel piccolo quando è dei grandi. A proposito di ambiente, lo stesso Freud, in riferimento all’ “ambiente affettivo” del bambino, asseriva come la carenza materna, nei primi 3 anni di vita, in termini di cure in generale, provochi seri danni alla personalità del piccolo, come si manifesta necessaria la presenza del padre, simbolo della sicurezza e giustizia morale.
IL BAMBINO CON MAMMA E PAPA’ La nascita di un bambino comporta la rottura della fusionalità simbiotica all’interno della coppia e la costruzione di nuovi equilibri, di una nuova intimità, di nuove modalità di comunicazione. Accogliere un figlio significa fare spazio ad un terzo ed occorre, per riuscirci, un tempo psicologico ed un tempo fisico. Alla mamma risulta più semplice, poiché il suo stesso corpo per i nove mesi di gravidanza fa spazio al figlio; essa si concentra su di sé e sul bambino che le cresce dentro e, nell’attesa, sviluppa fantasie, speranze, “preoccupazione materna primaria“ (Winnicott). Per il papà è diverso: anche se la donna lo rende partecipe del miracolo che sta avvenendo in lei, il rapporto che questi instaura col bambino all’inizio dell’evento procreativo è necessariamente esterno, indiretto; il suo avvicinamento alla paternità è tutto mentale e si esplica come accudimento della compagna incinta e forte è il desiderio di colmare le lacune fisiche che lo separano da quell’esserino di cui può sondare l’esistenza semplicemente accarezzando il pancione della mamma, fino all’evento del parto ora maggiormente vissuto a livello di coppia ed elaborato come una condivisione di qualcosa di magico.
In seguito, mentre la mamma rimane “l’oceano in cui il bambino si immerge (Fromm), il papà ha ora il ruolo di proteggere la diade mentre la madre organizza la triade, ovvero introduce il papà nella relazione simbiotica mamma-bambino. Cosa che non sempre avviene! Questa in generale la differenziazione dei ruoli. Ma, le differenza di qualità nell’accudimento di un bambino non sono da attribuire al sesso dei genitori, piuttosto al maggiore o minore coinvolgimento delle cure, dettato anche da fattori pratici e reali (es. il lavoro, cultura). In ogni caso, un bambino si trova a suo agio nel marsupio, sia che questo sia indossato da una mamma che da un papà! Il piccolo ne percepisce la differenza, avverte che il “non-mamma” (Brazelton) ha una voce, un odore, un abbraccio, un corpo diversi e così il papà offre al bambino la possibilità di sentire la differenza e ciò lo aiuta a diversificare le sensazioni, i sentimenti, le immagini, dando attenzione ai cambiamenti senza considerarli come minacciosi (Ferraris). E ci sono dei papà che ottengono facilmente il “diploma di padre”, mentre altri, pur essendosi impegnati nello studio, si ritrovano sulla pagella “respinto”. Cosa che capita frequentemente nei casi di affidamento dove, mentre facilmente la mamma riesce a donare in via “esclusiva” il suo amore per il piccolo, il papà altrettanto facilmente deve fornirlo a piccole dosi, poiché il tempo ad esso dedicato è davvero poco.
IL PAPà NELLA SEPARAZIONE Premesso che con il termine “Bigenitorialità”, nel 1989, nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, viene ribadito il fatto che i figli hanno diritto a ricevere affetto, educazione e cura da entrambi i genitori, nella realtà le cose sembrano apparire in modo differente, poiché succede che l’intreccio tra i legami di coniugalità e genitorialità venga messo a dura prova. Occorre evidenziare che l’elemento patologizzante non è la separazione in sé ma la relazione che caratterizza le coppie che si separano e che investe i figli di conseguenza (Stern). Il fattore preoccupante sembra connesso infatti alla perdita di un genitore, spesso il padre, ovvero alla deprivazione delle funzioni genitoriali che gli competono nei confronti dei figli. E mentre la madre, come detto prima, assume una particolare importanza nelle cure primarie del piccolo, il padre svolge la sana funzione di separatore della relazione simbiotica, introducendo il figlio al pensiero razionale e al rispetto delle regole sociali, favorendo gradualmente l’emancipazione dall’infanzia. Mentre il padre costituisce una figura determinante nella prevenzioni di certi comportamenti antisociali, la madre è fondamentale per favorire il dialogo e la fiducia in sé.
Il padre favorisce l’evoluzione dell’affettività adulta, in quanto è proprio l’amore paterno che va conquistato e quindi richiede uno sforzo che si avvicina all’amore maturo. Il rapporto padre-figlio modellerà l’immagine che il figlio avrà di se stesso e degli altri (es. inserimento nella scuola con nuove autorità, senza ansia, se il rapporto è positivo). Il padre costituisce l’istanza morale utile per la formazione di una coscienza etico-sociale, fondamentale nella prevenzione della delinquenza adolescenziale (VegettiFinzi). L’importanza della figura paterna sembra essere stata poco considerata dal sistema giudiziario per lungo tempo, mentre la madre veniva considerata, salvo casi eccezionali, la depositaria principale della tutela del minore. Solo nel 2006, con l’introduzione della nuova legge sull’affido condiviso, di cui sotto, il ruolo educativo del padre sembra aver riacquistato la sua giusta importanza, soprattutto nell’ottica del benessere del minore, che risentirebbe drammaticamente dell’assenza del genitore, per i fattori sopra citati. Quali invece i danni psicologici alla figura paterna? Senso di inadeguatezza che sottende alla decisione di affidare i figli alla madre; disturbi psichici (alcolismo, sociopatia, d.psicosomatici),
poiché i padre separati sono maggiormente rappresentati all’interno della popolazione psichiatrica rispetto alla madre; depressione e isolamento, da parte della società la cui tendenza è quella di stare vicino alla madre bisognosa. Ciò porta ad una perdita generale di motivazione, poiché egli non ha più nulla o nessuno di cui occuparsi se non di se stesso. Così viene portato a rinunciare gradatamente alla propria immagine di padre e quindi a diradare gli incontri con i figli. Ciò che viene perso, e che il coniuge cerca di sanare, è la ferita narcisistica che viene inferta ad una simile perdita: sente di aver perso quella funzione, quel ruolo e quelle capacità che gli venivano riconosciute fino a quel momento ed è pervaso da un senso di fallimento.
BREVI ACCENNI RIGUARDO L’AFFIDAMENTO In Italia la legge 8 febbraio 2006 n. 54 relativa all’affido condiviso ha modificato l’articolo 155 del Codice Civile il quale recita: “anche in caso di separazione personale dei genitori, il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Oggi è quindi l’unica forma di affidamento dei figli, includendo come eccezione l’affidamento ad un solo genitore, quando il comportamento dell’altro nei confronti del figlio sia contrario all’interesse del minore stesso; in tal caso, può essere limitata la frequentazione, ma non la podestà. Il genitore è quindi responsabile in toto del proprio figlio quando questo è con lui. I genitori sono tenuti quindi a distinguere la relazione di coppia dalla relazione genitoriale, quest’ultima pensata in modo tale da facilitare l’organizzazione mentale e pratica dei figli nei loro trasferimenti, onde evitare confusione e conflitti. La scuola può ulteriormente aiutare i genitori nella gestione del loro bambino, secondo il loro patto e senza intralciare il loro progetto educativo.
Il rapporto quotidiano dei genitori con i figli è ciò che deve essere promosso dall’intento della legge, onde evitarne la deprivazione. Per cui, questioni varie riferite all’istruzione o ad altre scelte devono essere condivise da mamma e papà e le istituzioni relative possono caldeggiare questo intento, cercando di ridurre le eventuali conflittualità. Percorsi professionali psicologici-pedagocici sono necessari a dirigere la triangolazione (mamma-papà-figli) e i rapporti con le istituzioni, quali la scuola, in modo tale da gestire le cose nell’interesse del minore. Il punto di vista degli specialisti può aiutare chi è a stretto contatto con il minore e la famiglia ad avere una visione completa della situazione, poiché alcuni elementi, ad es. maltrattamenti e abusi, nel senso generale del termine, possono rimanere sommersi. Dato il ruolo fondamentale delle relazioni affettive per lo sviluppo e la strutturazione della personalità del minore e la correlazione tra problemi evolutivi ed adulti (Quadrio), cosa intendiamo per “danni al minore”? Nell’ambito scolastico, in generale, i così detti Disturbi Dell’Apprendimento, l’assenteismo, l’incapacità di studiare, la devianza scolastica possono essere conseguenza di carenze affettive e di responsabilità genitoriali.
Nell’area relazionale, un evento che spinge il minore ad isolarsi o a chiudersi in se stesso è responsabile di un danno molto grave perché ha nel soggetto esiti preclusivi pressoché in tutte le aree di attività o di relazione. L’area dell’affettività può essere danneggiata in due modi differenti: se da una parte il minore può diventare anaffettivo ed indifferente, dall’altra può reagire aggressivamente fino ad assumere atteggiamenti delinquenziali. Il danno più evidente ed irreversibile sembra invece essere causato dall’assenza di una funzione genitoriale, in regime di separazione, il cui esito deteriorerebbe gravemente la situazione psichica del minore.
ASPETTI PSICOLOGICI NEL MINORE I bambini sono più suggestionabili di un adulto e lo sono in particolare se chi suggestiona è l’adulto. Data la possibilità offerta ai minori che abbiano compiuto gli anni 12 di essere ascoltati in audizione (art.155 sexies), è indispensabile seguire le linee guida della Carta di Noto onde evitare che il minore venga suggestionato. Si tratta di indicazioni per coloro che sono chiamati ad ascoltare il minore in casi di abusi, anche se non ha un valore normativo ma può essere adottata nei casi legati alle separazioni, poiché assicura a quest’ultimo una protezione psicologica (es. il colloquio deve assicurare la serenità del minore e permettergli di esprimere opinioni e preoccupazioni, senza reiterare il trauma inutilmente). Essendo la separazione dei genitori un trauma per il bambino, la possibilità di elaborazione psicologica dello stesso è proporzionata alla modalità con cui possono sopportare l’”oggetto traumatico”, l’azione del trauma e la propria immagine durante l’evento (es. in una discussione accesa tra i genitori). Risulta fondamentale, per aiutare le vittime, trovare strumenti idonei a cogliere il disagio del bambino anche quando il trauma non si evidenzia o
non trova parole per essere espresso. Il disegno, come test proiettivo, è sempre stato considerato un mezzo che permette al bambino di esprimere i suoi disagi, le sue angosce e paure e le modalità difensive nei confronti del dolore. Permette al bambino di mettersi in una condizione di rivolgere anche una richiesta d’aiuto e di comunicare i propri vissuti che non possono essere rappresentati tramite il linguaggio verbale. Ad esempio, il Disegno della Famiglia è uno strumento elettivo per scoprire le rappresentazioni mentali dei legami che il bambino ha realmente o fantasticamente con la propria famiglia: quali personaggi omessi? Quali distorsioni? Quale clima affettivo? Quale maturità grafica-rappresentativa? Quale identificazione? Quale vicinanza affettiva? I bambini e adolescenti proiettano i loro drammi interiori nel disegno, mettendo in luce i propri vissuti e se, da una parte, lo strumento deve essere usato dagli specialisti del campo, dall’altra, dovrebbe esserci una certa sensibilizzazione e formazione rispetto allo strumento a favore di tutte le figure che ruotano attorno al mondo infantile, quali insegnanti, educatori, ecc., con una finalità preventiva ovvero a scopo di segnalazione.
Una situazione particolare legata alla suggestione del minore è la così detta Sindrome da Alienazione Genitoriale (PAS) che, secondo le teorie dello psichiatra Gardner R., si attiverebbe in alcuni casi di separazione e divorzio conflittuali non adeguatamente mediati. Proposta nel 1985, non è ancora stata riconosciuta come un disturbo psicopatologico dalla comunità scientifica e legale (DSM), per mancanza di validità e attendibilità scientifica. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro (alienato) ed il bambino fornisce il suo personale contributo al tal programma. Ciò porterebbe nei figli a perdere il contatto con la realtà degli affetti, ad esibire astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso l’altro genitore, a vivere paura, diffidenza e odio verso il genitore alienato, appoggiando la visione del genitore alienante, come se da esso fosse contagiato. La programmazione arriverebbe a distruggere la relazione figlio-alienato, poiché i bambini arriverebbero a rifiutare qualunque contatto con esso. Perché si possa parlare di PAS è necessario che tutto ciò non sia giustificato da reali mancanze, trascuratezze o violenze del genitore alienato. Sono stati individuati 8 sintomi: la campagna di denigrazione e disprezzo verso l’alienato; la razionalizzazione illogica o insensata dell’astio; la mancanza di ambivalenza verso il genitore a favore del tutto negativo; il fenomeno del pensatore indipendente, ovvero il bimbo dice di aver programmato tutto da solo; l’appoggio automatico al genitore
alienante; l’assenza del senso di colpa; gli scenari presi a prestito ovvero parole o situazioni che il bimbo non può conoscere ma di cui parla; l’estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato. Essendo una violenza emotiva, può produrre conseguenze psicopatologiche rilevanti nel bambino: esame di realtà alterato, narcisismo, scarsa empatia, mancanza di rispetto per l’autorità, paranoia, disturbi dell’identità di genere. Pur esistendo diverse terapie, la strategia migliore risiede nella prevenzione, ovvero nella definizione di nuove regole del gioco nella dinamica relazionale, entrando in una cultura di condivisione della genitorialità, ovvero permettendo al bambino di sperimentare che il genitore alienato non è così disprezzabile. Le attuali regole che governano l’evento separazione possono contribuire a creare il problema, anche se si dovrebbe tenere distinto il conflitto coniugale con quello genitoriale: all’interno del sistema globale degli “antagonismi” i figli assumono spesso il ruolo di civili inermi in una guerra di dominio ed il genitore arriva a percepire i figli come non-persone, cioè mezzi per acquisire maggior potere nel conflitto oppure strumenti per dar sfogo a proprie rabbie, proiettando quanto di suo, del genitore, nel bambino; è il passaggio all’atto, ovvero l’uso diretto dei figli come arma relazionale nel conflitto della coppia coniugale uno dei fattori più importanti nell’insorgere della PAS. E tutto ciò è contrario all’interesse del minore!!!
LA SCUOLA COME FACILITANTE LA TRIADE La scuola si rivela un terreno di equilibrio, di educazione e osservazione neutra del minore. Insegnanti e professionisti del settore, sensibilizzati e formati sulla tematica separazione ed i relativi risvolti sopra accennati, potrebbero fungere da terzi, esterni alle dinamiche familiari, agenti in favore del benessere del minore: come recita l’art. 29 della Convenzione dei Diritti del Fanciullo di NY 1989, ovvero che l’educazione del fanciullo, deve avere come finalità lo sviluppo della personalità dello stesso, delle sue facoltà e attitudini mentali e fisiche e lo sviluppo del rispetto dei suoi genitori, della sua identità, ecc. Attenti a cogliere i segnali di disagio che il minore può presentare, attraverso il gioco o il disegno o verbalmente, possono collaborare con i professionisti (psicologi, ecc.) per una corretta lettura degli stessi e per aiutare il bambino sia nella gestione delle dinamiche emotive in cui sono immersi, sia nella corretta lettura cognitiva degli eventi (divorzio psichico) che altrimenti non comprenderebbero. Il bambino, oltre a vedere nell’insegnante la sostituzione della figura accudente, può pensare ad essa come ad una persona esterna nella quale riporre dubbi, paure, fragilità.
Per questi motivi, essi devono saper fornire una risposta che funga loro da contenitore affettivo, ma anche esplicativo, dei loro vissuti e della loro realtà. Allo stesso modo, dovrebbero porsi verso i genitori in modo tale da favorire la loro funzione genitoriale e, soprattutto, la bigenitorialità. La Riforma Moratti (legge n. 52/2003) promulgò un decreto, ancora oggi poco rispettato e poco citato, con il quale si disponeva che per i genitori separati non vi dovessero essere difficoltà all’accesso delle notizie riguardanti la vita scolastica dei figli. In alcune scuole, è stato disposto che sulle pagelle e su tutti i documenti che implicano scelte educative e formative venisse richiesta la doppia firma di ambedue i genitori: non più “firma di un genitore o di chi ne fa le veci” MA “firma dei due genitori”. Cosa può fare d’altro la scuola a favore della bigenitorialità, per cui nell’interesse del minore? In generale, coinvolgere sempre i genitori, entrambi!!! Nei colloqui, nelle assemblee, nei collegi, nelle varie iniziative del piano formativo, nelle comunicazioni scuola-famiglia, in tutto ciò che riguarda il loro bambino, nel rispetto delle norme scolastiche.
Per concludere: in terapia, un ragazzino di 15 anni mi disse “Sai cosa mi succede ogni tanto? Che quando torno a casa da scuola in motorino, ad un certo punto, non ricordo più la strada che devo prendere. Per fortuna non mi succede spesso, ma è terribile trovarsi in mezzo ad una strada e non sapere dove andare. Mi sento come uno preso in mezzo ad una cosa in cui non c’entra”. Dott.sa Erica Gilardini Psicologa Età Evolutiva Spec.da Psicoterapia Psicoanalitica Infanzia ed Adolescenza e.mail: erica.gilardini@live.it Cell.: 347.8897364