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LA SCRITTURA A MACCHINA. IPSSARTC B.STRINGHER 1959-2009. A molti è attribuita l'invenzione della prima macchina per scrivere, ma ormai è accertato che anche questa invenzione è in larga parte un prodotto del genio italiano . Si ricordano, infatti, la macchina per la “ scrittura
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LA SCRITTURA A MACCHINA IPSSARTC B.STRINGHER 1959-2009
A molti è attribuita l'invenzione della prima macchina per scrivere, ma ormai è accertato che anche questa invenzione è in larga parte un prodotto del genio italiano. Si ricordano, infatti, la macchina per la “scrittura tattile” ideata, nel 1575, dal romano Francesco Rampazzetto, quella del genovese Cereseto ed altre che, in verità, ebbero poco di pratico. Un'altra persona a cui è stata attribuita l'invenzione della macchina per scrivere è Peter Mitterhofer, nativo di Partchins in provincia di Bolzano.
Nel 1714 l’inglese Henry Mill inventa una macchina con tasti in rilievo disposti in ordine alfabetico. Nel 1823 Piero Conti da Cilavegna inventa il Tachigrafo o Tachitipo. Il francese Xavier Progin realizza la cosiddetta Plume Ktypographique formata da 66 leve articolate, disposte in circolo, che fungono da tasti con i corrispondenti segni alfabetici. V'era però, fra gli altri, l'inconveniente, in questi rudimentali strumenti, dell'invisibilità della scrittura: il foglio rimaneva coperto e sfuggiva al controllo immediato del dattilografo.
Giuseppe Ravizza (1811-1885), un avvocato di Novara, per dare ai ciechi uno strumento che consentisse loro di comunicare con la scrittura, cominciò a pensare alla sua macchina nel 1837, e la costruì nel 1846. La brevettò nel 1855, come "Cembalo scrivano”, ossia macchina per scrivere a tasti.
Il brevetto descriveva una "tastiera a 32 tasti quadrati, in due linee sovrapposte, lettere in mezzo e interpunzioni ai lati". I tasti comandavano ciascuno un martelletto: i 32 martelletti erano disposti in cerchio. Vi era anche un campanello avvisatore di fine riga, e contemporaneamente si apriva una finestrella che lasciava scorgere la dicitura: "La linea è finita".
All'Esposizione Industriale di Torino del 1857 i visitatori potevano ammirare tre diversi esemplari della strana macchina, o meglio "avrebbero potuto" ammirarla se ad essa avessero dedicato un po' d'attenzione; ma ben pochi persero tempo ad osservare quello strano aggeggio, e la stessa giuria, che distribuiva con generosità medaglie d'oro e d'argento, al Ravizza concesse soltanto una medaglia di bronzo.
Non era l’ing. Ravizza uomo d'affari, e in Italia era diffusa quella mentalità anti-industriale alla quale taluni ascrivevano, giustamente, "il fatto dolorosissimo che le industrie tardarono a svilupparsi e che molti frutti del genio inventivo italiano furono ignorati e andarono perduti".
Le lodi più autorevoli al Cembalo scrivano le fece l'Ing. Camillo Olivetti commemorando Ravizza nel 1927: "il congegno cinematico per cui il movimento del dito del dattilografo va a ciascun martelletto secondo un cerchio dal cui centro vengono portati a battere i caratteri - disse Olivetti: è identico praticamente a quello della macchina costruita industrialmente nel 1873”.
Nel 1911, in occasione dell'Esposizione Universale di Torino, Camillo Olivetti presenta le prime due macchine modello M1. Durante lo stesso anno,l'azienda vince la prima importante commessa di 100 macchine per il Ministero dellaMarina. Nel 1912 si assicura anche una grande commessa per il Ministero delle Poste.
Nel 1920, negli stabilimenti di Ivrea, venne costruita la M20 e nel 1940 la M40. Dagli anni 50 vengono sviluppate e prodotte in serie le macchine destinate a popolare gli uffici e le scuole: Diaspron 82, Linea 98, Lexikon e le piccole grandi portatili a partire dalla mitica Lettera 22.
Era cominciata l’era della fabbrica piemontese che sarebbe diventata leader in Italia e nel mondo della scrittura a macchina, del calcolo meccanico e dell’informatica. All’estero altri strumenti si succedettero alle prime rudimentali macchine per scrivere e fra questi si annovera quello ideato dall’inglese John Pratt che inventò una macchina che chiamò Literary Piano, un nome che ricorda da vicino quello del Cembalo scrivano di Ravizza.
Lo “Scientific American” ne pubblicò una descrizione, aggiungendo che quella macchina avrebbe rivoluzionato il lavoro in tutti gli uffici. Non fu proprio "quella" ma un'altra, costruita da Christopher Latham Sholes, giornalista e poi senatore americano, che la realizzò nel 1867.
Ci vollero vari mesi ancora per perfezionarla, e il nuovo modello servì per scrivere lettere ad amici e conoscenti, invitandoli ad investire denaro nella nuova invenzione. I più scossero la testa e non risposero, ma un ricco uomo d'affari della Pennsylvania, Mr. James Densmore, si offrì di acquistare un quarto degli interessi dell'invenzione per 600 dollari.
Sholes accettò, e Densmore venne a trovarlo e a vedere la macchina; si rese subito conto che era un aggeggio poco pratico: "Vi ci vorrà ancora una dozzina di modelli, prima che arriviate ad una macchina capace di rivoluzionare la scrittura" disse a Sholes. In realtà i modelli furono più di cinquanta, e Densmore sostenne tutte le spese
Il principale difetto era la tendenza dei tasti a scontrarsi, al di sopra di una certa velocità di battitura: Sholes vi pose rimedio distanziando fra loro le leve dei caratteri che ricorrevano più frequentemente. E da lì venne la tastiera ancora in uso. Sholes inventò pure il carrello, con il cilindro porta carta. Era il momento di sfruttare la lunga attesa e il molto lavoro; nel 1871 Densmore espose la macchina a New York, senza successo.
Nel 1873 scrisse ai direttori della fabbrica d'armi Ilion, che erano i signori H. H. Benedict e Philo Remington. I due vollero vedere la macchina e fecero gesti di disapprovazione. Però … “Faremo un'offerta" disse Remington; e stipulò un contratto d'acquisto per un migliaio di macchine, col patto che la macchina si sarebbe chiamata Remington. Sholes ebbe 12.000 dollari, e per questa somma cedette tutti i suoi diritti; Densmore ricavò un milione e mezzo di dollari nell'intero arco della sua vita; Remington fece un'immensa fortuna, producendo in serie la prima macchina per scrivere che ebbe grande diffusione per oltre un trentennio.
Il primo avviso pubblicitario recitava: “UNA MACCHINA PER SOSTITUIRE LA PENNA” “Ministri, uomini di legge, scrittori, e tutti coloro che desiderano sfuggire al noioso lavoro della penna sono cordialmente invitati a visitare il nostro ufficio, e ad imparare a usare la macchina per scrivere. L'uso dellamacchina, la carta e le istruzioni sono gratis.
La produzione di serie, nel corso del XX secolo, vide attive altre Case produttrici, quali Olympia, Rank Xerox, Triumph, Facit, Adler. Nel 1935 l’IBM (International Business Machines), costruì la prima macchina per scrivere elettrica, l’Electromatic, e nel 1961 la prima macchina elettrica a carrello fisso, in cui il cestello delle leve veniva sostituito da un singolo elemento di scrittura (sfera portacaratteri). Nel 1975 l’Olivetti costruì la Lexikon 90 in cui l’elemento singolo di scrittura era fisso mentre il carrello era mobile.
Le successive generazioni di macchine per scrivere sono state caratterizzate dall’elet-tronica, applicata a macchine dotate di memoria di transito e di display per il controllo su video della scrittura. Trascuriamo volutamente gli sviluppi successivi della riproduzione del testo, giacchè le considerazioni da fare e gli elementi da descrivere porterebbero ad esaminare le vaste interconnessioni con i moderni strumenti informatici.