210 likes | 362 Views
Ci presentiamo. Ciao a tutti..!! noi siamo ragazzi della 3° i delle Mazzini di villa Corridi (Livorno).
E N D
Ci presentiamo Ciao a tutti..!! noi siamo ragazzi della 3° i delle Mazzini di villa Corridi (Livorno) La nostra è l'ultima classe della scuola e noi ne siamo, in fondo, un po' orgogliosi, anche perché questo ci ha dato l'opportunità di lavorare in modo diverso, a volte più faticoso, a volte più divertente, sicuramente più interessante. Quest'anno, ad esempio, abbiamo deciso con la nostra insegnante di Lettere di affrontare l'argomento del Risorgimento, approfondendo gli aspetti che riguardavano più da vicino la nostra città in quel periodo storico (Livorno, infatti, anche se non sono in molti a conoscerlo, ha avuto un posto di rilievo durante il Risorgimento, assumendo posizioni coraggiose ed autonome rispetto ad altre città anche toscane). Inoltre ci è piaciuto puntare l'attenzione soprattutto sul contributo dato dalla gente comune e in particolare delle donne alla causa risorgimentale: quando si studia la Storia.
COSA ABBIAMO UTILIZZATO Per realizzare il nostro progetto abbiamo utilizzato vari metodi, alternativi al solito studio sui libri o alle semplici spiegazioni dei professori. Il più importante è stato quello delle indagini sul territorio: in una uscita ci siamo documentati sui Livornesi caduti durante il Risorgimento, poi presso la "Porta San Marco" abbiamo raccolto informazioni su uno dei momenti-chiave della difesa di Livorno nel 1849. Abbiamo lavorato anche a scuola, naturalmente, studiando il periodo storico che ci interessava, rielaborando le informazioni che avevamo raccolto nelle uscite, facendo ricerche ed infine realizzando una specie di ipertesto multimediale sull'argomento. In tutte queste fasi abbiamo alternato i momenti di lavoro individuale alle attività di coppia e di gruppo.Come strumenti,abbiamo adoperato, abbiamo usato anche la fotocopiatrice (per foto e testi presi da vecchi libri, dal nostro libro di storia e da documenti riportanti alcune testimonianze di importanti livornesi) la fotocamera digitale, utilizzati durante le uscite, ma soprattutto il computer, indispensabile per immagazzinare tutti i dati che siamo riusciti a recuperare e per realizzare la parte informatica del nostro lavoro, che si è concluso con la realizzazione di un CD.
A COSA E' SERVITA.. Questa attività ci è servita per riscoprire luoghi e monumenti della città che conoscevamo appena (a volte guardiamo le cose che ci stanno intorno con superficialità, senza apprezzarle e senza capirne il significato e le origini); ma soprattutto è stata importante per arricchire le nostre conoscenze e per farci capire che anche Livorno ha partecipato significativamente al Risorgimento Italiano. Le vicende del Maggio 1849 hanno mostrato come, mentre altre e più importanti città italiane chinavano la testa davanti al più forte, Livorno non ha esitato a difendere la libertà sebbene fosse un'impresa disperata. Credevamo che la nostra fosse solo una città bella, ma senza storia. Invece è stata una sorpresa vedere come possiamo andare orgogliosi non solo del suo mare, ma anche dello spirito fiero e indipendente dei nostri antenati. Infatti, forse anche per la loro origine (i primi abitanti erano esuli provenienti da tutta Italia e dall'Europa, perseguitati per motivi politici o religiosi, ma anche persone che avevano avuto a che fare con la giustizia...)
Livorno Cosimo I Granduca di Toscana incaricò il Buontalenti di costruire una città ideale. La data di Livorno risale al 28 Marzo 1577. Livorno era un piccolo borgo di mare,ma diventò una città portuale dove arrivava gente di ogni luogo,religione e cultura che fornivano lievito per la maturazione culturale e intellettuale della città.
I 400 anni di Livorno Lo scorso anno(2006) Livorno ha compiuto 400 anni…. Per ricordare questo importante momento il Comune di Livorno ha organizzato varie manifestazioni per tutta la città tra le quali anche un concorso teatrale rivolto a tutte le scuole cittadine a cui la nostra classe ha partecipato il tema proposto era proprio la storia di Livorno ed ha vinto. Il nostro spettacolo aveva come ambiente proprio la classe…gli alunni ,come poeti, scrivevano in rima la storia dalle origini ai giorni nostri. Le poesie si soffermavano su diversi temi diversi temi: la nascita di Livorno le leggi livornine e soprattutto Garibaldi…. In onore di Garibaldi, tante piazze ci sono, aRoma, a Firenze e in ogni luogo, perché di lui, tutto il mondo parla ma Garibaldi anche a Livorno sbarca, e e i livornesi son pronti a seguire la la sua bandiera superando ogni barriera.Lo spettacolo è stato così piacevole e carino che ha vinto il primo premio ed è stato poi riproposto all’attenzione di tutta la città durante il Settembre Pedagogico.
L’arrivo di Mazzini a Livorno nel febbraio 1849 L’arrivo di Mazzini a Livorno, del quale il Governo granducale fino dal 31 gennaio temeva le conseguenze, avvenne all’alba dell’8 febbraio. Così descrisse l’avvenimento il Corriere livornese del giorno seguente: All’alba coll’Ellesponto giungeva fra noi Giuseppe Mazzini, l’Uomo odiato da tutti i Governi d’Italia perché puro e incontaminato, e per non aver mai curvato la fronte a taluni liberali d’occasione e di professione. Le campane davano il segnale del suo arrivo nella nostra città, ed il popolo accalcavasi per le vie che doveva percorrere; cento bandiere sventolavano, e le finestre si ornavano di tappeti, una guardia d’onore composta di bersaglieri e di Guardia Nazionale comandata dagli ufficiali Sgarallino e Guerrazzi stabilivasi all’uscio del cittadino Notary, ove il Mazzini ha preso dimora. A mezzogiorno tutti i Circoli di Livorno con bandiere e cartelloni su cui era scritto "Dio e il Popolo", "Viva Mazzini e La Cecilia, nostri Deputati alla Costituente Italiana", si adunavano in piazza; vi concorreva pure lo Stato Maggiore della Guardia Nazionale, vari drappelli della stessa milizia, e dell’artiglieria cittadina ed una fitta moltitudine di popolo di ogni età e di ogni classe. Il numeroso e brillante corteo moveva per via Borra a casa Notary. Lo Stato Maggiore della Guardia Nazionale e tutti i presidenti dei Circoli si sono recati a complimentare l’illustre italiano, che sceso poscia con loro e preceduto dalla banda civica e dalla fanfara dell’artiglieria si è diretto dal Governatore intrattenendosi a colloquio con l’gregio Pigli e poscia è comparso insieme a lui sulla terrazza. Fragorosi applausi salutarono Mazzini che parlò cercando di rasserenare gli animi, come riferì nel seguito il Corriere livornese: In Livorno arrivai esule nel 1830 e mi strinsi fratello con quegli uomini che voi innalzaste al potere, conobbi pure Carlo Bini, egregio e distinto italiano, e lo ricordo con dolore perché non è più. Livorno ebbe i miei pensieri sempre, e son lieto oggi di rivederla come la più patriottica città d’Italia. I plausi che a me fate, dirigeteli ai principii ch’io professai, giammai all’uomo. Io debbo farvi una comunicazione a nome del Governo. Il Granduca e tutta la famiglia sono fuggiti (e qui voci di gioia e di festa, e il grido di ventimila cittadini, che tanti ne conteneva la piazza, hanno ripetuto – "Buon viaggio un ostacolo di meno per l’indipendenza d’Italia"); e alle voci di "Viva la Repubblica!", "Proclamiamo la Repubblica!", Mazzini ha risposto Io repubblicano per tutta la mia vita, vi esorto ad attendere l’iniziativa da Roma. La Nazione per mezzo dei rappresentanti del popolo eletti col suffragio universale e con libero mandato farà conoscere le sue volontà…
Una lettera dell’8 maggio 1849 Tra i tanti diari e documenti che riferiscono sui fatti accaduti a Livorno nel maggio del 1849, quando la città si ribellò e resistette agli austriaci, c’è anche la lettera di un toscano sconosciuto che l’8 maggio scrisse a Luciano Bratolommei, fratello di Giampaolo e quindi cognato di Angelica Palli, riferendo con angoscia le notizie che gli erano giunte da Pisa dove si trovavano i reparti austriaci, toscani e modenesi al comando del generale Constantino d’Aspre ormai pronti ad attaccare Livorno: A Luciano Bartolommei Ora ti scrivo con l’animo veramente esacerbato: i Tedeschi in numero di 14 mila sono a Pisa, se ne aspettano altri 8 mila. Mio padre fu ieri a Pisa e gli ha veduti. Hanno con loro più di cento pezzi di cannoni grossissimi, equipaggi di ponti, pezzi, officine, insomma tutto il necessario per una vera armata di campagna. D’Aspre alloggia al palazzo del Granduca, ha sotto i suoi ordini il principe Alberto, il generale Walmoden (Nota: Ludovico Walmoden, vecchio generale austriaco quasi ottantenne) e altri generali tra i quali uno di artiglieria. D’Aspre ha pubblicato un proclama con cui annunzia che egli viene in Toscana a stabilire l’ordine e la sicurezza sia pubblica che privata, ch’egli garantisce della disciplina delle sue truppe e spera che i toscani vogliano vedere in lui un amico, un alleato. Lascia il governo toscano a Serristori, ma egli stesso, d’Aspre, prende il comando delle truppe toscane le quali marceranno in avanguardia sopra Livorno. Nella colonna di attacco sarà in testa il reggimento Estense (il duca di Modena è già a Pisa) e dietro i tedeschi. Una deputazione di negozianti livornesi, tra i quali mio zio Manteri, andarono ieri da d’Aspre per rappresentargli che essendo pochi i "tristi" in Livorno essi lo pregavano di risparmiare per quanto potesse il materiale della città. Il generale tedesco si mostrò benissimo informato delle cose di Livorno, disse loro che domani mattina si sarebbe presentato a Livorno tirando subito due o tre cannonate, che aspettava domani per avere almeno 20 mila uomini sotto le mura e così sperava che intimoriti i Livornesi si sarebbero subito arresi. Promise che avrebbe agito più che umanamente, non negò che il solo tiro fatto da una finestra avrebbe bastato perché quella casa fosse spianata dalle sue artiglierie. Le truppe toscane pare che saranno mandate poi in Ungheria! Ma a quei vili sta bene. Si parla di una leva in massa da farsi in Livorno per mandarsi parimenti in Ungheria. Le truppe toscane si erano di già affratellate coi tedeschi ed era veramente doloroso il vedere i nostri abbracciati ai tedeschi, i primi con la medaglia della guerra dell’Indipendenza 1848 e i secondi con la medaglia "Italia Vinta". La città di Pisa gli ha accolti con moltissima dignità. Domani è dunque la fine di Livorno. Quantunque tristi ho creduto darti questi ragguagli che mi ha riferiti Papà.
La partecipazione delle donne alla difesa della città nel maggio 1849 Anche le donne parteciparono alla difesa di Livorno nel maggio del 1849 in particolare modo quelle dei quartieri popolari dove più forte erano i sentimenti democratici. Tale partecipazione viene ricordata in alcuni sonetti scritti in vernacolo da Vittorio Matteucci. In uno di questi si dice: Gruppi di donne con bandiera rossa correvan da San Marco a Fiorentina dov’era più la strage e la rovina chiamavano e’ fratelli alla riscossa. Le nostre mamme, ‘nsieme all’infermiere, cercavano ‘e feriti ‘n delle file, all’assetati davano da bere. Molte donne livornesi soffrirono nei giorni tragici e confusi dell’aprile-maggio 1849 che precedettero e seguirono l’entrata a Livorno delle truppe austriache, anche della mancanza di notizie sui propri congiunti, perché impegnati senza sosta nelle varie attività di difesa o perché arrestati o costretti ad allontanarsi dalla città senza avere avuto il tempo di darne comunicazione alla famiglia.Tra queste donne vi fu la moglie di Antonio Petracchi, navicellaio e maggiore della Guardia Civica, che abitava col marito nel quartiere "Venezia". A seguito del colpo di stato messo in atto a Firenze dai moderati il 12 aprile 1849, il Petracchi, che comandava il battaglione "Bande Nere, ripiegò con i suoi verso Pistoia. Il 17 aprile seguente, costretto a deporre le armi, venne arrestato dalle truppe regolari e trasferito prigioniero nella capitale toscana. La sua famiglia rimase per qualche tempo all’oscuro di quanto gli era accaduto. Quando ormai Livorno era in mano agli austriaci, la moglie del Petracchi, Teresa, disperata e ansiosa di avere notizie del marito scrisse a Gian Paolo Bartolommei chiedendogli un aiuto. Questi, partecipe dello stato d’animo della donna, interessò direttamente della questione Luigi Fabbri Gonfaloniere di Livorno.
I fatti del maggio 1849 nei ricordi di Giovanni Fattori e Renato Fucini Tra i cittadini di Livorno che assistettero ai fatti del 10-11 maggio 1849 c’era Giovanni Fattori, il futuro capofila dei "macchiaioli" toscani. Data la giovane età, egli fu trattenuto dai familiari nella casa di Via del Corso e non poté partecipare alla difesa. Arrampicato sul tetto dello stabile in cui abitava, riuscì ad osservarne le fasi più emozionanti e trasse anche da queste lo spunto per suoi quadri risorgimentali che lo resero celebre nell’età matura. Conservò di quell’avvenimento un ricordo vivissimo, vantandosi per tutta la vita, malgrado la sua ben nota modestia, di essere di Livorno, la città che aveva osato prendere a cannonate gli austriaci. Un altro artista di talento, lo scrittore e poeta Renato Fucini, ricordò con parole di viva commozione i momenti dello scontro, che visse, sia pure indirettamente, in età infantile dal paese di Montecalvoli con il padre David, medico condotto. I due Fucini, assieme ad altri amici, erano saliti in vetta alla collina per udire i colpi dei cannoni. Racconta nelle sue memorie il Fucini: Seduti qua e là, coi gomiti sulle ginocchia e la fronte tra le mani, aspettavamo taciturni e sospirosi la voce funesta del cannone. E quella voce non tardò a farsi sentire. Al rumore della prima cannonata che arrivò sorda lungo la marina, un lampo di speranza brillò sul pallore di quelle facce desolate. Tutti si buttarono in ginocchio a baciare la terra esclamando "Italia, Italia mia!" e rialzatisi, si fusero in gruppo stretto, abbracciandosi piangendo e raccomandandosi a Dio per la salvezza di Livorno. Non so quanto ci trattenemmo lassù; ma certo non partimmo prima che il cannone avesse smesso di far sentire la sua voce. Alle grida di gioia che si erano alzate via via che i colpi si facevano più fitti (dando così speranze di resistenza vittoriosa degli assediati) ai gesti disperati e alle furibonde imprecazioni quando quei colpi si diradavano, tenne dietro un cupo silenzio allorché tutto tacque. Livorno era vinta; un’orda di migliaia di austriaci, armati di cannoni e dei migliori fucili del tempo, avevano sopraffatto quella eroica popolazione...
Enrico Bartelloni Enrico Bartelloni, certamente uno dei maggiori esponenti livornesi del Risorgimento, fucilato dagli austriaci il 17 maggio 1849, non si accontentava di fare sentire la propria voce a Livorno come guida dei democratici insieme a Francesco Domenico Guerrazzi, ma lui, bottaio, prendeva la penna e con coraggio sosteneva le proprie idee anche fuori della città. La lettera di seguito riportata, al di là degli errori di grammatica perdonabilissimi se rapportati ai nobili sentimenti dell’Autore, testimonia la schiettezza del popolano e quanta passione egli mettesse nel seguire i propri ideali. La lettera, senza data, è diretta a Giuseppe Montanelli che alloggiava presso la "Locanda della Luna" a Firenze. Fu scritta probabilmente tra i primi di ottobre e la fine di novembre del 1848 e si riferisce alla formazione del governo presieduto dal Montanelli del quale faceva parte anche il Guerrazzi. Egli era un repubblicano e capitano dei volontari. Sostenne strenuamente l’opposizione armata all’ingresso degli Austriaci in città. Sopraffatta ogni resistenza, cercò la morte schernendo gli sbirri. Il piombo di un plotone lo sublimò fra i martiri purissimi del Risorgimento italiano.
Francesco Domenico Guerrazzi Francesco Domenico Guerrazzi (Livorno 12 agosto 1804 – Cecina 25 settembre 1873) è stato un politico e scrittore toscano, impegnato nel movimento risorgimentale.Nel 1824 si laureò in legge all‘Università di Pisa e iniziò ad esercitare la professione di avvocato a Livorno, ma prestò lasciò la professione per darsi alla politica e alla letteratuta. Influenzato da Byron, scrisse le Stanze nel 1825 e il romanzo La battaglia di Benevento nel 1827 che lo rese celebre.Guerrazzi divenne amico di Giuseppe Mazzini e insieme a lui e a Carlo bini nel gennaio 1829 fondò a Livorno il quotidiano Indicatore livornese, del quale fu il direttore. Il giornale, però, fu chiuso dalle autorità del Granducato di Toscana nel febbraio 1830, dopo 48 numeri, e lo stesso Guerrazzi fu relegato a Montepulciano per sei mesi a causa di una sua orazione in memoria di Cosimo Del Fante. Durante il confino iniziò a scrivere il suo romanzo storico, L'assedio di Firenze. Per la sua attività nella giovine Italia fu imprigionato diverse volte: nel 1833 fu rinchiuso per tre mesi nel Forte Stella di Portoferraio.Nel 1848 divenne ministro del governo toscano e tentò di esercitare una certa influenza approfittando del momento di difficoltà del granduca. L'8 febbraio 1849, dopo la fuga del granduca Leopoldo II, Guerrazzi formò un triumvirato con Giuseppe Mazzini e Giuseppe Montanelli, poi il 27 marzo fu nominato dittatore. Alla restaurazione del governo granducale, rifiutò di fuggire e fu condannato a 15 anni di carcere. In quegli anni scrisse la sua autodifesa (intitolata Apologia), pubblicata nel 1852.Dopo circa tre anni la pena fu commutata nell’esilio in Corsica, ma nel 1853 fuggì e risedette fino al 1862 a Genova (la città gli ha dedicato una via). Dal 1862 al 1870 fu deputato al parlamento italiano.Altre sue opere furono Isabella Orsini (1845) e Beatrice Cenci (1854). Le sue lettere furono raccolte e pubblicate da Giosuè Carducci nel 1880.
Piazza Guerrazzi Rassegnatissimi ma dignitosi i cavalli degli «omnibus,> trascinano i viaggiatori dinanzi allo sguardo corrucciato del Guerrazzi. I viaggiatori, per la verità, non sono numerosi anche perchè, a piedi, si impiega lo stesso tempo. Si guardi con che calma quel concittadino, col corbello sulle spalle, attraversa dinanzi ai destrieri in coppia i quali sembrano concordare sul detto: «In due si soffre meglio». Sullo sfondo il Cisternino, una pregevole opera leopoldina (1832) effettuata su progetti del celebre architetto Poccianti. Ai tempi della foto, primissimi anni del secolo, il Cisternino (nato come deposito ausiliario) che avrebbe dovuto distribuire le acque delle sorgenti di Colognole non andò mai in funzione, probabilmente per un errore di livellazione rivelatosi durante la costruzione della grande volta sul Fosso Reale (piazza della Repubblica). Attualmente il tutto forma la Casa della Cultura. Il Cisternino era destinato anche ad abbellire la piazza dedicata al celebre e controverso (soprattutto dai «moderati» fiorentini) personaggio della storia livornese. Livorno attende ancora un «qualcosa,> che renda giustizia a Guerrazzi, un politico di primo piano e un grande scrittore. Giuseppe Mazzini giudicava i suoi libri «battaglie». E, in effetti, erano battaglie per la libertà e il progresso del nostro Paese. Una delle grosse “sfortune” di Guerrazzi fu che la storia (generalmente scritta dai vincitori) della sua vita e delle sue opere venne fatta conoscere da coloro che lo avevano vinto e anche umiliato.
i garibaldini livornesi Giuseppe Garibaldi la giovinezza la spedizione dei mille
la giovinezza Garibaldi, l'eroe più popolare del Risorgimento italiano che fu uno dei fattori principali dell'unità d'Italia, nacque a Nizza il 4 Luglio 1807 da Domenico, di Chiavari, e Rosa Raimondi, di Loano. Il padre possedeva una tartana, con la quale praticava il cabotaggio.Egli tuttavia avrebbe voluto avviare Giuseppe, suo secondogenito, per una carriera come avvocato o medico, o anche prete. Il figlio, però, amava poco gli studi e prediligeva gli esercizi fisici e la vita sul mare.
la maturità • Tra le importanti imprese di Garibaldi ricordiamo: • Nel 1833 fu messa a parte da Giovan Battista cuneo dell’esistenza dell’attività rivoluzionaria della mazziniana GIOVINE ITALIA,a cui si affiliò appena rientrato a Marsiglia. • Partecipò al tentativo insurrezionale in Savoia • Nuovamente imbarcatosi per il Mar Nero, fu al servizio del Bey di Tunisi,prima di ottenere il comando in seconda di un brigantino diretto a Rio de Janeiro(1835)dove aderì al movimento degli esuli mazziniani e alla massoneria .
Garibaldi che nel 1860 era a Genova, da tempo sognava di porre mano alla spedizione, prima però voleva essere ben sicuro di aver favorevole la popolazione. Vittorio Emanuele ufficialmente gli negò il suo aiuto, ma fece finta di ignorare una spedizione di volontari. Cavour, invece, era assolutamente contrario, perché temeva complicazioni internazionali,e perché conosceva lo spirito repubblicano di Garibaldi. L'eroe raccolse intorno a sé, senza fatica, un migliaio di volontari (per questo furono chiamati "i Mille") di tutte le età. Visto che il governo piemontese non dava aiuti ufficiali, i garibaldini simularono un colpo di mano e si impossessarono, del porto di Genova, di due battelli a vapore della compagnia Ribattino: il Piemonte e il Lombardo, e li condussero fuori dal porto verso lo scoglio di Quarto, dove li aspettava Garibaldi. la spedizione dei mille
Anche molti livornesi parteciparono alla spedizione dei mille… garibaldi
i volontari livornesi Un primo contingente di 35 volontari con a capo Jacopo Sgarallino lasciò il porto labronico il 1° di maggio con il piroscafo Etruria per recarsi a Genova e quindi a Quarto dove imbarcò con il grosso del contingente sul piroscafo Lombardo il cui comandante era Nino Bixio e il direttore di macchina Giuseppe Orlando. Un secondo contingente di 77 volontari agli ordini di Andrea Sgarallino lasciò Livorno il 2 di maggio seguente sulla tartana Adelina. Questo gruppo sbarcò a Talamone il 5 maggio e si riunì ad altri volontari per compiere nello Stato Pontificio una diversione che aveva lo scopo di ingannare il governo borbonico. Quando anche il Lombardo e il Piemonte gettarono le ancore a Talamone i volontari vennero riuniti e riordinati in nuove compagnie ad una delle quali fu assegnato il nome Livorno. Al termine tutti diressero verso la Sicilia. Andrea Sgarallino portò con sé la bandiera che aveva salvato a Curtatone e Montanara e l’affidò come portabandiera al livornese Cesare Gattai, uno dei più giovani partecipanti all’impresa che morì successivamente a Calatafimi. Quella bandiera tornò integra a Livorno. Organizzati e guidati dal livornese Vincenzo Malenchini, che aveva combattuto in Lombardia nel 1848, altri 1200 volontari toscani, dei quali ben 800 livornesi, partirono il 19 giugno 1860 dal Calambrone per raggiungere Garibaldi in Sicilia, come ricorda ancora un cippo eretto in questa località. Malenchini aveva creato per l’occasione un centro di reclutamento in una trattoria di via della Rondinella. Infine un’ultima spedizione di circa 2.000 uomini, diretta anch’essa in Sicilia, vide la partecipazione, tra i tanti, di Giovanni Guarducci che era stato a capo della difesa della città nel maggio del 1849.
E questi siamo noi... ...e i luoghi di Livorno legati al Risorgimento e a Garibaldi