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Le leggi della maldicenza. La parola del Rabbino Capo. Regola 6
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Le leggi della maldicenza La parola del Rabbino Capo Regola 6 Perfino l’ascolto di lashòn harà’ è vietato dalla Torà, e questo anche se al momento dell’ascolto non si ha l’intenzione di accettare ciò che viene detto, perché comunque si presta orecchio all’ascolto. Ma ci sono varie differenze tra ascoltare e accettare, perché nell’ascolto è vietato solo il caso in cui non si tragga alcuna utilità futura, ma se si trae un’utilità futura e la cosa è vera, per esempio quando chi ascolta capisce fin dal principio del racconto che gli si sta raccontando che Tizio non è una persona affidabile e così via, e si aveva intenzione di associarsi a lui o di stringere un accordo matrimoniale con lui e così via, in questo caso è permesso a priori ascoltare per cautelarsi e mettersi in guardia nei suoi confronti; questo perché si vuole ascoltare non al fine di sentirne il biasimo, bensì per salvaguardarsi ed evitare di arrivare poi a una situazione di danno o di litigio o simili. E così è anche quando, malgrado non si abbia interesse personale ad ascoltare, comunque il proprio ascolto sarà di beneficio ad altri, ed anche in questo caso è permesso. Per esempio, si vuole sentire questa cosa per poter poi indagare e scoprire se è vera, e poi andare da quel tale e rimproverarlo a questo proposito, e forse ciò servirà a fargli abbandonare il suo peccato, o a fargli restituire il maltolto al suo proprietario, o a farlo riconciliare con chi ha insultato o avvilito, e così via – e il motivo è come indicato sopra. Ma l’accettare, cioè il decidere in cuor proprio che la cosa è vera, è vietato in ogni caso. (Liberamente tratto da “Le leggi della maldicenza” del Chafètz Chaìm, 2007) • Nitzavìm – Wa-yélekh • C’è nella Parashà di questa settimana una frase che è diventata un modo di dire: “Lo’ ba-shamàym hi’”, “essa non è in cielo”. È talmente nota ed usata che perfino un noto midràsh l’adopera, raccontandoci di una disputa fra i Maestri, per concludere che la definizione della Halakhà spetta ai Rabbini e non a D.o, perché “essa – la Torà – non è (più) in cielo”: da quando è stata data ad Israele, è compito di Israele utilizzarla in modo da definire le norme. E da qui molti ricavano un insegnamento che sottolinea la cosiddetta “democraticità di D.o”, che rinuncia a fissare le regole per affidarle agli uomini. • Tutto ciò è molto bello, ma di fatto è una forzatura: se esaminiamo il contesto, ci accorgiamo facilmente che qui non si parla della Torà in genere, ma solo ed esclusivamente di una mitzwà specifica, quella della Teshuvà. Il versetto ci dice che fare Teshuvà, pentirsi dei propri errori, non è una cosa così difficile come salire al cielo, bensì una cosa assolutamente fattibile, per la quale basta cercare le forze “nella tua bocca e nel tuo cuore”. • C’è quindi da domandarci perché i Maestri, da una mitzwà così specifica, si sono allargati a riferire il nostro versetto a tutta quanta la Torà. • Possiamo affermare che, probabilmente, i nostri Maestri abbiano voluto insegnarci che una vera Teshuvà è tale da poter aprirci la via per acquisire tutta la Torà. In altre parole, ciò che ci garantisce la possibilità per l’uomo di definire la Halakhà è proprio il fatto che basta un semplice atto di volontà nel fare una vera Teshuvà, ed aprirci così la strada a sentire la Torà come una cosa veramente vicina a noi. • Rav Elia Richetti
בס"ד תורת היום settimanale no. 226 I MAESTRI DELL'EBRAISMO ITALIANO 23 Elùl 5769 12 Settembre 2009 • Rav Amedeo Recanati Vissuto nel sedicesimo secolo, tradusse in italiano il “Morè Nevukhìm” di Maimonide intitolandolo “Erudizione dei confusi”, e lo dedicò a Menachèm ‘Azaryà Da Fano. La Torà del Giorno A cura dell’Ufficio Rabbinico di Venezia La Parashà della settimana: Nitzavìm – Wa-yélekh Acc. lumi ore: 19.12 Uscita ore:20.13 AVVENIMENTI DELLA SETTIMANA Mazal Tov alla famiglia Salvadori per il matrimonio di Carlota Salvadori e Yehoshuà Gabriele Mancuso Venerdì 29 Elùl 5769 (18 settembre 2009): alle ore 5.30 Selichòth in Schola Canton.