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PER UNA CRITICA DELLE TEORIE ECONOMICHE NEOCLASSICHE DOMINANTI

PER UNA CRITICA DELLE TEORIE ECONOMICHE NEOCLASSICHE DOMINANTI. Maggio 2013. “La società non esiste”?. La famosa frase di M. Thatcher esprime bene l’idea di centralità dell’individualismo propria del neoliberismo: esistono solo uomini e donne, non gruppi o classi sociali

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PER UNA CRITICA DELLE TEORIE ECONOMICHE NEOCLASSICHE DOMINANTI

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  1. PER UNA CRITICA DELLE TEORIE ECONOMICHE NEOCLASSICHE DOMINANTI Maggio 2013

  2. “La società non esiste”? • La famosa frase di M. Thatcher esprime bene l’idea di centralità dell’individualismo propria del neoliberismo: • esistono solo uomini e donne, non gruppi o classi sociali • Questa chiave di lettura pregiudica la comprensione dei meccanismi di funzionamento dell’economia capitalistica, all’interno della quale gli individui contano solo in quanto componenti di gruppi o di classi sociali.

  3. Contro l’ipocrisia interclassista • Per ricostruire una teoria sul capitalismo occorre ripartire dallo studio degli antagonismi tra gruppi di interesse e tra classi • Rappresentare indistintamente le classi e le culture politiche evitando riferimenti alla tutela degli interessi dei lavoratori subordinati non aiuta a ricostruire una analisi dell’attuale sistema capitalistico

  4. Anche la teoria dominante deve fare i conti con conflitti tra gruppi sociali • Oliver Blanchard(FMI) • i modelli macroeconomici non possono basarsi sui comportamenti dei singoli individui ma sull’analisi degli aggregati sociali • la presenza di tali aggregati è dovuta all’imperfezione del mercato che se rimossa consentirebbe di comprimere salari e prezzi aumentando la domanda di merci, la produzione e l’occupazione

  5. La funzione del conflitto tra le classi • A differenza di quello che sostiene Blanchardl’antagonismo tra le classi non è una imperfezione del mercato • Ma è il fattore immanente del modo di produrre capitalistico • la lotta di classe c’è anche se non ve ne è coscienza e consapevolezza • Di conseguenza l’antagonismo tra le classi mette un limite all’aumento dei profitti per occupato e non all’aumento complessivo dell’occupazione.

  6. L’obiettivo della piena occupazione • Non è certamente raggiungibile liberando il mercato da tutti i vincoli e regole • Lo schiacciamento dei salari e dei diritti non favorisce la domanda di merci e quindi non implica aumento occupazionale. • La piena occupazione richiede una azione collettiva antagonista alle logiche del capitalismo. • Estensione dell’intervento dello Stato nella gestione diretta di alcuni processi produttivi strategici per il paese.

  7. Per una rinnovata analisi di classe • Al tradizionale conflitto tra capitale e lavoro si aggiungono altre contraddizioni; • L’analisi degli antagonismi interni a ciascuna classe sociale, come quelli tra capitali più grandi e capitali più piccoli: • possono sfociare in conflitti tra paesi avanzati e paesi meno sviluppati.

  8. La trasformazione dell’industria italiana all’inizio del 2000 • Declino grande industria pubblica e privata • Vendita di interi settori produttivi a gruppi stranieri • Proliferazione di imprese di piccole dimensioni, disinvolte nella gestione della forza lavoro ma poco utili alla competitività ed efficienza del sistema paese • Indebolita capacità competitiva rispetto ad altri paesi europei a partire dalla Germania.

  9. La mezzogiornificazione dell’Europa • Il tipico dualismo tra Italia del Nord e quella del Sud si allarga all’Europa intera • Nasce così l’antagonismo tra i paesi centrali dell’Unione e quelli periferici. • La moneta unica non ha aiutato a ridurre le divergenze nell’UE ma le ha accentuate • es. l’inflazione è persistentemente più alta in Italia e in altri paesi periferici rispetto alla Germania.

  10. La miope ed egoista politica tedesca • La fragilità del tessuto produttivo italiano insieme all’aggressiva politica di contenimento dei salari tedeschi allargano la forbice dei prezzi tra i due paesi. • La moneta unica impedisce di attenuare tale divario con la svalutazione del cambio • L’Italia e altri paesi più deboli sono destinati a importare troppo e ad accumulare un rilevante disavanzo con l’estero. • In assenza di azioni per ribilanciare i rapporti all’interno dell’Unione europea le alternative sono due: • i paesi periferici frenano la tendenza all’importazione attraverso politiche di austerità • deflagrazione della zona euro diviene una possibilità concreta.

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