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Anormalità, devianza, differenza, disagio. Tratteggi della storia moderna dell’esclusione sociale. Significato di devianza. La categoria della devianza viene introdotta negli anni ‘50 da T. Parsons e indica tutte quelle condotte che sono il prodotto di una cattiva socializzazione .
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Anormalità, devianza, differenza, disagio Tratteggi della storia moderna dell’esclusione sociale IgnaziaBartholini- Docente di Sociologia della devianza
Significato di devianza • La categoria della devianza viene introdotta negli anni ‘50 da T. Parsons e indica tutte quelle condotte che sono il prodotto di una cattiva socializzazione. • Fa riferimento a tutte le forme di trasgressione alle norme di uno specifico contesto sociale (De Leo). • Non consiste nella qualità dell’atto che una persona commette, ma è una conseguenza di regole e sanzioni su un determinato soggetto (Becker). • La devianza, nel suo complesso, non è che l’altra faccia della norma (Cusson), uno scarto statistico dalla tendenza centrale del gruppo. • Deviante, anche se non direttamente sanzionabile, è sia una specifica azione considerata non conforme, sia una particolare condotta che produce una reazione negativa nell’opinione pubblica.
I DEVIANTI…CHI SONO? Fra le tipologie indicate via via dagli studiosi di devianza nel tempo si possono annoverare: • I “malati” – etilisti, tossicodipendenti, soggetti affetti da patologie che danno luogo a comportamenti sgradevoli; • I “diversi” – omosessuali e portatori di handicap fisici e psichici; • I “ribelli” – contestatori, rivoluzionari, anarchici; • I “delinquenti” – trasgressori delle norme del diritto penale; • I “traditori” – fuggiaschi, eretici e disertori; • I “parassiti” – “senza dimora” e “senza lavoro”; • I “senza permesso di soggiorno” – stranieri non regolarizzati.
Teorie sulla devianza Fra le teorie … le più intolleranti: • La teoria positivista: Lombroso: nella razza umana è presente la tipologia del delinquente nato, è l’uomo atavico. Ferri: la percentuale dei comportamenti delinquenziali è il prodotto delle condizioni fisiche di un ambiente (clima, stagione, densità demografica) e dalle tendenze innate e gli impulsi occasionali di determinati individui. Garofalo: alcuni individui sono moralmente meno sviluppati e affetti da una sorta di anomalia morale. Guerry inventò la biometria, basata sul calcolo delle caratteristiche fisiche (a), delle condotte (b) e delle variazioni del tempo (c) per definire il “normale” (l’uomo medio) e il criminale . Nel XX secolo Sheldon e Wilson inventarono i somatotipi: l’ectomorfo (il magro), l’endomorfo (il grasso), il mesomorfo (l’individuo muscoloso) per individuare in quale fra di esse si nascondesse il delinquente. I coniugi Glueck, sulla base di un approccio multifattoriale, definirono i fattori predittivi.
Il CONFLITTO IN CHIAVE LIBERALE Il conflitto è una lottache verte su valori e su pretese a status sociali scarsi, sul potere e sulle risorse, una lotta nella quale gli scopi delle parti in conflitto sono quelli di neutralizzarsi, ledersi o eliminarsi reciprocamente. La versione conservatrice del conflitto, sviluppatasi in questi ultimi decenni, ha alla base la convinzione che il conflitto fra soggetti portatori di interessi diversi è naturale e necessaria allo sviluppo di ogni società. Dahrendorf pone l’accento sulla normalità del conflitto. Coser basa la sua teoria sulla funzione positiva del conflitto. Se un certo tipo di conflitti è accettabile nei limiti del suo contenimento, i comportamenti devianti che ne derivano devono essere emendati dalle istituzioni preposte al controllo e alla pena. La legge stessa può costituire una risorsa del gruppo dominante, che potrà applicarla a proprio beneficio.
Le teorie delle subculture • Tra gli anni ‘50 e ‘60 negli Stati Uniti si diffonde la consapevolezza che ogni comportamento deviante possa essere considerato un fenomeno di gruppo. Perché, tuttavia, dei giovani organizzatisi in gruppo decidono di delinquere? Perché la società sembra non concedere loro alcuna possibilità di riscatto. Fattori socio-culturali ed economico-familiare diventano per questi giovani, figli di emigrati, le ipoteche del presente e le zavorre del futuro. Delusi, nel gruppo, imparano a sopravvivere socio-relazionalmente, si inventano un ruolo, si accettano reciprocamente. In determinati gruppi, infatti, esistono valori e norme che delineano una sub-cultura e che consentono di soddisfare quel bisogno di riconoscimento che tanti giovani delle classi meno ambienti, a scuola, vedono disatteso. I sobborghi delle underclass diventano, poco alla volta, i vivai della microcriminalità.
LE “PREOCCUPAZIONI FOCALI” • Walter Miller descrive i valori dei delinquentboys come una sorta di preoccupazioni focali: modelli mentali, punti di vista considerati imprescindibili e verso cui tendere costantemente che danno luogo a particolari comportamenti. • La molestia, ovvero il “provocare guai”, che designa l’attitudine a violare la legge o ad essere un “problema” per gli altri. • La durezza, che consiste nel machismo, cioè nell’essere temerari, intrepidi dando prova di destrezza fisica e di forza. • La furberia, che include il vivere alle spalle degli altri e il fregare le persone che ci circondano. • L’eccitamento, che sottintende il vivere per il brivido, il darsi ad azioni spericolate. • La sorte o la fortuna che favorisce (o non favorisce) le proprie imprese criminali a prescindere dalla bontà del fine. • L’autonomia, che indica il rifiuto di ogni tipo di autorità.
LA RISPOSTA DEI CORNER BOYS A giudizio di Albert Cohen solo un numero esiguo di ragazzi delle classi subalterne si impegnerà in un percorso scolastico volto al successo facendo proprio lo schema di valori tradizionali dei college boys. Per molti altri la prova dell’esperienza scolastica fallisce e i corner boyspur ponendosi sporadicamente in conflitto con le classi dominanti, si attestano in una sorta di passività parallela. • Nell’impossibilità di superare il sentimento di frustrazione generato dalle esperienze scolastiche, i delinquentboys ne rifiuteranno le stesse regole, sviluppando forme di adattamento extra-scolastiche fra coetanei. Le regole che verranno condivise nel gruppo dei pari darà luogo ad una vera e propria subcultura criminale.
IL POLISH PEASANT IN EUROPE AND AMERICA • L’uso dei documenti personali nella ricerca sociologica fu introdotto per la prima volta fra il 1918 e il 1920 da Thomas e Znaniecki con la pubblicazione del PolishPeasant. I documenti umani: lettere e life-stories furono considerati per la prima volta un materiale attendibile e dei resoconti veritieri. • In esso erano contenute più di ottomila lettere che le famiglie degli emigrati polacchi si scambiavano con i propri cari e una raccolta di storie di vita, fra le quali quella di Wladek, di circa 150 pagine (delle iniziali 300). Il significato profondo delle trasformazioni sociali che stavano avvenendo in Europa e in America poteva essere compreso solo a partire dalle esperienze che costituiscono la realtà sociale. La sociologia non può ridursi ad un sistema teorico non verificato sul campo di armchairsociologists.
IL VALORE DEI MATERIALI AUTOBIOGRAFICI • I materiali biografici sono, a giudizio degli autori, la base per ogni verifica induttiva, e l'autobiografia è lo strumento di gran lunga migliore per un'elaborazione esplorativa della realtà: • Noi siamo certi di essere nel vero quando affermiamo che i resoconti autobiografici costituiscono il tipo perfetto di materiale biografico, e che se le scienze sociali debbono far uso di altri materiali, è semplicemente a causa della difficoltà di ottenere documenti in quantità sufficiente a coprire la totalità dei problemi sociologici e dell'enorme quantità di lavoro occorrente per un'analisi completa di tutto il materiale personale necessario a caratterizzare la vita di un gruppo sociale. Il fatto che noi siamo costretti ad usare come materiale fenomeni di massa, o avvenimenti di ogni tipo, presi senza tener conto della storia della vita di coloro che vi partecipano, costituisce un difetto, non un vantaggio, dei metodi sociologici attuali[Thomas-Znaniecki: II 556].
IL METODO INDUTTIVO • L'autobiografia di Wladek oltre ad essere il primo esempio, nella scrittura sociologica, di life-stories, è un documento che permette agli autori che di superare il metodo comparativo in uso a quel tempo in ambito sociologico, per utilizzare un metodoinduttivo. • Il racconto di Wladek, immigrato a Chicago da due anni, inizia a sei anni con le prime esperienze scolastiche e copre circa ventitré anni, fino alla nascita del suo primo figlio. Esso non è semplicemente una raccolta di ricordi del passato e non è solo una finzione. L'autobiografia occupa uno spazio epistemologico intermedio tra la storia e la letteratura poiché, come la prima, è pregna del debito verso un passato "realmente accaduto" e, come la seconda, ha la facoltà di ricorrere alle tecniche letterarie
LA STORIA DI WLADEK • <Il mio villaggio natio era Lubotyn> - così inizia la life-story - <nella provincia di Kalisz. Questa località può dirsi senza discussione un bel paesaggio. Il villaggio in sé non ha niente di attraente. Era composto di dieci case, disposte in modo abbastanza decente per un villaggio così piccolo. C'era una chiesa in mattoni vecchio stile in cima a una collina, e più lontano verso est c'era la casa del prete> [Thomas-Znaniecki, 1968: 589]. L'incipit letterario nella descrizione dell'io narrante è il segno del tentativo di armonizzare sogno e realtà. L'individualismo e il protagonismo di Wladek è altissimo. Egli è un prodigio in erba: va a scuola sapendo leggere già in ben due lingue. <Inizio la descrizione di me stesso con il primo giorno in cui andai a scuola...già conoscevo bene l'alfabeto polacco e russo...il maestro mi diede un libro, prima uno polacco, poi uno russo; sapevo leggere bene, così lui mi batté affettuosamente sulla testa e mi disse di sedere nel primo banco...Il maestro parlò per un pò con mio padre, poi si separarono e iniziarono i miei studi> [ibidem: 591]. Per inciso, il desiderio di istruzione è il segno nel giovane polacco di un superamento del sistema di valori tradizionali, in favore di un processo di differenziazione sociale. L'importanza che egli vi attribuisce si inscrive in un nuovo sistema di valori che lo porterà ad allontanarsi dalla famiglia.
LA STORIA DI WLADEK • L'apprendistato di Wladek come barbiere è la prima di una lunga serie di esperienze non edificanti. Wladek farà il barbiere, il cameriere presso un chirurgo, poi, scontento, il panettiere, continuando a girare da un padrone all'altro, da un villaggio all'altro. Si reca in Prussia come bracciante agricolo e ritorna in Polonia come guardia forestale prima di emigrare in America. • Il desiderio paterno di ingrandire, il patrimonio come tipico desiderio di una famiglia in ascesa, spinge in alto le aspirazioni di Wladek, senza che tuttavia gli fossero stati offerti gli strumenti per riuscirvi. Unisce a ciò un certo risentimento per non essere stato amato, oltre che curato, abbastanza: <I nostri genitori non ci amavano tutti ugualmente e così i regali non erano uguali>. Il fratello maggiore Alesky viene assunto come segretario comunale in un villaggio vicino e la famiglia decide di far studiare il secondo come maestro elementare a prezzo di grandi sacrifici. Allo stesso modo erano contenti di sbarazzarsi di Wladek <...ed erano anche contenti che io guadagnassi abbastanza per vestirmi>. L'emigrare diventa allora per il protagonista un modo non per tentare di risolvere i conflitti, ma di rimuoverli.
LA STORIA DI WLADEK • L'epilogo è quindi di una sconfortante malinconia. A due anni dal suo arrivo a Chicago, malgrado le belle illusioni che lo avevano per lungo tempo sorretto, Wladek è costretto a fare un bilancio negativo della sua vita e della sua esperienza americana: <Sarebbe davvero meglio se fossi morto molto tempo fa, perché non ho speranza di trovare lavoro a causa della terribile guerra europea...Non posso nemmeno fare una passeggiata con mia moglie, perché ella non ha nemmeno le scarpe da mettersi ai piedi, ma porta le mie vecchie scarpe. E deve sopportare tutto questo per colpa mia, perché sono stato io a condurla a questo...Così ho migliorato la mia sorte in America, che i nostri immigranti adorano> [Ibidem: 814-815]. • In conclusione, la fatica compositiva del giovane polacco rappresenta nella storia della sociologia il primo tentativo non solo di life-story, ma di "partecipazione dal basso", uno sforzo di autoconoscenza da parte di classi sociali che generalmente venivano osservate in provetta dagli scienziati sociali: <...un tentativo grandioso di avviare un processo di rigorosa autoanalisi e di ricomposizione di una cultura specifica da parte degli strati meno privilegiati della società polacca>
LA SCUOLA DI CHICAGO • I metodi e gli strumenti di cui la scuola di Chicago si avvalse furono empirici e qualitativi: andavano dall’osservazione partecipante alle storie di vita (o case study) e alle tecniche dello studio ecologico (cioè studio di aggregati umani). • L’osservazionepartecipante è stata teorizzata da BronislawMalinowski prima ancora dell’inizio degli anni ‘20 ed è una straordinaria elaborazione delle tecniche di ricerca adottate dalla scuola di sociologia di Chicago. Nel 1915 Robert EzraPark scriveva che per comprendere la società degli immigrati italiani in the USA bisognava affittare una casa a Little Italy o nel North Side e vivere con loro. Attraverso l’’osservazione e la comparazione delle peculiarità interne delle zone della città di Chigago fu possibile rintracciare i seguenti “indicatori di devianza”: • a. la vicinanza dal centro, b. il grado di eterogeneità, c.gli elementi di degrado socio-ambientale, fra i quali il coefficiente di correlazione fra delinquenti con famiglia a carico dell’assistenza pubblica e l’alta presenza di edifici inabitabili.
IL VAGABONDO • Nehl Anderson, prima di divenire uno dei principali esponenti della Scuola di Chicago era stato un vagabondo. Descrisse pertanto de visu la vita dei senza-dimora. L’habitat dell’“uomo senza casa” è come un’isola posta all’interno di una più ampia comunità dalla quale è circondata ma alla quale essa rimane estranea.«Ogni grande città ha un distretto in cui gravita la gente senza casa», scriveva in Hobo(1923). Tale distretto è il rifugio in cui trascorrere la notte ma anche il posto in cui stazionare in attesa di intraprendere un viaggio o in cui lasciare passare le intere giornate conversando con i propri casuali compagni. Chiamò hobohémiail modo di vivere «di decine di migliaia di uomini senza casa, per non dire senza speranza», e con il termine “giungla” indicò il luogo dove il pivello impara a comportarsi da veterano.
LE REGOLE DEL VAGABONDO • Anderson formulò il concetto di organizzazione differenziale, sottolineando come le comunità hobo disponessero di una “diversa” organizzazione sociale. • Le norme che regolano la vita degli homeless mennelle giungle e, con esse, i comportamenti che sono considerati devianti e che danno luogo ai reati della giungla sono: 1. accendere fuochi durante la notte nelle giungle esposte a incursioni della polizia; 2. derubare o rapinare di notte gente che dorme nelle giungle; 3. chiedere cibo o fare della giungla un ritrovo abituale per avvoltoi che vivono dei resti dei pasti; 4. sprecare il cibo o distruggerlo dopo i pasti; 5. lasciare pentole o altri utensili sporchi dopo l’uso; 6. cucinare senza aver prima acceso bene il fuoco; 7. rovinare l’attrezzatura della giungla. Oltre a questi reati ben determinati, ve ne sono altri dei quali ci si occupa quando vengono commessi.
LE REGOLE DEL VAGABONDO • Anderson equipara le giungle a delle vere e proprie scuole di disciplina in cui «la libertà è comunque limitata da un codice di comportamento (…) e in cui trovano formulazione e luogo di trasmissione la tradizione e la legge dell’hobo: esse sono la culla del sapere girovago». Pertanto, «non si deve sottovalutare il ruolo svolto dalle giungle come strumento di disciplina per gli uomini della strada. Qui sono trasmesse tradizioni e leggi dell’hobo. Le giungle sono il vivaio delle tradizioni del vagabondo». La penuria di vincoli sociali non è quindi la prova dell’assenza di un codice morale. • Il merito della ricerca di Anderson è a tutt’oggi fornito dalla sua capacità di rappresentare un mondo - quello dei senza casa – che, se pure chiuso al suo interno, non può considerarsi né disorganizzato né amorale.
THE GOLD COAST and THE SLUM • In The GoldCoast and the Slum (1929), Harvey Zorbaugh mette in risalto la diversità e la pluralità di aree presenti nella grande città e di codici comportamentali che rendevano del tutto disomogenea e frammentata la città di Chicago. Fra le aree del Lower North Side della città egli distingue: • 1. la goldCoast, che era abitata dalle 400 famiglie più ima “alta società”, che partecipava alle prime, iscriveva i figli nelle stesse scuole, che faceva beneficenza e si assentava da Chicago per una buona parte dell’anno. «Formano un gruppo che ha piena consapevolezza di sé (…). Vivono in un mondo totalmente diverso da quello degli altri abitanti della città di cui fanno parte. All’interno di questo mondo conducono una vita ricca di attività caleidoscopiche, che ruotano intorno agli alberghi eleganti lungo il Drive, ai passatempi alla moda, alle istituzioni caritatevoli preferite, al golf club, alle piste per cavalli, per non parlare dei tavoli di bridge e delle mense imbandite, con puntate occasionali a La Salle Street. E sono gelosi dei privilegi di questo ambiente».
THE GOLD COAST and THE SLUM • L’impegno costante della loro esistenza era primeggiare nel gioco della vita, nella partita sociale. • La «partita sociale» consiste in una competizione continua tra gli «arrivati» per guadagnare posizioni di eccellenza e superiorità; e in una continua lotta da parte di quelli che non sono «arrivati» per irrompere nella cerchia di quelli che lo sono. Forse un criterio abbastanza valido per avere un’idea della posizione sociale, che è lo scopo della «partita sociale», è il Social Register, un libricino blu che si può avere solo se si ha il proprio nome iscritto là dentro, e che contiene un elenco completo delle persone di Chicago riconosciute sul piano sociale, con le rispettive indicazioni riguardanti le università, i circoli, i matrimoni, le parentele e le morti. Per avere il proprio nome nel Social Register,bisogna farne richiesta ed essere irreprensibili. I loro comportamenti erano fortemente sorvegliati dagli stessi membri del gruppo sociale a cui si vantavano di appartenere che, poco alla volta, attraverso severissimi meccanismi di cooptazione, consentiva l’accesso solo a coloro che avevano saputo distinguersi nella cosiddetta “partita sociale”, e che avevano saputo adeguarsi e sottoporsi alle regole della «buona società».
THE GOLD COAST and THE SLUM • Le aree successive erano di fatto sub-aree di un unico slum. • Lo slum del Near North Side si divide in due parti: una zona di case con camere economiche in affitto lungo le vie Clark e Wells e quelle a sud di Chicago Avenue, e una zona di appartamenti in affitto da Wells Street verso ovest. Quest’ultima è il mondo delle lingue e delle culture straniere; la prima è una giungla di rottami umani. • Le case con camere in affitto sono piene di gente fallita: la famiglia disgregata, quella che vive in affitto in una camera ammobiliata, quella abbandonata e senza legami. Una delle loro caratteristiche più impressionanti è la desolante povertà. Sono piene di derelitti, di tutti i tipi di persone bizzarre e disadattate. Le stanze squallide ospitano lavoratori senza famiglia, operai, camerieri, migranti, hobos. Al suo interno delinquenti e bohémien trovano rifugio dal mondo comune.
L’INQUILINO DELLE CAMERE AMOBILIATE • L’inquilino delle case ammobiliate esemplificava il pathos della vita urbana, era un “nadir”, un paria della vita civile. La camera ammobiliata è lo spazio fisico delle relazioni anonime in cui ciascuno va e viene come vuole, ma in cui si può anche morire senza produrre alcuna impressione su coloro che vivono nello stesso “ambiente”. • Il pregio fondamentale del lavoro di Zorbaugh è di avere focalizzato l’attenzione generale verso un micro-contesto, quello delle camere ammobiliate, disumano per definizione, che ci riporta alla provvisorietà, alla contingenza alla precarietà esistenziale dei non radicati e, talvolta, dei disperati della società di massa. Primi fra questi, i folli, verso i quali Zorbaugh vorrebbe «stendere una mano». E inoltre, le donne, vecchie e nubili, hanno una particolare rilevanza nella sua osservazione: donne che «consumavano il pasto a una tavola appartata, sedevano da sole lavorando a maglia vestendo abiti logori e indecorosi, i volti consumati dagli affanni e le mani logorate dalla fatica. Dovevo conoscere più tardi alcune delle tragedie che le loro labbra mute nascondevano».
The Taxi-Dance Hall di Cressey • Cressey svolse un’indagine sul fenomeno della prostituzione nascosta all’interno di un circuito organizzato di locali da ballo, dove «la compagnia femminile è in vendita, e a un giusto prezzo». Il locale preso in osservazione era stato all’origine sia una scuola di danza che una normale sala da ballo. Il proprietario, un greco-americano, aveva constatato che alcuni clienti che non avevano ormai nulla da imparare, e che avevano un aspetto poco attraente, erano disposti a pagare le loro insegnanti per poter continuare a ballare. • La soluzione fu quella di trovare delle ragazze disposte a ballare. Il prezzo fu di dieci centesimi a ballo. I clienti acquistavano dei biglietti che davano via via alla ragazza prescelta ad ogni ballo. Le sale da ballo, a partire da questo espediente, che rendeva possibile il contatto fugace fra estranei che in altre situazioni si sarebbero probabilmente ignorati, divennero i “luoghi dell’isolamento morale”.
The Taxi-Dance Hall di Cressey • Per studiare l’universo delle sale da ballo, Cressey utilizzò la tecnica dell’osservazione partecipante avvalendosi di un numero di collaboratori che si mimetizzarono tra i clienti, e che avevano il compito di rilevare le tipologie di ragazze presenti, degli avventori e delle modalità di interazione. • Le ragazze, dai 15 ai 28 anni erano spesso «giovani sventate nella loro prima esplosione di entusiasmo per le emozioni, le soddisfazioni e il denaro che il mondo effimero delle sale da ballo può procurare (…). Nella sala le ballerine non si procurano solo vantaggi economici, ma anche la possibilità di vivere esperienze eccitanti, di fare conquiste, di intrecciare relazioni amorose o amichevoli» [ibidem: 28]. Ad esempio una di loro racconta: • Naturalmente è una vita comoda, non si lavora, al mattino si dorme fino a tardi, si guadagna più che con un lavoro diurno, e così via. Ma non è questo che me la fa amare. C’è qualcosa lì nella sala che mi fa sentire bene. Posso essere di umore triste o nero quando scendo, ma dopo un po’ mi lascio prendere dall’entusiasmo. Non credo che sia la musica. Mi piace stare con la gente e nella sala i ragazzi – specialmente i filippini – mi trattano davvero con gentilezza (Caso n. 12).
The Taxi-Dance Hall di Cressey • Altre erano già più indifferenti ad una valutazione morale delle loro condotte: «sotto la spinta delle esigenze commerciali la ballerina a pagamento, per esempio, finisce molto presto per considerare i clienti, giovani o vecchi, non tanto come fini ma piuttosto come mezzi per il raggiungimento obiettivo, cioè l’acquisizione di un patrimonio personale». Perciò nelle sale da ballo si mette in capo una vera e propria partita del sesso «nella quale vi è una caccia furtiva dell’altro sesso e la donna utilizza apertamente le proprie attrattive sessuali per vincere». • Non vado in sala per fare amicizie. Ci vado per fare soldi. Sono lì solo da un mese ma so già come guadagnare (…). Il problema è solo quello di trarre il maggior vantaggio possibile da quello che hai. Tutto ciò che ho per lavorare è il mio «sex appeal» (Caso n. 15).
The Taxi-Dance Hall di Cressey • La maggior parte delle ballerine, di origine polacca, assumeva un nome d’arte. Contrariamente ad ogni altra carriera, la loro aveva un movimento discendente. Dalle taxi-dance hall a sale da ballo meno competitive frequentate da asiatici, ai cabaret della BlackBelt di Chicago, alla prostituzione in un quartiere nero. • I clienti erano i più disparati: dalle pecore nere delle famiglie borghesi agli uomini d’affari stranieri, dai lavoratori, ai vagabondi di ogni nazionalità. Gli asiatici e i filippini, fra i gruppi sociali più discriminati a Chicago, costituivano circa un quinto dei clienti. • Le modalità di interazione permettevano di intrattenersi con una compagnia femminile mentre si era di passaggio per degli scapoli di mezza età, per i quali delle relazioni “bene intenzionate” risultavano molto più noiose. • Le sale da ballo rappresentavano l’occasione di evitare di sottostare ai codici convenzionali che regolavano i rapporti uomo-donna senza temere per ciò stesso di essere rifiutati. Inoltre, esse rappresentavano un’occasione di frequentare delle donne per gruppi etnici in cui le medesime erano tenute sotto stretta sorveglianza familiare. La taxi-dance hallcostituiva un ambiente morale quasi separato dagli altri contesti urbani, in cui ballerine e prostitute erano parti di in un continuum esistenziale.