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La mancata realizzazione del pluralismo Prima parte. Maria Romana Allegri - a. a. 2009-2010 Lezioni di diritto dell’informazione. Il sistema radiotelevisivo. Dall’epoca fascista all’avvento della televisione. La radiofonia nel periodo liberale
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La mancata realizzazione del pluralismo Prima parte Maria Romana Allegri - a. a. 2009-2010 Lezioni di diritto dell’informazione Il sistema radiotelevisivo
La radiofonia nel periodo liberale L. 395/1910: riserva allo Stato degli impianti radiotelegrafici e radioelettrici, concessioni per le attività di radiodiffusione, commissione consultiva presso il Governo per la regolamentazione della gestione del nuovo mezzo. R. d. 227/1912: disciplina del rapporto concessorio e rilascio delle prime due concessioni a due società private (Radiofono e Società italiana radioaudizioni circolari). Concessione = atto cui cui la P. A. attribuisce a privati diritti speciali di usare beni pubblici o di gestire sevizi pubblici o di eseguire opere pubbliche. La P. A. può evocare la concessione in qualsiasi momento se l’interesse pubblico lo richiede.
La radiofonia durante il regime fascista R.d.l. 655/1924 (l. 473/1925) e r. d. 291/1924: concessione in esclusiva all’Unione radiofonica italiana (URI) per 6 anni,che prevedeva la necessità di un visto governativo sui programmi radiodiffusi (controllo politico). R.d.l. 2207/1927 (l. 1350/1929): l’Uri diventa EIAR (ente italiano per le audizioni radiofoniche), ente con partecipazioni azionarie da parte dello Stato ricondotta nell’ambito dell’IRI. Rafforzato il controllo dell’esecutivo sulla gestione del servizio radiofonico, attraverso un apposito comitato di vigilanza presso il Ministero delle comunicazioni. R.d. 2526/1927: concessione venticinquennale all’Eiar, sottoposta al controllo del governo (nomina di 4 membri del CdA, approvazione del bilancio e del piano annuale delle trasmissioni). 1935: controllo governativo ancora più incisivo attraverso l’istituzione di un apposito ispettorato per la radiodiffusione. R. d. 645/1936: varato il Codice postale, che prevedeva la riserva allo Stato dei servizi di radio- e telecomunicazione con concessione in esclusiva ad una società a prevalente capitale pubblico.
La radiofonia nell’immediato dopoguerra Resta in vigore il modello delineato dal Codice postale del 1936. D.l. del capo provvisorio dello Stato 478/1947: • il controllo sulla società concessionaria spetta al Ministero per le poste e telecomunicazioni (approvazione statuto, controllo contabile, nomina Presidente e amministratore delegato, approvazione piano triennale di programmazione), con apposito comitato che dava direttive di massima sul contenuto dei programmi; • istituzione di una Commissione parlamentare di vigilanza per assicurare imparzialità politica e obiettività dell’informazione.
Nasce la RAI (d. P. R. n. 180/1952) RAI-Radiotelevisione italiana = società per azioni a totale partecipazione pubblica pubblica (IRI), concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo. CdA composto da 6 membri + Presidente e amministratore delegato, tutti i nomina governativa. Piano triennale dei programmi sottoposto obbligatoriamente ad autorizzazione ministeriale e modificabile dal ministro per ragioni di ordine pubblico. Entrate derivanti in parte dal canone e in parte dalla pubblicità (5% delle ore di trasmissione complessive). Questo assetto è rimasto immutato fino all’approvazione della prima legge organica di settore (l. 103/1975).
Che cos’è il canone di abbonamento RAI? E’ stato introdotto nel 1938 attraverso il r.d.l. n. 246 ed è una imposta sulla detenzione di uno o più “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni”. La Corte costituzionale in tre diverse sentenze (81/1963, 535/1988 e 284/2002) ha sostenuto la natura tributaria e non contrattualistica del canone. Quindi, esso deve essere pagato indipendentemente dall'uso del televisore o dalla ricezione o scelta delle emittenti televisive. Esistono due tipi di canone: quello per uso ordinario (apparecchi in ambito familiare) e quello speciale (apparecchi in locali aperti al pubblico o comunque al di fuori dall'ambito familiare). Nel caso dell'abbonamento per uso privato, il canone è unico e copre tutti gli apparecchi posseduti o detenuti dal titolare nella propria residenza o in abitazioni secondarie, o da altri membri del nucleo familiare risultante dallo stato di famiglia. Con l. n. 449/1997 è stato stabilito l'esonero dall'obbligo di corrispondere il canone per i detentori di apparecchi radiofonici collocati presso abitazioni private. Il canone non è dovuto nemmeno per altri tipi di apparecchi capaci di ricevere segnali audiovisivi (videofonini, computers, videocitofoni, etc.).
3 gennaio 1954 La RAI inizia le trasmissioni televisive Si accelera il dibattito sulla compatibilità del regime pubblicistico della radiodiffusione con i principi costituzionali. Paradossalmente, i frequenti moniti della Corte costituzionale sono rimasti a lungo e largamente inascoltati. La prima legge organica sul servizio radiotelevisivo è stata approvata infatti solo nel 1975, dopo 15 anni di sentenze della Corte.
Il pluralismo Fin dalle prime sentenze, la Corte costituzionale ha sottolineato come il valore più importante in materia di sistema radiotelevisivo, e di mezzi di comunicazione di massa in generale, fosse il principio pluralistico. Esso si desume dalla lettura dell’art. 21 Cost. (libera manifestazione del pensiero), dell’art. 41 Cost. (libertà di iniziativa economica, purché non in contrasto con l’utilità sociale) e dell’art. 43 Cost. (a fini di utilità sociale, riserva allo Stato di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale). PLURALISMO ESTERNO = consiste nell’offrire ai cittadini una concreta possibilità di scelta fra molteplici fonti informative, espressione di tendenze eterogenee. Da questo deriva la disciplina antitrust. PLURALISMO INTERNO = obbligo per il servizio pubblico di dar voce a tutte le opinioni, tendenze, correnti di pensiero presenti nella società (par condicio).
Corte costituzionale, sentenza n. 59/1960 Alla società “Il tempo TV” veniva negata l’autorizzazione ad avviare un servizio di telediffusione privato in tre regioni. La società ricorre in giudizio e impugna la decisione del Consiglio di Stato. In questa sentenza di fondamentale importanza la Corte, interrogata sulla legittimità della riserva allo Stato del servizio di radio- e telediffusione (art. 1 codice postale 1936) sia rispetto agli artt. 41 e 43 Cost. sia rispetto agli artt. 21 e 33 Cost., rigetta la questione di incostituzionalità. (Vedi le motivazioni nelle slides seguenti)
... rispetto agli artt. 41 e 43 Cost.: «... data la attuale limitatezza di fatto dei "canali" utilizzabili, la televisione a mezzo di onde radioelettriche (radiotelevisione) si caratterizza indubbiamente come una attività predestinata, in regime di libera iniziativa, quanto meno all'oligopolio: oligopolio totale od oligopolio locale, a seconda che i servizi vengano realizzati su scala nazionale o su scala locale. Collocandosi così tra le categorie di "imprese" che si riferiscono a "situazioni di monopolio", nel senso in cui ne parla l'art. 43 Cost., per ciò solo essa rientra tra quelle che - sempre che non vi ostino altri precetti costituzionali - l'articolo stesso consente di sottrarre alla libera iniziativa. Né appare arbitrario che il legislatore ravvisi nella diffusione radiotelevisiva i caratteri di attività "di preminente interesse generale", richiesti dall'art. 43 perché ne sia consentita la sottrazione alla libera iniziativa. È fuori discussione, infatti, l'altissima importanza che, nell'attuale fase della nostra civiltà, gli interessi che la televisione tende a soddisfare (informazione, cultura, svago) assumono - e su vastissima scala - non solo per i singoli componenti del corpo sociale, ma anche per questo nella sua unità». (segue...)
... rispetto agli artt. 41 e 43 Cost. (segue): «Siccome, poi, a causa della limitatezza dei "canali" utilizzabili, i servizi radiotelevisivi, se non fossero riservati allo Stato o a un ente statale ad hoc, cadrebbero naturalmente nella disponibilità di uno o di pochi soggetti, prevedibilmente mossi da interessi particolari, non può considerarsi arbitrario neanche il riconoscimento della esistenza di ragioni "di utilità generale" idonee a giustificare, ai sensi dell'art. 43, l'avocazione, in esclusiva, dei servizi allo Stato, dato che questo, istituzionalmente, è in grado di esercitarli in più favorevoli condizioni di obbiettività, di imparzialità, di completezza e di continuità in tutto il territorio nazionale. Ritiene, pertanto, la Corte che la riserva allo Stato dei servizi di radiotelevisione, e la conseguente possibilità di affidamento di essi in concessione, non contrastano col sistema degli artt. 41 e 43 della Costituzione».
... rispetto agli artt. 21 e 33 Cost. : «... siccome l'illegittimità denunciata consiste nella lesione non tanto della libertà di concepire e di manifestare le idee e le varie espressioni della scienza e dell'arte, quanto della libertà di avvalersi di ogni possibile mezzo per diffonderle, la norma costituzionale alla quale bisogna essenzialmente por mente è quella del primo comma dell'art. 21 ... [...] È vero che il primo comma dell'art. 21 riconosce a tutti la possibilità di diffondere il pensiero (e naturalmente non il solo pensiero originale di chi lo manifesta) con qualsiasi mezzo. Ma già si è visto che, per ragioni inerenti alla limitatezza di questo particolare mezzo, è escluso che chiunque lo desideri, e ne abbia la capacità finanziaria, sia senz'altro in grado di esercitare servizi di radiotelevisione: in regime di libertà di iniziativa, questi non potrebbero essere che privilegio di pochi. [...]» (segue ...)
... rispetto agli artt. 21 e 33 Cost. (segue): «... rispetto a qualsiasi altro soggetto monopolista, lo Stato monopolista si trova istituzionalmente nelle condizioni di obbiettività e imparzialità più favorevoli per conseguire il superamento delle difficoltà frapposte dalla naturale limitatezza del mezzo alla realizzazione del precetto costituzionale volto ad assicurare ai singoli la possibilità di diffondere il pensiero con qualsiasi mezzo. [...] Donde l'esigenza di leggi destinate a disciplinare tale possibilità potenziale e ad assicurare adeguate garanzie di imparzialità nel vaglio delle istanze di ammissione all'utilizzazione del servizio ...»
Corte costituzionale, sentenza n. 46/1961 La Provincia di Bolzano rivendicava la possibilità di provvedere alla predisposizione dei programmi per le trasmissioni radio e televisive delle stazioni locali, considerando l’indubbia valenza culturale del mezzo televisivo e le disposizioni statutarie relative alla salvaguardia del carattere etnico e dello sviluppo culturale del gruppo di lingua tedesca. La pretesa si rivolgeva non all'istituzione di nuove stazioni radiotrasmittenti, bensì solo all'uso di quella locale appartenente allo Stato, senza disconoscere, ed anzi ammettendo, la legittimità del monopolio degli impianti tecnici da parte di questo. La Corte ha respinto questa pretesa, sostenendo che «l'art. 21 non risulta violato per effetto della riserva a favore dello Stato [... ] nella considerazione che il diritto di cui all'art. 21, non implica sempre e necessariamente la pretesa alla disponibilità del mezzo di diffusione del pensiero, e che anzi, allorché (come si verifica per gli impianti relativi ai detti servizi) la naturale limitatezza del mezzo stesso consenta solo a pochi tale disponibilità, l'accordare allo Stato la esclusività del medesimo, lungi dal contrastare alle esigenze che l'art. 21 ha voluto tutelare, ne rende più agevole la soddisfazione, dato che lo Stato, per la posizione in cui istituzionalmente si trova, può meglio che ogni altro soggetto assicurare l'accesso di tutti gli interessati, in condizione di obiettività e di imparzialità, al detto mezzo di comunicazione».
Corte costituzionale, sentenza n. 81/1963 Il quesito riguardava la legittimità costituzionale delle norme che sanzionavano penalmente, anziché civilmente, l'omissione del pagamento dell'abbonamento alle radioaudizioni. La Corte ha ritenuto che, essendo la RAI una società privata esercitante un servizio pubblico di interesse generale in regime concessione, era giusto che il suo rapporto con i radioutenti fosse regolato da principi pubblicistici. Per questo giustamente alla riscossione del "canone di abbonamento" si applicava la procedura e i privilegi previsti per la riscossione dei tributi statali. «... il legislatore ha concepito i rapporti fra concessionario ed utente privato in termini giuspubblicistici per gli evidenti motivi di utilità generale del servizio ...»
Corte costituzionale, sentenza n. 58/1964 (sempre in tema di legittimità del canone RAI) «... ritiene la Corte che non possa sostenersi che contrasti col disposto dell'art. 43 della Costituzione l'affidamento in concessione ad una società privata del servizio delle radiotelevisioni. [...] La facoltà concessa al legislatore di riservare direttamente o trasferire allo Stato, agli enti pubblici o alle collettività di utenti o lavoratori le imprese nell'art. 43 indicate, rispecchia la preoccupazione del Costituente di garantire uno strumento idoneo a porre le attività economiche in parola sotto il controllo dello Stato o di enti pubblici allo scopo di evitare quegli inconvenienti e di ottenere i risultati di carattere economico e sociale che lo Stato democratico si prefigge. [...] La concessione amministrativa consente il raggiungimento di fini di interesse generale collegati all'esercizio dei servizi pubblici, attraverso un'attività svolta da un privato e non direttamente dallo Stato o dall'ente pubblico titolare del servizio, in vista del fatto che la gestione in concessione può presentarsi, in alcuni casi, più favorevole, in quanto permette una maggiore snellezza nell'espletamento del servizio, libera lo Stato o l'ente pubblico dall'onere dell'esercizio, e ciò specialmente quando trattisi di attività tecnicamente complesse, che richiedano forti spese di impianto e notevole impegno di gestione».
Con d.p.r. n. 156/1973 viene varato il nuovo Codice postale (Testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), in sostituzione di quello del 1936, che tiene conto degli sviluppi tecnologici nel settore delle telecomunicazioni e della radio- e telediffusione. Il T. U. unifica nella sola voce "telecomunicazioni" tutti i mezzi di comunicazione a distanza che nel precedente testo unico del 1936 erano specificamente elencati in mezzi telegrafici, telefonici, radioelettrici ed ottici.
Il dibattito parlamentare sul sistema radiotelevisivo ha subito una notevole accelerazione solo dopo le due “storiche” sentenze della Corte costituzionale n. 225 e 226 del 1974, con le quali: • viene dichiarata costituzionalmente illegittima la riserva allo Stato dell’attività di ritrasmissione di programmi di emittenti esteri e se ne ammette l’esercizio anche da parte di soggetti privati (sent. 225); • viene dichiarata costituzionalmente illegittima la riserva statale nel settore della radiotelevisione via cavo a livello locale (fatta salva la riserva a livello nazionale) e se ne consente l’esercizio a livello locale anche ai privati (sent. 226). (Vedi motivazioni nelle slides successive)
Corte costituzionale, sentenza n. 225/1974 Nel corso di vari procedimenti penali riguardanti la detenzione non denunziata e l'uso privato di apparecchi radio ricetrasmittenti, senza averne ottenuto preventivamente la prescritta concessione, è stata sollevata la questione della legittimità della riserva allo Stato dei servizi di telecomunicazione. La Corte ha stabilito che «le ragioni inerenti alla limitatezza del mezzo devono dirsi venute meno con il notevole diffondersi, anche a seguito della sentenza n. 39 del 1963 di questa Corte, del fenomeno dei radiotelefoni portatili, certamente non destinate a dar luogo ad una situazione di oligopolio». (segue ...)
(... segue) Inoltre, «sanzionando penalmente anche l'istallazione e l'esercizio d'impianti idonei alla sola ricezione e diffusione di programmi televisivi esteri, s'impone al cittadino di attingere le proprie notizie unicamente dai servizi radiotelevisivi nazionali, attualmente affidati in regime di monopolio alla RAI-TV, precludendogli la possibilità di accedere ad altre non irrilevanti fonti di informazione e selezionare, in base alle proprie personali opzioni, le fonti medesime». «L'istallazione e l'esercizio di impianti del tipo in esame non sono, infatti, certamente tali da originare situazioni di monopolio o di oligopolio, ove si consideri che essi sono alla portata di semplici commercianti di materiali radiotecnici, e che, soprattutto, sono volti non già a consentire a pochi privilegiati di manifestare il proprio pensiero quanto, invece, a permettere alla generalità di accedere agevolmente ad una pluralità di fonti d'informazione. Né l'esercizio degli impianti in parola può essere riguardato come servizio pubblico essenziale od attività di preminente interesse generale ...».
Corte costituzionale, sentenza n. 226/1974 La questione ha origine dal procedimento penale a carico di Giuseppe Sacchi, che aveva installato a Biella un impianto di televisione via cavo senza avere ottenuto la concessione ministeriale. La Corte sottolinea che la differenza pratica di maggior rilievo ai fini del giudizio, fra televisione via cavo e televisione via etere, è data dalla limitatezza dei canali realizzabili via etere e dall'illimitatezza dei canali realizzabili via cavo. Comunque, «il costo di un impianto di televisione via cavo, il quale comprenda l'intero territorio nazionale o comunque la massima parte di esso, potrebbe essere talmente elevato da dare luogo a gravi pericoli d'insorgenza di situazioni monopolistiche od oligopolistiche qualora la sua realizzazione non resti riservata allo Stato ma sia intrapresa da privati. Pertanto le stesse ragioni che in via di principio giustificano il monopolio statale della radiotelevisione via etere giustificano la riserva allo Stato degli analoghi servizi via cavo quando questi assumono le dimensioni innanzi indicate». (segue ...)
... segue: Invece, «gli impianti di televisione via cavo a carattere locale non hanno, entro certi limiti, un costo non sostenibile da singole imprese» e quindi non sussiste tale pericolo. Inoltre, «va rilevata, limitatamente all'installazione e all'esercizio di reti locali di televisione via cavo, la carenza di quei fini di utilità generale che potrebbero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, legittimarne a norma dell'art. 43 della Costituzione la riserva allo Stato» e anzi il proliferare di TV locali via cavo attuerebbe più largamente la libertà di manifestazione del pensiero.
e la conseguente giurisprudenza costituzionale La prima legge di sistema (n. 103/1975)
La legge di riforma n. 103/1975 Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva • La radio- e telediffusione, attuata con qualunque mezzo, è un servizio pubblico essenziale di interesse generaleex art. 43 Cost. • La indipendenza, l'obiettività e l'apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione, sono principi fondamentali della disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo. • Si afferma la riserva allo Stato del servizio pubblico radiotelevisivo. • Eccezioni:1) gestione di impianti ripetitori di programmi stranieri e nazionali e ritrasmissione di programmi; 2) installazione ed esercizio di impianti di trasmissione via cavo a livello locale; 3) filodiffusione.
(segue ..) • Nei suddetti casi, in cui è consentita l’attività privata, è previsto un regime autorizzatorio (ministeriale nel caso 1 e regionale nel caso 2). • Autorizzazione amministrativa = provvedimento attraverso cui si consente una attività privata che è ammessa in linea di principio, ma di cui la legge vieta in concreto l’esercizio senza un apposito permesso. • Va specificato che l’autorizzazione per la trasmissione di programmi via cavo riguardava solo il cavo monocanale (che può veicolare solo un programma), una tecnologia già allora obsoleta ed economicamente sconveniente.
(... segue ...) • Il servizio pubblico radiotelevisivo è affidato ad una società a totale partecipazione pubblica in regime di concessione. • L’atto di concessione avrà validità di 6 anni, rinnovabile per un periodo non superiore, e dovrà prevedere la costruzione di una terza rete televisiva. • Il finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo avviene con il canone e con la pubblicità commerciale (limite agli introiti derivanti dalla pubblicità fissato annualmente dalla Commissione bicamerale e limite orario per la trasmissione di pubblicità pari al 5% del complesso delle trasmissioni). • Ai TG e ai GR si applicano le norme sulla registrazione dei periodici. I loro direttori sono responsabili per la rettifica.
(... segue ...) • Vengono previste norme sul CdA della RAI (vedi slides successive), sulla composizione e sulla Commissione parlamentare bicamerale per gli indirizzi generali e la vigilanza sul servizio pubblico radiotelevisivo (vedi slides successive) e sul diritto d’accesso alle trasmissioni da parte delle forze politiche (vedi apposita lezione sulla comunicazione politica). • Le Regioni possono: • designare rose di candidati tra cui scegliere 4 dei 10 membri del CdA RAI; • istituire Comitati regionali per il servizio radiotelevisivo (Co.re.rat: 9 membri nominati dai Consigli regionali) con compiti di consulenza della Regione in materia radiotelevisiva, orientamento della programmazione Rai destinata alla programmazione regionale, regolamentazione dell’accesso alle trasmissioni regionali.
La Commissione parlamentare bicamerale di indirizzo e vigilanza sul servizio pubblico radiotelevisivo (CPIV) ex l. 103/1975 La CPIV era stata già istituita nel 1947 per assicurare l’indipendenza e l’obiettività informativa delle radiodiffusioni, ma le sue funzioni non erano chiare nel testo normativo. Quindi, il suo ruolo viene rivisto con la legge del 1975. Ciò con l’intento di attuare quanto richiesto dalla sent. Corte cost. 225/1974, cioè il trasferimento delle competenze in materia radiotelevisiva dal governo al parlamento. La CPIV è composta da 20 deputati e 20 senatori nominati dai Presidenti delle Camere su base proporzionale. Secondo la l. 103/1975, nominava 10 membri del CdA RAI. I suoi poteri circa la nomina del CdA RAI sono stati poi modificati con leggi successive.
La CPIV: i poteri di indirizzo Formula gli indirizzi generali per la programmazione radiotelevisiva, in modo da assicurare l’equilibrata distribuzione dei programmi, e controlla il loro rispetto. Approva il piano di programmazione. Indica i criteri generali per i piani di spesa e di investimento della RAI. Formula gli indirizzi generali relativi ai messaggi pubblicitari. Può emanare valutazioni in relazione a numerosi atti del Ministero delle Comunicazioni (competenza acquisita recentemente). In questo modo, si assicura che l’attività della RAI si svolga nel rispetto dei principi fondamentali del sistema radiotelevisivo, indicati nell’art. 1 della l. 103/1975: indipendenza, obiettività e apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione.
La CPIV: i poteri regolamentari Adotta il proprio regolamento interno. Stabilisce le norme per il diritto d’accesso e giudica dei relativi ricorsi (vedi slides successive). Disciplina direttamente le rubriche di tribuna politica, tribuna elettorale, tribuna sindacale e tribuna stampa. Successivamente, con le l. 81 e 515 del 1991 e poi con la l. 28/2000 l’intero settore della propaganda politica è stato disciplinato con legge, quindi la CPIV ha perso in parte le sue competenze. Continua però a stabilire la ripartizione degli spazi radiotelevisivi fra le diverse forze politiche in periodo di campagna elettorale (vedi apposita lezione sulla comunicazione politica). Fissa il limite massimo degli introiti pubblicitari e la quota percentuale massima di affollamento pubblicitario per ciascuna ora di trasmissione.
La CPIV: altre competenze Esprime un parere sull’individuazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, sul contenuto della Convenzione Stato-RAI e sul contratto di servizio. Esprime un parere sui programmi in lingua italiana destinati ad essere trasmessi all’estero per la diffusione e la conoscenza della lingua italiana nel mondo. Analizza il contenuto dei messaggi radiofonici e televisivi, accertando i dati di ascolto e di gradimento dei programmi trasmessi. Può chiedere alla Rai di effettuare indagini e studi, come pure di fornire informazione sulla corretta attuazione degli indirizzi. Riceve dal CdA comunicazioni circa i criteri di scelta dei vicedirettori generali e dei direttori di rete e di testata. Riceve dal CdA una relazione annuale, sui cui discute. Riferisce trimestralmente al Parlamento sulla sua attività.
La RAI e il Parlamento La CPIV non è l’unico organo parlamentare ad avere competenze in materia di servizio pubblico radiotelevisivo. Dal 1993 al 2003 i Presidenti delle Camere hanno avuto il potere di nominare i 5 membri del CdA RAI (vedi slides successive). Essi, inoltre, determinano i criteri da seguire nella programmazione del GR Parlamento, del TG Parlamento e, in generale, di tutte le “dirette parlamentari”. Le varie Commissioni permanenti delle due Camere, poi, sono competente per l’esame di tutte le proposte legislative in materia radiotelevisiva, mentre alle due Assemblee spetta il compito della loro approvazione. Camera e Senato hanno poteri di natura ispettiva (interrogazioni, interpellanze, mozioni) che possono avere come oggetto il CdA RAI. Inoltre esse discutono la relazione annuale della CPIV e anche (raramente) quella della Corte dei Conti relativa alla gestione del bilancio RAI.
Il Consiglio di amministrazione (CdA) RAI ex l. 103/1975 Precedentemente era composto da 6 membri, più Presidente e amministratore delegato, tutti di nomina governativa. La legge del 1975 ne prevede la composizione in 16 membri con mandato triennale, con Presidente (e più vicepresidenti) e Direttore generale eletti al loro interno: - 6 membri eletti dall’assemblea dei soci (poiché l’intero pacchetto azionario era posseduto dall’IRI, essi erano di fatto nominati dal governo); - 10 eletti dalla Commissione parlamentare bicamerale a maggioranza dei 3/5 (4 dei quali scelti sulla base delle indicazioni delle Regioni). La carica di membro di CdA non è compatibile con quella di parlamentare o di consigliere regionale o con appartenenza a società legate alla concessionaria o concorrenti con essa.
(segue ...) Al CdA spetta la gestione della società, salve le materie riservate per legge alla assemblea sociale (cioè all’IRI). Il CdA nomina il Presidente e il Direttore generale della RAI. Il CdA approva trimestralmente, in attuazione del piano annuale di massima approvato dalla commissione parlamentare, lo schema dei programmi da svolgere nel trimestre successivo. Il CdA trasmette alla commissione parlamentare periodiche relazioni sui programmi trasmessi.
Le successive modifiche nella composizione del CdA (anticipazione) Con il d. l. 807/1984, convertito in legge 10/1985 (vedi slides successive), la nomina di tutti e 16 i membri del CdA viene affidata alla CPIV, con voto limitato ai ¾ dei componenti (cioè 12): i primi 12 erano eletti a maggioranza assoluta e i restanti 4 erano scelti fra quelli non eletti, che avevano ottenuto più voti. La legge 223/1990 stabilisce che la loro nomina debba avvenire all’inizio della legislatura, subito dopo la costituzione della CIPV, e che il CdA duri in carica per tutta la durata della legislatura. La legge 206/1993 ha stabilito che il CdA fosse composto da 5 membri nominati (e revocabili) di intesa dai Presidenti delle Camere fra persone di riconosciuto prestigio professionale e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinti in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali. Presidente e Direttore generale nominati dallo stesso CdA. La legge Gasparri e il T. U. sulla radiotelevisione del 2005 prevede una nuova modifica al CdA RAI. Sulla disciplina vigente si vedano le slides successive.
Il diritto di accesso ex l. 103/1975 La RAI deve garantire il diritto d’accesso alle trasmissioni ai partiti ed ai gruppi rappresentati in Parlamento, alle organizzazioni associative delle autonomie locali, ai sindacati nazionali, alle confessioni religiose, ai movimenti politici, agli enti e alle associazioni politiche e culturali, alle associazioni nazionali del movimento cooperativo giuridicamente riconosciute, ai gruppi etnici e linguistici e ad altri gruppi di rilevante interesse sociale che ne facciano richiesta. L’accesso deve essere garantito per tempi non inferiori al 5% del totale delle ore di programmazione televisiva e al 3% del totale delle ore di programmazione radiofonica, distintamente per la diffusione nazionale e per quella regionale. Una sottocommissione permanente per l’accesso istituita nell’ambito della CPIV si occupa di garantire questo diritto e di fissare le relative regole . Contro le decisioni della sottocommissione si può ricorrere alla CPIV.
Il diritto di accesso ex l. 103/1975 (segue) Il diritto d’accesso deve essere regolato rispettando le esigenze del pluralismo, dell’interesse sociale, culturale ed informativo delle proposte degli interessati, della varietà della programmazione. I soggetti ammessi all'accesso devono osservare i principi dell'ordinamento costituzionale, e tra essi in particolare quelli relativi alla tutela della dignità della persona nonché della lealtà e della correttezza del dialogo democratico. Essi devono inoltre astenersi da qualsiasi forma di pubblicità commerciale.
La liberalizzazione dell’attività privata di radiotelediffusione a livello locale. La l. 103/1975, sulla base delle sent. Corte cost. 225 e 226 del 1974, aveva liberalizzato il solo settore della TV via cavo a livello locale. La successiva sent. Corte cost. n. 202/1976, invece, dichiara illegittima la riserva allo Stato dell’intero settore della radiotelediffusione a livello locale, aprendo così la strada ai privati in questo ambito. Nelle slides successive il contenuto della sentenza.
Corte costituzionale, sentenza n. 202/1976 In vari processi a carico di società private che avevano attivato impianti di diffusione radiofonica o televisiva via etere senza la relativa concessione amministrativa, veniva sollevata la questione di legittimità costituzionale della riserva allo Stato degli impianti televisivi via etere a raggio locale (art. 1 l. 103/1975). Tutte le ordinanze di rimessione condividevano la tesi che il presupposto del riconoscimento della legittimità del monopolio statale fosse la limitatezza dei canali disponibili e che tale presupposto non sussistesse relativamente alle trasmissioni su scala locale, essendo esclusa la possibilità di monopoli o oligopoli. La Corte ha ritenuto che fosse venuto quindi meno «l’unico motivo che per queste ultime trasmissioni possa giustificare quella grave compressione del fondamentale principio di libertà, sancito dalla norma a riferimento, che anche un monopolio di Stato necessariamente comporta»; ha sancito l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate edha suggerito al legislatore di provvedere all’emanazione di una legge che fissi le condizioni per l’esercizio dell’attività privata in tale settore secondo un regime autorizzatorio, come già avvenuto per le trasmissioni locali via cavo.
La sentenza 202/1976 è di fondamentale importanza perché per la prima volta si collega l’esistenza del monopolio statale nel settore della radiotelevisione al solo elemento tecnico della disponibilità delle frequenze, accantonando l’altra considerazione – presente nelle pronunce precedenti – per cui la riserva allo Stato si giustificava per il rilevante interesse generale della radiotelediffusione e la conseguente necessità di assicurare imparzialità e non discriminazione. Al contrario, il pluralismo sarebbe assicurato dalla semplice presenza di un sistema misto pubblico-privato con una molteplicità di emittenti. Ma allora in cosa consiste la specifica missione del servizio pubblico radiotelevisivo?
Il legislatore è stato singolarmente inerte nel raccogliere l’invito della Corte costituzionale a disciplinare l’attività privata nelle trasmissioni via etere. Erano sorte quindi, nel frattempo, numerose emittenti operanti a livello locale. Molte di esse, attraverso sistemi di interconnessione e la messa in onda in contemporanea di programmi pre-registrati, superavano di fatto l’ambito locale. Di questo fenomeno si è occupata la Corte costituzionale nella sentenza n. 148/1981 In questa sentenza la Corte mostra una apertura nei confronti di una possibile futura liberalizzazione della radiotelediffusione anche a livello nazionale, se venisse emanata una opportuna legislazione antitrust (vedi slides successive).
Corte costituzionale, sentenza n. 148/1981 Nel processo a carico della della Rizzoli Editore S.p.a., che stava per iniziare, senza autorizzazione amministrativa, la trasmissione via etere su scala nazionale di un telegiornale ed altri programmi televisivi utilizzando una rete di trasmissione e di collegamento di proprietà di altre società private, viene sollevata la questione di legittimità costituzionale del monopolio statale delle trasmissioni via etere a livello nazionale. La Corte ha ribadito la legittimità di tale riserva richiamando i motivi già espressi nelle precedenti pronunce. Ma ha anche precisato che «ciò vale ovviamente, allo stato attuale della legislazione, in base alla quale, per la permanente carenza di una normazione adeguata, restano appunto aperte le possibilità di oligopolio o monopolio sopra delineate. A diverse conclusioni potrebbe eventualmente giungersi ove il legislatore, affrontando in modo completo ed approfondito il problema della regolamentazione delle TV private, apprestasse un sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche non solo nell'ambito delle connessioni fra le varie emittenti, ma anche in quello dei collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori dell'informazione incluse quelle pubblicitarie».
Legge n. 10/1985 e giurisprudenza costituzionale La disciplina “transitoria”
Secondo l’impostazione della Corte, la ratio del monopolio statale prescinde da ogni considerazione sulle specificità del servizio pubblico essenziale ed è giustificata solo dall’assenza di una normativa idonea ad evitare concentrazioni ed oligopoli. Data la perdurante assenza di tale normativa, continuavano le iniziative di interconnessione di emittenti private, in modo da raggiungere un ambito di trasmissione ultra-locale. In varie occasioni tale iniziative sono state interrotte da pronunce giudiziarie (rivolte, in particolare, alle reti del gruppo Berlusconi) oscuramento. Il Governo è intervenuto con una normativa teoricamente provvisoria (non più di 6 mesi) che invece è rimasta in vigore fino al 1990: il d. l. n. 807/1984, convertito in legge n. 10/1985 (c. d. “decreto salva Berlusconi”).
In realtà, precedentemente il governo (Craxi) aveva approvato il d. l. 694/1984, con il quale si consentiva, in attesa dell’approvazione di una apposita legge, la prosecuzione dell'attività delle singole emittenti radiotelevisive private, disponendo espressamente che «è consentita la trasmissione ad opera di più emittenti dello stesso programma pre-registrato, indipendentemente dagli orari prescelti». Tuttavia il Parlamento non approvò la legge di conversione. Allora, per la conversione in legge del successivo d. l. 807/1984 il Governo pose la questione di fiducia, minacciando la crisi.
Il d. l. 807/1984 fu approvato l’ultimo giorno della Conferenza regionale dell’UIT (Ginevra, 6 ottobre- 6 dicembre 1984) che stabilì che entro il 1° luglio 1987 gli Stati avrebbero dovuto procedere alla mappatura delle frequenze, onde evitare fenomeni interferenziali. Lo Stato italiano non era a conoscenza di quali e quante emittenti private e di quali e quanti impianti di radiodiffusione fossero attivi nel paese. Per questo, con tale intervento normativo, si pose l’obbligo per le emittenti private di comunicare entro novanta giorni al Ministero delle PT tutte le necessarie informazioni relative agli impianti da esse gestiti. Il censimento, completato alla metà del 1985, contò oltre quattromila emittenti, che gestivano da 1 a 5 impianti. Però, la quantità di frequenze assegnate dall’UIT all’Italia corrispondeva solo a circa il 20% di quelle utilizzate dalle emittenti private. Quindi, occorreva con urgenza un riordino!
Il d. l. n. 807/1984 (convertito in legge n. 10/1985) Disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive La diffusione sonora e televisiva sull’intero territorio nazionale, via etere o via cavo o per mezzo di satelliti o con qualsiasi altro mezzo, ha carattere di preminente interesse generale ed è riservata allo Stato. Nell’ordinare il sistema radiotelevisivo lo Stato si informa ai principi di libertà di manifestazione del pensiero e di pluralismo dettati dalla Costituzione per realizzare un sistema misto di emittenza pubblica e privata. Il servizio pubblico radiotelevisivo su scala nazionale è esercitato dallo Stato mediante concessione ad una società per azioni a totale partecipazione pubblica di interesse nazionale. Una futura legge si occuperà di disciplinare il sistema radiotelevisivo, consentendo l’iniziativa privata ma predisponendo apposite norme antitrust, in modo da assicurare il pluralismo e la trasparenza. (segue ...)
(... segue ...) In attesa di tale legge, restano temporaneamente consentiti i ponti-radio fra le singole emittenti, come pure la trasmissione in contemporanea dello stesso programma pre-registrato (per questo il decreto è stato definito “salva Berlusconi). Le emittenti private devono però riservare il 25% del tempo alla trasmissione di opere cinematografiche nazionali o della Cee. Devono anche limitare l’affollamento dei messaggi pubblicitari al 16% del tempo di trasmissione settimanale e massimo al 20% di ciascuna ora di trasmissione. Questi limiti sono superiori a quelli della concessionaria pubblica (5% orario) e inoltre per le emittenti private non è fissato alcun tetto massimo agli introiti pubblicitari. Obbligo per le emittenti di comunicare i dati relativi ai propri impianti entro 90 gg. al Ministero PT, in modo da poter effettuare un censimento come richiesto dalla Conferenza UIT di Ginevra. In seguito al censimento sarebbe stato approvato un piano nazionale di assegnazione delle frequenze (non realizzato!)