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Seneca: lo “ stile drammatico ”. È questa la definizione che, riprendendo uno spunto di C. Merchesi, A. Traina offre dello stile senecano
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Seneca: lo “stile drammatico” • È questa la definizione che, riprendendo uno spunto di C. Merchesi, A. Traina offre dello stile senecano • Marchesi però ha definito lo stile senecano, più che lo stile di Seneca, che viene visto come l’esponente di un atteggiamento stilistico che non si confina in una lingua o in un secolo. Le parole del Marchesi quindi potranno ripetersi ogni volta che uno stile tormentato ci darà il riflesso di un’anima in guerra con se stessa.
Toccò a Seneca il compito di bandire a Roma il messaggio dell’interiorità, ad un popolo a cui mancava il senso dell’interiorità riflessiva • Fu Seneca a foggiare il linguaggio latino dell’interiorità, e lo foggiò ricorrendo soprattutto a due metafore: l’interiorità come possesso e l’interiorità come rifugio
La prima era già greca: Epicuro aveva usato l’espressione “appartenere a se stesso” • Seneca la svolgerà attingendo dalla lingua giuridica • Il passaggio dalla sfera giuridica a quella morale però era già in Cicerone ed anche in Virgilio • L’interiorità come autopossesso domina il pensiero dell’ultimo Seneca
Il linguaggio della predicazione • La cellula stilistica di Seneca e della sua età è la sententia a differenza del periodo che dominava nell’epoca di Cessare e Cicerone • Quando cambia uno stile, cambia un sistema di valori • L’avvento dell’impero infatti segna una frattura, dove riaffiora la solitudine esistenziale e l’urgenza di soluzioni individuali • Il contraccolpo stilisitico di questo mutamento di valori è una prosa esasperata, dove la trama logica del discorso si smaglia in fitte sententiae,ognuna fine a se stessa
Il Linguaggio della Predicazione: • I rapporti sintattici si semplificano: le parole vuote, usate per un fine grammaticale, tendono a scomparire. • Con l’utilizzo delle sententiae, ogni pensiero che Seneca vuole esporre è concentrato e coniato nel modo più espressivo possibile: “Plus significas quam loqueris” (Esprimi di più di quello che dici)
Seneca utilizza un tono parenetico: poesia priva di sistematicità, incline soprattutto alla trattazione di aspetti parziali o singoli temi etici. • Contingo + infinito e timeo + infinito.Eliminando ut: “Nulli contigit impune nasci” “Quidam fallere docuerunt, dum timent falli” (Alcuni insegnano ad ingannare proprio perché temono di essere ingannati)
Predilezione per l’uso assoluto del participio futuro, si tratta di un grecismo sintattico: “Tamquam semper victuri vivitus” (vivete come se doveste vivere sempre) “Accipimus peritura perituri” (le cose non capitano a caso ma vengono tutte da una causa)
Uso di et nel senso di anche. Un altro grecismo sintattico, diventa in Seneca uno strumento per creare clausole taglienti: “Valet: et leones. Formonsus est: et pavones. Velox est: et equi.” (E’ forte: anche il leone. E’ bello: anche il pavone. E’ veloce: anche il cavallo.) • Frequente la litote dei pronomi negativi: nemo non, usata per esprimere una legge cosmica che non conosce eccezioni.
Molto usata la figura etimologica, potenzia la parola-chiave della frase: “Homo, sacra res homini” (l’uomo, creatura sacra all’uomo) • L’antitesi, un altro importante mezzo di collegamento.
Uso di immocorrettivo: “Servi sunt: immo homines. Servi sunt: immo conubernales. Servi sunt: immo humiles amici. Servi sunt: immo conservi.” (sono schiavi: ma anche uomini. Sono schiavi: ma anche compagni di stanza. Sono schiavi: ma anche umili amici. Sono schiavi: ma anche compagni di schiavitù) • Utilizzo dell’anafora: “Fuge mulitudinem, fuge paucitatem, fuge unum” (evita la massa, evita i pochi, evita anche i singoli)
La tecnica di Seneca è epigrammatica: egli punta alla concisione, “fulmen in clausola”, ossia conclusione a sorpresa. • Non è del tutto vero che lo stile di Seneca sia asimmetrico: spesso le frasi presentano elementi della concinnitas ciceroniana, ma con un variatio. • Seneca non segue la legge dei cola crescenti come nella prosa classica, ma fa esattamente il contrario.