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INVITO ALLA RISATA. INVITO ALLA RISATA. OPUSCOLO TRATTO DAL LIBRO. LIBERA LE TUE ALI ARMANDO EDITORE DI MARGHERITA IAVARONE. PIU’ HUMOUR PIU’ BENESSERE. Come ci sentiamo dopo una “risata a crepapelle”?. Ridere fa bene all’anima, è un raggio di sole in un giorno piovoso!
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INVITO ALLA RISATA OPUSCOLO TRATTO DAL LIBRO LIBERA LE TUE ALI ARMANDO EDITOREDI MARGHERITA IAVARONE
PIU’ HUMOUR PIU’ BENESSERE
Come ci sentiamo dopo una “risata a crepapelle”? • Ridere fa bene all’anima, è un raggio di sole in un giorno piovoso! • Diceva Winston Churchill “non è possibile trattare delle cose più serie del mondo se non si apprezzano le più divertenti!” • L’umorismo rappresenta il connubio ideale tra QUOZIENTE INTELLETTIVO e QUOZIENTE EMOTIVO: la ragione ci aiuta a riconoscere l’assurdo e la risata fa emergere l’emozione interna. • Il riso induce l’organismo a produrre sostanze come ad esempio le betaendorfine, che attenuano gli stimoli dolorosi e danno un generale senso di benessere.
Inoltre il ridere tutela il sistema immunitario perché combatte le sostanze tipiche prodotte dallo stress, come il cortisone e l’adrenalina che a lungo andare logorano l’organismo e abbassano le difese. E la pressione arteriosa scende, aumenta la produzione della immunoglobulina, il sangue si ossigena, i muscoli si rilassano con conseguenti ripercussioni sul livello di energia. Se ne deduce che una buona dose di buon umore rappresenta una vera barriera naturale dell’organismo contro i microbi, funzionando di fatto come un vaccino universale!
In che modo l’umorismo può sostenerci nel quotidiano? • Nel 1927 Freud scrisse: “L’umorismo è il più eminente meccanismo di difesa(…) e permette un risparmio di energie psichiche. Grazie al ridere evitiamo le emozioni messe in moto da qualche avvenimento spiacevole, con una battuta di spirito blocchiamo l’erompere di tali emozioni”. • L’aggressività scaturita dalle varie frustrazioni quotidiane e per motivi sociali non espressa, non scompare ma rimane nel nostro inconscio . • Ne scaturiscono sensi di colpa, ansia perché sentiamo di non essere stati all’altezza del compito, che ci siamo comportati da incompetenti, che abbiamo fallito…
Cosa fare? Possiamo attivare il nostro Adulto, il Genitore Protettivo… ma possiamo anche imparare a guardare noi stessi da un’ottica umoristica e tutto diventa più accettabile. L ‘ira e le risate si escludono a vicenda, noi abbiamo la facoltà di scegliere l’una o le altre! “Quando il nevrotico impara a ridere di se stesso può essere sulla via dell’autocontrollo, forse della guarigione stessa” afferma Gordon W. Allport .Purtroppo moltissime persone hanno bisogno di essere in qualche modo infelici e riescono bene nel loro intento
L’umorismo può costituire cioè una difesa di una realtà frustrante? • Noi siamo costantemente carichi di tensioni di vario genere e questo può essere anche indispensabile in quanto una dose ottimale di ansia migliora tutte le nostre capacità, l’intuizione, la percezione, la memoria, la creatività… • Una tensione eccessiva invece non solo toglie efficienza e soddisfazione esistenziale, ma fa aumentare lo stato di stress, quindi diminuire le difese immunitarie.
Alcune persone prendono se stessi e la vita troppo sul serio e non capiscono quanto sia assurdo dare a tutto un tono tanto solenne! Quando ridiamo il nostro tempo si riempie di felicità mentre se ci adiriamo lo sciupiamo con tormenti inutili! Con la risata le inibizioni interne vengono spazzate via mentre gli impulsi repressi vengono soddisfatti con un mezzo piacevole per sé e socialmente accettato. “La fonte profonda dell’umorismo – affermava Mark Twain – non èla gioia ma il dolore. Nel giardino dell’Eden non ci sono battute di spirito!”
E’ vero che non è possibile avere un atteggiamento umoristico se non si è intelligenti? • L’umorismo è infatti una dote intellettuale che presuppone la capacità di capovolgere una situazione che a prima vista appare conflittuale, drammatica, angosciosa, cogliendone il lato nascosto, quello umoristico appunto. • Si può essere intelligentissimi però e non avere senso dello humour purtroppo. • “L’uomo è infelice perché non sa di essere felice - affermava Dostoevskij - chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente, nello stessoistante…”
Si potrebbe considerare infatti il senso dello humour come una forma di intelligenza molto libera, quasi eversiva. Per essere capaci di trasformare ciò che ci opprime , che ci schiaccia però, è necessario possedere non solo gli strumenti culturali adatti, ma anche la libertà interiore di farlo. Ma non ci sono motivi più o meno intelligenti per ridere; è bello ridere per ridere, le risa si giustificano da sole!
I bambini possono insegnarci a ridere di più? • In questo campo sono i maestri indiscussi per fantasia, capacità di improvvisare e di vivere sempre nel presente; con questi presupposti ridere è facile! • Noi possiamo condividere il loro spiccatissimo gusto del comico; ridono a crepapelle di fronte alle incongruità che sovvertono ogni regola, come nelle gag dei cartoon , una caduta, una torta in faccia, la rivalsa del più debole…
Quando gioca, il bambino entra in una dimensione libera, in un presente assoluto , spazza via i doveri, le paure… ed è felice Ma mentre il bambino sano passa con rapidità dal pianto al riso, quello angosciato, depresso….supera con difficoltà lo stato d’animo negativo; il suo copione purtroppo già strutturato, è di tristezza, non di gioia! .Ma è difficile che i bambini riescano comunque a ridere di qualcosa di negativo che accade loro, e questa invece dovrebbe essere la funzione essenziale dell’umorismo adulto.
IMPARIAMO A RIDERE DI NOI STESSI
Possiamo cioè imparare a ridere di noi stessi? • Certo; tutto ciò che fa leva sul comico, come il motto di spirito, la barzelletta, la gag… ha un effetto liberatorio perché tende a negare qualcosa che inconsciamente non accettiamo, come le pulsioni aggressive, le fantasie erotiche, la morte, i “diversi”; ma questo non è costruttivo per noi. • L’umorismo infatti non dovrebbe avere la funzione di negare gli aspetti del mondo interiore, coprendoli di ridicolo, bensì fornirci la chiave per trasformare le nostre emozioni negative prodotte dal mondo esterno.
Ogni sublime umorismo comincia con la rinuncia dell’uomo aprendere sul serio la propria persona” affermava lo scrittore tedesco H. Hesse. Tutti noi siamo comici naturali; facciamo continuamente cose contraddittorie, ridicole e divertenti: c’è chi cammina tutto impettito e poi finisce regolarmente per calpestare i maleodoranti escrementi disseminati nei nostri viali, chi cura molto il suo abbigliamento e poi si sbrodola quando mangia…e poi i “lapsus “ di noi tutti, i paradossi…
Se noi ridiamo di noi stessi è come se dicessimo:”sono grasso, goffo, pasticcione, distratto… sono imperfetto e va bene così, non c’è bisogno che sia diverso, fa lo stesso!” Umorismo e accettazione si nutrono reciprocamente: l’ironia spezza il ciclo dei pensieri negativi mentre l’accettazione rende più facile sorridere delle nostre fobie!
Potremmo così assumere atteggiamenti bonari, consolatori, affabili verso la parte più fragile di noi stessi, alla stessa maniera di un buon padre che consola e riassicura il nostro bambino spaurito di fronte alle paure, ai pericoli reali o immaginari del quotidiano! Un mio amico ha trovato un bel modo per cambiare in positivo i propri stati d’animo poco piacevoli: comincia a fischiettare; dice che l’inizio non è proprio facile ed è necessario fare appello alla sua decisione per continuare a fischiettare o cantare…; molto presto l’umore migliora e tutto va per il meglio…! Proviamo?
RIDERE E DERIDERE
Cosa differenzia un sano senso dello humourdal sarcasmo? • “L’umorista corre con la lepre, il satirista insegue con i cani” affermava R. Knox, con tipico spirito inglese! • L’arguzia è una reazione emotiva alimentata dal risentimento generalmente causato da un Io offeso e umiliato. Nel momento in cui scarica le proprie tensioni attraverso la battuta pungente, il sarcastico sta cercando di vendicarsi.(Posizione esistenziale “io non OK tu non OK”)
Intossicati dalla propria amarezza alcuni individui infatti usano il proprio spirito brillante per avvelenare tutto e tutti; amano tormentare i propri bersagli, si può dire che per loro è un piacere molestare la gente, pur pagando per questo prezzi altissimi. Mentre infatti lo humour produce rilassamento, comunione, allegria, benevolenza magnanimità, fascino…(Posizione esistenziale “io sono OK tusei OK”) il sarcasmo genera tensioni, divisione, distanza, diffidenza malevolenza, disprezzo…Mentre lo humour genera intimità, umiltà, gentilezza, tolleranza… la battuta sarcastica è infarcita di offesa, indelicatezza, insolenza, intolleranza…
Ma tanto il numero di coloro che con competenza e consapevolezza hanno il gusto di costruire la propria e l’altrui infelicità è sempre stato elevatissimo e continua ad esserlo purtroppo! Ma se sappiamo osservare e diventiamo un po’ esperti nell’arte della fisiognomica, possiamo facilmente riconoscere le persone positive dalle altre da tenere accuratamente lontane: le prime hanno una piacevole bocca con gli angoli rivolti all’insù; la bocca del sarcastico è dura e amara, fino al momento in cui incontra la sua vittima. La sua però non è una vera risata, a mio pareresomiglia di più ad una smorfia!
Ma come incoraggiare il “ridere” e neutralizzare il “deridere” tra i ragazzi? • Molte persone e in special modo molti ragazzi vivono nel terrore di essere presi in giro. • La derisione incide pesantemente sull’immagine di sé, sulla fiducia negli altri, sull’accettazione del proprio essere. • E’ perciò basilare nella classe un lavoro trasversale di okness ( =iosono OK – tu sei OK), svolto da tutti gli insegnanti e assimilato sin dalle prime classi della scuola dell’obbligo con la creazione di drammatizzazioni, favole, cartelloni, scenette umoristiche…ideate dagli alunni… .
Ci feriscono maggiormente infatti quelli che definiamo come nostri “talloni d’Achille”. Questi costituiscono un facile bersaglio se non li dichiaro; ma se io stesso faccio dello spirito sul mio peso eccessivo, sulla mia altezza limitata, sul naso da Cirano, sul tono della mia voce, sui difetti di pronuncia, sui miei denti di tricheco, i capelli ribelli, sulle mie inflessioni dialettali… spunto le armi dei miei avversari che anzi potrebbero diventare miei amici! Potremmo apprendere questa facoltà pensandoci in terza persona, quindi sorridere bonariamente sulle nostre paure, i nostri conflitti, le nostre aspirazioni onnipotenti, le fantasie! Potrebbe essere divertente se, con il supporto di un “rimario”, ognuno mettesse in rima quello che più lo ferisce e perché no, poi musicarlo!
In che modo questo può essere applicato nella realtà scolastica? • Citiamo un episodio riportato dalla direttrice dello Humor Project al Sagamore Institute di New York. • Gli studenti di una classe si erano messi d’accordo che in un momento ben preciso della lezione avrebbero tutti lasciato cadere un libro dal banco. Giunta l’ora stabilita fecero quanto convenuto.
L’insegnante che stava scrivendo alla lavagna, sussultò spaventata. Poteva scegliere tra tre reazioni: contrattaccare punendo gli allievi, innescando una serie di atti di indisciplina e punizioni far finta di niente (svalutazione del problema) incoraggiando l’incremento del gioco scegliere la reazione umoristica. Andò alla cattedra, prese un libro e sorridendo lo lasciò cadere esclamando rincresciuta: ”scusate se sono in ritardo!” Tra una gran risata collettiva la lezione riprese.
L’umorismo può cioè neutralizzare l’aggressività dell’altro? • Infatti grazie al ridere possiamo creare armonia e fusione con l’”amico” invece di battere il “nemico”. • Se si viene aggrediti si hanno tre possibilità: • rispondere attaccando (lasciandosi coinvolgere in un quello che in Analisi Transazionale viene definito “gioco”). • comportarsi come se nulla fosse accaduto (svalutazionedell’accaduto). In questo modo non si entra nel gioco ma può darsi che l’aggressore continui e se ne esca malconci. • cercare di schivare i colpi dell’avversario mettendo le cose in ridere.
“Gli uomini sono disturbati non dalle cose, ma da come essi le vedono” sosteneva ben duemila anni fa il filosofo Epitteto. Il senso dell’umorismo cioè ci permette di controllare le interpretazioni del nostro vissuto; volgendo la situazione in divertente abbiamo modo di disarmare l’aggressore, sdrammatizzando il confronto.
Il riso è efficace anche nei comportamenti sfidanti dei ragazzi? • Il risultato migliore si ottiene quando si riesce a far ridere lo sfidante. • Il ragazzo che sfida è in una posizione di “io non OK / tu non OK”. • Egli sente di non aver nulla da perdere: percepisce che lui non vale ma anche gli altri non valgono per cui nessuno può aiutarlo. • Il suo è un gioco al massacro; il ragazzo è disperato e fa in modo che anche gli altri lo siano.
L’unica via d’uscita è quella dell’umorismo: “ti spacco la faccia!” “ no ti prego, aspetta domani perché questa sera sono invitato ad un festa “ oppure ”avvisami un po’ prima così mi tolgo le lenti a contatto!”…. Se riusciamo a non cadere nel suo gioco rispondendo con atteggiamenti spiritosi, la scena cambia perché emerge il suo BL che interagisce alla pari con il BL dell’educatore. La tensione si allenta, la risata rende complici, è contagiosa, crea legami all’istante.
L’umorismo può essere d’aiuto per gli studenti? • Ronald E. Smith con alcuni colleghi dell’Università di Washington nel 1971 ha sperimentato che un po’ di umorismo durante gli esami migliora il rendimento di studenti molto ansiosi, funzionando da tranquillante. • La ricerca ha confermato che mentre per gli studenti più sereni l’aggiunta dello humour non produce alcun effetto, per quelli molto ansiosi invece il miglioramento dei risultati è notevole. • In molti casi il riso infatti può facilitare la comprensione, la memoria, la creatività, l’apprendimento.
Questo risultato può attribuirsi ad un duplice motivo: a) se il ragazzo è ansioso, le sue energie vengono assorbite dalla tensione e non sono disponibili per l’applicazione; il ridere, scaricando l’ansia, libera le energie bloccate permettendo un lavoro efficiente. b) l’umorismo risveglia l’attenzione dell’allievo, ne stimola la curiosità, fornendo la motivazione e lo slancio per comprendere e apprendere nel modo migliore.
A LEZIONE DI HUMOUR
E’ eccessivo parlare di corsi di humour? • La società oggi è orientata a formare giovani iperseri, sicuri di sé, competitivi e aggressivi; viene enfatizzato il valore dell’individualità, il culto dell’amore di sé, l’apparire, l’iperspecializzazione….a scapito del sentire, del contatto con la parte più intima di sé. • Educati in un’atmosfera nella quale i problemi sono drammatizzati e la sconfitta è vissuta sempre come una catastrofe, i ragazzi non sono preparati ad affrontare i primi fallimenti, i disagi emotivi, le immancabili difficoltà.
Il senso dello humour può sdrammatizzare questi problemi, trasformando la serietà rigida in serietà flessibile, la solitudine in spirito di solidarietà, la competitività in disponibilità a collaborare. Ridere insieme tra genitori e figli, tra insegnanti e allievi, consente di creare un legame di accettazione, di appartenenza, di intimità in un clima disteso, sereno, gioioso; il benessere interiore che ne deriva favorisce la socializzazione, elimina i sentimenti di paura, di inadeguatezza, il confronto competitivo, la critica svalutante.
Il senso dello humour può invadere ogni campo del quotidiano? • Certo, il quotidiano familiare, quello scolastico, quello professionale, quello sociale!. • Ogni genitore si affanna per insegnare al figlio mille e mille cose attraverso messaggi verbali e non verbali, con il proprio esempio fungendo da modello… desidera che egli possa avere una vita migliore della propria, che possa avere oggetti, stimoli, possibilità che a lui sono state negate… E per questo è disposto a sacrificare i propri bisogni, il proprio tempo libero, il viaggio che aveva sognato, il suo hobby preferito…
Ma c’è una ricchezza eccezionale, fantastica, immensa, straordinaria…che ogni papà e mamma del mondo potrebbero donare al proprio figlio, a prescindere dalla propria posizione sociale, culturale, economica … di appartenenza; è un patrimonio che gratuitamente potrebbe essere tramandato da generazione in generazione e che invece andiamo sempre più perdendo. Ridiamo sempre meno infatti, presi come siamo da mille impegni, incombenze, ansie, preoccupazioni…E parliamo con i nostri figli solo per scambiarci informazioni, oppure riprenderli su questa o quella mancanza…e i discorsi sono sempre più brevi, i visi sempre più crucciati, i toni sempre più aspri.
MODELLI DI GIOIA MODELLI DI INFELICITA’
Noi genitori cioè trasmettiamo il nostro copione di “infelicità” ai nostri figli? • I figli assimilano quasi sempre ogni tipo di copione familiare, in special modo quello della negazione della gioia. • I genitori stentano a crederlo, ma nella stragrande maggioranza dei casi, i ragazzi assumono comportamenti inadeguati anche gravissimi, nel tentativo di distogliere l’attenzione del papà o della mamma dai loro problemi esistenziali, economici, professionali, sociali…!
Ma è difficile per un genitore accettare questa realtà, è troppo penoso per lui mettere in discussione se stesso; è più facile convincersi invece di essere sbagliato come genitore e colpevolizzarsi , angustiarsi sempre più, incrementando così la circolarità già in atto. E invece il principio elementare da intuire è molto semplice.
Come può essere sereno, gioioso, positivo un figlio se ha imparato fin da piccolissimo che lui può esistere, essere riconosciuto, considerato, amato… solo nel momento in cui presenta una situazione problematica, solo nel momento in cui costringe i suoi genitori non ad “occuparsi” di lui, come di solito accade quando tutto va bene, ma per un lasso di tempo brevissimo e con toni sereni (che il ragazzo percepisce come indifferenza..!)
Bensì a “preoccuparsi” per lui giacché con animo crucciato, angosciato, talvolta disperato, investendo tutte le proprie energie e per tempi lunghissimi… parlano animatamente i suoi genitori ogni giorno puntualmente, della mamma che sperpera il danaro in acquisti inutili, del silenzio del papà incollato al computer, della promozione a dirigente che non arriva, della nonna impicciona, del braccio ingessato del fratellino, delle rate da pagare, della casa da cambiare, della minestra salata, del vicino rumoroso…e discussioni, urla, imprecazioni….! E ora lui non ha scelta: o presenta un problema o non esiste!
E allora è facile non studiare, essere spericolato in motorino, bere alcol, assumere sostanze, o isolarsi in camera, rispondere a monosillabi, bisticciare con tutti, farsi bocciare …solo così infatti lui ottiene la massima attenzione e intanto il papà e la mamma parlano con lui, cercano soluzioni, fanno proposte, promesse, minacce… ma intanto non sono più angosciati per gli acquisti, l’ ufficio, il computer, la nonna…e se non ne parlano significa che lui è stato capace di far sparire quei problemi!
E a lui non importa se deve ripetere l’anno scolastico, se si danneggia con l’alcol, le sostanze, gli incidenti vari….lui ha due “guadagni”: non solo i suoi genitori comunicano tra loro, ma evviva, non parlano più di quegli odiosi, insolubili problemi, parlano del suo che però non è così grave come gli altri, lui se vuole, può padroneggiarlo! (così pensa nel suo delirio di onnipotenza!) E intanto il copione di infelicità è tramandato!
Come incentivare un sano umorismo nei ragazzi? • E’ questo il dono più prezioso che genitori e insegnanti possono trasmettere alle nuove generazioni, non solo offrendo un ambiente caldo e sereno ma innanzitutto modelli positivi di identificazione che tutti possano acquisire nel corso della propria esistenza! • Alcune persone sono convinte che il senso dello humour sia congenito e che non si possa apprendere. • Tutti nasciamo con la predisposizione al gioco, la gioia di vivere, la curiosità, il desiderio di conoscere il mondo… e viviamo la nostra infanzia con questo spirito.
Crescendo impariamo a diventare seri, pretenziosi e cerchiamo di adattarci a un tipo di vita artificioso. Si tratta solo di recuperare la nostra spontaneità, le nostre predisposizioni naturali. “Ciò che è in nostro potere fare, è anche in nostropotere non fare” affermava Aristotele. Ma non è facile convincersi che la migliore cura per i problemi, le depressioni, i disturbi psicosomatici…consiste nello sviluppo del senso dello humour e dell’autoironia! Prendendoci troppo sul serio infatti diamo alle cose dimensioni iperboliche, perdendo di vista le semplici soluzioni dei problemi. “Non esiste un fatto o un’idea che non possa essere ridimensionata epresentata sotto una luce ridicola” affermava Dostoevskij! Ma la semplicità sembra degradante perché si cade dal piedistallo artificioso così faticosamente costruito!.
Come promuovere lo humour in ambito familiare e scolastico? • Sarebbe opportuno mettere sulla porta di ogni classe e di ogni uscio un cartello con le parole dello scrittore francese Chamfort : • “una giornatasenza risate è una giornata sprecata”. • Potrebbe forse questa esortazione togliere qualcosa alla serietà dell’Istituzione scolastica? Il riso non sarebbe più considerato trasgressivo e tutto sarebbe più accettato. • Sarebbe utile scambiarsi informazioni circa film, spettacoli televisivi o teatrali,, pubblicazioni, videocassette, siti web divertenti, dedicare dieci minuti al giorno alle barzellette, alle gag comiche….!
Ma prevedendo purtroppo solo vincitori e vinti, successi o fallimenti, la nostra cultura incoraggia un’aggressività nevrotica, la competizione individuale… Si ingigantisce così la paura della sconfitta e il nostro Genitore Critico ci spinge a disprezzare noi stessi se non siamo all’altezza dei compiti, con conseguenze disastrose! Se nell’euforia degli incontri umoristici riuscissimo a ironizzare sui nostri insuccessi, potremmo capire che la gran parte delle nostre sconfitte sono ridicole perché nascono dalle aspettative esagerate dei nostri genitori,…..che il nostro essere OK non è legato al nostro fare, bensì a quello che noi siamo come persone, alla nostra capacità di comprensione, di empatia, di tolleranza.. alla capacità di stare bene con noi stessi e con gli altri…..!
Tutti quindi potremmo essere più felici? • La felicità infatti non è un punto di arrivo bensì scaturisce da un vero e proprio apprendimento del vivere bene dove non basta imparare a tollerare il dolore ma occorre abituarsi ad accettarsi, amarsi senza condizioni, scegliere situazioni gratificanti, essere ottimisti, saper vedere il meglio delle cose, avere fiducia in se stessi, lasciare spazio alle proprie emozioni, essere capaci di accogliere e vivere i cambiamenti, imparare ad accettare i propri limiti, proteggersi dalle paure reali o immaginarie, dalle nostre e altrui denigrazioni…ma innanzitutto da una decisione. • Esiste mai al mondo una persona che alla generosa offerta del genio della lampada di Aladino potrebbe mai rispondere “no, molte grazie ma non ho assolutamente desideri da soddisfare”!?
E’ infatti nella natura umana sentire la mancanza di questo e di quello circa la nostra persona, la posizione finanziaria, quella affettiva, sociale, professionale, ambientale, politica… ed è proprio questa la causa del nostro soffrire. Riusciamo ad essere felici nel momento in cui decidiamo di cambiare ciò che è possibile cambiare, quindi accettare il resto e decidere di gioire del bicchiere mezzo pieno anziché continuare a piangere sul nostro abituale misero bicchiere eternamente mezzo vuoto! “Non è felice chi non pensa di esserlo” affermava già nel primo secolo a. C. il poeta latino Publilio Siro!