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Decameron. 10 Giorni. Modello hexameron: S. Ambrogio. Architettura dell’ opera. Proemio Struttura Temi delle novelle. B o c c a c c i o. EXIT. Vita. Giovanni Boccaccio 1313-1375
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Decameron 10 Giorni
Architettura dell’ opera • Proemio • Struttura • Temi delle novelle B o c c a c c i o EXIT
Vita Giovanni Boccaccio 1313-1375 Giovanni Boccaccio nasce tra il giugno e il luglio del 1313, a Firenze o a Certaldo in Valdelsa, figlio illegittimo del ricco mercante, dipendente e poi socio del Banco dei Bardi, Boccaccino di Chellino. Leggendaria è la notizia della sua nascita a Parigi da una nobildonna di stirpe principesca. Dopo aver ricevuto i fondamentali insegnamenti grammaticali e letterari, verso il 1327-28 viene mandato dal padre a far pratica bancaria a Napoli, nella succursale dei Bardi: la compagnia fiorentina che insieme ai Peruzzi e agli Acciaiuoli detiene il monopolio delle imprese finanziarie del Regno di Roberto d'Angiò. Questo apprendistato mercantile e bancario si rivela un totale fallimento. Per sei anni non fa altro che sprecare tempo in un'attività per lui odiosa; sempre per volontà paterna ripiega sul diritto canonico, frequentando le lezioni di Cino da Pistoia (noto maestro di diritto e famoso rimatore stilnovista, amico di Dante e Petrarca), ma vi perde circa altri sei anni. Così finalmente abbandona gli studi ingrati, e da autodidatta, leggendo sia i classici sia la contemporanea produzione romanzesca cortese, si dedica interamente e avidamente alla poesia, a cui «un'antichissima disposizione dello spirito lo faceva tendere con tutte le sue forze». La sua formazione intellettuale ed umana si compie dunque nel più importante centro culturale italiano: lo Studio (Università) napoletano, la ricchissima biblioteca reale e la stessa raffinata corte angioina si configurano come punto d'incontro tra la cultura italo-francese e quella arabo-bizantina, attirando da ogni parte poeti, letterati, eruditi, scienziati ed anche artisti come Giotto, che in quegli anni sta lavorando agli affreschi del Castel Nuovo. Questo vivace mondo culturale, l'aristocratica, elegante e gaia società della corte, gli svaghi, i diletti e gli amori di questi anni spensierati e felici si intravedono nella sua prima produzione letteraria, ispirata dall'amore per la leggendaria Maria dei conti D'Aquino, figlia illegittima del re Roberto d'Angiò: le Rime, la Caccia di Diana, il Filostrato, il Filocolo, il Teseida (terminato poi a Firenze). Nel 1340-41, in seguito al fallimento della Compagnia dei Bardi, richiamato dal padre torna a Firenze ad una vita di ristrettezze economiche. Compone la Commedia delle Ninfe Fiorentine (1341-42), l'Amorosa visione (1342), l'Elegia di madonna Fiammetta (1343-44), piena di rimpianto per il mondo napoletano, ed infine il Ninfale fiesolano (1344-46). Soggiorna a Ravenna, alla corte di Ostasio da Polenta (1345-46); e poi a Forlì, al seguito di Francesco degli Ordelaffi (1347-48). Rientrato a Firenze, nel 1348 assiste agli orrori e alla tragedia della peste (durante la quale perde il padre), poi rievocata nell'opera che rappresenta il culmine della sua esperienza creativa, il Decameron (1349-51). continua
Grazie alla sua fama letteraria riceve da parte del Comune di Firenze importanti ed onorifici incarichi ufficiali, come le ambascerie in Romagna (1350), presso Ludovico di Baviera (1351), e presso i papi Innocenzo VI (1354) e Urbano V ad Avignone e a Roma (1365, 1367). Nel '50 è inviato a Ravenna per consegnare alla figlia di Dante, suor Beatrice, un simbolico risarcimento per l'esilio del padre. Nel '51 si reca a Padova dal Petrarca per restituirgli il patrimonio familiare confiscatogli dal Comune, e per offrirgli una cattedra del nuovo Studio. Dopo la composizione del Decameron, inizia un periodo di ripiegamento spirituale e di vocazione meditativa. Boccaccio si dedica appassionatamente allo studio dei classici, scambiando testi antichi col Petrarca, a cui è inoltre legato da un'affettuosa amicizia. Diffonde in Italia e in Europa le più recenti e mirabili scoperte di codici e opere letterarie (Varrone, Marziale, Tacito, Apuleio, Ovidio, Seneca). Nel 1359 fa istituire presso lo Studio di Firenze la prima cattedra di greco, assegnandola a Leonzio Pilato, a cui commissiona anche la traduzione dei poemi omerici. Nell'ambito di questa ampia attività filologico-erudita di tipo umanistico si collocano i suoi repertori sulle divinità classiche (De genealogiis deorum gentilium), sulla geografia (De montibus, silvis, fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis seu paludibus, et de nominibus maris), sulle più illustri figure femminili (De claris mulieribus), e maschili (De casibus virorum illustrium). Nel 1355 o nel 1365 compone il Corbaccio. Forti scrupoli morali lo portano a meditare persino la distruzione del Decameron , ma il Petrarca in una lettera del 1364 lo dissuade, invitandolo a riflettere sui valori spirituali dell'attività letteraria. Dopo aver ricevuto gli ordini minori, nel 1360 ottiene da papa Innocenzo VI l'autorizzazione ad aver cura di anime; e l'anno successivo, si ritira a Certaldo nella casa paterna, in cui crea con Filippo Villani, Luigi Marsili e Coluccio Salutati un centro di cultura umanistica. Nel 1362, e poi ancora nel 1370, si reca a Napoli nella speranza di trovarvi una decorosa sistemazione, ma entrambe le volte torna a Certaldo deluso e amareggiato. Nel 1373 riceve l'incarico da parte del Comune di Firenze di commentare pubblicamente la Commedia di Dante nella chiesa di Santo Stefano di Badia, ma dopo pochi mesi, essendo sofferente di idropisia, è costretto a rinunciare alle sue pubbliche letture, interrompendole al canto XVII dell'Inferno. Stanco, malato e angustiato dalle solite ristrettezze economiche, si ritira a Certaldo, dove muore il 21 dicembre 1375, un anno e mezzo dopo il suo amico Petrarca.
La Cornice: contenuto in sintesi • La brigata fugge la peste e si rifugia in campagna. • Il narratore primario descrive gli effetti provocati dalla peste a Firenze giustificando così la fuga dei ragazzi.
Proemio • È rivolto ad un pubblico di donne “quelle che amano”, afflitte da pene amorose ; • Ha come scopo il dilettare ; • Evidenzia l’ interesse per una vita terrena spoglia di ansia sovrannaturale .
Struttura • Cornice: Descrizione della peste(1348 D.C.). Autore funge da narratore esterno alla storia, l’atmosfera risulta contemplativa, distaccata e immobile, prevalela descrizione paesistica quasi assente nelle novelle. • Novelle: 100 novelle 10 per ogni giorno narrate dalla brigata(Narratori secondari). I temi delle novelle possono essere divisi in tre categorie: Fortuna, Amore, Ingegno
Descrizione della peste aFirenze1348 L’introduzione è costruita su una grande opposizione; l’opposizione VITA-MORTE. Ci sono persone che cercano di sfuggire alla morte vivendo agli eccessi, cercando di soddisfare tutte le loro voglie, c’è chi invece vive moderatamente... ma in tutti e due i casi si cerca di sfuggire alla morte. Questa opposizione VITA-MORTE vuole mostrarci come la gente avesse paura della morte e come fosse impotente di fronte ad un evento come quello della peste; lo sconvolgimento che la morte porta nella vita delle persone. Nell’introduzione si descrive la peste; la quale viene vista come un fenomeno naturale che sconvolge la vita sociale soprattutto nei rapporti fra gli uomini. La peste (un evento esterno) mette in crisi le regole sociali: le persone ancora “sane” cercavano di evitare qualsiasi genere di contatto con le persone contagiate; l’unione della famiglia era caduta, non vi era più aiuto e sostegno nemmeno tra i famigliari; la proprietà privata diventa proprietà comune; nelle città regna il caos, gli esiliati ritornano in città compiendo atti di violenza visto che oramai le autorità non esistevano più, perdita di fiducia nelle autorità.
La Brigata 10 ragazzi, 7 fanciulle e 3 giovani, si ritirano in campagna per sfuggire dalla peste; A turno narrano ogni giorno una novella ciascuno (10 novelle).
Temi delle novelle • Fortuna: si evince una visione laica; • Amore: ci sono novelle a lieto fine ed altre infelice, in tutte se ne ha una visione laica; • Ingegno: si manifesta nelle azioni dei personaggi, nelle parole e nelle beffe. La realtà rappresentata è un’ esaltazione del mondo mercantile nonostante emerga una nostalgia del mondo cortese, c’è un approccio empirico nei confronti di tale realtà. I personaggi sono descritti attraverso le azioni e non attraverso un’ analisi psicologica .
Fortuna • Andreuccio da Perugia • Ingegno e cortesia:Guido Cavalcanti • Landolfo Rufolo
Andreuccio da Perugia Andreuccio da Perugia è mediatore nella compravendita di cavalli si reca a Napoli sapendo che li vi è un buon mercato. Dopo varie vicissitudini, Andreuccio è quasi costretto da una donna che ritiene di essere sua sorella a rimanere lì per la notte,si spoglia dei suoi abiti ,compresi i soldi.Nella notte si alza per "Deporre il superfluo peso del ventre",ma entrato nel bagno a causa di una trave schiodata dalla donna,cade in una fogna a cielo aperto senza abiti e imbrattato di liquame. Andreuccio inizia a gridare e chiedere aiuto,mentre la donna,trovato il farsetto,suo unico obiettivo ,lo prende e se ne va lasciandolo solo. Andreuccio attira l'attenzione, ma viene considerato come un povero ubriaco fino a che non lancia un sasso verso la casa della presunta sorella ;a rispondere pero è il convivente della donna,che gli dice di andarsene,quindi Andreuccio senza abiti e soldi,sceglie il male minore e abbandona il luogo. Andreuccio,sporco si avvia verso il mare dove incontra due ladruncoli a cui prima narra la sua avventura e dopo offre la sua collaborazione in cambio di danari. Se nella truffa subita ha pagato la sua inesperienza,adesso non riesce a sfruttare ciò che ha appreso dall'inganno precedente:il progetto dei ladri è quello di derubare il cadavere dell'arcivescovo di Napoli il quale è pieno di gioielli. Andreuccio che puzzava ancora di liquame viene calato in un pozzo sorretto dai due ladri ,ma due birri della signora si avvicinano al pozzo. I ladri,per paura di essere scoperti,fuggono via,lasciando Andreuccio nel pozzo ,quando i birri tirano la fune e trovano Andreuccio spaventati corrono via lasciando armi e scudi. Andreuccio rincontra i ladri e cosi parte il piano per il furto dell'anello,si trattava di entrare nel sepolcro e rubare l'anello con il rubino;Andreuccio viene costretto ad entrare nel sepolcro divenuto pero esperto fiuta l'inganno:comunica ai complici che l'anello non c'è invece lo tiene per se,i due,a questo punto,lo rinchiudo nel sepolcro e scappano. Andreuccio non ha scampo:o morire con la salma del vescovo,o essere scoperto ed essere impiccato per furto. La fortuna è dalla sua parte:un gruppo di ladri viene a derubare il vescovo,è un prete a calarsi nel sepolcro,Andreuccio lo afferra per le gambe e il prete con i suoi complici scappa terrorizzato, lasciando il sepolcro aperto. Andreuccio cosi può fuggire e tornare a Perugia con l'anello,che dice di aver comprato al posto dei cavalli. Porcellini Federico
Ingegno e cortesia:Guido Cavalcanti Nel protagonista di questa novella si fondono ingegno e cortesia, Boccaccio riprende un episodio della vita di Cavalcanti. Tuttavia il personaggio ha due caratteristiche : la totale compenetrazione di ingegno e di cortesia di agilità mentale che diventa agilità fisica, ed una superiorità di tipo intellettuale.Nelle epoche passate nella città di Cavalcanti (Firenze) c’erano delle lodevoli usanze, che però a causa dell’avarizia si sono perse tutte nel tempo. Tra queste ce n’era una che consisteva nel far radunare delle persone di ogni contrada in vari luoghi di Firenze ed insieme formare delle brigate di vario numero per poi girovagare per la città trovando ogni giorno dei banchetti allestiti appositamente per loro. Tra le varie Brigate c’era quella di Betto Brunelletti il quale con i suoi compagni s’erano ingegnati per portare Guido Cavalcanti, nobile filosofo, tra le loro fila, ma quest’ultimo non se ne era curato affatto. Betto non riuscendo nel suo intento credeva che ciò era accaduto per il fatto che Guido filosofeggiando si estraeva dalla vita degli uomini. Però venne il giorno in cui Guido partendo da Orto San Michele era arrivato fino alla chiesa di San Giorgio, dove all’epoca c’erano grandi sarcofaghi di marmo e messer Betto con la sua Brigata vedendolo su per la piazza di Santa Renata lo raggiunsero con l’intento di dargli fastidio. Guido vedendosi in un attimo circondato disse loro”:Signori , voi mi potete dire a cosa vostra ciò che vi piace” , e ponendo la mano sopra un sarcofago fece un balzo e si gettò dall’altra parte liberandosi definitivamente da Betto e dalla sua brigata . quest’ultimi restarono guardarsi l’uno dall’altro e cominciarono a dire che egli era uno stordito e che quello che aveva appena detto non aveva alcun senso. MA Betto immediatamente li contraddisse dicendo che i veri stolti erano loro e così spiegò loro che quelle tombe essendo delle casse da morto , perciò il luogo dove dimorano i morti, siano le nostre case poiché a paragone di Guido e degli scienziati siamo idioti e illetterati quindi peggio degli uomini morti . Allora tutti capirono quello che Guido aveva voluto dire e se ne vergognarono; ma da allora reputarono messer Betto come un uomo acuto ed intelligente . Gianludovico Lidano
Landolfo Rufolo La vicenda narrata nella seconda giornata da Lauretta,sotto il reggimento di Filomena,ha come tema la fortuna.Il protagonista è Landolfo Rufolo,ricco commerciante di Ravello,sulla costa Amalfitana,che nonostante il suo grande capitale desidera arricchirsi ancora di più e per questo spendendo tutti i suoi soldi compra una grande nave e la riempie di merci da vendere a Cipro. Non è però l’unico mercante sull’isola ed è costretto ad abbassare il prezzo delle sue merci fino a doverle quasi regalare per liberarsene. Non volendo tornare a casa da povero vendette la sua grande nave e con i soldi guadagnati ne comprò una piccola, l’armò e iniziò a fare della pirateria. Grazie a questa attività, in un anno diventa il doppio più ricco di quanto salpò per Cipro e non volendo rischiare oltre di perdere i suoi beni fece rotta per tornare a Ravello.Nel viaggio di ritorno fu costretto dal tempo che peggiorava a fermarsi presso una piccola isola dove incontro due navi Genovesi.Questi conoscendo le ricchezze di Landolfo lo derubarono e fatta affondare la sua nave lo fecero prigioniero.Come se non bastasse le due navi genovesi vennero divise dalla bufera e quella su cui si trovava il protagonista affondò.Landolfo nella disperazione riuscì ad attaccarsi ad un’asse che lo tenne a galla tutta la notte.Spuntato il sole vide vicino a lui una grande cassa che mossa dal mare cozzò contro l’asse e lo fece finire sott’acqua.Riuscì a tornare a galla,vide la tavola di legno allontanarsi e non potendo fare altro si aggrappò alla cassa che lo aveva fatto cadere.Vi rimase attaccato un giorno e una notte quando arrivò presso l’isola di Gurfo dove una donna stava lavando le stoviglie.Vedendo il naufrago si appresto a soccorrerlo,lo scaldò,lo curo, e lo nutri.Quando Landolfo fu di nuovo in forze pensò che fosse l’ora di andarsene e di regalare per ringraziamento l’unica cosa che aveva:la cassa.Non essendo però lei in quel momento in casa il mercante volle aprirla per vedere il suo contenuto e grande fu la meraviglia quando vide che vi erano moltissime pietre preziose.Finalmente baciato dalla fortuna scambiò la cassa con un sacco dove mise il tesoro, e quindi “di marina in marina” arrivò fino a Trani dove trovò i suoi concittadini che lo rivestirono e lo condussero a casa. A questo punto Landolfo vendette le pietre diventando il doppio più ricco di quando partì e inviò dei soldi alla donna dell’ isola di Gurfo e ai concittadini che lo riaccompagnarono. Capita la lezione abbandonò il commercio per potersi finalmente godere il tanto sofferto denaro senza più desiderarne altro. Daniele Mattozzi
Amore • Il tragico amore di Guiscardo e Ghismunda • Lisabetta da Messina • Federico degli Alberighi • L’amore erotico:Il prete di Varlungo e monna belcolore
Il tragico amore di Guiscardo e Ghismunda Ghismunda si era sposata un’ unica volta con il Duca di Capova il quale morì presto e la costrinse a tornare al castello del padre: il principe Tancredi. Tancredi non si preoccupò mai veramente di trovarle un marito e neanche lei esprimeva questo desiderio. Tuttavia si invaghì di un giovane valletto chiamato Guiscardo e finirono per innamorarsi l’un l’altro. Ghismunda era di origine nobile mentre Guiscardo di origine poco più che modesta, perciò i due dovevano esprimere segretamente il loro amore. Tuttavia Tancredi ogni Lunedì era solito a recarsi nella stanza della figlia per fare discussioni tra padre e figlia: anche quel giorno era previsto un incontro con Guiscardo. Il padre si amareggiò molto nello scoprire la cotta segreta di sua figlia e per questo decise di imprigionare il segreto amante. non credendo alle parole della figlia ordina di uccidere il ragazzo. Nel frattempo la fanciulla con il pensiero che Tancredi uccidesse veramente il suo amato prepara una pozione avvelenata. Così avvenne e la ragazza non esitò a suicidarsi. In punto di morte riuscì ad ottenere dal padre una sepoltura vicina a quella di Guiscardo situata in in punto in cui tutti potessero essere testimoni del loro amore. Antonelli Danilo 3blst
Lisabetta da Messina (Amore) La novella parla di 3 fratelli e mercanti di Messina, i quali divennero ricchi dopo la morte del padre; avevano una sorella, Elisabetta, molto bella anche se non ancora sposata. Per loro lavorava un giovane di nome Lorenzo che gestiva i loro affari e a cui interessava Elisabetta. Accadde che anche a lei cominciò ad interessare Lorenzo e così dopo un po’ di tempo cominciarono a frequentarsi di nascosto. I fratelli si accorsero di questa relazione, ma decisero, nonostante fossero contrari, di lasciar correre e fingere di esserne all’oscuro. Qualche tempo dopo andarono con Lorenzo fuori città, aspettarono il momento giusto e lo uccisero nascondendo il cadavere. Tornati a Messina fecero credere che l’avevano mandato fuori per affari. Elisabetta naturalmente ne chiedeva spesso notizie ma senza ricevere risposte esaurienti per questo la notte piangeva e pregava per il suo ritorno. Fu così che Lorenzo le apparve in sogno e le spiegò il motivo della sua assenza mostrandole il luogo dove i suoi fratelli l’avevano seppellito. Elisabetta decise di andare a verificare e dopo aver avuto dai fratelli il permesso di uscire si recò nel luogo che aveva sognato e trovò il corpo di Lorenzo, ma non potendolo portare con sé gli tagliò la testa e la diede alla serva che l’accompagnava. Elisabetta pianse molto su quella testa fino a che decise di metterla in un vaso, ricoprirla di terra e piantarci sopra del basilico. Dava a quel vaso innumerevoli attenzioni e i fratelli, preoccupati, glielo nascosero. Cominciò a piangere e a chiedere continuamente del vaso fino a che si ammalò e i fratelli decisero di vedere cosa ci fosse di così importante all’interno. Lo aprirono e vi trovarono la testa di Lorenzo perciò temendo che ciò si venisse a sapere si trasferirono a Napoli dove la loro sorella morì. Federico Bernardini
Federico degli Alberighi La novelletta e narrata da Fiammetta sotto il suo stesso reggimento. Federico degli Alberighi, un ricchissimo nobile di Firenze si innamorò di monna Giovanna, una delle donne più belle della Toscana. Per sedurla organizzò feste in suo onore e le fece doni fino a sperperare tutti i suoi averi e senza suscitare in lei nessuna attrazione. Si ridusse così a possedere solo un piccolo podere ed un falcone, uno dei migliori del mondo che gli permettevano di sopravvivere. Avvenne però che il marito di monna Giovanna morì e questa andò a trascorrere l'estate con il figlio in una tenuta vicino a quella di Federico. Questo e il ragazzo fecero presto la conoscenza, grazie al grande interesse del giovane per il falcone. Il figlio di Giovanna si ammalò e quando gli chiese cosa lui desiderasse, quello rispose che se avesse avuto l'uccello di Federico sarebbe sicuramente guarito. Il giorno dopo la madre si recò da Federico con una altra donna, non senza vergogna di andare a chiedere a lui che a causa sua si era ridotto in miseria una cosa così preziosa. L'accoglienza fu calda, le donne dissero che si sarebbero fermate per la colazione, ma l'uomo non trovando niente da cucinare tirò il collo al falcone e lo servì a tavola. Il pasto trascorre piacevolmente, fino a quando monna Giovanna, raccolto il coraggio, chiede il falcone per il figlio moribondo. Federico scoppia a piangere davanti a lei e le spiega che glielo avrebbe donato volentieri se non lo avesse usato come vivanda per la colazione uccidendolo proprio perché non aveva niente altro di adatto ad una donna come lei. Giovanna torna a casa commossa per il gesto dell'uomo ma sconsolata e nel giro di pochi giorni il suo unico figlio muore, forse per la malattia, forse per il mancato desiderio dell'uccello. Essendo però ancora giovane viene spinta dai fratelli a rimaritarsi per dare un erede ai beni acquisiti dal defunto marito. La donna non vorrebbe altre bozze, ma essendo obbligata sceglie come sposo Federico per la sua generosità, facendolo finalmente ricco, felice e più accorto nelle questioni finanziarie Andrea Visca
L’amore erotico:Il prete di Varlungo e monna belcolore Un gagliardo prete di campagna,innamorato ma tirchio riesce a godersi gratis una contadinotta appetitosa che ha pur la sua dose di calcolatrice avidità condita di rustica civetteria e la donna beffata deve anche sentirsi rinfacciare la sua scarsa cortesia verso il prete dal marito goffo e tonto che lo rispetta come la massima espressione dell'autorità in terra!con una materia così volgare,proiettandola sullo sfondo sereno della campagna,animandola di un’entusiasta festosità,dandole la leggerezza di un sogno senza toglierle i vividi colori della realtà,il boccaccio riesce a creare un vero capolavoro. Mirco Calandra
Ingegno • Cisti fornaio • Ser Ciappelletto • Chichibio cuoco • Frate Cipolla • Calandrino e l’elitropia • Nastagio degli Onesti
L’intelligenza come pronta risposta:Cisti Fornaio Con questa novella scritta nella VI giornata siamo di fronte alla celebrazione dell’intelligenza come prontezza di spirito . Il protagonista è Cisti , un fornaio borghese dall’animo nobile, capace di dimostrare, grazie all’ingegno, che la gentilezza non è più privilegio dell’aristocrazia . La novellatrice invita a riflettere sui colpi della fortuna , che sembra inferire sugli uomini in diversi modi, essa assegna delle volte, un’attività di bassa condizione a un uomo dotato di nobile animo. Cisti riesce a mostrare il suo animo nobile , pur praticando un vil mestiere,grazie alla sua astuzia ed intelligenza ;molto di più rispetto all’aristocratico messer Geri . Riesce ad attirare l’attenzione su di se di messer Geri senza compiere nessun passo , ma facendolo compiere all’aristocratico. Soltanto alla fine della novella , con il dono del vino ,di Cisti a messer Geri egli viene stimato come uomo di grande valore .Secondo Boccaccio la condizione sociale elevata , non la nobiltà di sangue , ma la cultura e la ricchezza ,è elemento naturale di gentilezza , ed il fatto che essa possa manifestarsi in un fornaio è soltanto un esempio di imprevedibilità della fortuna. Luca Morbidini
Ser Ciappelletto “Rappresenta la novella iniziale della prima giornata del Decameron, in cui i giovani ragazzi, protagonisti dell’opera, si lasciano andare al libero piacere della narrazione, senza un particolare tema o modello da seguire. Pampinea, “regina”della giornata, affida a Panfilio il compito di cominciare il racconto della storia, che si apre con un’interpretazione, attuata dal narratore, molto particolare, della realtà; essa viene vista come insieme di “cose temporali”, quindi soggette al trascorrere degli anni e destinate a morire. A tutto questo, fragile ed insignificante, si contrappone la grandezza e la potenza di Dio, la cui grazia si rivolge agli uomini non per i loro meriti, bensì per via della naturale bontà celeste. Gli uomini, non potendosi rivolgere direttamente a “Lui”, concentrano le loro preghiere e le loro suppliche verso coloro che in vita hanno eseguito la volontà del Signore e che ora sono diventati eterni e beati (i santi). Alle volte capita, tuttavia, che le persone siano ingannate e prendano come intermediario qualcuno che è stato condannato da Dio stesso all’inferno. È il caso del protagonista di questa novella, Ser Ciappelletto, descritto da Boccaccio come “il peggior uomo che mai nascesse”, ma considerato venerabile dalla comunità. Egli è un falsario pronto ad utilizzare tutti i suoi mezzi per contorcere la realtà, un abile bugiardo e uno spietato disseminatore di litigi e contrasti all’interno di parenti e amici; assassino, bestemmiatore, traditore della Chiesa e della religione (che naturalmente non segue), ladro, ruffiano nei confronti di uomini e donne è, oltretutto, un accanito bevitore di vino: un uomo, quindi, non estraneo al peccato, anzi avvezzo a deliziarsi di ogni colpa e piacere mondani. Egli viene assunto da Musciatto Franzesi per la gestione dei suoi intricati affari sparsi in innumerevoli regioni. Durante il suo viaggio, trova accoglienza in casa di due fratelli usurai e qui, inaspettatamente, è vittima di un malore. I due proprietari, timorosi delle ripercussioni che la diffusione della notizia della morte di un personaggio simile nella loro abitazione senza l’estrema unzione avrebbe comportato, cominciano a interrogarsi sul da farsi. I loro dialogo, però, non sfugge alla orecchie vigili del moribondo, che rassicura i suoi ospiti garantendo loro nessuna preoccupazione futura. Proprio per questo motivo, ordina di far venire al suo capezzale un parroco, il più “santo”possibile, per una sua prima ed ultima confessione. Durante la visita del prete, Ciappelletto gli fa credere di essere un uomo timoroso di Dio, assiduo frequentatore della Chiesa nonché cristiano abituato a fare l’elemosina, ad ammonire i peccatori più spudorati a calibrare accuratamente ogni più piccola azione ed ogni più minuscolo pensiero in base alle leggi del Signore. Il frate, stupito da tanto candore e da una simile purezza, dopo la morte dell’uomo, raccoglie tutti i suoi fratelli in riunione con il solo obiettivo di tessere le lodi del defunto. I due usurai, intanto, preparano, servendosi dei soldi di Ciappelletto stesso, il suo funerale. Alla straordinaria cerimonia, posteriore ad un’altrettanto solenne veglia funebre, partecipa un gran numero di persone che, convinte che ciò che è stato detto riguardo il morto sia del tutto vero, adorano la sua salma proprio come se si trattasse di un individuo degno di essere beatificato ed adorato. • Cece Matteo
Calandrino e l’elitropia Dopo la novella di Panfilo la regina Lauretta disse a Elissa di continuare con la propria novella (la terza della giornata). Questa narra di Calandrino, un uomo semplice, pittore per professione. Calandrino ha come grandi amici Bruno e Buffalmacco, che si divertono a prenderlo in giro. Anche Maso del Saggio,che invece è un ragazzo bello ed intelligente,vuole deriderlo e, raggiunto Calandrino in chiesa comincia a narrare, prima di Berlinzone che si trovava nella contrada di Bengodi, terra dove il cibo abbonda, poi della Elitropia, una pietra che si trova a Mugnone, e che avrebbe la particolare virtù di rendere invisibile la persona che la possiede. Udite queste cose, Calandrino va a cercare Bruno e Buffalmacco e gli racconta tutto quello che ha sentito. Bruno e Buffalmacco credono che questa possa essere una buona occasione per sbeffeggiarlo. Si accordano per partire domenica e andare a Mugnone. Una volta là, passano tutta la giornata a cercare invano la pietra. Verso ora di cena Bruno e Buffalmacco fanno finta di non vedere più Calandrino, per fargli credere che abbia trovato la pietra,cosi con la scusa gli danno calci e gli lanciano sassi. Poi tornano a Firenze. Calandrino ancora invisibile li segue. Tornato a casa, sua moglie, Tessa, lo vede e lo rimprovera per il suo ritardo. Calandrino, credendo che la donna abbia rotto l’incantesimo dell’elitropia, la malmena. Bruno e Buffalmacco entrano in casa di Calandrino e, facendo finta di non sapera che cosa sia successo, chiedono dov’era finito e perché picchiasse Tessa. Raccontato tutto Bruno e Buffalmacco fanno riappacificare Calandrino e Tessa, raccontando che le donne fanno decadere il potere della pietra. Calandrino, come al solito, crede a tutto quello che gli viene raccontato. Di Gennaro Gianluca
Frate Cipolla Frate Cipolla promette a dei contadini di mostrar loro una penna di pappagallo, affermando che si tratta di una piuma dell’angelo Gabriele. Egli lascia la sua preziosa “reliquia” in custodia al suo servo Guccio, il quale, però, si stava dando da fare per sedurre la serva Nuta. Due giovani dispettosi amici del frate, approfittando della negligenza di Guccio, entrano nella camera di Cipolla, e mettono carbone al posto della penna. Il frate, nell’aprire la scatola davanti ai contadini, trovando il carbone, colto alla sprovvista, subito s’ingegna e spiega agli astanti di essersi sbagliato scambiando la scatola con la penna con un’altra in cui era contenuto il carbone resto della pira su cui fu arso San Lorenzo. I Frate Cipolla si presentano due strati sociali e intellettuali ben distinti. In uno si situano gli ignoranti e i poveri di spirito: Nuta, Guccio e i contadini di Certaldo. Boccaccio, spietato verso di loro, in questa, come in quasi tutte le novelle del Decameron, stabilisce una divisione fra la vita esclusivamente istintiva, quasi animalesca, propria degli strati sociali inferiori, e la vita di contemplazione della natura e della creazione divina, propria delle classi più elevate e istruite. Questa frattura tra i due strati sociali è frutto della convenzione dell’amor cortese che ha pervaso tutto il Medioevo, secondo cui la poesia idillica poteva rappresentare soltanto dialoghi d’amore fra nobili, mentre ai contadini erano destinate forme burlesche e dileggianti, dato che l’amore fisico e istintuale apparteneva proprio agli strati sociali più bassi. La differente competenza retorica e oratoria crea un abisso enorme fra Guccio e Cipolla,e mentre rende il primo un essere odiato e fallito, come dimostrano i suoi nomignoli dispregiativi e i suoi fiaschi come seduttore, fa del secondo un amico di tutti. Il frate esce quindi vittorioso dal tranello preparatogli dai 2 giovani che avevano nascosto la sua “reliquia”, la penna di pappagallo. Egli poi inventa una storia piena di affermazioni stranissime, assurdi giochi di parole e ambiguità, insomma un vero capolavoro di oratoria, seguito dalla benedizione della folla con i carboni. Il fatto molto importante è che egli, con prontezza, senza manifestare emozioni che potrebbero compromettere la sua persona agli occhi dei fedeli,deduce che il responsabile dello scambio non era il suo servo,ma qualche mattacchione. Pensa che sia stato un errore lasciare un oggetto tanto prezioso e pericoloso ad uno scervellato come Guccio. E soprattutto, si rende conto che può volgere la situazione a suo favore, e si affretta ad attribuire direttamente a Dio l’equivoco dello scambio della scatola che contiene la piuma dell’angelo Gabriele con quella che contiene i carboni con cui San Lorenzo era stato bruciato vivo. Così i fedeli possono rendere omaggio a quel santo, la cui festa sarebbe stata commemorata due giorni dopo. Frate Cipolla esalta, allora, la potenza divina, con la frase citata; le parole del frate sono indirizzate ai suoi due amici burloni, i quali sapevano bene che egli non sarebbe caduto nel tranello tesogli, date le sue capacità di oratoria e improvvisazione. Se non ne fossero stati coscienti, non lo avrebbero messo in una situazione simile, pertanto volevano solamente godersi la scena escogitata dal frate. Questi non solo si diverte alle spalle dei suoi ingenui fedeli, ma inscena una commedia diretta ai suoi due amici, commedia con la quale diverte questa piccola “platea”, capace di capirlo perché dotata come lui di un’intelligenza viva ed elevata, contrariamente all’altro pubblico, creduli contadini . Cresci Francesco
Chichibio cuoco Questa novella, raccontata nella sesta giornata, parla di Chichibio, cuoco di un signore fiorentino, Currado Gianfigliazzi, che con una tempestiva battuta ironica si salva dall’ira del suo signore. Currado, nobile cittadino fiorentino, amava cacciare sia coi cani checon i falconi. Un giorno a Peretola, cacciò un a gru, che diede da cucinare al suo cuoco veneziano, Chichibio, cui gli era stato chiesto di cucinarla per la cena. Chichibio, che aveva l’aspetto del fanfarone, preparò e cominciò a cucinare la gru. Quando fu cotta, entrò in cucina Brunetta, una ragazza di cui Chichibio era innamorato. Brunetta lo pregò di darle una coscia della gru, e Chichibio, dopo molte insistenze della ragazza, gliela diede. Ma al sera, quando la gru fu servita a tavola, Currado, che cenava con alcuni ospiti, mandò a chiamare Chichibio, chiedendogli perché la gru avesse solo una coscia. Chichibio disse che tutte le gru ne avevano solamente una, facendo molto arrabbiare Currado, che, promettendogli di farlo conciare per le feste, gli disse che la mattina seguente sarebbero andati a verificare. La mattina dopo Currado, che non aveva dormito per la rabbia, mandò a chiamare Chichibio, e si diressero verso un ruscello dove la mattina c’erano molte gru. Una volta arrivati, Chichibio vide per primo una dozzina di gru su una zampa, posizione che hanno quando dormono. Allora Chichibio le fece vedere a Currado, che, per controllare, cominciò a gridare “Ho!Ho!”, così che le gru, svegliatosi, abbassarono l’altra zampa e scapparono. Allora Currado chiese a Chichibio chi avesse ragione, e lui rispose: ”Se ieri sera avessi gridato Ho!Ho! Anche a quella gru sarebbe spuntata l’altra zampa”. Currado fu molto divertito da questa battuta, così che Chichibio si salvò dall’ira del suo signore. Rispoli Andrea 3B lst
Nastagio degli Onesti Nastagio degli onesti, un giovane di Ravenna, ereditò dalla morte di suo padre e di un suo zio una grande cifra di denari. Nastagio si innamorò della figlia del messer Paolo traversato, ma era troppo nobile per lui, nonostante Nastagio cercava di farla innamorare con le sue gentilezze la fanciulla lo allontanava, e più la speranza diminuiva più l’ amore di Nastagio cresceva. Le ricchezze di Nastagio cominciarono a diminuire, così decise si seguire il consiglio della sua famiglia, che più volte gli aveva consigliato di allontanarsi da Ravenna, partì e si trasferì in un paese a tre miglia da Ravenna chiamato chiasso, qui incominciò a fare la più bella vita che si potesse immaginare. Arrivata la primavera gli tornò in mente il suo amore per la nobile fanciulla e decise di chiudersi nei suoi pensieri facendo una passeggiata in un boschetto lì vicino, quando ormai era avvolto nei suoi pensieri sentì delle grida e si accorse che c’ era una bellissima ragazza senza veli, che tutta graffiata scappava chiedendo pietà da due grandi mastini e dietro di lei spuntò un cavaliere nero con una spada in mano. Anche se un po’ spaventato Nastagio afferrò un bastone cercando di difendere la ragazza, ma il cavaliere esclamò:“ fermo Nastagio, non t’ impicciare lascia fare a me e a questi cani ciò che questa ragazza merita”. Dopo questa frase i cani azzannarono i fianchi della ragazza e il cavaliere scese da cavallo, ma nastagio si avvicinò e disse:” non la conosco, ma che razza di cavalieri sei che armato vuoi uccidere questa ragazza che hai fatto inseguire da due cani come se fosse un animale selvatico, io la difenderò”. Il cavaliere iniziò a parlare:” anch’ io sono di Ravenna, e il mio nome è guido degli inastasi, e mi ero innamorato di una ragazza che non voleva il mio amore, e decisi di suicidarmi, e divenni un dannato. Non passò molto tempo che anche lei morì, ma non si pentì di aver rifiutato l’ amore e quindi fu dannata nell’ inferno. Da quando è scesa nell’ inferno fugge davanti a me e io la inseguo finché non la trafiggo con questa spada con cui mi sono ucciso, questo si ripete ogni venerdì a questa ora, quindi Nastagio non metterti contro la giustizia divina”. Udendo quelle parole Nastagio si scansò e il cavaliere trafisse la ragazza, strappandogli il cuore, ma la ragazza si alzò e riprese a scappare verso il mare. Sebbene un po’ frastornato Nastagio chiese alla servitù di segnare il posto e di invitare il venerdì dopo messer Paolo traversato, sua moglie, sua figlia e tutte le donne a lui parenti. La cosa era molto semplice da fare e per quella occasione Nastagio fece preparare una lunga tavolata nel posto suggerito alla servitù, quando anche l’ ultima portata fu finita si incominciarono ad udire le urla della ragazza inseguita dai cani e dal cavaliere, gli uomini presenti cercarono di difendere la ragazza, ma il cavaliere gli raccontò la storia che aveva raccontato a Nostagio, gli uomini udendo le parole del cavaliere si fecero da parte e il cavaliere poté eseguire la stessa azione fatta il venerdì precedente, quando tutto finì la ragazza amata da Nastagio si rese conto che il suo comportamento era sbagliato e per paura di fare quella brutta fine trasformò il suo odio in amore e sposo Nastasio, Giancarli Simone III Blst
3 BLST Antonelli Danilo Bernardini Federico Bucci David Calandra Mirco Cece Matteo Coletti Marco Coluzzi Luca Cresci Francesco DiGennaro GianLuca Lidano Gianludovico Mattozzi Daniele Morbidini Luca Porcellini Federico Rispoli Andrea Sabellico Andrea Simeoni Davide Spatari Sergiu Visca Andrea 3 BLST Insegnanti: Pinchera Elisabetta Mucci Paola