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Fra letteratura autoriale e popolare. Percorsi di costruzione dell’identità. I DINTORNI DELL’ARTE 2012/2013 Fatta l’Italia, facciamo gli italiani!. Claudia Chellini. 4. Uno sguardo sulla letteratura italiana dall’Unità d’Italia al Primo Novecento PARTE 2. 2. Avanguardie storiche.
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Fra letteratura autoriale e popolare.Percorsi di costruzione dell’identità I DINTORNI DELL’ARTE 2012/2013 Fatta l’Italia, facciamo gli italiani! Claudia Chellini
4. Uno sguardo sulla letteratura italiana dall’Unità d’Italiaal Primo NovecentoPARTE 2 2
Avanguardie storiche Crepuscolarismo Guido Gozzano (1883-1916) Futurismo Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) Aldo Palazzeschi (1885-1974) La riviste Leonardo (1903-1907) Il Regno (1903-1906) Hermes (1904) La Voce (1908-1916) Lacerba (1913-1915) Il Novecento fino alla Prima Guerra Mondiale
Il “malessere” di inizio Novecento Nei cervelli e nelle coscienze regna una straordinaria confusione … Crollate le vecchie norme, non ancora sorte e ben stabilite le nuove, è naturale che il concetto della relatività di ogni cosa si sia talmente allargato in noi, da farci quasi del tutto perdere l’estimativa. Il campo è libero da ogni supposizione. L’intelletto ha acquistato una straordinaria mobilità. Nessuno più riesce a stabilirsi un punto di vista fermo e incrollabile. I termini astratti han perduto il loro valore, mancando la comune intesa che li rendeva comprensibili,. Non mai, credo, la vita nostra, eticamente ed esteticamente, fu più disgregata … Da ciò, a parere mio, deriva per la massima parte il nostro malessere intellettuale. Luigi Pirandello, Arte e coscienza d’oggi, 1893
Le posizioni degli intellettuali italiani Futuristi: tendono a risolvere la crisi storica e intellettuale in un frenetico attivismo, nell’esaltazione incondizionata della civiltà industriale, nella celebrazione della macchina e della velocità. Crepuscolari: cercano una soluzione alla crisi fuggendo dalla città e tentando di tornare alla semplicità, all’innocenza, agli affetti sani della vita di campagna. Esponenti del “nuovo romanzo”: si impegnano in una inquieta e tormentosa analisi della malattia dell’uomo moderno, condannando la società contemporanea come corrosiva e impietosa. I loro personaggi sono incapaci di agire, di darsi una consistenza, tesi a smontare e riraccontare la loro storia frantumata.
Le riviste al centro del dibattito culturale • Leonardo (1903-1907) • Il Regno (1903-1906) • Hermes (1904) • La Voce (1908-1916) • Lacerba (1913-1915) Le riviste diventano adesso lo strumento privilegiato per far conoscere e circolare idee e proposte emergenti dalla realtà nazionale e internazionale.
Leonardo (1903-1907) È fondata da Giovanni Papini, vi collabora Giuseppe Prezzolini, si pone contro positivismo, erudizione, arte verista, metodo storico, materialismo, varietà borghesi e collettivisti della democrazia. • È influenzata dall’estetismo dannunziano e dalla filosofia tedesca. • Con la sua volontà di rinnovamento, cerca di aprire le porte della cultura italiana alle correnti più vive della filosofia dell'epoca (ad es. l’intuizionismo francese, Friedrich Nietzsche e le esigenze religiose appena nate).
Il Regno (1903-1906) È antisocialista, antigiolittiana, antidemocratica. Vuole al potere un élite borghese che si liberi del Parlamento. Esalta il culto della nazione, l’espansione coloniale, la guerra come lezione di energia. Fondando questa rivista abbiamo un solo scopo: di essere una voce fra tutti coloro i quali si dolgono e si sdegnano per la viltà della presente ora nazionale. […] Una voce dunque contro la viltà del presente. E prima di tutto contro quella dell’ignobile socialismo […] E una voce altrsì per vituperare quelli che mostrano di far tutto per essere vinti. Per vituperare la borghesia italiana che regge e governa […] che si ostina a intenerirsi ogni giorno di più per le dottrine della libertà e dell’internazionalismo.
Hermes (1904) "Qualcuno si maraviglierà leggendo che per noi è aristocratica quell'ARTE, nella quale la forma sia espressiva ed intimamente connaturata al contenuto. È dunque aristocratica l'arte; e l'epiteto sembrerebbe ozioso, se non fosse oggi proprio un'esigua minoranza, una vera aristocrazia quella che riconosce il valore espressivo dell'arte e non ostenta un ebete disprezzo per la FORMA […] Siamo, diranno, PAGANI e DANNUNZIANI. E sì: noi amiamo ed ammiriamo Gabriele D'Annunzio più di ogni altro nostro poeta moderno, morto o vivo che sia, e da lui ci partiamo nella nostra arte. Siamo DISCEPOLI del D'Annunzio, come il D'Annunzio fu discepolo del Carducci e il Carducci del Foscolo e del Monti. Ma se dannunziano significa scimmia del D'Annunzio disprezziamo l'ingiuria, e passiamo oltre. Gabriele D'Annunzio è per noi un grande MAESTRO, non un allevatore di fringuelli ammaestrati".
La Voce (1908-1916) Quattro sono le fasi della sua vita 1908-1911 1912-1913 1914 1914-1916
La Voce (1908-1916) 1908-1911 Direttore è Giuseppe Prezzolini. Vi collaborano: Gaetano Salvemini, socialista “dissidente” Benedetto Croce e Giovanni Gentile, Giovanni Amendola, liberale Scipio Slataper, Clemente Rebora, Piero Jahier, Giovanni Boine, Camillo Sbarbaro, giovani scrittori e poeti Giovanni Papini e Ardengo Soffici Luigi Einaudi, economista L’impegno della rivista nasce è diretto ad un profondo rinnovamento spirituale e istituzionale, per determinare una nuova cultura e una nuova figura di intellettuale, che non deve vivere come se fosse immerso solo nella sua arte, cioè separato dal mondo.
La Voce (1908-1916) Denunciare e combattere i giudizi leggeri e avventati senza possibilità di discussione, la ciarlataneria di artisti deficienti e di pensatori senza reni, la mondanità chiacchierina e femminile che trasporta le abitudini dei salotti e delle alcove nelle questioni d’arte e di pensiero, il lucro e il mestiere dei fabbricanti di letteratura, la vuota formulistica che risolve automaticamente ogni problema, l’egoismo ben pasciuto che vuole la rendita annua e l’anima immortale, la paura di ogni mutamento e di ogni scossa sociale… Già ci proponiamo di tener dietro a certi movimenti sociali ce si complicano di ideologie, come il modernismo e il sindacalismo; di informare, senza troppa smania di novità, di quel che di meglio si fa all’estero; di proporre riforme e miglioramenti alle biblioteche pubbliche; di occuparci della crisi morale delle università italiane; di segnare le opere di lettura e di commentare la viltà della vita contemporanea.
La Voce (1908-1916) 1912-1913 È direttore Giovanni Papini e la rivista assume un deciso orientamento letterario, abbandonando il rapporto tra letteratura e vita nazionale che aveva improntato la prima fase della rivista. Appaiono numerosi articoli su esperienze letterarie fondamentali di altri paesi. La Voce aprirà le sue colonne come finora non aveva mai fatto, alla creazione artistica dei suoi collaboratori. Essa pubblicherà non soltanto novelle, racconti, versi, non soltanto disegni originali e riproduzioni di quadri e di sculture, ma ogni forma di lirica, dal diario al frammento, dallo schizzo all'impressione. Purché ci sia VITA.
La Voce (1908-1916) 1914 Torna direttore Prezzolini e i temi principali tornano ad essere la cultura e la politica. Il clima è cambiato e «La Voce», pur restando un giornale libero, prende posizione e sceglie l'interventismo. 1914-1916 Diretta da Giuseppe De Robertis, la rivista diventa un periodico esclusivamente letterario, lontano dalle inquadrature storiche che cercano i rapporti esistenti tra l'artista e il momento storico. Si punta esclusivamente sul fatto artistico utilizzando un metodo critico che si concentra quasi esclusivamente sulla parola e sulla concezione di una poesia pura.
Lacerba (1913-1915) 1 Chi non riconosce agli uomini di ingegno, agli inseguitori, agli artisti il pieno diritto di contraddirsi da un giorno all'altro non è degno di guardarti. Tutto è nulla, nel mondo, tranne il genio. Le nazioni vadano in sfacelo ma crepino di dolore i popoli se ciò è necessario perché un uomo creatore viva e vinca. Le religioni, le morali, le leggi hanno la sola scusa nella fiacchezza e canaglieria degli uomini e nel loro desidero di star più tranquilli e di conservare alla meglio i loro aggruppamenti. Ma c'è un piano superiore - dell'uomo solo, intelligente e spregiudicato - in cui tutto è permesso e tutto è legittimo. Che lo spirito almeno sia libero!
Lacerba (1913-1915) 2 Di serietà e di buon senso si fa oggi un tal spreco nel mondo, che noi siamo costretti a farne una rigorosa economia. […] Noi siamo inclini a stimare il bozzetto più della composizione, il frammento più della statua, l'aforisma più del trattato, il genio mancato e disgraziato ai grand'uomini olimpici e perfetti venerati dai professori. Queste pagine non hanno affatto lo scopo né di far piacere, né d'istruire, né di risolvere con ponderanza le più gravi questioni del mondo. Sarà questo un foglio stonato, urtante, spiacevole e personale. Sarà uno sfogo per nostro beneficio e per quelli che non sono del tutto rimbecilliti dagli odierni idealismi, riformismi, umanitarismi, cristianismi e moralismi.
Le “Avanguardie storiche” Futurismo, Cubismo, Espressionismo, Dadaismo, Surrealismo, Crepuscolarismo Tentano di demolire il passato nelle sue forme e nelle sue istituzioni e progettano un nuovo mondo, con un atteggiamento di rivolta che spesso assume i toni dello scherno e del cinismo. Dietro le bizzarrie, le stravaganze, le eccentricità c’è un sentimento tragico dell’esistenza, un disagio e una profonda inquietudine, il sentirsi rifiutato dalla società e di farsi per questo “eccentrico” rispetto ad essa. D’altra parte, con il loro ossessivo desiderio di cercare nuove forme di espressione, le avanguardie storiche spazzarono via i tradizionali modi del fare artistico in tutti i settori della cultura: arti figurative, poesia, teatro, cinema, musica.
Crepuscolarismo Il termine “Crepuscolarismo” fu coniato da Giuseppe Antonio Borgese per identificare il tramonto della “gloriosa poesia” italiana: Si direbbe che dopo le Laudi e i Poemetti la poesia italiana si sia spenta. Si spegne, infatti, ma in un mite e lunghissimo crepuscolo. Il Crepuscolarismo è un clima culturale, un modo di atteggiarsi di fronte alla realtà e alla letteratura che esprime una raffinata nostalgiaper un mondo perduto per sempre. Accomuna un gruppo di poeti che hanno in comune il riferimento alla lirica europea e il rifiuto della letteratura dannunziana.
Guido Gozzano (1883-1916) Torinese, proveniente da una famiglia dell’alta borghesia, studia legge . Nel 1897 pubblica La via de rifugio. Del 1911 sono I Colloqui. Nel 1912 si aggrava la sua tisi e, nella speranza della guarigione, intraprende un viaggio in Oriente, dalla quale nascono le prose Verso la cuna del mondo. Montale lo definisce come il primo poeta del Novecento che riuscisse […] ad attraversare D’Annunzio per approdare ad un territorio suo.
La signorina Felicita ovvero la Felicità […] III. Sei quasi brutta, priva di lusinga nelle tue vesti quasi campagnole, ma la tua faccia buona e casalinga, ma i bei capelli di color di sole, attorti in minutissime trecciuole, ti fanno un tipo di beltà fiamminga... E rivedo la tua bocca vermiglia così larga nel ridere e nel bere, e il volto quadro, senza sopracciglia, tutto sparso d’efelidi leggiere e gli occhi fermi, l’iridi sincere azzurre d’un azzurro di stoviglia... […] VI Oh! questa vita sterile, di sogno! Meglio la vita ruvida concreta del buon mercante inteso alla moneta, meglio andare sferzati dal bisogno, ma vivere di vita! Io mi vergogno, sì, mi vergogno d’essere un poeta! Tu non fai versi. Tagli le camicie per tuo padre. Hai fatta la seconda classe, t’han detto che la Terra è tonda, ma tu non credi... E non mediti Nietzsche... Mi piaci. Mi faresti più felice d’un’intellettuale gemebonda... Tu ignori questo male che s’apprende in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti, tutta beata nelle tue faccende. Mi piace. Penso che leggendo questi miei versi tuoi, non mi comprenderesti, ed a me piace chi non mi comprende. Ed io non voglio più essere io! Non più l’esteta gelido, il sofista, ma vivere nel tuo borgo natio, ma vivere alla piccola conquista mercanteggiando placido, in oblio come tuo padre, come il farmacista... Ed io non voglio più essere io! Guido Gozzano, I Colloqui
Totò Merùmeni […] II Totò ha venticinque anni, tempra sdegnosa, molta cultura e gusto in opere d’inchiostro, scarso cervello, scarsa morale, spaventosa chiaroveggenza: è il vero figlio del tempo nostro. Non ricco, giunta l’ora di «vender parolette» (il suo Petrarca!…) e farsi baratto o gazzettiere, Totò scelse l’esilio. E in libertà riflette ai suoi trascorsi che sarà bello tacere. Non è cattivo. Manda soccorso di denaro al povero, all’amico un cesto di primizie; non è cattivo. A lui ricorre lo scolaro pel tema, l’emigrante per le commendatizie. Gelido, consapevole di sé e dei suoi torti, non è cattivo. È il buono che derideva il Nietzsche «… in verità derido l’inetto che si dice buono, perché non ha l’ugne abbastanza forti…». Dopo lo studio grave, scende in giardino, gioca coi suoi dolci compagni sul’erba che l’invita; i suoi compagni sono: una ghiandaia rôca, un micio, una bertuccia che ha nome Makakita… […] V Così Totò Merùmeni, dopo tristi vicende, Quasi è felice. Alterna l’indagine e la rima. Chiuso in se stesso, medita, s’accresce, esplora, intende La vita dello Spirito che non intese prima. Perché la voce è poca, e l’arte prediletta Immensa, perché il Tempo – mentre ch’io parlo! – va, Totò opra in disparte, sorride, e meglio aspetta. E vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà. Guido Gozzano, I Colloqui
I temi • Abbandono della tematica eroica a cui il Crepuscolarismo contrappone un mondo di piccole cose, di dimessa quotidianità. • Alla mondanità delle città, delle ville, dei salotti alto-borghesi luccicanti, i crepuscolari contrappongono gli orti, i giardini, i conventi, le chiesette, i cimiteri di campagna, le stazioncine di provincia, il salotto buono piccolo-borghese. • Di contro alle donne fatali e raffinate, propongono le signore che scelgon le paste nelle confetterie, la cuoca diciottenne, le fantesche. • La volontà di potenza si rovescia in un diffuso senso di malinconia e di nostalgia, di volontà di morte, di stanchezza di vivere, di estraneità dimessa, di disadattamento esistenziale. Il poeta non aspira più ad essere guida e interprete delle esigenze della nazione, adesso chiede solo che lo si lasci sognare (Gozzano) o divertire (Palazzeschi) o morire (Corazzini).
Lo stile Alla poesia dal tono magniloquente, oratorio, alto, i crepuscolari oppongono un tonodimesso, quotidiano, colloquiale, con un periodare volutamente lineare, discorsivo, prosaicizzato e un lessico comune, impoetico, preso dalla lingua d’uso, dai tecnicismo vari, dal dialetto. Alla ricerca degli effetti musicali, sofisticati, fonosimbolici, contrappongono un casto uso della parola, della filastrocca, della ripetizione. La parola tende a essere solo indicatore di oggetti, senza creare attorno a sé echi musicali o simbolici. Le rime vengono usate non in funzione di elevazione musicale, ma in funzione ironica e dissacratoria, con l’accostamento di parole di livello stilistico diverso: divino/intestino, malinconia/radioscopia, fuggitivi/legumi improduttivi.
L’ironia La sua polemica è rivolta non solo alla tradizione letteraria, ma investe anche i temi della sua propria poesia e se stesso come poeta. Gli strumenti di questa polemica sono l’ironia, l’atteggiamentocritico. Gli oggetti tipici della tematica crepuscolare (vasellame, ceste, mobili, materassi) sono consapevolmente e lucidamente definiti ciarpame / reietto, così caro alla mia Musa! Il costante atteggiamento autoironico consente al poeta di prendere le distanze e non identificarsi con l’oggetto della sua rappresentazione, che a volte colloca lontano nel tempo e nello spazio, a volte non prende sul serio.
Lo stile • Il contrasto creato dall’ironia, fra un mondo di cose evocate e ripudiate, amate e derise, è reso nel linguaggio con l’uso frequente dell’aggettivoantitetico: buone cose di pessimo gusto, dolci bruttissimi versi. • Frequente il contrasto fra lessico banale, quotidiano, sciatto tipico del crepuscolarismo (stoviglie, biciclette, rotaie del tram, ecc.) e un lessico aulico (peplo, rabescare, cornucopia, ecc.). • La rima è spesso usata contrapponendo parole di diverso livello linguistico e con funzione di dissacrante ironia: divino/intestino.
Il Futurismo 30
Il movimento futurista Il Futurismo nasce ufficialmente il 20 febbraio 1909 a Parigi, quando sulle colonne del Figaro appare il Manifesto del Futurismo a firma di Filippo Tommaso Marinetti. Seguono Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912) e Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà (1913). Al movimento, accompagnato da fenomeni del gusto e della moda, aderiscono scrittori e artisti di varia natura: • poeti (Aldo Palazzeschi) • scrittori (Giuseppe Papini, Ardengo Soffici) • pittori (Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla) • scrittori di teatro • musicisti
Il movimento futurista Per mettere in pratica il loro programma, i futuristi cercarono anche un canale di comunicazione più diretto e immediato con il pubblico: riviste («Poesia» e «Lacerba») conferenze, opere musicali serate futuriste I futuristi si fanno sostenitori del nuovo, esaltandone alcuni aspetti vistosi, come la velocità, la simultaneità, l’automobile e aprono la via all’esaltazione, spesso indiscriminata, della civiltà industriale e urbana.
Futurismo • È un movimento di avanguardia che ha risonanza europea. • Esprime il bisogno di vivere globalmente e totalmente la contemporaneità, con una carica dirompente e iconoclasta verso il passato, con un atteggiamento polemico e provocatorio: • Vuole programmaticamente dare una risposta al passatismo della tradizione, coinvolgendo la totalità degli aspetti della cultura e dell’arte. • Vuole porsi come modo di sentire e di vivere, sintonizzandosi con le espressioni tipiche della vita moderna nelle sue manifestazioni più vistose: tecnica, industria, macchina, velocità, pubblicità, città.
Tommaso Filippo Tommaso Marinetti, Zang Tumb Tumb, 1914
La rivoluzione formale Sul piano tecnico-formale il Futurismo incide profondamente linguisticamente e letterariamente: • distruzione della sintassi, della punteggiatura, dell’aggettivo (qualificativo), dell’avverbio, della letteratura dell’io, del ‘come’, ‘quale’, ‘simile a’: uomo-torpediniera e non ‘uomo simile a una torpediniera’ • recupero e uso dell’onomatopea, dell’analogia, del verbo all’infinito, del verso libero, delle parole in libertà, dello sperimentalismo grafico.
Aldo Palazzeschi (1885-1974) Pseudonimo di Aldo Giurlani. La sua produzione abbraccia un arco vastissimo toccando esperienze lontane fra loro. Periodo crepuscolare: I cavalli bianchi (1905), Lanterna (1907), Poemi (1909) Periodo futurista: L’incendiario (1910), il romanzo Il codice di Perelà (1911), il manifesto Il Controdolore (1914). La prima guerra mondiale chiude tutto un periodo della produzione di Palazzeschi. Del 1934 è il romanzo Sorelle Materassi, del 1948 I fratelli Cuccoli.
La fontana malata Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchette, chchch... È giù, nel cortile, la povera fontana malata; che spasimo! Sentirla tossire. Tossisce, tossisce, un poco si tace... di nuovo. Tossisce. Mia povera fontana, il male che hai il cuore mi preme. Si tace, non getta più nulla. Si tace, non s'ode rumore di sorta che forse... che forse sia morta? Orrore Ah! No. Rieccola, Ancora tossisce, Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, chchch... La tisi l'uccide. Dio santo, quel suo eterno tossire mi fa morire, un poco va bene, ma tanto... Che lagno! Ma Habel! Vittoria! Andate, correte, chiudete la fonte, mi uccide quel suo eterno tossire! Andate, mettete qualcosa per farla finire, magari... magari morire. Madonna! Gesù! Non più! Non più. Mia povera fontana, col male che hai, finisci vedrai, che uccidi me pure. Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchete, chchch... Aldo Palazzeschi, Poemi
Aldo Palazzeschi (1885-1974) Letterato dalla personalità originale, Palazzeschi sfugge a una precisa identificazione con un movimento. Nella prima produzione poetica ritorna il mondo caro ai crepuscolari, ma il poeta toglie a quei temi la tenerezza e la malinconia, per sostituirvi la vocazione al riso. La funzione del poeta, ridotto a un saltimbanco dell’anima, viene ribaltata nel grottesco e nel ridicolo e il poetare non è altro che un divertimento. Del futurismo Palazzeschi rifiuta l’esaltazione della velocità e della macchina, la celebrazione della guerra sola igiene del mondo. Accoglie invece lo sperimentalismo delle onomatopee, delle immagini e delle parole in libertà, l’avversione al romanticismo sentimentale, all’estetismo. La sua produzione è tutta intrisa del tono ironico e burlesco.
Aldo Palazzeschi (1885-1974) Bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange… l’uomo non può essere considerato seriamente che quando ride… Bisogna educare al riso i nostri figli, al riso smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente… Sviluppare […] quell’istinto utile e sano che ci fa ridere di un uomo che cade per terra e lasciarlo rialzare da sé comunicandogli la nostra allegria.