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Luigi Sturzo. Fede, società, politica, economia. Storie interrotte Classe V A Prof. Maria Laura Inzirillo. Indice. La formazione L’Opera dei Congressi L’Opera dei Congressi in Sicilia Il movimento cattolico si riorganizza Una progressiva maturazione Il programma del PPI L’ostracismo.
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Luigi Sturzo Fede, società, politica, economia Storie interrotte Classe V A Prof. Maria Laura Inzirillo
Indice • La formazione • L’Opera dei Congressi • L’Opera dei Congressi in Sicilia • Il movimento cattolico si riorganizza • Una progressiva maturazione • Il programma del PPI • L’ostracismo
La formazione Una lettura fondamentale La svolta Il soggiorno romano L’insegnamento al seminario La formazione del prete La guida del movimento cattolico-sociale
L’Opera dei Congressi Le iniziative sociali Contro il paternalismo La Democrazia cristiana La Diffusione della Democrazia cristiana
L’Opera dei Congressi in Sicilia L’alternativa al socialismo L’Attività assistenziale Le Unioni professionali L’artigianato in Sicilia Una difficile esperienza Il settore primario Dai comitati operai alla cooperazione bancaria Lezioni di Politica sociale La politica meridionalista Lo scioglimento dell’Opera
Il movimento cattolico si riorganizza La teoria giolittiana delle due parallele L’unione fa la forza Le lotte municipali Sturzo politico Il caso per caso
Una progressiva maturazione L’antefatto Il pericolo della scristianizzazione L’attenzione al sociale Verso l’autonomia della politica Oltre l’intransigentismo Il discorso di Caltagirone In attesa di tempi migliori L’organizzazione politico-elettorale Il Congresso di Modena La bufera antimodernista
Il progetto si realizza Il programma del PPI Il governo Nitti L’ultimo Giolitti Giolitti e Sturzo a confronto Sulla politica economica del primo dopoguerra L’azionariato operaio La fine dello stato liberale Il Congresso di Torino La concezione dello Stato
L’ostracismo Le dimissioni e l’esilio Oltreoceano In Florida Un dialogo tra sordi L’attività giornalistica La pace giusta Contrattempi Il tramonto dell’era sturziana
Toniolo Gerbino Murri Fasci siciliani Rerum Novarum Indagine Scotton Blandini Sillabo Gabellotto Murri Modernismo
Vocazione e formazione Formazione Le ragioni che fanno maturare in Luigi Sturzo (1871-1959) la scelta di indossare l’abito talare (1894) sono dettate dall’ambiente familiare dove diversi erano i religiosi e le religiose. Decisiva poi l’ordinazione sacerdotale del fratello maggiore Mario. In quegli anni a Noto è forte l’influsso della poetica di Mario Rapisardi incentrata sul tema del riscatto delle plebi rurali a cui attingono per la letteratura Verga, Capuana, De Roberto e per la politica De Felice Giuffrida. Frequenta il ginnasio prima al seminario di Acireale (1883 -1886), poi in quello di Noto (1886 -1888), dove il clima più mite meglio si adatta alla sua cagionevole salute. … ecco il grido di plebe oppressa, misera sonar di lido in lido. Anche il giovane Sturzo scrive poesie e alcune di ispirazione rapisardiana. Sempre a Noto stringe un rapporto di sincera e duratura amicizia con il vescovo Giovanni Blandini. Nel 1888 si trasferisce al seminario di Caltagirone, cui ha dato una nuova impronta il vescovo Gerbino, dove consegue la licenza liceale e studia poi teologia.
Una lettura fondamentale Costretto in casa per tre giorni da un lutto in famiglia, scopre per caso nella biblioteca dello zio Taranto un vecchio manuale dell’Opera dei Congressi. La lettura gli apre nuovi orizzonti sulle problematiche sociali e metodologie che il movimento cattolico propone di adottare e, quindi, sulla possibilità di rendere attivi come nel Nord i pochi e inoperosi comitati diocesani e parrocchiali istituiti in Sicilia per iniziativa dell’Opera, nonché le società operaie e le casse rurali. La posizione “intransigente” assunta dall’Opera viene accolta da Sturzo positivamente come unica condizione per organizzare le plebi rurali e contadine. Tuttavia non sposa appieno le tesi del neoguelfismo sul tema dei diritti politici del Papa, fermamente convinto del valore del Risorgimento, anche se era stato realizzato un sistema politico unitario ancora da migliorare.
La svolta… Gli interessi del giovane seminarista sono essenzialmente rivolti alla poesia e alla filosofia. Ma di lì a pochi anni la passione per la Sociologia, senz’altro sollecitata dall’enciclica Rerum Novarum, e l’adesione all’Azione Cattolica, danno una svolta significativa e durevole alla vita di Sturzo nel frattempo ordinato sacerdote e trasferitosi a Roma per specializzarsi in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana (1898). “Fu a Roma che in mezzo ai miei studi fui realmente attirato verso le attività sociali cattoliche […]. Ciò che mi impressionò di più fu la scoperta di miserie ignote nel quartiere operaio (dove si trovava l’antico ghetto), che io percorsi tutto, il sabato santo del 1895 per benedire le case. Per più giorni mi sentii ammalato e incapace di prendere cibo. Tosto mi procurai della letteratura sociale, cercai di sapere quel che facevano socialisti e umanitari, di bene informarmi di leghe e cooperative. […] La commemorazione del quarto anniversario della Rerum Novarumfatta dall’Artistico-operaia di Roma mi trovò presente fra i più entusiasti”.
Il soggiorno romano Il soggiorno a Roma contribuisce a far maturare in Sturzo una concezione nuova della missione sacerdotale del tutto inedita nel Sud. Sogna un prete attivo, inserito nell’ambiente, ma intransigente. Allo studio della Teologia egli unisce quello dei problemi sociali che lo avvicinano alla vita concreta e alla storia. La Teologia e la Sociologia sono fondamentali per un prete che non deve svolgere la sua attività solo tra la sacrestia e l’altare, né ridursi a politicante “maneggione” o intellettuale da salotto, come apprendiamo da una lettera che indirizza all’amico Luigi Caruso nel 1895: “Caro, io sono qui, felice, per studiare teologia e sociologia: quella per elevarmi a Dio e alle cose divine, questa per prepararmi a svolgere proficua missione a pro del popolo […]”. È a Roma, inoltre, che incontra i maggiori esponenti del movimento cattolico nazionale in particolare il prof. Giuseppe Toniolo e don Romolo Murri.
L’insegnamento al seminario Una delle preoccupazioni principali di Sturzo è la formazione culturale e morale del clero. Essere insegnante nel seminario di Caltagirone gli offre importanti opportunità per influire sulla preparazione dei nuovi sacerdoti. La cultura che intende trasmettere ai suoi alunni non è libresca e astratta, ma aderente all’ambiente in cui essi devono svolgere il loro ministero, orientata all’azione sociale e ispirata alla dottrina cattolica. Per evitare che gli studenti e i lavoratori si allontanino dalla chiesa attirati dal laicismo massonico e dai miraggi socialisti, Sturzo sostiene che il prete deve scendere dal pulpito e andare per le strade e per i circoli. Ma è un ideale che cozza con la situazione reale del clero meridionale reso servile verso il potere dal regalismo borbonico e spinto alla “lotta per la sopravvivenza” fatta di mille espedienti, dalla politica ecclesiastica dei governi liberali post-unitari. Un clero per la maggior parte di umili origini, legato ai circoli borghesi, ai notabili del paese, ai municipi (in mano ai liberali e ai massoni) dai quali spera, in cambio dell’appoggio elettorale, protezione per ottenere benefici ecclesiastici.
La formazione del prete Per operare una profonda riforma di costume e di mentalità bisogna cominciare, dunque, dai preti che tra l’altro hanno il maggiore ascendente sulle masse. L’importanza della cultura moderna e dello studio dei problemi sociali nella formazione dei nuovi sacerdoti è messa in rilievo, e in questo sente l’influenza delle Lettere sulla cultura del clero pubblicate da Romolo Murri, in alcuni articoli e discorsi del 1902 dove tra l’altro afferma che i seminaristi devono mettersi in contatto con la vita concreta della gente anche con la lettura dei giornali. La novità portata da Sturzo in Sicilia non è tanto di far impegnare il prete in politica o nelle lotte amministrative, cosa abbastanza comune ai suoi tempi, ma di liberare il clero dal servilismo nei confronti dei partiti paesani retti dai notabili locali e, quindi, farlo impegnare in una lotta politica di moralizzazione della vita pubblica. Sotto i Borbone il clero siciliano sedeva in Parlamento e costituiva una forza politica autonoma, per cui non meraviglia se alcuni preti partecipano alla politica per il gusto della lotta al potere.
La guida del movimento cattolico-sociale Ritiene che il ruolo del leader del movimento cattolico-sociale non può essere affidato ai laici, ancora pochi e non all’altezza (anche per la politica repressiva di Crispi e di Rudinì). Pur consapevole delle conseguenze che possono derivare in campo religioso dal socialismo, si distanzia dall’antisocialismo conservatore e reazionario dei cattolici che vogliono conservare i loro privilegi sociali mantenendo intatta una struttura economica di tipo feudale. Il suo intento è di inserire il prete in un contesto sociale con una struttura economica moderna il cui perno devono essere le piccole classi medie di contadini e artigiani. Questi con le tradizioni religiose tipiche del mondo rurale impediscono gli effetti dirompenti della proletarizzazione. Egli, insomma, vuole un prete aggiornato culturalmente, ubbidiente al Papa, di stampo intransigente, ma impegnato socialmente.
L’Opera dei Congressi Nel 1866 ad opera di Giovanni Acquaderni e di Mario Fari sorge la Società della Gioventù Cattolica che tra gli altri scopi si ripromette: la raccolta dell’obolo del papa, la diffusione della buona stampa e la formazione di giovani cattolici assolutamente devoti alla Santa Sede. Nel 1874 la Società d’accordo con il veneziano G. B. Paganuzzi, promuove un primo congresso cattolico a Venezia. L’anno successivo nasce l’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici. I cattolici riuniti nell’Opera, che fanno proprio il dettato del Sillabo, prendono il nome di “intransigenti”, perché appunto rifiutano ogni accordo con lo stato liberale e la sua classe dirigente, colpevole ai loro occhi di avere usurpato i beni e il dominio della Chiesa.
Le iniziative sociali In un primo momento i cattolici in seno all’Opera si preoccupano di organizzare comitati parrocchiali per la difesa dell’istruzione religiosa, per la promozione di pellegrinaggi alla sede del papato, per la diffusione di congregazioni mariane, ecc. Fondamentale a proposito l’opera dei prelati Giovanni Bosco, Antonio Farina e Giacomo Cusmano che adottando lo strumento delle costituzioni salesiane, realizzano istituzioni e scuole educative popolari non solo di arti e mestieri ma anche umanistiche che rendono possibile, in epoca di gravi crisi sociale, una formazione culturale cristianamente ispirata.
Contro il paternalismo Dinanzi alle numerose problematiche sociali ed economiche sorte all’indomani dell’unificazione i cattolici intransigenti iniziano a sostenere iniziative di carattere popolare contro la politica conservatrice delle classi dirigenti liberali. Avversi al principio delle lotta di classe e al socialismo scientifico preferiscono agire concretamente nel campo dell’organizzazione sociale, delle società di mutuo soccorso, delle cooperative e casse rurali. Sostenitori di un movimento sociale che parta dalla parrocchia vogliono proteggere moralmente e materialmente il mondo contadino che la legge del liberismo ha abbandonato a se stesso. Ma queste formule appaiono ben presto inefficaci e senza presa presso gli operai delle fabbriche dove la diffusione del socialismo sta dando una diversa e più dinamica coscienza dei propri diritti.
Democrazia Cristiana All’interno del movimento cattolico negli ultimi anni dell’Ottocento si sviluppa e afferma un movimento che assume il nome di Democrazia Cristiana. È un movimento guidato da giovani cattolici che non hanno vissuto il travaglio della questione romana, che sentono l’esigenza di operare nelle società civile portandovi il proprio contributo di idee, che mirano ad un rinnovamento sociale ed organico delle strutture dello stato liberale. Il programma del 15 maggio 1899 prevede: la libertà sindacale, l’introduzione del proporzionale nelle elezioni, il referendum e il diritto di iniziativa popolare, un largo decentramento amministrativo, una efficace legislazione sociale, la riforma tributaria basata sulla giustizia, la lotta contro le speculazioni capitalistiche, la tutela del diritto di stampa, di associazione, di riunione, l’allargamento del suffragio elettorale, il disarmo generale. Alla testa del movimento vi è un giovane prete marchigiano, Romolo Murri, che per lungo tempo ne rappresenta l’anima.
Diffusione della Democrazia Cristiana Il movimento dilaga in tutta Italia: circoli democratici cristiani sorgono ovunque, molto più al Nord che al Sud. In Sicilia è attivo ad opera di Luigi Sturzo. Tuttavia incontra l’opposizione dei vecchi esponenti dell’Opera dei Congressi, legati ancora a una mentalità conservatrice e al ricordo della vecchia battaglia dell’intransigentismo post-unitario. La crisi si acuisce con l’avvento al soglio pontificio di Pio X. Mentre il suo predecessore Leone XIII aveva invitato i cattolici ad uscire “fuori di sacrestia”, a portare in seno alla società civile il contributo delle loro opere e delle loro idee e aveva loro aperto la strada all’impegno sociale, Pio X, invece, vuole un laicato obbediente e sottomesso all’autorità diocesana.
Opera in sicilia L’Opera dei Congressi in Sicilia Nell’aprile del 1891, sotto l’impulso di papa Leone XIII, si tiene la prima conferenza episcopale della Sicilia dove si raccomanda di istituire associazioni cattoliche. Il presidente dell’Opera, il veneziano G.B. Paganuzzi, conscio della diffidenza dell’episcopato siciliano verso le iniziative laicali incarica mons. Gottardo Scotton di promuovere la diffusione dell’Opera e dei comitati parrocchiali visitando uno per uno vescovi e diocesi dell’isola. Il resoconto di Scotton è scoraggiante. Soltanto a Noto e ad Agrigento trova un ambiente favorevole e fertile all’iniziativa. Non a caso qui operano i due vescovi più dinamici e leoniani dell’isola: i fratelli Blandini.
L’alternativa al socialismo Il moto dei Fasci siciliani (1891-94) scuote la coscienza di molti membri dell’intorpidita Chiesa siciliana, spinge i componenti più sensibili all’impegno sociale e accelera il processo di trasformazione della mentalità del clero e della funzione della parrocchia in Sicilia. Una evoluzione che a livello di coscienza inizia con la Rerum Novarum di Leone XIII ma che si concretizza con l’intervento della Chiesa nella società dopo l’esplosione dei Fasci. Le pie unioni e le confraternite, risultate inefficaci, sono sostituite dalle associazioni cattoliche laicali, dalle società operaie e dalle casse rurali.
L’attività assistenziale Negli anni tra il 1894 e il 1896, dopo l’esperienza dei Fasci siciliani e dopo la parentesi romana, Sturzo mette in moto la macchina dell’assistenza sociale promossa dall’enciclica di Leone XIII. La trasformazione è da condurre all’interno della stessa Opera dei Congressi rispettando tutte le gerarchie ecclesiastiche e non con la costituzione di movimenti esterni come aveva proposto Murri. ll primo passo viene fatto proprio a Caltagirone. Sturzo qui istituisce una rete di comitati di giovani e operai all’interno delle parrocchie. Nel 1896 in un discorso per l’anniversario della fondazione della Sezione Operai di S. Giuseppe, dimostrando di avere già chiari gli obiettivi e gli strumenti da adottare, così si pronuncia : “[…] solo l’onestà dei cattolici, che chiamano il popolo in associazioni di mutuo soccorso, in cooperative di consumo, in monti frumentari, può risolvere la crisi sociale”.
Le unioni professionali Sturzo fa tesoro dell’esperienza delle unioni professionali del settentrione, ma lo sforzo di adattamento alla fisionomia dell’economia isolana è notevole. Le unioni dell’Italia settentrionale operano in una società dove la realtà predominante è rappresentata dalle grandi industrie e dal bracciantato della campagne della Val Padana. Tutto il contrario del meridione caratterizzato dalla quasi totale assenza di grandi fabbriche e dove le industrie principali, spesso realtà isolate, sono: pastifici, mulini a vapore, fabbriche di turaccioli, ecc. Ritratto che contrasta nettamente con il panorama del Nord e con il suo capitalismo industriale in pieno sviluppo.
L’artigianato in Sicilia Al Sud la figura predominante del datore di lavoro è costituita dall’artigiano: il capo-bottega o capo-mastro che “dispone di qualche piccolo capitale e assolda a giornata o a cottimo tre, quattro o più lavoranti (in certi mestieri si fa aiutare dalla moglie o dai figli)”. L’artigiano lavora “o a ordinazione o ad appalto o per fornire un piccolo magazzino di manifatturati, che vende a richiesta o per le borgate vicine, nei giorni di festa o mercato, nelle fiere”. Per lo più si tratta di lavoro a mano: poche le macchine in uso e queste molto primitive. Quasi ovunque le condizioni sono precarie a causa della forte concorrenza delle grandi fabbriche estere o nazionali, della scarsa disponibilità di capitali, della spietata concorrenza che si fanno fra loro gli artigiani, pur di non perdere la clientela, e dell’indebitamento. I giovani costretti a cambiare spesso occupazione non apprendono alcuna conoscenza di carattere professionale.
Una difficile esperienza L’unica soluzione è la creazione di cooperative di credito e di lavoro. Ma l’artigiano ha una mentalità restia a riunirsi in corporazioni ed in più è diffidente verso un clero fino ad allora indifferente ai suoi stenti. Anche coloro che sono disposti a riunirsi in cooperative esitano perché temono di perdere la clientela a favore dei refrattari. Compreso che la chiave del problema non è da ricercare solo nella naturale diffidenza dell’artigiano locale ma che bisogna prendere atto della morsa mortale esercitata dall’industrialismo settentrionale, Sturzo propone intanto di creare magazzini sociali per l’acquisto delle materie prime.
Il settore primario Il divario nord-sud è presente anche nella fisionomia del settore primario. Nel meridione non esiste, infatti, un vero e proprio proletariato agricolo. Diffusissima è invece la figura del contadino, che svolge lavoro salariato, ma conserva la povera casa e mantiene l’orto. Inesistente è il fittavolo capitalista, al suo posto il gabellotto fa da intermediario tra la proprietà e il contadino. L’azione che Sturzo decide di mettere in moto si articola su più punti e prevede innanzitutto: • L’istituzione di un’Unione degli agricoltori per impedire la concorrenza spietata. • L’istituzione di cooperative di lavoro fra agricoltori per eliminare la figura dello speculatore. - Una riforma dei patti colonici. - La razionalizzazione delle colture.
Dai comitati operai alla cooperazione bancaria Alla Sezione Operai fondata nel 1896 si affianca l’anno successivo la Sezione Agricola con la Cassa di mutuo soccorso e la Cassa rurale. Sturzo vuole uno statuto rigido in modo da impedire eventuali operazioni finanziarie estranee alle finalità della cassa. Condizione essenziale per i soci è l’iscrizione al comitato parrocchiale. La ragione è da ricercare nella volontà di esercitare un rigido controllo dell’operato dei soci per evitare speculazioni. Nel 1898 Sturzo istituisce la Federazione delle casse rurali della diocesi di Caltagirone e progetta una banca centrale, sempre di carattere confessionale. In dieci anni lo sviluppo delle casse rurali cattoliche è prodigioso: nel 1905 la Sicilia è al quinto posto in Italia.
Lezioni di economica sociale Il fondamento ideologico alla base dell’opera economica di Sturzo è sintetizzabile nelle lezioni tenute nel 1899 a Milano e un anno dopo a Caltagirone. Inquadra da un punto di vista storico ed economico-sociale realtà quali: - la piccola proprietà contadina autonoma, elemento fondamentale di ordine, produttività, tradizione attorno a cui ruota tutta la vita domestica; - la media proprietà, cellula primaria dello sviluppo che, basandosi su un rapporto diretto tra il proprietario e il bracciante, non risente dell’assenteismo che affligge il latifondo. Assume posizione contro il mercato capitalistico e concorrenziale e l’industrialismo operaio del Nord che disgrega la società. Il sistema salariale deve essere sostituito da un sistema retributivo misto. La partecipazione dell’operaio ai mezzi di produzione, trasforma così la figura del proletario in quella di operaio-proprietario. Un gran numero di “operai-proprietari” è l’elemento che dà meno “spostati” e meno “anarchici” alla società e ponendo progressivamente sullo stesso piano operaio e imprenditore risolve il conflitto di classe.
La politica meridionalista Piccola proprietà, famiglia, autonomia economica, comune, stato: sono la base della sua politica municipale o della sua municipalizzazione sociale. Opera una rivoluzione della finanza locale: comune, profitti, spese. Non è sensibile alla rivoluzione industriale, al contrario di Tonioloe pone la sua prospettiva nel mondo meridonale e rurale auspicando un collegamento tra piccola proprietà agricola e artigianato. Gli elementi concreti del meridionalismo sturziano che ha il suo punto di forza nel programma regionalista sono: Autonomie locali, casse rurali, cooperative, leghe contadine per la lotta contro i gabellotti e la riforma dei patti agrari.
Scioglimento dell’Opera Quando le giovani forze democratiche sembrano avere il sopravvento sugli intransigenti in seno all’Opera dei Congressi e trovano, al congresso di Bologna del 1903, un alleato nello stesso presidente Giovanni Grosoli, il papa ritiene opportuno sciogliere quello che per trenta anni è stato l’organismo guida di cattolici militanti. L’organizzazione cattolica viene ristrutturata in Unioni. Gli esponenti del movimento democratico cristiano prendono diverse vie. Sturzo attende tempi migliori…
Il movimento cattolico si riorganizza Nel 1905 con l’enciclica Fermo proposito Pio X procede alla riorganizzazione del movimento cattolico. Vengono costituiti tre diversi raggruppamenti organizzativi: - l’unione popolare tra i cattolici d’Italia, con compiti di indirizzo culturale; - l’unione economico-sociale, che proseguendo il precedente impegno svolto nell’opera dei congressi, funge da coordinamento delle attività sociali; - l’unione elettorale cattolica, per organizzare l’intervento dei cattolici nelle elezioni. Si dà così vita, con il coordinamento delle diverse direzioni diocesane, direttamente sotto la guida del vescovo locale, ad una più incisiva e controllabile, da parte della gerarchia e del Papa, azione cattolica, come appunto sempre più comunemente venne definita.
La teoria giolittiana delle due parallele . Contemporaneamente alla crisi dell’Opera dei Congressi si modificano anche i rapporti fra Chiesa e Stato. Pio X è preoccupato per gli eventi francesi: dopo le elezioni del 1902 la maggioranza al governo con l’appoggio dei socialisti dà vita ad un’offensiva anticattolica e teme che la stessa cosa possa verificarsi anche in Italia. Pertanto quando il Presidente del Consiglio francese Luobet viene in visita in Italia il pontefice lo condanna pesantemente, facendo il primo passo verso la rottura delle relazioni diplomatiche fra la Santa Sede e la Francia. Giolitti considera la protesta del Papa una intromissione negli affari dello Stato e formula la nota teoria delle due parallele. Chiesa e Stato sono come due parallele che non si devono incontrare mai: “Libertà per tutti entro i limiti della legge: questo è il programma”. Ma dichiara anche che lo Stato non avrebbe mai interferito con le questioni religiose, lasciando al popolo la più completa libertà sul piano dei culti.
L’unione “fa la forza”. I cattolici ricorrono per la prima volta all’arma dello sciopero nel triennio 1901-1903 in occasione della revisione dei patti agrari che riguarda rispettivamente Palazzo Adriano, il feudo Stato di Palagonia e Caltagirone. Ma solo per quest’ultima l’esito è positivo. Dopo due settimane di sciopero nel 1903 si giunge alla firma del nuovo contratto che prevede condizioni più vantaggiose per i contadini, i quali per la prima volta fanno fronte comune mettendo da parte l’atavica diffidenza nei confronti di forme organizzate di lotta.
Lotte municipali Le lotte contadine sono legate con quelle per l’autonomia e la gestione democratica dei comuni. A Caltagirone due sono i partiti più in vista: uno di orientamento moderato detto liberal-costituzionale che porta avanti le istanze dei grandi proprietari terrieri; l’altro di orientamento radical-popolare. In realtà le differenze sostanziali tra i due schieramenti sono esigue ed entrambi adottano sistemi clientelari. Nel 1899 i comitati parrocchiali e le opere cattoliche propongono Sturzo come loro candidato a sindaco. Sturzo però non si presenta con una lista propria poiché i comitati parrocchiali da soli non avrebbero la forza di sostenerlo. Così con una certa abilità inserisce suoi candidati nelle liste già esistenti in modo da garantirsi in ogni caso la rappresentanza nel Consiglio comunale.
Sturzo politico I risultati elettorali sono: 7 seggi al centro cattolico, 19 al partito moderato, 12 ai radical-popolari. Nel 1904 Sturzo è nominato prefettizio e nel 1905 ottiene la maggioranza dei seggi (32 su 40). Dal 1905 al 1920 tiene insieme la carica di pro-sindaco e di consigliere provinciale. Per la prima volta nella storia un comune dell’isola viene amministrato non come una bottega dove poche famiglie di notabili fanno e disfanno, arbitrariamente, diritti demaniali, regolamenti, cariche e si rende conto alla popolazione del bilancio pubblico.
Il “caso per caso” È la prassi politica adottata a partire dal 1904 con il benestare di Pio X. Lo scopo è quello di consentire ai cattolici di votare candidati liberali. Pur rappresentando un passo decisivo per il superamento del non expedit, trova in Sturzo un critico severo poiché la considera la “prostituzione di un voto che nulla significa per sé, perché non ha programmi, non ha persone che sostengono questi programmi, non ha vita”. Da qui l’idea del progetto del partito dei cattolici…
Una progressiva maturazione… Sturzo va maturando gradualmente l’intenzione di fondare un partito che funga da strumento di trasmissione di valori, morali e civili e al tempo stesso di organizzazione delle forze sociali, delle amministrazioni comunali e di risoluzione dei problemi della gente. L’ esperienza amministrativa in qualità di consigliere comunale e provinciale di pro-sindaco, di vicepresidente dell’Associazione dei Comuni Italiani, nonché l’impegno nell’azione cattolica lo convincono della necessità di superare la logica dei partiti “personali” e dunque senza programmi di ampio respiro capaci di incidere sulla vita delle persone e sull’organizzazione politica della comunità e dell’intera nazione. Favorito dal nonexpedit, che imponeva ai cattolici il disimpegno politico, elabora la sua idea di partito al fine di educare un elettorato ancora amorfo e per rispondere ai bisogni del popolo
L’antefatto L’idea di un partito programmatico, in verità, la sostiene per la prima volta nel giornale “La voce di Costantino” di cui è direttore, dopo i risultati positivi della campagna astensionista del movimento cattolico calatino, per le politiche del marzo 1897, che era stata promossa per sollecitare le istituzioni liberali ad adeguarsi alle esigenze dei cattolici. “Accettiamo la costituzione e come esercizio del nostro diritto ci asteniamo dal voto, per protestare, non contro le libere istituzioni, ma contro l’attuale lotta dello Stato alla Chiesa. Non ci sarà mai uno che accuserà i cattolici di volere… che cosa? Il governo assoluto? Oibò; quel tempo è passato e noi crediamo al progresso storico. Perciò, vogliamo che la base democratica della costituzione si allarghi, che la rappresentanza politica sia effettiva di classe e di interessi e non mai nominale, che vi sia il referendum popolare… Altro che retrogradi, signori patriottardi!”.
Il pericolo della scristianizzazione In un articolo del 1900, poi, denuncia la separazione tra religione e vita politica operata da molti battezzati, denunciandola come causa di scristianizzazione e continua dicendo: “poiché la società terrena e la vita terrena sono ordinate a una società e a una vita migliore, la celeste, la religione vuole e deve volere che diritto, leggi, educazione, costumi, amministrazione siano fondati sulla moralità e sulla giustizia […] Questa è la politica che fa la religione”. Il partito cattolico diviene mezzo attraverso il quale la Chiesa può concretamente operare “oggi che la vita politica non scende più dall’alto ma dal basso”.
…L’attenzione al sociale All’inizio del secolo Sturzo pensa alla costruzione di un organizzazione che doveva operare intorno alla Democrazia cristiana e all’Opera dei Congressi, legata alle unioni professionali dei lavoratori, con attenzione anche alla piccola borghesia, al clero, agli studenti e ai professionisti, ma già nel 1901 scrive della necessità di un partito cattolico con un programma sociale, anche sulla base delle esperienze europee. Nel 1902 sottolinea l’importanza dell’ispirazione religiosa del partito come elemento di distinzione, in chiave intransigente, rispetto alle altre forze politiche ed esorta ad evitare alleanze con queste nelle elezioni amministrative.
…Verso l’autonomia della politica Nella relazione al primo convegno dei cattolici siciliani, tenutosi a Caltanissetta nel novembre del 1902 comincia a comprendere il rischio che l’elemento religioso degeneri in conservatorismo cattolico ostacolando la nascita di un partito democratico nuovo. Le lotte elettorali possono essere vinte solo proponendo un programma di azione sociale che sia condiviso dagli elettori, piuttosto che le sole idee religiose se pur approvate dall’autorità ecclesiastica. Sturzo pensa che il programma e l’organizzazione nazionale del partito municipale cristiano debba nascere dalla sintesi dei “programmi” che ciascuna regione avrebbe dovuto elaborare, con riferimento alle esigenze locali. Supera, così l’idea di un partito cattolico guidato dalla Chiesa affermando l’autonomia della sfera politica da quella ecclesiastica. Tuttavia Sturzo continua a pensare che il partito dei cattolici deve organizzarsi nell’ambito dell’Opera dei Congressi.
…Oltre l’intransigentismo Dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi, Sturzo si allontana gradualmente dall’intransigentismo sottolineando la necessità di un partito, democratico, popolare e ispirato ai principi morali del cristianesimo, che nasca dall’analisi storica della società italiana e non da una meccanica riaffermazione dei principi della fede o di opposizione agli altri schieramenti politici. I cattolici pertanto si presentano non come rappresentanti della gerarchia ecclesiastica, ma come promotori di un impegno nella vita civile per informarla ai valori cristiani. Questa impostazione esclude che la Chiesa eserciti un controllo diretto e indiretto sul partito anche se ammette che il magistero della Chiesa debba guidare le coscienze dei cristiani impegnati in politica. Il partito deve presentarsi, se pur religiosamente ispirato, con un programma specifico di carattere politico ed è necessaria una distinzione tra i valori religiosi e quelli affermati dal programma stesso in modo da garantire il pluralismo delle opzioni politiche per i cattolici.
Il discorso di Caltagirone Il 29 dicembre del 1905 presenta la Magna Charta del partito dei cattolici: pienamente autonomo dall’autorità ecclesiastica e i cui appartenenti sono “rappresentanti di una tendenza popolare nazionale, nello sviluppo del vivere civile impegnato e animato da principi morali e sociali che derivano dalla civiltà cristiana”. Un partito, dunque, aconfessionale, nel quale, né la monarchia, né il conservatorismo, né il socialismo riformista avrebbero trovato spazio. La rivisitazione politica dei principi cristiani doveva avvenire attraverso le due parole d’ordine: Democrazia e Repubblica.
In attesa di tempi migliori Un progetto per il momento irrealizzabile, date le posizioni della Chiesa, ma che può trovare un buon numero di aderenti nel ceto medio urbano e rurale (soprattutto meridionale), rimasto fedele al non expedit e gravemente penalizzato dalla politica trasformista e protezionista di Giolitti. Per sensibilizzare il pontefice Sturzo lo porta a conoscenza delle condizioni del meridione: sopraffazione laica sulla religione, dipendenza del clero meridionale dai patroni locali, prete dedito più ad amministrare il patrimonio familiare che a svolgere attività pastorale… Una battaglia mossa, dunque, per la purificazione del costume religioso e civile del clero locale, che avrebbe potuto adoperare come strumento proprio il partito laico di cattolici.
L’organizzazione politico-elettorale Nel 1908, divenuto segretario dell’Unione elettorale siciliana, Sturzo costitusce associazioni comunali di elettori cattolici autonome nelle loro decisioni dall’autorità ecclesiastica: nelle sedi si discutono liste e comportamenti elettorali secondo le sue direttive. Una prassi che anticipa quella che avrebbe adottato per il PPI: i programmi prima delle tattiche, niente alleanze, niente metodi di lotta. Di fronte alla proposta della presidenza regionale dell’Unione che i cattolici (secondo la politica del “caso per caso”) votino gli amici dell’ordine Sturzo non prende posizione; preferisce lavorare collegio per collegio acquisendo una buona abilità politica ed elettorale. Il suo scopo é quello di abituare i cattolici alla politica in previsione della nascita del suo partito. Con questa esperienza (piena, comunque, di sconfitte anche per lui) egli dimostra che è possibile collegare le varie situazioni locali ad una direttiva centrale.
Il congresso di Modena Nel novembre 1909 si tiene a Modena la riunione dei cattolici militanti dopo lo scioglimento dell’Opera. Poiché è in atto un netto incremento delle adesioni ai sindacati di matrice socialista, emerge la necessità di convincere l’opinione pubblica che anche i cattolici possono agire nel contesto sindacale dando vita ad associazioni che però non mettano le classi sociali le une contro le altre. Nel contempo però si esclude che possa nascere un partito cattolico autonomo dalla Chiesa. Lo stesso Sturzo in una intervista rilasciata subito dopo il congresso riconosce che è ancora prematuro parlare di partito.