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La socializzazione. Gli individui nascono in societ?, sono sottoposti ad un processo di socializzazione primaria nel corso della quale divengono degli individui socializzati e introdotti all'interno di un mondo di relazioni, di ruoli, attraverso cui acquisiscono un linguaggio e delle competenze comp
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1. Individuo e società Azione, struttura, identità
2. La socializzazione Gli individui nascono in società, sono sottoposti ad un processo di socializzazione primaria nel corso della quale divengono degli individui socializzati e introdotti all’interno di un mondo di relazioni, di ruoli, attraverso cui acquisiscono un linguaggio e delle competenze comportamentali.
L’individuo non nasce socializzato ma viene sottoposto ad un processo di socializzazione. Questo processo è nello stesso tempo un processo di individualizzazione.
L’individuo è dunque inserito in un mondo sociale e nello stesso tempo resta un individuo.
3. Oggetto/soggetto Berger e Luckmnann descrivono la conoscenza del mondo sociale come il risultato di un processo di oggettivazione e di costruzione.
Questa realtà che noi facciamo esistere attraverso il processo ininterrotto delle interazioni e con il fatto di credere nella sua esistenza, si presenta come un limite esterno che condiziona e definisce il quadro dei nostri comportamenti possibili.
Secondo questi autori la realtà che è il prodotto di una costruzione umana è a sua volta la matrice nella quale hanno luogo i processi di costruzione dell’individuo socializzato.
4. Due sguardi differenti sul mondo Il problema dunque è, da una parte, di natura epistemologica (e ontologica) e riguarda sia la natura dell’individuo che della realtà sociale
dall’altra, è di natura metodologica: nel senso che lo sguardo sociologico può essere esercitato da punti opposti.
Mettiamo a confronto due approcci che hanno sviluppato questo punti di vista opposti: l’individualismo metodologico di Raymond Boudon e la teoria relazionale dei campi di Pierre Bourdieu.
5. L’individualismo metodologico L’individualismo metodologico postula che la sociologia debba comprendere le motivazioni dell’azione dal punto di vista dell’individuo che agisce e ritiene che gli effetti macro-sociologici (per esempio, la nascita del capitalismo) siano il risultato dell’aggregazione di azioni individuali.
6. la teoria relazionale dei campi D’altro lato, Bourdieu si propone di superare quella che ritiene essere una falsa dicotomia tra individuo e società
lo fa però prendendo come perno non l’individuo e le sue motivazioni (Bourdieu si oppone ad ogni riduzionismo psicologistico)
ma ricostruendo lo spazio delle relazioni oggettive in cui l’agente è inserito attraverso cui definisce la posizione dell’individuo nello spazio sociale.
7. la teoria dell’azione Il principio fondamentale della sociologia dell’azione consiste postulare che ogni fenomeno sociale sia sempre il risultato d’azioni, atteggiamenti, di credenze e generalmente di comportamenti individuali
Il secondo principio è che la spiegazione sociologica di ogni fenomeno sociale si fonda sulla ricerca del senso dei comportamenti individuali che ne siano la fonte.
Tipo di spiegazione ammesso: spiegare l’esistenza del Tunnel del San Gottardo significa ricostruire la rete di azioni che l’hanno reso possibile e rendere conto delle ragioni di queste azioni.
8. Teoria dell’azione e tradizione sociologica Boudon indica nei testi epistemologici di Weber (Economia e Società, et i Saggi sulla teoria della scianza) e di Simmel (problemi di filosofia della storia) le fonti classiche della teoria dell’azione.
Boudon contrappone la tradizione tedesca – nella quale prende corpo una prospettiva individualista sulle società (Marx, Weber, Simmel) – Alla tradizione francese in cui invece si afferma una prospettiva olista (Durkheim, Mauss, Levy-Strauss).
9. I principi della sociologia dell’azione: Distinzione tra individualismo in senso morale e in senso metodologico.
Il primo caso non rientra nell’interesse della spiegazione sociologica.
Nel secondo senso implica solamente che la spiegazione di un fenomeno sociale richiede di ritrovare le sue cause individuali: cioè capire quali sono le ragioni degli attori per fare ciò che fanno e credere ciò che credono.
L’I.M. non implica un attore sociale sospeso in un vuoto sociale. Suppone che l’attore sia stato socializzato, che è in relazione con altri autori che come lui occupano dei ruoli sociali e hanno delle credenze.
10. Una teoria interazionista L’attore si muove in un contesto che in larga misura s’impone a lui.
L’idea di società non è quella di una “giustapposizione di solitudini calcolatrici”, non è dunque atomista ma interazionista
Non bisogna, secondo Boudon, confondere, individualismo e atomismo:
Nell’etica protestante di Weber per esempio, gli attori sociali, condividono un aspetto comune, quello di essere calvinisti. Non c’è contraddizione tra la metodologia individualista, secondo Boudon e la vocazione della sociologia a trattare fenomeni collettivi.
11. È possibile parlare di entità collettive Per analizzare fenomeni, che sono comunque il prodotto di innumerevoli cause individuali, gli individui possono essere raggruppati in gruppi astratti (entità collettive) che dobbiamo considerare come dei tipi-ideali (Max Weber).
Si può anche trattare un’entità collettiva come se fosse un individuo dicendo per esempio “Il governo francese ha stabilito che…”. In questo senso si intende un sistema di decisione collettiva: in questo caso la personificazione non pone problema. Mentre non sono ammissibili proposizioni come “la borghesia ritiene che il proprio interesse sia…”.
Boudon afferma (al contrario di Durkheim) che sono possibili degli enunciati sugli stati soggettivi altrettanto certi ed oggettivi degli enunciati delle scienze della natura: “la madre dà uno schiaffo al figlio perché in collera” è una proposizione certa.
12. I due principi Il primo principio dice: Ogni fenomeno sociale è sempre il risultato d’azioni, atteggiamenti, di credenze e generalmente di comportamenti individuali
Occorre anche chiedersi il perché – il senso – di queste azioni e di queste credenze.
Con Weber utilizziamo il termine di comprensione per indicare questo momento dell’analisi.
Occorre dunque determinare quali siano i comportamenti individuali e che questi siano compresi.
Il secondo principio, il comportamento dell’attore è sempre in via di principio comprensibile
Questa comprensione non è del tipo empatico “nei suoi panni io farei lo stesso…” ma è un risultato cui si giunge come conclusione di un’inchiesta di tipo poliziesco (quindi raccogliere le prove e le informazioni anche sul contesto sociale dell’attore sociale)
13. La comprensione Tale comprensione si applica esclusivamente all’attore individuale e costringendo a ritrovare il senso del suo comportamento. La comprensione non è altro che un momento della spiegazione
Cosa significa comprendere il comportamento, l’azione, le credenze di un attore sociale?
La nozione di comprensione indica che si può ritrovare il perché del comportamento dell’attore. Questo perché può assumere delle forme molto differenti.
Per il sociologo comprendere il comportamento di un attore significa dunque molto spesso comprenderne le ragioni o le buone ragioni.
14. Un postulato metodologico: la razionalità dell’attore In questo senso la sociologia dell’azione sottoscrive il postulato della razionalità dell’attore sociale.
Questo non significa che essa consideri l’uomo come razionale. Poiché essa non si occupa dell’uomo ma dell’attore sociale.
Questo postulato è di natura metodologica e non ontologica.
Un comportamento può essere considerato razionale quando esso è comprensibile nel quadro delle condizioni date, quindi se l’attore aveva buone ragioni di agire in un dato modo.
“il fatto che l’attore X si sia comportato nel modo Y è comprensibile: in effetti nella situazione in cui si trovava, aveva delle buone ragioni di fare Y”.
15. definizioni della nozione di razionalità: Una definizione ristretta: un comportamento è razionale se si fonda su delle ragioni obiettivamente fondate.(prima di attraversare guardo a destra e a sinistra perché rischio effettivamente di farmi investire)
Una definizione larga (Popper): è razionale ogni comportamento che si fonda su delle ragioni, quale che sia la loro natura (quindi anche l’atto terroristico)
Una definizione intermedia: è razionale ogni comportamento di cui si può fornire una spiegazione di forma “X aveva delle buone ragioni di fare Y, perché…”
16. Boudon critica la prima definizione perché finisce con qualificare come irrazionali comportamenti che la maggior parte delle persone considerano ragionevoli.
Critica la seconda definizione perché si considerano come razionali dei comportamenti che hanno a che fare con il fanatismo e con la follia (Boudon fa l’esempio del terrorista)
17. La definizione intermedia Si tratta di una definizione di tipo semantico. Ha il vantaggio di comprendere al suo interno una gamma ampia di tipi di razionalità a partire dalla natura delle osservazioni introdotte dal “perché…”
Ad esempio, la razionalità assiologica di Weber sarebbe inaccettabile nel quadro della prima definizione.
Vediamo quali significati dell’azione razionale sono possibili nel quadro della definizione “intermedia”.
18. «X aveva delle buone ragioni di fare Y, perché… Perché Y corrispondeva all’interesse o alle preferenze di X; (razionalità utilitaria)
Perché Y era il migliore mezzo per X (razionalità teleologica – Zweckrationalität di Weber)
Perché Y discendeva dal principio normativo Z; poiché X credeva in Z, e che egli aveva buone ragioni per crederci; Razionalità assiologica - Wertrationalität di Weber)
Perché X aveva sempre fatto Y e che egli non aveva alcuna ragione di rimettere questa pratica in questione. Razionalità tradizionale
Perché Y discendeva dalla teoria Z; poiché X credeva in Z e egli aveva buone ragioni per crederci. Razionalità cognitiva
19. Tipi di razionalità La razionalità oggettiva: è l’azione logica (Pareto), la ricerca dell’optimum
La razionalità soggettiva
razionalità cognitiva
razionalità assiologica
La razionalità psicologica
E l’irrazionalità (è la razionalità che non capiamo)
20. Razionalità soggettiva H. Simon (1982) Le definizioni della razionalità oggettiva – secondo Boudon – sono insufficienti per comprendere l’azione sociale:
l’azione sociale ha luogo all’interno di situazioni complesse all’interno delle quali l’attore mobilizza correntemente ogni sorta di a priori (di tipo dichiarativo, normativo, ecc.) che gli permettono di dare senso alla situazione in cui l’attore si trova.
Scrivere un libro può essere un mezzo per raggiungere la notorietà ed il successo, ma si tratta anche di un’attività che può offrire un piacere. Questi sono casi che sfuggono alla razionalità oggettiva, rientrano in quella che come razionalità soggettiva.
21. Razionalità cognitiva e assiologica Nel quadro della razionalità soggettiva l’attore sociale decide a partire da uno o più principi che gli sembrano adatti al problema posto (razionalità cognitiva)
La razionalità cognitiva completa la tipologia di Weber e si aggiunge a quella di razionalità assiologica.
22. La razionalità psicologica È un quarto tipo di razionalità che si riferisce alle “ragioni del cuore”, ai sentimenti di simpatia, di rispetto, di ammirazione verso un altro attore (o Dio). Questa rientra come figura all’interno della categoria weberiana delle azioni “affettive”.
23. irrazionalità Interpretare l’azione dell’altro in termini di irrazionalità è spesso – secondo Boudon –il risultato di un fenomeno di proiezione personale di chi deve interpretare (sociocentrismo).
Quando si tratta di altre culture siamo in un caso di etnocentrismo.
24. L’effetto di composizione Abbiamo detto all’inizio che l’azione sociale è individuale ma che gli effetti macrosociologici sono il risultato di un effetto di composizione.
Un esempio di questo effetto di composizione è rappresentato dai calvinisti nell’etica protestante di Weber.
L’effetto di composizione è un effetto di somma: tutti stanno nella medesima situazione e poiché tendono a comportarsi in modo simile ne risulta un effetto aggregato.
Ogni imprenditore calvinista è spinto ad reinvestire i suoi profitti, provocando collettivamente un effetto di accumulazione.
Secondo Boudon, l’effetto di composizione è il meccanismo sociologico fondamentale (alla base di molte ricerche sociologiche classiche)
25. La critica di Pizzorno: Alessandro pizzorno ritiene che questo tipo di impostazione contenga un forma di riduzionismo psicologistico: infatti si afferma che le ragioni dell’azione sono cercate nella motivazione e questa a sua volta ha un fondamento pre-sociale (o almeno che precede l’azione).
La difficoltà logica consiste nel fatto che per spiegare l’azione occorre riferirsi a preferenze che possono essere riconosciute solo a posteriori grazie all’azione stessa.
La teoria dell’azione inoltre non è in grado di spiegare l’esperienza dell’azione collettiva o l’esperienza del trasformarsi delle preferenze del soggetto agente nel corso dell’agire stesso.
26. Paradigma del riconoscimento Pizzorno pone la relazione di riconoscimento reciproco come unità che fonda la socialità. Il significato dell’agire non è rinviato ad intenzioni soggettive non osservabili, ma alla recezione interpersonale (quindi pubblica dell’azione) dell’azione.
L’individuo non entra in relazione con gli altri per soddisfare le proprie esigenze ma è naturalmente inserito in queste relazioni
Sono le relazioni sociali in cui l’individuo è inserito che danno senso all’agire individuale
27. La Teoria relazionale del campo (Pierre Bourdieu) Pierre Bourdieu ritiene che la dicotomia tra individuo e società possa essere superata attraverso l’utilizzo di un apparato metodologico e concettuale che renda conto dell’esistenza di strutture sociali oggettive (che non significa reali) che fanno sentire la propria forza sugli individui e renda anche conto del fatto che queste strutture si fanno corpo attraverso il processo di socializzazione primaria.
28. Il sociale prende dunque due forme: Il sociale fatto cosa, è la forma oggettiva del sociale, ed esprime la sua forza all’interno di uno spazio sociale istituzionalizzato: il campo.
Il sociale fatto corpo: è l’incorporazione attraverso l’educazione di un habitus capace di determinare le nostre disposizioni.
Le nostre stesse rappresentazioni sono il prodotto dell’intimo legame tra queste due dimensioni del sociale (il campo e l’habitus).
29. Il campo sociale Il campo è uno spazio sociale, che non ha un’esistenza reale, ma è un costrutto teorico:
Esso prende forma come spazio di relazioni oggettive tra individui che occupano posizioni differenti all’interno dello spazio stesso.
Esso viene costruito attraverso delle misure particolari (deviazione standard) che isolano e danno un valore relativo ad alcune caratteristiche degli individui considerate pertinenti dal ricercatore.
Quello che si disegna è uno spazio teorico di relazioni caratterizzate dal maggiore o minore possesso di alcune risorse di capitale economico, culturale, sociale che permettono agli individui di trovarsi nelle posizioni dominanti o dominate dello spazio sociale.
30. Il campo come spazio di gioco Ogni campo sociale è uno spazio di gioco che si caratterizza per l’interesse specifico che lo anima:
nel campo scientifico l’interesse specifico è il conseguimento del prestigio (e del potere) intellettuale che in quanto tale ha una dimensione tanto materiale quanto simbolica.
31. L’interesse L’habitus ci permette di essere accettati all’interno di un determinato campo sociale e di avere le giuste disposizioni per giocare il gioco e per provarvi interesse (illusio).
Il sociologo costruisce questo spazio selezionando alcune caratteristiche pertinenti degli individui considerati, facendo una scelta arbitraria, ma non casuale, quindi teoricamente fondata.
32. L’individuo è condizionato in un doppio senso: dal campo L’individuo è sempre necessariamente inserito in uno spazio sociale istituzionalizzato dove vigono delle regole del gioco e una distribuzione diseguale delle risorse necessarie per partecipare al gioco.
Questo fa si che si trovi sempre in posizione più o meno dominante o dominata dello spazio sociale e che il suo interesse sia di conservare o migliorare la propria posizione (appropriandosi delle risorse necessarie o cambiando le regole del gioco e i principi specifici di legittimità).
33. … dall’habitus L’individuo poi è condizionato in quanto ha incorporato delle norme e dei valori, delle disposizioni che gli fanno piacere il mondo in un modo specifico, che determina i suoi stili di vita, le sue antipatie e simpatie, che gli fanno provare interesse a giocare il gioco.
I nostri sentimenti di simpatia e antipatia (anche di natura intellettuale, politica, artistica) sono determinati dall’habitus.
Secondo Bourdieu fondamentalmente il simile va al simile. Ci piace ciò che ci deve piacere.
34. Determinismo e svelamento Bourdieu mette l’accento su ciò che determina l’uomo.
L’illusione della libertà nasce dall’ignoranza sulle condizioni che determinano (spesso di buon grado) le nostre scelte e prese di posizione.
La libertà è possibile a partire da questa conoscenza, quindi attraverso un processo di oggettivazione e svelamento delle forze che ci condizionano e degli interessi che ci governano.