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IMPATTO AMBIENTALE degli apparati sperimentali e tecnologici. . . Ing. Cristina Soleri. “I mpatto ambientale " = un’alterazione delle singole componenti e dei sistemi ambientali, prodotta da interventi di origine esterna.
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IMPATTO AMBIENTALE degli apparati sperimentali e tecnologici . Ing. Cristina Soleri
“Impatto ambientale" = un’alterazione delle singole componenti e dei sistemi ambientali, prodotta da interventi di origine esterna. Valutare l’impatto ambientale di un’opera = valutare i potenziali effetti che un'opera può avere sull’ambiente naturale nel quale dovrebbe inserirsi (ambito di complessa legislazione). L’impatto ambientale di qualsivoglia opera umana, così anche per impianti di tipo sperimentale che interessano l’argomento in questione, è suddivisibile in diversi ambiti, come viene richiesto dalla normativa comunitaria e nazionale nelle valutazioni dell’impatto ambientale di un’opera. Nell’ambito della realizzazione di un vero e proprio studio di valutazione di impatto ambientale, oltre ai riferimenti programmatici e progettuali, va sviluppato, come richiesto dalla legislazione vigente (D.P.C.M. 27 dicembre 1988: Norme tecniche per la redazione degli Studi di Impatto Ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità) il cosiddetto quadro ambientale.
Quali siano gli impatti ambientali di un impianto sperimentale INFN: riferimento alle linee guida che ci offre la normativa italiana nel definire gli aspetti ambientali da tenere in conto per la progettazione di un’opera sottoposta a VIA. In linea generale gli ambiti in cui si suddivide il quadro di riferimento ambientale e che possono fungere da linea guida nella definizione dell’impatto ambientale di un impianto sperimentale sono i seguenti: • Atmosfera • Acque superficiali • Acque sotterranee • Assetto idro-geo-morfologico e sottosuolo • Suolo • Clima ed energia • Flora e vegetazione • Fauna • Ecosistemi • Rumore • Vibrazioni • Radiazioni non ionizzanti • Radiazioni ionizzanti • Traffico • Rifiuti • Salute • Paesaggio e aspetti storico-culturali • Territorio.
Ambito di un impianto di tipo sperimentale Gli impatti ambientali presumibilmente causati da un impianto di ricerca, correlati agli ambiti ambientali sopra elencati, possono essere i seguenti: • Emissioni aeriformi • Prelievi idrici • Scarichi idrici • Rifiuti • Inquinamento del suolo e del sottosuolo • Consumi energetici • Rumore • Vibrazioni • Radiazioni non ionizzanti • Radiazioni ionizzanti • Traffico
Maggiore evidenza agli aspetti ambientali la cui gestione ha rilevanza ambientale, economica e legale impatto ambientale aspetto ambientale legislazione esistente Possibilità tecniche, economiche e gestionali il caso della gestione ordinaria Per ogni aspetto e impatto ambientale il caso di anomalia o emergenza
EMISSIONI AERIFORMI Un impianto sperimentale, di qualunque tipo, può generare delle emissioni continue o discontinue in atmosfera Valutare da un punto di vista tecnico e normativo quali le azioni da attuare e rispettare la normativa in materia, sia da un punto di vista degli eventuali limiti di legge sia da un punto di vista autorizzatorio. In materia di emissioni il riferimento normativo principale è rappresentato dal Decreto delPresidente della Repubblica n° 203 del 24/05/1988 “Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183”. Il DPR 203/1988, unitamente ai decreti e regolamenti attuativi, disciplina: • gli impianti che possono dar luogo ad emissioni in atmosfera; • le caratteristiche merceologiche dei combustibili ed il loro impiego; • i valori limite e i valori guida per gli inquinanti dell'aria nell'ambiente esterno e i relativi metodi di campionamento, analisi e valutazione; • i limiti delle emissioni inquinanti ed i relativi metodi di campionamento, analisi e valutazione.
Il DPR 203/88 prevede un obbligo di autorizzazione per gli impianti ed il rispetto dei valori limite per le cosiddette "emissioni“ In senso comune per impianto si intende un macchinario che viene installato e che nella funzione genera emissioni in atmosfera. L'art. 2, punto 9, del D.P.R. 203/88 “stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico, ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale" qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera proveniente da un impianto che possa produrre inquinamento atmosferico. ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell'aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di uno o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell'aria; da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell'uomo; da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell'ambiente; alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati
Sono sottoposti alla disciplina del 203/88“tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissione nell'atmosfera” tali impianti sono soggetti ad autorizzazione preventiva L’obbligo di autorizzazione è previsto per gli stabilimenti o altri impianti fissi che servono per usi industriali o di pubblica utilità, che possono inquinare l’aria Esclusione di alcune tipologie di impianti che restano fuori dal campo di applicazione del DPR 203/1988 (gli impianti termici non inseriti in un ciclo di produzione industriale, gli impianti di climatizzazione ecc.) Per altre tipologie sono in vigore regimi autorizzatori semplificati (attività a ridotto inquinamento atmosferico e attività ad inquinamento poco significativo). Articolo 6: per la costruzione di un nuovo impianto deve essere presentata domanda di autorizzazione alla Regione, corredata dal progetto recante ciclo produttivo, le tecnologie adottate per prevenire l'inquinamento, quantità e qualità delle emissioni, termine per messa a regime degli impianti. Copia della domanda va trasmessa al Ministro dell'ambiente e allegata alla domanda di concessione edilizia al sindaco.
Decreto del Pres. Cons. Ministri del 21/07/1989 - criteri interpretativi del DPR n. 203 Capo I, punto1) specifica l’ambito di applicazione del DPR n. 203: si applica agli impianti industriali di produzione di beni o servizi, compresi gli impianti di imprese artigiane, nonché agli impianti di pubblica utilità, che diano luogo ad emissioni inquinanti convogliate o tecnicamente convogliabili. Sono esclusi dal campo di applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 203: • gli impianti termici non inseriti in un ciclo di produzione industriale, compresi gli impianti inseriti in complessi industriali, ma destinati esclusivamente a riscaldamento dei locali, • gli impianti di climatizzazione, impianti termici destinati al riscaldamento di ambienti, al riscaldamento di acqua per utenze civili, a sterilizzazione e disinfezioni mediche, a lavaggio di biancheria e simili, all'uso di cucine, mense, forni da pane ed altri pubblici esercizi destinati ad attività di ristorazione, • gli impianti di distribuzione di carburante per autotrazione, • gli impianti di produzione di energia elettrica tramite sistemi eolici, fotovoltaici e solari. I Laboratori ? L’art. 3 riferisce che non sono esclusi dall’ambito di applicazione del DPR 203, bensì non sono soggetti alla procedura autorizzatoria di cui agli articoli 7 (rilascio dell'autorizzazione da parte della Regione), 12 (obbligo di presentazione della domanda di autorizzazione da parte degli impianti esistenti) e 13 (autorizzazione in via provvisoria per la continuazione delle emissioni con prescrizioni) del decreto del Presidente della Repubblica n. 203 i seguenti impianti: • gli impianti di emergenza e di sicurezza, • i laboratori di analisi e ricerca e gli impianti pilota per prove, ricerche, sperimentazioni, individuazioni di prototipi.
Gli impianti di emergenza e di sicurezza, I laboratori di analisi e ricerca e gli impianti pilota per prove, ricerche, sperimentazioni, individuazioni di prototipi non sono esclusi dall’ambito di applicazione del DPR 203, bensì non sono soggetti alla procedura autorizzatoria tale esclusione non si applica per quanto riguarda le sostanze ritenute cancerogene e/o teratogene e/o mutagene e le sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate (come individuate dai provvedimenti emanati ai sensi dell'art. 3, comma 2, del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (per la fissazione delle linee guida per il contenimento delle emissioni, dei valori minimi e massimi di emissione, dei metodi di campionamento, analisi e valutazione degli inquinanti e dei combustibili, ecc.). Tali criteri sono stati successivamente fissati dal Decreto Ministeriale del 12/07/1990 “Linee guida per il contenimento delle emissioni degli impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione” che riporta all’allegato1 i valori di emissione minimi e massimi per le sostanze inquinanti ai sensi dell'art. 3, comma 2, del DPR 24 maggio 1988, n. 203.
Il Decreto Ministeriale del 12/07/1990 stabilisce: • le linee guida per il contenimento delle emissioni degli impianti esistenti; • i valori limite di emissione per gli impianti esistenti; • i metodi generali di campionamento, analisi e valutazione delle emissioni; • i criteri per l'utilizzazione di tecnologie disponibili per il controllo delle emissioni; • i criteri temporali per l'adeguamento progressivo degli impianti esistenti; • l’obbligo di limitare le emissioni diffuse anche tenendo conto delle norme in materia di sicurezza e di igiene del lavoro. Allegato 1: riporta, nell’ambito dei valori limite di emissione, l’elenco delle sostanze ritenute cancerogene, teratogene, mutagene e delle sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate ……………… la presenza di tali sostanze nelle emissioni porterebbe a non far valere l’esclusione di particolari categorie, quali i laboratori di ricerca, dal regime autorizzatorio. In allegato, il decreto precisa che le emissioni di sostanze ritenute cancerogene e/o teratogene e/o mutagene, le emissioni di sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate devono essere limitate nella maggiore misura possibile dal punto di vista tecnico e dell'esercizio.
CLASSE I Asbesto (crisotilo, crocidolite) Benzo (a) pirene Berillio e i suoi composti espressi come Be Dibenzo (a,h) antracene 2 - naftilammina e suoi sali Benzo (a) antracene Benzo (b) fluorantene Benzo (J) fluorantene Benzo (k) fluorantene Dibenzo (a,h) acridina Dibenzo (a) pirene Dimetilnitrosamina5 – Nitroacenaftene 2 – Nitronaftalene 1 - Metil - 3 Nitro- 1- Nitrosoguanidina CLASSE II Arsenico e suoi composti, come As Cromo (VI) e suoi composti, come Cr Cobalto e suoi composti, espressi come Co 3.3'-diclorobenzidina e sali DimetilsolfatoEtilenimmina Nichel e suoi composti espressi come Ni 4-Aminobifenile e suoi sali Benzidina e suoi sali 4,4' Metilen bis (2Cloroanilina) e suoi sali ietilsolfato3,3'-Dimetilbenzidina e sali Esametilfosforotriamide2 Metilaziridina Metil Azossimetile Acetato SulfallateDimetilcarbamoilcloruro 3,3' Dimetossibenzidina e suoi Sali Sostanze ritenute cancerogene e/o teratogene e/o mutagene: CLASSE III AcrilonitrileBenzene1,3- butadiene 1-cloro-2,3-epossipropano (epicloridrina) 1,2-dibromoetano1,2-epossipropano1,2-dicloroetanovinile cloruro 1,3 Dicloro-2-propanolo Clorometil (Metil) Etere N,N-DimetilidrazinaIdrazinaOssido di etilene Etilentiourea2-NitropropanoBis-Clorometiletere3-Propanolide1,3 Propansultone Stirene Ossido Sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate: CLASSE I CLASSE II Policlorodibenzodiossine Policlorobifenili Policlorodibenzofurani Policlorotrifenili Policloronaftale
Altre esclusioni o prassi semplificate Sono esclusi dall’obbligo di richiesta di autorizzazione, come specificato nel successivo DPR 25/07/91, gli impianti ad inquinamento poco significativo (Capo II- Disposizioni in materia di emissioni poco significative - Art. 2): le attività di cui all'allegato 1 sono attività ad inquinamento atmosferico poco significativo ed il loro esercizio non richiede autorizzazione le Regioni possono prevedere che i titolari delle attività di cui all'allegato 1 comunichino alle autorità competenti la sussistenza delle condizioni di poca significatività dell'inquinamento atmosferico prodotto. L’Allegato 1 riporta l’elenco delle attività ad inquinamento atmosferico poco significativo Tra le attività elencate, alcune tipologie che possono eventualmente comparire o fungere da attività accessorie: ….. • …. • 15. Laboratori fotografici. • 16. Autorimesse. • … • 21. Impianti termici o caldaie inseriti in un ciclo produttivo o comunque con un consumo di combustibile annuo utilizzato per più del 50% in un ciclo produttivo. La potenza termica di ciascuna unità deve essere inferiore a 3 MW se funzionanti a metano o GPL, e 1 MW per il gasolio e a 0,3 MW se funzionanti ad olio combustibile, con contenuto di zolfo non superiore all'1% in peso. • 23. Sfiati e ricambi d'aria esclusivamente adibiti alla protezione e sicurezza degli ambienti di lavoro. • 24. Impianti trattamento acque. • ….. • 26. Gruppi elettrogeni e di cogenerazione con potenza termica inferiore a 3 MW se alimentati a metano o GPL e potenza termica inferiore a 1 MW se alimentati a benzina o gasolio.
Attività a ridotto inquinamento: attività i cui impianti producono flussi di massa degli inquinanti, calcolati a monte di eventuali impianti di abbattimento finali, che risultino inferiori a quelli indicati dai limiti normativi normativa sono considerate attività a ridotto inquinamento atmosferico. Per le cosiddette attività a ridotto inquinamento atmosferico il DPR 203/88 prevede che ne sia consentita l’autorizzazione in via generale per gli impianti previa autocertificazione del titolare del rispetto delle prescrizioni indicate dalla Regione. Anche in questo caso la validità di tale definizione cade in caso di sostanze ritenute cancerogene e/o teratogene e/o mutagene e le sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate.
In via generale un impianto sperimentalenon rientra né tra le attività ad inquinamento atmosferico poco significativo e potrebbe non rientrare tra quelle a ridotto inquinamento atmosferico (a meno che l’impianto produca flussi di massa degli inquinanti, calcolati a monte di eventuali impianti di abbattimento finali, che risultino inferiori ai limiti indicati dai provvedimenti; in tal caso di può considerare attività a ridotto inquinamento atmosferico). Ma possono rientrarvi eventuali attività accessorie. Il riferimento legislativo per i Laboratori è rappresentato dal Decreto del Pres. Cons. Ministri del 21/07/1989 che esclude dalla procedura autorizzatoria di cui agli articoli 7, 12 e 13 del DPR 203/88 i laboratori di analisi e ricerca e gli impianti pilota per prove, ricerche, sperimentazioni, individuazioni di prototipi. Esclusione delle attività di impianto di ricerca dall’iter autorizzatorio, ma non certo dal rispetto dei limiti di emissione fissati dal DPR 203/88 e s.m.i. L’esclusione dall’iter autorizzatorio non si applica in caso di presenza di sostanze ritenute cancerogene e/o teratogene e/o mutagene e di sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate. Cosa fare? • è necessario verificare la presenza di sostanze ritenute cancerogene, teratogene, mutagene e di sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate nelle attività che si svolgono nei laboratori; • in caso di presenza di certe sostanze nelle attività, è necessario analizzare le emissioni ordinarie dei Laboratori, considerando tutte le emissioni prodotte dal normale funzionamento dell’intero Laboratorio dal punto di vista qualitativo (individuazione delle sostanze presenti, anche in traccia, nelle emissioni) e quantitativo (entità e frequenza dell’emissione)
EMISSIONI IN ATMOSFERA EVENTO ANOMALO • Una tipologia di impatto ambientale può essere ravvisabile non solo nelle condizioni di normale esercizio, ma anche in situazioni di emergenza che potrebbero portare all’emissione in aria di sostanze. Ad esempio a causa di un incendio oppure a causa di un guasto ad un apparecchiatura o ad un sistema di abbattimento. • A livello di vero e proprio impatto ambientale è necessario adottare una serie di procedure/istruzioni di intervento (SGA o i SGS) • In ambito normativo la legislazione prevede che in caso di guasto tale da non permettere il rispetto di valori limite di emissione, l'impresa deve provvedere al ripristino funzionale dell'impianto nel tempo più breve possibile e informare immediatamente l'autorità competente, che dispone i provvedimenti necessari (Decreto Ministeriale del 12/07/1990- Art. 3 - comma 15).
PRELIEVI IDRICI E SCARICHI IDRICI prelievi idrici per usi specialistici ed igienici scarichi idrici di tipo tecnologico o di tipo civile utilizzo della risorsa idrica che rischia di essere sempre più scarsa e inquinata scarico di fonti di inquinamento idrico nell’ambiente parametro che incide sia sull’ambiente circostante ma anche sui bilanci aziendali
Decreto legislativo di riferimento è rappresentato dal Decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, che ha modificato il panorama normativo esistente in materia di inquinamento idrico, e che dedica alcuni capitoli alla questione del risparmio idrico ed alcuni capitoli all’inquinamento idrico. Il raggiungimento della tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee viene perseguito attraverso i seguenti strumenti: a) l’individuazione di obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici; b) la tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi nell’ambito di ciascun bacino idrografico ed un adeguato sistema di controlli e di sanzioni; c) il rispetto dei valori limite agli scarichi fissati dallo Stato, nonché la definizione di valori limite in relazione agli obiettivi di qualità del corpo recettore; d) l’adeguamento dei sistemi di fognatura, collettamento e depurazione degli scarichi idrici, nell’ambito del servizio idrico integrato; e) l’individuazione di misure per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento nelle zone vulnerabili e nelle aree sensibili; f) l’individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo ed al riciclo delle risorse idriche.
SCARICHI IDRICI Distinzione tra scarico di tipo industriale e scarico di tipo civile. La legge 10 maggio 1976 n. 319 (cosiddetta "legge Merli") non definiva espressamente il concetto di scarico: provenienza da un insediamento produttivo o civile, ovvero dalla fognatura; carattere continuo, periodico ma non occasionale; oggetto costituito da sostanze liquide e convogliabili tramite condotta. Il Dlgs n. 152 abbandona la definizione di scarico proveniente da insediamento produttivo e da insediamento civile e stabilisce che si intende per scarico: "Qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione".
Acque reflue industriali qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento Acque reflue domestiche acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche. Le acque reflue urbane acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato.
La gestione degli scarichi idrici da un laboratorio di ricerca Il Capo III Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi del Titolo III- Tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichi si compone di otto articoli diretti a garantire la tutela delle risorse idriche dal punto di vista qualitativo: dall’obbligo del rispetto di limiti di qualità alle modalità per i relativi controlli. Disciplinare gli scarichi in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e comunque nel rispetto dei valori limite di emissione: definiti nell'Allegato 5. L’allegato 5 è il riferimento di legge per il controllo dell’inquinamento delle risorse idriche provocato da qualsiasi attività umana. E’ previsto il potere delle regioni di definire valori limite di emissione diversi da quelli di cui all'Allegato 5, ma, per particolari sostanze indicate nelle tabelle 1, 2, 3/A, e 5 nelle Allegato 5 non si possono fissare valori limite meno restrittivi. Concetto fondamentale è il divieto di diluizione: il quinto comma dell'art. 28 contiene l'espresso divieto di conseguire i valori limite di emissione mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente a tale scopo; è comunque vietata la diluizione, con acque di lavaggio, raffreddamento o impiegate per la produzione di energia, degli scarichi parziali contenenti particolari sostanze (riportate ai nn. 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10 12, 15, 16, 17 e 18 della tabella 5 dell'Allegato 5) prima del trattamento degli scarichi parziali stessi.
I limiti sono fissati nell’allegato 5 a seconda dell'origine dello scarico e del corpo recettore: • nella tabella 1: i limiti di emissione per gli impianti di trattamento di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali (o in fognatura per alcuni parametri: Solidi sospesi totali,BOD5,COD); • nella tabella 2: i limiti relativamente agli impianti di trattamento di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali ricadenti in aree sensibili; • nelle tabella 3/A sono riportati i limiti di emissione per unità di prodotto riferiti a specifici cicli produttivilimiti per i cicli produttivi indicati nella tabella; • nella tabelle 3 sono riportati i limiti per gli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali e in fognatura. • nella tabella 4 sono riportati i limiti per gli scarichi delle acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo. • nella tabella 5 sono riportate le sostanze per le quali non possono essere adottati da parte delle Regioni, o da parte del gestore della fognatura, limiti meno restrittivi di quelli indicati in tab. 3 per lo scarico in acque superficiali e per lo scarico in fognatura.
Tabella di riferimento degli scarichi industriali Tabella 3 - Valori limiti di emissione in acque superficiali e in fognatura. I limiti per lo scarico in rete fognaria indicati in tabella 3 sono obbligatori in assenza di limiti stabiliti dall’autorità d’ambito o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello scarico finale. Limiti diversi stabiliti dall’ente gestore devono essere resi conformi a dalla tabella 5 relativa a sostanze pericolose
Acque reflue domestiche Acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche La “prevalenza” va valutata analizzando l’attività che genera lo scarico; il termine “servizi”: comprende sia attività che danno luogo ad acque reflue domestiche che attività che danno luogo ad acque reflue industriali. Quindi possono essere acque reflue domestiche anche: • le acque reflue derivanti esclusivamente dal metabolismo umano e dall'attività domestica, cioè da servizi igienici, cucine anche se scaricate da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni. • Scarichi derivanti da attività di servizi anch’essi generati dall’attività di tipo domestico. Le acque reflue domestiche assimilate “per legge” ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni: • acque reflue delle imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del fondo/silvicoltura derivanti dalle strutture dove si svolgono le operazionistrettamente legate alla coltivazione del fondo (come la pulizia dei locali magazzino o la pulizia di mezzi e attrezzature); • acque reflue derivanti da imprese dedite all’allevamento del bestiame in particolari condizioni; • acque reflue derivanti da imprese dedite ad attività di trasformazione o valorizzazione della produzione agricola in particolari condizioni; • acque reflue assimilate alle domestiche per caratteristiche qualitative equivalenti.Il comma 7 dell’art. 28 del D.Lgs 152/99 prevede che le acque reflue possano essere assimilate alle acque reflue domestiche qualora abbiano caratteristiche qualitative equivalenti. ACQUE REFLUE DOMESTICHE In rete fognaria Gli scarichi sono sempre ammessi purché siano osservati i regolamenti adottati dal gestore dell’impianto di depurazione terminale. Gli scarichi non sono soggetti ad autorizzazione bensì a semplice richiesta di allaccio alla rete fognante. Con recapito diverso dalla rete fognaria: Scarico in corpi d'acqua superficiali: Lo scarico delle acque reflue domestiche ed assimilate in corpi d'acqua superficiali deve essere autorizzato. Deve rispettare i parametri di tab. 1 L'autorizzazione ha durata di 4 anni e viene rilasciata dalla provincia competente per territorio. Scarico sul suolo: Lo scarico delle acque reflue domestiche ed assimilate sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo è vietato (art. 29 comma 1), salvo alcuni casi (insediamenti, installazioni o edifici isolati che scaricano acque reflue, gli scarichi di acque reflue urbane e industriali per i quali sia accertata l’impossibilità tecnica o l’eccessiva onerosità a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali.) . Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee È vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo.
ACQUE REFLUE INDUSTRIALI Qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalla acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento. Sono da considerare tali anche quelle derivanti da attività industriali che danno luogo ad un unico scarico finale in cui confluiscono anche eventuali reflui domestici. Disciplina degli scarichi di acque reflue industriali in corpi idrici superficiali Devono rispettare i limiti della tabella 3 dell’allegato 5. Lo scarico deve essere autorizzato e la domanda va presentata alla Provincia competente ed ha durata di 4 anni. Per alcune sostanze tossiche o bioaccumulabili indicate nelle tabelle 3/A e 5 dell'allegato 5, le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli fissati nel medesimo allegato 5. Disciplina degli scarichi di acque reflue industriali in rete fognaria Lo scarico deve essere autorizzato e la domanda va presentata al Comune. Lo scarico di acque reflue industriali in rete fognaria è sottoposto alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari e ai valori limite di emissione adottati dai gestori del servizio idrico integrato (Regolamento di Fognatura) ed in modo che sia assicurato il rispetto della disciplina degli scarichi di acque reflue definita dai limiti in tabella 3. (Ferma restando l'inderogabilità dei valori limite di emissione di cui alla tabella 3/A e, limitatamente ai parametri di cui alla nota 2 della tabella 5 dell'allegato 5, alla tabella 3).
Laboratorio di ricerca: impatto ambientale sulle risorse idriche In un laboratorio si possono individuare tre tipi di reflui: • acque bianche, • acque nere o sanitarie, • acque di lavorazione o chimiche provenienti dai laboratori o dagli impianti.
3 Acque dai laboratori, dagli impianti Questi scarichi possono essere di due tipi. Il primo, che si può definire "normale", costituito da acque di lavaggio/pulizia in genere di locali di tipo domestico e comunque assommabili alle acque nere, che possono confluire laddove confluiscono queste ultime. (situazione uguale alle prime tabelle) Il secondo tipo, "acque speciali", potendo contenere sostanze tossiche e/o corrosive o comunque residui significativi delle sostanze usate o prodotte nei laboratori sono configurabili come acque reflue industriali. Se inviate a scarico in fognatura, vanno autorizzate. Altrimenti possono essere raccolte in vasche di stoccaggio stazionanti adiacenti agli impianti ed inviate ad aziende esterne autorizzate in grado di ricevere e trattare questi tipi di reflui inquinanti.
Consumi idrici • L’acqua ha una fondamentale importanza sia ambientale che economica nella gestione di un’attività lavorativa, sia essa industriale che di tipo specialistico di ricerca. Per quanto riguarda le attività condotte in un laboratorio di ricerca il consumo idrico può essere distinto in consumo di acqua per usi civili: • acqua potabile, • acqua per scopi sanitari, ed in consumo di acqua a scopo tecnologico: • acqua per sistemi di raffreddamento degli apparati sperimentali, • acqua per i sistemi antincendio, • acqua per il lavaggio di serbatoi e/o tubazioni di impianti sperimentali, • acqua per soluzioni acquose con additivi, • acque di risciacquo, ad esempio per il lavaggio di serbatoi o contenitori.
Disposizioni legislative mirate alla salvaguardia ed alla riduzione del suo utilizzo ed al controllo della qualità degli scarichi: il D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, il Decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, che disciplina la qualità delle acque destinate al consumo umano. L’utilizzo eccessivo di risorse idriche non è sanzionato come accade per la materia degli scarichi, ma le incidenze da un punto di vista di impatto ambientale sono paritarie. La legislazione vigente in materia di acqua, la Legge 152/99, tiene conto dell’utilizzazione della risorsa acqua. In tema di domanda sia per le grandi sia alle piccole derivazioni definisce dei titoli di presenza nella conduzione delle istruttorie di concessione di derivazioni d’acqua: • 1 Evitare gli sprechi e destinare le risorse qualificate all’uso potabile. • 2 Migliorare l’utilizzo delle fonti in relazione all’uso. • 3 Caratteristiche qualitative del corpo idrico. • 4 Qualità e quantità dell’acqua restituita rispetto a quella prelevata. • 5 Adesione al sistema ISO 14001.
I laboratori di ricerca: il consumo idrico è strettamente funzionale alla tipologia di esperienza tecnologica; figurano tra i maggiori consumatori a livello industriale di risorse idriche. Impatto ambientale da considerare Adottare la politica della riduzione dei consumi (anche attraverso il riciclo), sebbene i costi per queste operazioni non risultino elevati. In particolare, possono essere utili alcune regole per predisporre un piano di risparmio sia in ambito tecnologico, sia in un contesto assimilabile al domestico. Difficile immaginare in talune realtà come quelle di laboratori sperimentali, in cui la purezza e la perfezione dei materiali possono giocare un ruolo fondamentale, sia possibile attuare una politica di riciclaggio del genere. Comunque tale impatto ambientale può essere controllato con, in primo luogo, un’analisi dei consumi e dei costi relativi, quindi con l’adozione di azioni di risparmio anche solo tramite la formazione ed il coinvolgimento dei dipendenti in merito agli sprechi.
Un possibile iter per controllo per la verifica del consumo e le prime azioni di controllo dell’impatto causato dal consumo delle risorse: • Informarsi relativamente ai costi e alle normative che tutelano le acque, i pozzi, i consumi della propria regione. Informarsi sulle azioni a livello regionale che incentivano il risparmio idrico (es. il Bollino blu al risparmio idrico che viene consegnato alle Aziende meritevoli di aver attuato politiche mirate alla riduzione dei consumi con ritorni di immagine) • Controllare dalle bollette i m3 di acqua consumata e i costi relativi. • Rapportare i m3 consumati all’unità di prodotto. • Verificare l’umidità e la temperatura degli ambienti di lavoro. • Verificare se è possibile riutilizzare acqua dal ciclo produttivo. • Verificare periodicamente la tenuta delle condutture, soprattutto quelle interrate. • Quantificare le dispersioni di vapore. • Recuperare il più possibile tutto il vapore disperso che, oltre a essere acqua allo stato gassoso, ha un alto contenuto di energia (termica) che può essere trasformata in altre forme di energia (meccanica, elettrica ecc.) con notevoli risparmi, oltre a miglioramenti per le condizioni di comfort termico nell’ambiente di lavoro. • Se si possiede un pozzo privato, verificare i costi di gestione rispetto al prelievo dalla rete pubblica. • Applicare ai rubinetti un frangigetto che, miscelando aria e acqua, fa risparmiare migliaia di litri d’acqua. • Prima di eliminare i rifiuti, disidratarli il più possibile in modo da ridurre il costo per il loro smaltimento e riutilizzare l’acqua estratta.
RIFIUTI Acque di scarico o rifiuti? Solo lo scarico di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili, diretto in corpi idrici ricettori rientra nella normativa acque i rifiuti allo stato liquido costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfaccia senza versamento diretto nei corpi ricettori, avviandole cioè allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato, rientrano nella disciplina dei rifiuti e il loro smaltimento deve essere autorizzato
IMPATTO SOSTANZE DI SCARTO IMMESSE NELL’AMBIENTE ESTERNO Le sostanze di scarto possono essere riferibili a differenti categorie in funzione delle fasi fisiche ed anche in funzione del loro allontanamento dal luogo di produzione Nel caso di laboratori di ricerca si possono presentare le seguenti situazioni: • Sostanze gassose, che rientrano nell’ambito normativo del DPR 203/88; sono escluse dall’adempimento di richiesta di autorizzazione tutte le emissioni da laboratori e da impianti pilota che non contengano sostanze ad alto rischio tossico. • Sostanze liquide, cioè tutti i liquidi di servizio, quelli derivanti da attività metaboliche o domestiche, quelli derivanti dalle attività di ricerca possono essere scaricati nel corpo idrico recettore nel rispetto delle norme vigenti in ambito di acque; invece i rifiuti liquidi veri e propri rientrano nella attuale normativa sullo smaltimento dei rifiuti (Dlgs 22/97 e s.m.i.). • Sostanze solide: rientrano tutti nella attuale normativa sullo smaltimento dei rifiuti.
Decreto Ronchi Gestione e smaltimento di rifiuti liquidi e solidi DEFINIZIONE DI RIFIUTO È rifiuto qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi che rientra nelle categorie di sostanze indicate nell'allegato "A" del decreto Ronchi. L’allegato A riporta le Categorie di rifiuti (Q1 Residui di produzione o di consumo in appresso non specificati, Q2 Prodotti fuori norma, Q3 Prodotti scaduti, Q4 Sostanze accidentalmente riversate, perdute ecc. PRODUTTORE La persona la cui attività ha prodotto rifiuti e la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento o di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti. DETENTORE Il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene. STOCCAGGIO Le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti prima di una delle operazioni di smaltimento (di cui all’allegato B), escluso il deposito temporaneo prima della raccolta nel luogo in cui sono prodotti, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali.
DEPOSITO TEMPORANEO Il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti alle condizioni seguenti: • i rifiuti depositati non devono contenere PCB o PCT oltre certe concentrazioni; • i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno bimestrale indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito raggiunge i 10 metri cubi; • i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito raggiunge i 20 metri cubi; • il deposito temporaneo deve essere effettuato per tipi omogenei e nel rispetto delle relative norme tecniche; per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute; • devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura dei rifiuti pericolosi.
CLASSIFICAZIONE I rifiuti sono classificati, in relazione alla loro origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e non pericolosi. Rifiuti Urbani Sono definiti Rifiuti Urbani: a) rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti a civile abitazione; b) rifiuti non pericolosi, provenienti da locali e luoghi adibiti a usi diversi da quelli di civile abitazione, assimilati ai rifiuti urbani per quantità e qualità; c) rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; d) rifiuti giacenti sulle strade, sulle spiagge, sulle rive dei fiumi e su aree pubbliche; e) rifiuti vegetali provenienti da giardini, parchi e aree cimiteriali; f) rifiuti provenienti da esumazione ed estumulazioni. Rifiuti Speciali Sono identificati come rifiuti speciali i seguenti rifiuti: a) rifiuti da attività agricole e agro-industriale; b) rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonchè i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo; c) rifiuti da lavorazioni industriale; d) rifiuti da lavorazioni artigianali; e) rifiuti da lavorazioni commerciali; f) rifiuti da attività di servizio; g) rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento rifiuti, fanghi prodotti dagli impianti di trattamento acque e dei fumi; h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie; i) i macchinari e le apparecchiature deteriorate e obsolete; k) i veicoli a motore, rimorchi e simili. l) il combustibile derivato da rifiuti
Pericolosità dei rifiuti Rifiuti Pericolosi Sono pericolosi tutti i rifiuti riportati nello specifico allegato "D" e sulla base degli allegati G, H ed I. ALLEGATO G = categorie o tipi generici di rifiuti pericolosi elencati in base alla loro natura o all'attività che li ha prodotti; All. G-1 Rifiuti che presentano una qualsiasi delle caratteristiche elencate nell'allegato I e che consistono in: 1. Sostanze anatomiche: 2. Prodotti farmaceutici, medicinali, prodotti veterinari …; Allegato G-2 Rifiuti contenenti uno qualunque dei costituenti elencati nell'allegato H, aventi una delle caratteristiche elencate nell'allegato I e consistenti in: Scorie e/o ceneri 19. Saponi, corpi grassi, cere di origine animale o vegetale … ALLEGATO H = costituenti che rendono pericolosi i rifiuti dell'allegato G-2 quando tali rifiuti possiedono le caratteristiche dell'allegato I rifiuti aventi come costituenti: C1 berillio, composti del berillio C2 composti del vanadio C3 composti del cromo esavalente. Allegato I = caratteristiche di pericolo per i rifiuti. H1 "esplosivo"; H2 "comburente“…. ESCLUSIONE DAL CAMPO D'APPLICAZIONE Risultano esclusi dal campo di applicazione del decreto i seguenti rifiuti: • i rifiuti radioattivi • le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido; • le terre di coltivazione; • i rifiuti dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso o dallo sfruttamento delle cave; • i materiali esplosivi in disuso; • carogne e materie fecali e altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nell'attività agricola.
LABORATORI DI RICERCA - PRODUTTORI DI RIFIUTI Le prassi principali da seguire per un laboratorio produttore di rifiuti pericolosi e non
Divieto di miscelare categorie diverse di rifiuti pericolosi ovvero rifiuti pericolosi di cui all'allegato G con rifiuti non pericolosi La miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata dalla Regione al fine di rendere più sicuro il recupero e lo smaltimento dei rifiuti.
In caso di rifiuti speciali assimilati agli urbani Conferirli al servizio pubblico di raccolta per essere assimilati agli urbani I rifiuti speciali assimilati devono essere individuati nel regolamento comunale per la gestione dei rifiuti urbani.
In caso di rifiuti speciali - non pericolosi • Classificazione corretta; Deposito e gestione secondo norma. • Obbligo di conferimento a ditta autorizzata. • In via cautelativa, in caso di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi e quindi di tenuta del formulario, sarebbe opportuno tenere e compilare il registro di carico e scarico. • Obbligo di compilazione del formulario di identificazione in quattro copie, numerate e vidimate dall'ufficio del registro e annotati sul registro IVA acquisti. • Obbligo di smaltimento con cadenza trimestrale oppure prima che il deposito temporaneo complessivo superi i 20 mc e comunque almeno una volta all'anno. (L’obbligo di tenuta del registro di carico e scarico anche in caso di rifiuti speciali non pericolosi deriva dall’art. 12 che individua i soggetti obbligati alla tenuta del registro nei produttori dei seguenti rifiuti speciali non pericolosi: c) i rifiuti da lavorazioni industriali, d) i rifiuti da lavorazioni artigianali; g) i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti. Pertanto per i rifiuti non pericolosi derivanti da attività di servizio (quali possibilmente quelle di ricerca?) non sussiste l’obbligo di compilazione dei registri di carico e scarico e di presentazione del Modello Unico di Dichiarazione Ambientale?.
In caso di rifiuti speciali-pericolosi • Classificazione corretta; deposito e gestione secondo norma; • obbligo di conferimento a ditta autorizzata; • obbligo del registro di carico e scarico integrato con le copie dei formulari; • obbligo di registrazione entro 1 settimana dalla produzione del rifiuto e dallo scarico del medesimo; • obbligo della denuncia catasto rifiuti entro il 30 aprile di ogni anno; • obbligo di smaltimento con cadenza bimestrale oppure prima che il deposito temporaneo complessivo superi i 10 mc e comunque almeno una volta all'anno; • obbligo di compilazione del formulario di identificazione in quattro copie. Tali formulari devono essere numerati e vidimati dall'Ufficio del Registro e annotati sul registro IVA acquisti.
Codifica e corretta classificazione Classificazione e sanzioni Dal 1° gennaio 2002 è stata introdotta la nuova classificazione dei rifiuti che riunisce in un unico elenco i due precedenti, relativi rispettivamente ai rifiuti e ai rifiuti pericolosi, individuando nel nuovo elenco questi ultimi con un asterisco “*”. La nuova codifica (riprende i criteri adottati nelle precedenti) = codice a sei cifre, raggruppate a due a due: • la prima coppia, le venti classi di attività da cui originano i rifiuti ( 07 - rifiuti dei processi chimici organici); • seconda coppia, le sottoclassi in cui si articola ciascuna classe di attività (07 01 -rifiuti da produzione, formulazione, fornitura, ed uso dei prodotti chimici organici di base); • la terza coppia, i singoli tipi di rifiuti provenienti da un’origine specifica (per es. 07 01 01 soluzioni acquose di lavaggio e acque madri).
Per identificare il codice da attribuire ad un rifiuto occorre procedere come segue: a) individuare la fonte che genera il rifiuto consultando i capitoli che vanno da 01 a 12 o da 17 a 20: • 01 rifiuti derivanti da prospezione, estrazione da miniera o cava, nonché dal trattamento fisico o chimico di minerali • 02 rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquacoltura, selvicoltura, caccia e pesca,trattamento e preparazione di alimenti • 03 rifiuti della lavorazione del legno e della produzione di pannelli, mobili, polpa, carta e cartone • 04 rifiuti della lavorazione di pelli e pellicce, nonché dell’industria tessile • 05 rifiuti della raffinazione del petrolio, purificazione del gas naturale e trattamento pirolitico del carbone • 06 rifiuti dei processi chimici inorganici • 07 rifiuti dei processi chimici organici • 08 rifiuti della produzione, formulazione, fornitura, ed uso di rivestimenti (pitture, vernici e smalti vetrati), adesivi, sigillanti e inchiostri per stampa • 09 rifiuti dell’industria fotografica • 10 rifiuti prodotti da processi termici • 11 rifiuti prodotti dal trattamento chimico superficiale e dal rivestimento di metalli ed altri materiali; idrometallurgia non ferrosa • 12 rifiuti prodotti dalla lavorazione e dal trattamento fisico e meccanico superficiale di metalli e plastica • 17 rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione (compreso il terreno proveniente da siti contaminati) • 18 rifiuti prodotti dal settore sanitario e veterinario o da attività di ricerca collegate (tranne • i rifiuti di cucina e ristorazione non direttamente provenienti da trattamento terapeutico) • 19 rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito, nonché dalla potabilizzazione dell’acqua e dalla sua preparazione per uso industriale • 20 rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalle istituzioni) inclusi i rifiuti della raccolta differenziata b) se il rifiuto non è identificabile tra quelli elencati per le attività suddette, per identificare il codice corretto occorrerà esaminare i capitoli 13, 14 e 15che riguardano rispettivamente: • 13 - oli esauriti e residui di combustibili liquidi (tranne oli commestibili ed oli di cui ai capitoli 05, 12 e 19); • 14 – solventi organici, refrigeranti e propellenti di scarto (tranne 07 e 08); • 15 – rifiuti di imballaggio, assorbenti, stracci, materiali filtranti, e indumenti protettivi (non • specificati altrimenti) c) se neanche in questi capitoli è individuabile il codice identificativo del rifiuto allora bisogna far riferimento al capitolo 16 (rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco); d) infine, solo se il rifiuto non è classificabile neppure mediante i codici del capitolo 16, bisognerà utilizzare il codice 99 (rifiuti non altrimenti specificati) preceduto dalle cifre del capitolo che corrisponde all’attività identificata secondo i criteri fissati nel punto a).
Per quanto riguarda i criteri di classificazione di pericolosità dei rifiuti, nella nuova codifica CER sono riportati, unitamente ai rifiuti non pericolosi, anchei rifiuti pericolosi individuati da un asterisco. Questi rifiuti, considerati tali ai sensi della direttiva 91/689/CE, possono presentare una o più delle seguenti caratteristiche di pericolo (nell’allegato I del D.Lgs. 22/97): • H1 - Esplosivo • H2 - Comburente • H3 - Facilmente infiammabile • H4 - Irritante • H5 - Nocivo • H6 - Tossico • H7 - Cancerogeno • H8 - Corrosivo • H9 - Infettivo • H10- Sostanza tossica per il ciclo produttivo • H11- Mutageno • H12- Sostanze e preparati che, a contatto con l’acqua, l’aria o un acido, sprigionano un gas tossico o molto tossico • H13- Sostanze e preparati suscettibili, dopo eliminazione, di dare origine in qualche modo ad un’altra sostanza • H14- Ecotossico Questa classificazione di pericolosità non si applica ai rifiuti domestici.