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Bibliografia: Vittorio Alfieri. Edizioni critiche (Centro Nazionale di Studi Alfieriani di Asti): Filippo , a cura di Carmine Jannaco (1952); Mirra , a cura di Martino Capucci (1974), Saul , a cura di C. Jannaco e Angelo Fabrizi (1982).
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Bibliografia: Vittorio Alfieri • Edizioni critiche (Centro Nazionale di Studi Alfieriani di Asti): Filippo, a cura di Carmine Jannaco (1952); Mirra, a cura di Martino Capucci (1974), Saul, a cura di C. Jannaco e Angelo Fabrizi (1982). • Ezio Raimondi, Le pietre del sogno. Il moderno dopo il sublime, Bologna, Il Mulino, 1985; Giuseppe Antonio Camerino, Alfieri e il linguaggio della tragedia, Napoli, Liguori, 1999. Suggestiva e fondamentale rimane la lettura di Giacomo Debenedetti, Vocazione di Vittorio Alfieri, Roma, Editori Riuniti, 1977.
Bibliografia: Alessandro Manzoni • L’edizione critica del Conte di Carmagnola, a cura di G. Bardazzi, Milano 1985. Oggi si dispone anche di quella a cura di Giuseppe Sandrini, uscita nel 2004 a Milano, presso il Centro Nazionale di Studi Manzoniani, nell’ambito dell’Edizione Nazionale ed Europea delle Opere di Alessandro Manzoni. Tra le numerose edizioni economiche, si segnala quella a cura di Gilberto Lonardi, con note di Paola Azzolini, Venezia, Marsilio, 1989. • L’edizione critica dell’Adelchi, a cura di Isabella Becherucci, è uscita nel 1998, a Firenze, presso l’Accademia della Crusca. Anche in questo caso, tra le numerose versioni economiche disponibili, si suggerisce quella curata da G. Lonardi e annotata da P. Azzolini (Venezia, Marsilio, 2005 - I ed.1987). • Sulla drammaturgia manzoniana: G. Lonardi, Ermengarda e il Pirata, Bologna, Il Mulino, 1991; Carlo Annoni, Lo spettacolo dell’uomo interiore. Teoria e poesia del teatro manzoniano, Milano, Vita e Pensiero1997.
Cronologia essenziale V. Alfieri • Filippo 1775-76 e 1780-82 • Saul 1782 (con correzioni fino al 1788) • Mirra 1784-87 A. Manzoni • Il Conte di Carmagnola 1816-20 • Adelchi 1820-22
Uno sguardo all’etimologia • Il sostantivo ‘teatro’ proviene dal latino theatrum, che a sua volta ricalca il greco théatron, derivante da theaomai, che significa ‘guardo’, ‘sono spettatore’ . • Il termine tragedia – tramite il latino tragoedia – deriva dal greco tragoidia, che significa letteralmente ‘canto del montone’ o ‘canto per il (in onore del) montone’, poiché – probabilmente – le prime tragedie vennero rappresentate in occasione delle feste in onore del dio Dioniso (o Bacco), ispiratore dell’arte drammatica, durante le quali venivano portati in corteo e sacrificati capri e montoni .
La rinascita della tragedia (I) • 1514-15, Giangiorgio Trissino, Sofonisba (prima rappresentazione, in francese, nel 1554 a Blois, per volere di Caterina de’ Medici). • 1515, Giovanni Rucellai, Rosmunda • 1524, Alessandro de’ Pazzi, Dido in Cartagine (dopo avere tradotto in latino l’Elettra e l’Edipo, e in volgare lo stesso Edipo e l’Ifigenia in Aulide e il Ciclope). • 1522 ca. Luigi Alamanni, Antigone • 1525 ca. Ludovico Martelli, Tullia (ed. postuma 1533).
La rinascita della tragedia (II) • 1541, Giambattista Giraldi Cinzio, Orbecche • 1542, Sperone Speroni, Canace • 1546, Pietro Aretino, Orazia • 1587, Torquato Tasso, Torrismondo
La mia figliuola, in cui sola avea posto tutta la speme mia, tutto il mio bene, per cui sola i’ sperava questo poco di viver che m’avanza esser contento, mostrato m’ha quanto sia stato folle il mio pensiero e quanto infide e ingrate siano le donne tutte e ch’al lor peggio s’appiglian sempre. Costei che poteva aver Selino, un de’ gran re del mondo, per suo marito, ha preso un che di vile sangue creato insin da’ suoi primi anni ne la mia corte s’è nodrito. [...] Avrò per figlia una che me da padre non tiene? E per fedele un che me ’nganna? Semplice ben sarei più d’ogni sciocco s’io mi lasciassi por questa su gli occhi e non mostrassi a l’uno e a l’altro quanto aver poco rispetto a un re sia grave. Vedrà quel traditor, vedrà la figlia (se figlia si dee dir femina tale) ciò che posson gli scettri e le corone e s’io saprò mostrare ad ambo loro (com’a molti ho mostrato) esser re vero. Giraldi, Orbecche, III 2 (vv. 1104 e ss.)
[…] ’l mio peccato, non malizia mortale, ma fu celeste forza che ogni nostra virtù vince et ammorza. […] Vili seco, io nol nego, e disoneste fur le opere mie; ma n’ebbi quel che non pur non sperai, ma mai non disiai. Spinse allor le mie membra non propria elezione, ma uno impeto fatal che intorno al core mi s’avolse in quel punto e in vece d’alma mosse il mio corpo frale e sforzollo a far cosa orribile a chi l’ode, a chi la fe’ odiosa. [...] Or vivo e con l’empiezza del mio grave peccato, che spense il nome e la ragion fraterna, do cagione a mio padre di divenir spietato, crudelmente extinguendo col sangue de’ suoi figli la sua pietà paterna. Sperone Speroni, Canace, vv. 616-658
Orazi e Curiazi (da Livio, Hist., I 24-25) Cavalier d’Arpino, Combattimento tra gli Orazi e i Curiazi, Roma, Palazzo dei Conservatori, 1612 Jacques-Louis David, Il giuramento degli Orazi, Parigi. Louvre, 1785
III, vv. 1627 e ss. Io vo’ inferir che pare orribil cosa l’avere Orazio la sorella uccisa, perché il velame de la crudeltade l’atto ricopre: che da ragion mosso fece ciò ch’egli ha fatto e ch’io farei contra me stesso, non che d’un mio figlio, quando che io in me medesmo ardissi ombrar col duolo il comun gaudio e solo. V, vv. 2438 ss. Ben sa de i sommi Dei la providenza che il tutto è intervenuto perché Celia gran cagion dienne a lui, giovane altiero. Devea la crudeltà, dal suo marito usata in tòr del mondo i fratei suoi, ispegner la pietà, ch’ella ebbe tanta de la morte di tale, e saria viva, e ’l cor proprio d’Orazio, che sospinto fu al giusto atto da reale sdegno. Pietro Aretino, Orazia, III, vv. 1627 e ss.
T. Tasso, Torrismondo, 1587 Situazione di partenza Re dei Goti → Alvida >< Rosmonda (scambio) ↓ Re di Svezia prende Alvida come figlia I movimento Re di Norvegia (Germondo) → Alvida ↓ Torrismondo (re dei Goti) ↔ Alvida II movimento Ipotesi di Torrismondo → Alvida >< Rosmonda (scambio) Scoperta della verità da parte di Torrismondo (Alvida è sua sorella) Conclusione Suicidio di Alvida e Torrismondo
La tragedia secentesca • 1627-28, Federico della Valle, Reina di Scotia, Ester, Iudit • 1657, Carlo de’ Dottori, Aristodemo → la drammaturgia gesuitica
Giuditta e Oloferne Caravaggio, 1599-1600 Artemisia Gentileschi, 1620
La tragedia del XVIII secolo • 1713, Scipione Maffei, Merope • 1744, Saverio Bettinelli, Gionata figlio di Saulle • 1779, Alessandro Verri, La congiura di Milano
V. Alfieri, Del principe e delle lettere (1778-1786) I 8 “Leggono adunque veramente nel principato i pochi uomini rinchiusi nelle città; e fra questi, il minor numero di essi; cioè quei pochissimi che, non bisognosi di esercitare arte nessuna per campare, non desiderosi di cariche, non adescati dai piaceri, non traviati dai vizi, non invidiosi dei grandi, non vaghi di far pompa di dottrina, ma veramente pieni di una certa malinconia riflessiva, cercano ne’ libri un dolce pascolo all’anima e un breve compenso alle umane miserie; le quali forse assai più vivamente vengono sentite da chi il minor danno ne sopporta. […] Leggere, come io l’intendo, vuol dire profondamente pensare; pensare vuol dire starsi; e starsi vuol dire sopportare. […] Non nego però che a lungo andare lo spirito dei libri non s’incorpori, direi così, nello spirito dei popoli che nella loro lingua gli hanno; e penetra questo spirito in tutti gl’individui, o sia per tradizione o sua per lettura effettiva […] e penetra a tal segno che in capo a qualche secolo si trova poi mutata affatto l’opinione di tutti”.
Il teatro tragico alfieriano • 21 tragedie • 1775-1790 • Endecasillabi sciolti • Intrecci brevi ed essenziali: pochi personaggi, sviluppo lineare, dialogo d’azione + monologo o soliloquio • Tema fondamentale: la tirannide (cioè la negazione della libertà) come causa suprema dell’infelicità umana (arbitrio >< pietà) • Rispetto delle tre ‘unità aristoteliche’
V. Alfieri, Vita (1790-1803), IV 4 “(I) Ideare dunque io chiamo il distribuire il soggetto in atti e scene, stabilire e fissare il numero dei personaggi, e in due paginucce di prosaccia farne quasi l’estratto a scena per scena di quel che diranno e faranno. (II) Chiamo poi stendere, qualora ripigliando quel primo foglio, a norma della traccia accennata ne riempio le scene dialogizzando in prosa come viene la tragedia intera, senza rifiutar un pensiero, qualunque ei siasi, e scrivendo con impeto quanto ne posso avere, senza punto badare el come. (III) Verseggiare finalmente chiamo non solamente il porre in versi quella prosa, ma col riposato intelletto assai tempo dopo scernere tra quelle lungaggini del primo getto i migliori pensieri, ridurli a poesia, e leggibili. Segue poi come di ogni altro componimento, il dover successivamente limare, levare, mutare”.
V. Alfieri, Vita, IV 2 “Noi Italiani non avendo altro verso che l’endecasillabo per ogni componimento eroico, bisognava creare una giacitura di parole, un rompere sempre variato di suono, un fraseggiare di brevità e di forza, che venissero a distinguere assolutamente il verso sciolto tragico da ogni verso sciolto e rimato sì epico che lirico”
Encyclopédie, vol. V, ad vocem Elocution (1755) “Essere eloquenti […] significa comunicare rapidamente e imprimere con forza nell’animo altrui il sentimento profondo da cui si è penetrati. Questa definizione è tanto più giusta, in quanto si applica alla stessa eloquenza del silenzio e a quella del gesto”.
Alfieri, Filippo • Tempi di composizione: 1775-76, 1780-81, 1785-87, 1789 • Fonte principale: César Vichard, Dom Carlos (1672) → alterazione dei fatti storici • Personaggi protagonisti: Filippo II re di Spagna, Elisabetta (seconda moglie di Filippo; Isabella nella tragedia di A.), Carlo (figlio di Filippo e Maria di Portogallo)
Alfieri, Filippo • Tempi di composizione: 1775-76, 1780-81, 1785-87, 1789 • Fonte principale: César Vichard, Dom Carlos (1672) → alterazione dei fatti storici • Personaggi protagonisti: Filippo II re di Spagna, Elisabetta (seconda moglie di Filippo; Isabella nella tragedia di A.), Carlo (figlio di Filippo e Maria di Portogallo)
I fatti storici • 1543 matrimonio tra Filippo II e Maria di Portogallo • 1545 nascita di Carlo e morte di Maria • 1554-1558 matrimonio tra Filippo e Maria I d’Inghilterra • 1559 pace di Cateau-Cambrésis, matrimonio tra Filippo e Elisabetta di Valois, figlia di Enrico II • 1568 ribellione dei Paesi Bassi capitanata da Guglielmo I d’Orange, e repressione spagnola; morte in carcere di Carlo accusato di avere ordito una congiura contro il padre.
F. Schiller, Sul sublime, 1794-96 Il tratto distintivo dell’umanità è la volontà. […] Per questo non esiste nulla di più indegno per l’uomo che il subire violenza, giacché la violenza lo annienta. Chi usa violenza ci contende la nostra stessa umanità; chi la subisce vilmente abdica alla propria umanità. […] Questa è la condizione in cui si trova l’uomo. Circondato da infinite forze che gli sono tutte superiori, e che agiscono da dominatrici, l’uomo, in virtù della sua natura, reclama il diritto a non subire violenza alcuna.
Verdi, Don Carlo (1865-86), IV 2 Elisabetta Giustizia, giustizia, Sire! Giustizia, giustizia! Ho fé nella lealtà del Re. Son nella Corte tua crudelmente trattata e da nemici oscuri incogniti oltraggiata. Lo scrigno ov’io chiudea, Sire, tutt’un tesor, i gioielli… altri oggetti a me più cari ancor, l’hanno rapito a me! Giustizia, giustizia! La reclamo da Vostra Maestà! Filippo Quello che voi cercate, eccolo! Elisabetta Ciel! Filippo A voi d’aprirlo piaccia... Ebben, io l’aprirò. Elisabetta Ah, mi sento morir! Filippo Il ritratto di Carlo! Non trovate parola? Il ritratto di Carlo! Elisabetta Sì Filippo Fra i vostri gioielli? Elisabetta Sì! Filippo Che! confessar l’osate a me? Elisabetta Io l’oso! Sì! Ben lo sapete, un dì promessa al figlio vostro fu la mia man! Or v’appartengo… a Dio sommessa, ma immacolata qual giglio son! Ed or si sospetta l’onor d’Elisabetta. Si dubita di me… e chi m’oltraggia è il Re!
Filippo, I 2, 25-110 Le molteplici ‘ragioni’ di Carlo nel dialogo con Isabella • Primo livello: la corte austera e iniqua (34 e 38) • Secondo livello: “le mie angosce / principio han tutte dal funesto giorno, / che sposa in un data mi fosti, e tolta” (68-70) • Terzo livello: “Suddito, e figlio / di assoluto signor” ho sopportato tutto in silenzio; la volontà di Filippo è stata per me una legge (75 e ss.) • Quarto livello: Filippo, benché sia mio padre, mi odia e induce all’odio nei miei confronti (89 e ss.) → domanda: un padre può odiare suo figlio? • Quinto livello: “Qual havvi affetto, che pareggi, o vinca / quel dolce fremer di pietà?” (53 ss.)
Filippo, I 2, 5-110: alcune parole chiave • Corte nemica (28), austera (38), empia e infame (96-97) • Padre signore (31), padre irato (62), quel padre (74), il cor del padre (88, 90), qual padre (95), si adira di essere padre (101-102) • Pietà (37, 51, 53, 55, 60) • Odio (28, 88, 90, 92, 100, 108: snaturato inaudito odio paterno) • Pianto (48, 59, 77, 86-87) • Destino: dura sorte (47-48), fortuna (57), dura necessità (64-65)
La ‘posizione’ di Carlo (I 4)nel dialogo con Perez 193-196 Altro nemico / non ho, che il padre; che onorar di un tanto / nome i suoi vili non vogl’io, né il deggio. / Silenzio al padre, agli altri sprezzo oppongo. 204-210 Chiuso inaccessibil core / di ferro egli ha. Le mie difese lascia / alla innocenza; al ciel, che pur talvolta / degnarla suol di alcun benigno sguardo. / Intercessor, s’io fossi reo, te solo / non sdegnerei: qual di amistade prova / darti maggior poss’io?
Filippo, II 2, 23-165 • Prima domanda di Filippo a Isabella: il dilemma tra paternità e regalità, tra “ragion di sangue” e “ragion di stato” • Seconda domanda di Filippo a Isabella: il suo ‘sentimento’ per Carlo → La (supposta) rivelazione del tradimento (60-117) • Terza domanda di Filippo a Isabella: quale sorte meriti un figlio colpevole (98) • Il consiglio di Isabella: (1) primato della paternità, (2) necessità di rigettare la logica del sospetto a favore di quella dell’ascolto, (3) possibilità di contemperare giustizia, ira e dolcezza
Filippo, II 2, 23-165: la sincerità del re Stimo il tuo parere più di ogni altro (29-30) Voglio che tu sia giudice di mio figlio (58-59 e 98-100) Chi più di me vorrebbe che Filippo non fosse colpevole? (107-108) Ascolto in me anche la voce del padre (117-118) Poiché tu credi Filippo innocente, sembra quasi tale anche a me (163-165)
Filippo, II 2, 156-162 Oh trista Sorte dei re! Del proprio cor gli affetti, Non che seguir, né pur spiegar, n e lice. Spiegar? Che dico? Né accennar: tacerli, Dissimularli, le più volte è forza. – Ma, vien poi tempo, che diam loro il varco Libero, intero.
Lo sviluppo del dramma • II 4 Carlo ammette la sua ‘colpa’: 186-194 e 229-246 (“In cor pietade io sento / de’ lor mali”). Filippo promette il perdono (265-277) • II 5 Filippo e Gomez • III 1 7-18 e 29-34: Carlo sospetta una finzione da parte di Filippo, mentre Isabella lo rimprovera (“L’ira ti accieca; un odio in lui supponi, / che allignar non vi può”). • III 5 il consiglio notturno: Filippo, Gomez, Leonardo, Perez • IV 2 Carlo e Filippo: “Ma che fec’io? […] Ecco il mio sol misfatto: / sete hai di sangue” • IV 3 (202-234) Gomez e Isabella: l’unica colpa di Carlo è “esser figlio di un orribil padre”; lo “snaturato odio paterno” nasce da “vile invidia”.
L’epilogo del dramma: il V atto • V 3 Filippo: “tutto io so: quella che voi d’amore, / me di furor consuma, orrida fiamma”; “vendetta vuolsi”; “mi giova intanto / goder qui di vostr’onta” → la colpa è un amore che Filippo interpreta come offesa, come violazione della dedizione assoluta che egli pretende per sé (cfr. v. 184: “geloso orgoglio”). • V 4 Morte di Perez e di Carlo; volontà di Filippo di tenere in vita Isabella (“Mi fia sollievo il tuo lungo dolore”); suicidio di Isabella; conclusione di Filippo (“Ma, felice son io?”).