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Søren A. Kierkegaard. « Ci sono uomini il cui destino deve essere sacrificato per gli altri, in un modo o nell'altro, per esprimere un'idea, ed io con la mia croce particolare fui uno di questi. » (Søren Kierkegaard) . BIOGRAFIA.
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Søren A. Kierkegaard « Ci sono uomini il cui destino deve essere sacrificato per gli altri, in un modo o nell'altro, per esprimere un'idea, ed io con la mia croce particolare fui uno di questi. » (Søren Kierkegaard)
BIOGRAFIA • Soren Aabye Kierkegaard nacque il 5 Maggio 1813 a Copenhagen, Danimarca. • Venne educato dal padre, commerciante, nelclima di una religiosità severa. • Nel 1840 si laureò in teologia. • Nel Settembre 1840 si fidanzò con Regina Olsen, che lasciò circa un anno dopo. • Nel 1841- 42 fu a Berlino, dove ascoltò le lezioni di Schelling e ne fu, prima entusiasta, poi deluso. • Ritornò a Copenhagen, dovesi dedicò ai suoi scritti e morì l’11 Novembre 1855.
Vita • Nato dal ricco commerciante Michael Pedersen e dalla sua seconda moglie Ane Lund, Kierkegaard visse la quasi totalità della sua esistenza a Copenaghen • La sua filosofia prese corpo da un doppio rifiuto, ossia il rifiuto della filosofia hegeliana e di quello della Chiesa danese • Fu l'ultimo di sette fratelli, cinque dei quali morirono quando lui era ancora ventenne. • Dagli anziani genitori ricevette una rigida educazione pietista, improntata al pessimismo ed al senso del peccato
Kierkegaard era assai cagionevole di salute, tant’è vero che egli chiamò, usando un’espressione usata anche da S. Paolo "spina nella carne" un suo misterioso dolore fisico. • Fu educato dal padre anziano in un'atmosfera di severa religiosità. • Il padre gli inculcò un forte senso del peccato. Kierkegaard arrivò addirittura a pensarsi soggetto a una maledizione divina, per una imprecisata "grave colpa" commessa in passato da suo padre. • Infatti, la morte prematura della moglie e di cinque dei suoi sette figli, avevano convinto il padre di Kierkegaard che egli aveva attirato su di sé l’ira divina.
Studiò teologia nell'università della sua città natale, con la prospettiva, poi non realizzata, di diventare pastore protestante. • Nel 1840, si fidanzò con la diciottenne Regina Olsen, ma dopo un anno scarso, ruppe il fidanzamento. • vocazione di consacrazione religiosa, • O timore ossessivo che la maledizione divina potesse gravare anche sulla famiglia che egli avrebbe formato insieme a lei. • Regina Olsen si disse pronta a tutto pur di sposarlo, ma Kierkegaard fece il possibile per apparirle disgustoso, in modo che cadesse su di lui la colpa della rottura del fidanzamento, che peraltro gli procurò rimpianto per tutta la vita.
Kierkegaard condusse un’esistenza appartata, anche a causa del suo temperamento scontroso e poco socievole. • Gli unici fatti rilevanti della sua vita furono gli attacchi che gli vennero mossi dal giornale satirico Il corsaro, e la polemica contro l’opportunismo e il conformismo religioso che egli condusse, nell’ultimo anno della sua vita, in una serie di articoli pubblicati nel periodico Il momento. • Su Il corsaro, Kierkegaard apparve più volte ritratto in maligne caricature e fu aspramente preso in giro. Il filosofo ne rimase profondamente amareggiato. Quanto alla polemica che egli condusse contro il conformismo religioso, Kierkegaard accusava la Chiesa danese di essere mondana e di aver tradito gli insegnamenti originari di Cristo • Morì a Copenaghen l’11 novembre 1855.
OPERE PRINCIPALI • Sul concetto d’ironia con particolare riguardo a Socrate – 1841 • Aut-Aut (Enten-Eller), di cui fa parte il Diario di un seduttore – 1843 [di Victor Eremita] • Timore e Tremore – 1843 [di Johannes de Silentio] • La ripresa – 1843 [di Costantin Costantius] • Briciole di filosofia – 1844 [Johannes Climacus] • Il concetto dell’angoscia – 1844 [Vigilius Haufniensis] • Stadi nel cammino della vita– 1845[Hilarius Bogbinder] • Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di filosofia– 1846 [Johannes Climacus] • Il punto di vista sulla mia attività di scrittore – postuma, ma composta nel 1846-47 • La malattia mortale – 1849[di Anti-Climacus] • L’esercizio del Cristianesimo – 1850 [di Anti-Climacus] • Discorsi edificanti – dal 1843 al 1851 • Diario – postuma, ma composta tra il 1833 e il 1855 • KIERKEGAARD HA PUBBLICATO MOLTE SUO OPERE USANDO PSEUDONIMI
Contro Hegel • La filosofia di Kierkegaard, alla pari di quella di Schopenhauer intende essere una critica al sistema filosofico di Hegel. Ad Hegel rimprovera cinque cose: • La mentalità pagana, ossia la tendenza a ritenere la specie, (l’Umanità, lo Spirito ecc.) più importante dell’individuo (per Kierkegaard mentre in ogni genere animale la specie è la cosa più alta, nell’uomo, a causa del Cristianesimo, l’individuo conta più del genere) • La concezione della filosofia come scienza oggettiva(cioè distaccata e disinteressata) e non come riflessione soggettiva nella quale il singolo è direttamente coinvolto; • La scissione fra speculazione filosofica e vita vissuta: il filosofo costruisce un sistema in cui poi non vive (“... I pensieri di un uomo devono essere l’abitazione in cui egli vive...” (Diario) • L’idea che il divenire dialettico del pensiero e della realtà si concluda sempre con un superamento delle opposizioni e la loro sintesi • Per K. la vita concreta spesso è fatta di aut-aut di scelte inconciliabili • L’identificazione panteistica fra uomo e Dio. Hegel non coglie “l’infinita differenza qualitativa” che separa il finito dall’infinito
La difesa del Singolo • Nella filosofia hegeliana il Singolo, l’individuo scompare, si dissolve e si risolve nella Ragione, nello Spirito, nell’Universale • Kierkegaard stabilisce il primato del Singolo sul genere, della parte sul tutto, dell’io empirico, che era considerato da Hegel una tappa particolare, e in sé incompiuta, nel procedere dell'Assoluto, e contrappone alle tesi hegeliane la concezione dell'uomo propria del Cristianesimo. • Nella religione cristiana si assegna un valore infinito proprio al "piccolo io" creato ad immagine e somiglianzadi Dio. • E’ solo l’individuo concreto ad esistere. Come già sosteneva Aristotele, l’esistenza non compete alle essenze universali (per esempio al concetto di "umanità") perché sono soltanto delle entità logiche pensate ma non esistenti. • L’esistenza per Aristotele compete solo all’individuo nella sua specifica concretezza
Questo discorso vale tanto per l'individuo umano quanto per il singolo animale o vegetale. • Tuttavia, Kierkegaard sottolinea due differenze che sussistono fra l’esistenza di un uomo e quella di qualsiasi altro essere vivente: • In primo luogo, mentre nel mondo vegetale e animale è più importante la specie dell’individuo che esiste concretamente, nel mondo umano la situazione è inversa. Infatti, l’uomo singolo non può essere sacrificato alla specie, dato che ogni essere umano è una creatura forgiata a immagine e somiglianza di Dio. • In secondo luogo, ciò che contraddistingue l’esistenza dell’uomo singolo rispetto agli altri esseri viventi è la possibilità di scegliere e la libertà di decidere. Il comportamento dei singoli animali è condizionato necessariamente dall’istinto. Invece i singoli uomini, nel corso della loro vita, si trovano sempre davanti a più possibilità di fronte alle quali sono totalmente liberi di decidere.
Il singolo • Il singolo è l'uomo posto di fronte all'assoluta libertà del proprio destino: • la sua vita è unica e irripetibile, inevitabilmente personale • ciò che muove le azioni del singolo sono le decisioni prese in assoluta libertà e secondo scelte esclusivamente personali: • ogni uomo è solo di fronte alle scelte che la vita gli pone di fronte, e solo all'uomo spetta decidere attorno alla sua esistenza. • Kierkegaard stesso desiderò come epitaffio sulla sua tomba "Quel Singolo"
Il singolo è libero • Il concetto di singolo responsabilizza l'individuo e le sue azioni, mentre l'Assoluto hegeliano finisce per costringere l'uomo ad essere impotente di fronte a uno Spirito indipendente dalla volontà individuale, il Singolo lascia l'uomo nella condizione aperta del libero arbitrio. • Ciò che contraddistingue l’esistenza dell’uomo singolo rispetto agli altri esseri viventi è la possibilità di scegliere e la libertà di decidere. • Il comportamento dei singoli animali è condizionato necessariamente dall’istinto. Invece i singoli uomini, nel corso della loro vita, si trovano sempre di fronte a più possibilità di fronte alle quali sono totalmente liberi di decidere.
L’angoscia • Si è già visto come per Kierkegaard l'esistenza sia vincolata alla libertà assoluta: • il destino dell'uomo è incerto proprio perché aperto a qualsiasi possibilità: la possibilità-che-si, ma anche la-possibilità-che-non • La possibilità ha una componente ineliminabile di rischio • E' proprio il peso della possibilità aperta ad essere schiacciante, di gran lunga superiore a quello della realtà compiuta. • L'angoscia non è paura ma un sentimento di sgomento, di vertigine che prende l'uomo di fronte all'incertezza riguardo al proprio destino • Solo Dio e la fede può allontanare l'angoscia, credere è una scelta che l'uomo prende al buio, non sapendo cosa realmente lo aspetta. • Tuttavia è proprio la fede salda, questa decisione sofferta e paradossale di credere nella salvezza, che permette agli uomini di allontanare il sentimento angoscioso.
Aut-Aut • Nei due volumi del 1843 emerge l’idea che l’esistenza finita del singolo non è caratterizzata dall’et-et, cioè dal superamento hegeliano, ma dall’aut-aut • Esistere significa scegliere • Un individuo non è quel che è , ma ciò che sceglie di essere • E se non sceglie sceglie comunque!
Amico mio! Quello che ti ho già detto tante volte, te lo ripeto, anzi te lo grido: o questo, o quello, aut-aut! L'importanza dell'argomento giustifica l'uso delle parole. Vi sono circostanze in cui sarebbe ridicolo e quasi pazzesco voler porre un aut-aut; ma vi sono anche persone la cui anima è troppo dissoluta per cogliere il significato di questo dilemma, alla cui personalità manca l'energia per poter dire con pathos: o questo, o quello. Queste parole hanno sempre fatto su me una profonda impressione, e ancora la fanno, specialmente quando le pronuncio così, semplici e nude; in esse esiste una possibilità di mettere in moto i contrasti più tremendi. Su di me han l'effetto di una formula di scongiuro, e l'animo mio sprofonda nella serietà, restandone a volte quasi sconvolto. Penso alla mia prima gioventù, quando, senza ben afferrare il significato della scelta nella vita, con infantile confidenza ascoltavo i discorsi dei più anziani; e l'istante della scelta era per me solenne e venerabile, benché nella scelta seguissi allora solo le istruzioni degli altri. Penso a quegli instanti nella mia vita futura, in cui mi trovai al bivio, in cui l'animo mio si maturò nell'ora della decisione. Penso a tutti gli altri casi della vita, meno importanti, ma per me non indifferenti, in cui dovevo scegliere; poiché, anche se è vero che queste parole hanno una importanza assoluta solo nel caso in cui da una parte appare la verità, la giustizia, la santità, e dall'altra il piacere, le inclinazioni, le oscure passioni e la perdizione; anche in casi in cui l'oggetto della scelta è per sé indifferente, è sempre importante scegliere giusto, provare se stessi, perché un giorno, con dolore, non si debba ricominciare dal punto di partenza, ringraziando Dio se non ci si fa altro rimprovero che di aver perso del tempo. Nel parlare quotidiano, uso queste parole come le usano gli altri, e sarebbe una sciocca pedanteria astenersene; eppure mi accade a volte di ricordarmi di averle usate per cose del tutto indifferenti. Esse allora si spogliano del loro abito meschino, io dimentico i pensieri insignificanti a cui si riferivano, e mi appaiono in tutta la loro dignità, nei loro paramenti da festa. [...] E benché, a questo punto della mia vita, io abbia già alle mie spalle il mio aut-aut, pure so .molto bene che potrò ancora incontrare molti casi in cui esso riavrà il suo pieno valore. Pertanto spero che queste parole, quando le troverò sul mio cammino, mi trovino in uno stato d'animo almeno degno, e spero che sarò in grado di scegliere il giusto: in ogni caso mi sforzerò di scegliere con serietà senza finzioni; così almeno oserò consolarmi pensando che al più presto mi allontanerò dalla strada falsa. (S.A. Kierkegaard, Aut-Aut, trad. it. di K.M. Guldbrandsen e R. Cantoni, Mondadori, Milano 1979, pp. 33-34)
Le possibilità dell’esistenza • Le possibilità fondamentali che si offrono all’uomo per condurre la sua esistenza non sono infinite • Le alternative ( o stadi, momenti) dell’esistenza si riducono a tre: • La vita estetica, la vita etica e la vita religiosa.
Gli stadi dell’esistenza • Le possibili tappe o stadi sono meglio definiti come «sfere di vita» chiuse, autonome e reciprocamente impermeabili, che non evolvono: • si può vivere tutta l'esistenza in una sola dimensione, si può progredire ma anche regredire. • Nell'opera Aut-Aut del 1843, egli presenta l'alternativa fra le prime due sfere, quella estetica e quella etica. Nell'opera Timore e tremore, sempre del 1843, emerge la terza sfera,quella religiosa.
La vita estetica • E’ la forma di vita di chi rifiuta ogni vincolo o impegno continuato, e cerca la novità, l’avventura • L’esteta vive nell’attimo irripetibile; il rapporto con la vita è vissuto come godimento e come rappresentazione del godimento. • Il simbolo è Don Giovanni di Mozart ma anche il Faust di Goethe • La sua sfera è il gioco, l’immaginazione. La ricerca di una vita senza monotonia e senza niente di banale e insignificante (D’Annunzio) • Nel Diario del seduttore Giovanni, innamorato della donna in sé, le cerca tutte, sedcendo e poi abbandonando nell’infelicità le donne che più loattraggono.
Per don Giovanni bisogna adoperare l'espressione seduttore con gran prudenza, se veramente ci si tiene a dir qualche cosa di vero, e non una cosa qualunque. Questo non perché don Giovanni sia virtuoso, ma perché egli non rientra in alcuna determinazione etica. Per evitare le ambiguità, sarei quasi incline a chiamarlo un ingannatore. Per essere un seduttore occorre sempre una certa riflessione e una certa coscienza, e solo quando son presenti, può essere opportuno parlare di astuzie, artifizi e raggiri. A don Giovanni questa coscienza manca. Perciò non seduce. Egli desidera, e questo desiderio ha un effetto seduttore; è per questo ch'egli seduce. Gode il soddisfacimento del desiderio; non appena l'ha goduto, cerca un altro oggetto, e così all'infinito. Egli inganna, così, ma senza premeditare il suo inganno; è la potenza stessa della sensualità quella che inganna le sedotte; si tratta quasi di una specie di Nemesi'. Egli desidera e continua sempre a desiderare, e continua a godere il soddisfacimento del desiderio, senza esserne mai sazio. Per essere un vero seduttore gli manca il tempo: non ha tempo prima, per fare il suo progetto, non ha tempo dopo, per divenire cosciente della sua azione. [.. . ] Se perciò continuo a chiamare don Giovanni un seduttore, non è perché lo immagino un ingannatore che studia i suoi piani, un astuto che calcola l'effetto dei suoi intrighi; quello con cui egli inganna è il genio della sensualità, di cui è quasi l'incarnazione. Gli mancano l'astuzia e la riflessione; la sua vita è spumeggiante come il vino, col quale si eccita, la sua vita è movimentata come le melodie che accompagnano il suo pasto allegro, in ogni attimo è sempre trionfante. Non ha bisogno di preparativi, di progetti, di tempo, poiché egli è sempre pronto, la forza è sempre in lui ed anche il desiderio, e solo quando desidera è veramente nel suo elemento. Egli siede a tavola, felice come un Dio, leva il suo bicchiere — si alza col tovagliolo in mano, pronto per l'attacco. Se Leporello lo svegliasse nel cuore della notte, egli si alzerebbe, sempre certo di essere vittorioso. Ma questa forza, questo potere non possono venire espressi in parole, solo la musica ce ne può suggerire l'idea, mentre la riflessione e il pensiero ne sono incapaci. Le astuzie di un seduttore eticamente determinato le posso chiaramente esprimere con parole, e la musica tenterebbe invano di risolvere questo compito. Con don Giovanni accade il contrario. Quale è questo potere? Nessuno lo può dire, ed anche se chiedessi a Zerlina, prima che si rechi al ballo: «quale è il potere con cui egli ti avvince?», essa mi risponderebbe: «non si sa», ed io direi: «hai parlato bene, bimba mia! tu parli più saggiamente dei saggi dell'India: proprio così, non lo si sa, e il guaio è che nemmeno io lo so». Questo potere di don Giovanni, questa onnipotenza, questa vita le può esprimere solo la musica e io non so dargli altro attribuito che questo: è una gaiezza rigogliosa di vita. (S.A. Kierkegaard, Don Giovanni, trad. it. di R. Cantoni e K.M. Guldbrandsen, Mondadori, Milano 1976, pp. 108-111)
Ma…”ridi veramente quando sei solo?” • La vita estetica rivela la sua insufficienza e la sua miseria nella NOIA (che segue il soddisfacimento dei piaceri) e nel fallimento esistenziale • Chiunque viva esteticamente, vive l’attimo sceglie di non scegliere e quindi rinuncia ad una propria identità, ma è un’illusione perché la non scelta è essa stessa una scelta • La coscienza del vuoto della propria esistenza senza centro e senza senso lo conduce alla disperazione (che ne sia consapevole o meno), ultimo sbocco della concezione estetica della vita. • ... E solo attaccandosi alla disperazione, scegliendola e dandosi ad essa che si può passare ad una vita più piena: la vita etica
La vita etica • La scelta etica è la scelta del matrimonio che implica una stabilità e una continuità che la vita estetica , come ricerca continua della varietà, esclude. • Esso comporta l’assunzione della responsabilità, l’impegnarsi in un compito al quale rimanere fedele • Nella vita etica l’uomo singolo si sottopone a una forma si adegua all’universale e rinuncia ad essere l’eccezione. • E’ l’affermazione del dominio su di sè, del dovere, della fedeltà: la scelta della normalità vs l’eccezionalità dell’esteta. • Il simbolo è rappresentato dal giudiceGuglielmo, marito fedele).
Il matrimonio • Il matrimonio rivendica la continuità dell’amore; al mistero si sostituisce l’intesa, alla conquista il possesso. • Esso rappresenta la serietà della vita. • Conduce ad una riflessione interiore, per cui attraverso il sacrificio e la rassegnazione “non si fa conto di ciò che si perderà, ma di ciò che si guadagnerà perseverando” (il bene della famiglia, l’educazione dei figli ...).
Il lavoro • La scelta etica si manifesta anche nel mantenere legami con la società attraverso il lavoro, che non solo gli dà da vivere, ma in cui ci si realizza. • Insomma, la vita ordinaria, ripetitiva, esemplare, integerrima è la vita che dà una serena felicità, se non fosse che.... • Anche la vita etica è destinata al fallimento!
Due sono le ragioni: • Nella sua vita “normale” e conformista l’uomo non riesce a ritrovare se stesso e la propria singolarità, individualità • L’uomo etico accettando i valori universalmente riconosciuti non può fare a meno: • di prendere consapevolezza che egli, la società in cui vive, l’intero genere umano è responsabile di ingiustizie, di tragedie, ed errori che hanno accompagnato le realizzazioni proprie e collettive • riconoscere che il singolo e l’umanità intera sono corrotti dal peccato, cioè sono radicalmente disposti al male • Egli deve perciò riconoscere la sua colpa e pentirsi. • “Il pentimento dell’individuo coinvolge se stesso, la famiglia, il genere umano finché egli si ritrova in Dio. Solo a questa condizione egli può scegliere se stesso... In senso assoluto”
La scelta religiosa • A questo punto l’uomo si trova posto di fronte a una scelta ulteriore, non equivalente alle altre: la scelta religiosa • Una scelta che lo vede da solo al cospetto di Dio, senza poter appoggiarsi a norme, morali, sociali condivise
La sfera religiosa • Kierkegaard analizza la vita religiosa in due opere: Timore e tremore, e Il concetto dell’angoscia. • Nella prima opera egli presenta la collisione tra etica e religione nella figura di Abramo, che secondo il racconto biblico Dio richiede di sacrificare il figlio Isacco. • Nella seconda opera, partendo dal peccato originale giunge alla dimensione dell’angoscia come costitutiva dell’esistenza dell’uomo.
Abramo e Isacco • Abramo dopo una vita spesa nel rispetto della Legge morale, riceve da Dio l’ordine di uccidere il figlio Isacco, infrangendo così la legge morale e l’affetto naturale per il figlio • Abramo si trova da solo (privo di qualsiasi conforto) a dover scegliere tra l’obbedire a Dio o alle leggi (naturali, morali, sociali) • E Abramo sceglie.. E sceglie Dio
La scelta di Abramo è la scelta della fede , del principio religioso contro il principio morale • Principi che risultano fra di loro inconciliabili • Scelta che pone Abramo in contrapposizione con gli altri uomini
La fede è paradosso e scandalo • E’ quella di Abramo una scelta rischiosa e incerta (priva com’è di garanzie) e solitaria (Abramo non può comunicare a nessuno quello che si accinge a fare) • Una scelta che è scandalosa : perché al di fuori di qualsiasi norma morale (universale) • È il singolo che si pone al di sopra dell’universale: è questo il paradosso della fede
Abramo sceglie affidandosi a Dio, che gli annuncia che egli è l’eletto a cui è affidato un compito eccezionale • Ma come esserne certo? L’unico segno a cui appigliarsi è proprio la forza angosciosa con cui si pone questa domanda • La fede è questa certezza angosciosa • Ulteriore elemento paradossale: l’uomo deve scegliere se credere o non credere, se avere o non avere fede. E tuttavia anche la fede viene da Dio: e quindi scegli e non scegli nello stesso tempo
L’Angoscia • La possibilità è la categoria fondamentale dell'esistenza. • La condizione di insicurezza, di inquietudine e di travaglio connessa a questa categoria è l'oggetto dei due scritti che, accanto alle "Briciole" e alla "Postilla", costituiscono il nucleo più prettamente filosofico del pensiero di Kierkegaard: "Il concetto dell'angoscia" (1844) e "La malattia mortale" (1849).
Che cos’è? • L'angoscia è la "vertigine" che scaturisce dalla possibilità della libertà. • L'uomo sa di poter scegliere, sa di avere di fronte a sé la possibilità assoluta: ma è proprio l'indeterminatezza di questa situazione che lo angoscia. • Egli acquista la coscienza che tutto è possibile, ma quando tutto è possibile, è come se nulla fosse possibile. • La possibilità non si riveste di positività, non è la possibilità della fortuna, della felicità, ecc.; è la possibilità dello scacco, la possibilità del nulla. • L'angoscia è la condizione naturale dell'uomo.
Adamo e il peccato originale • K. esamina il racconto biblico della genesi del peccato originale • Adamo è "innocente" finché resta "ignorante", cioè finché non conosce le proprie infinite possibilità; ma tale ignoranza contiene già in sé l'elemento che determinerà la caduta, e tale elemento non è né calma né riposo, né turbamento né lotta, perché non c'è alcunché da cui riposarsi o contro cui lottare. Non è che un niente; ma è proprio questo niente a generare l'angoscia. A differenza del timore e di altri stati analoghi, che si riferiscono sempre a qualcosa di determinato, l'angoscia non si riferisce a nulla di preciso. Essa è il puro sentimento della possibilità.
Il divieto divino rende inquieto Adamo perché sveglia in lui la possibilità della libertà. Ciò che si offriva all'innocenza come il niente dell'angoscia è ora entrato in lui, e qui ancora resta un niente: l'angosciante possibilità di potere. Quanto a ciò che può, egli non ne ha nessuna idea, altrimenti sarebbe presupposto ciò che ne segue, cioè la differenza tra il bene e il male. Non vi è in Adamo che la possibilità di potere, come una forma superiore d'ignoranza, come un'espressione superiore di angoscia, giacché in questo grado più alto essa è e non è, egli l'ama e la fugge.
E' la possibilità di poter agire in un mondo in cui nessuno sa che cosa accadrà. • E' l'angoscia provata da Adamo posto di fronte al divieto di gustare i frutti dell'albero della conoscenza: • egli non sa ancora in che cosa consista la conoscenza, non conosce la differenza tra il bene e il male, non comprende il senso del divieto stesso. • Egli non sa che cosa accadrà, eppure è chiamato a scegliere tra l'obbedienza e la disobbedienza.
La connessione dell'angoscia con il possibile si rivela nella connessione del possibile con l'avvenire. Il possibile, infatti, corrisponde completamente all'avvenire. • “Per la libertà il possibile è l'avvenire, per il tempo l'avvenire è il possibile. ” • Così, all'uno come all'altro, nella vita individuale corrisponde l'angoscia. • Il passato genera angoscia solo nel caso in cui si presenti come possibile futuro, cioè come possibilità di ripetizione: • una colpa passata genera angoscia solo se non è veramente passata, ovvero solo se è possibile ricadervi, giacché diversamente genererebbe pentimento, e non angoscia
L'angoscia non è presente nella bestia che, priva di spirito, è guidata dalla necessità dell'istinto, né nell'angelo che, essendo puro spirito, non è condizionato dalle situazioni oggettive. • L'angoscia è propria di uno spirito incarnato, quale è l'uomo, cioè di un essere fornito di una libertà che non è né necessità, né astratto libero arbitrio, ma libertà condizionata dalla situazione, cioè appunto dalla possibilità di ciò che può accadere
La disperazione • Strettamente connessa alla categoria della possibilità è anche quella della disperazione, che è la "malattia mortale" di cui Kierkegaard tratta nel libro omonimo. • Tuttavia, se l'angoscia è incentrata soprattutto sui rapporti tra il singolo e il mondo, la disperazione riguarda piuttosto il rapporto del singolo con se stesso.
L'angoscia è determinata dalla coscienza che tutto è possibile, e quindi dall'ignoranza di ciò che accadrà. • Invece la disperazione è motivata dalla constatazione che la possibilità dell'io si traduce necessariamente in una impossibilità. • Infatti, l'io è posto di fronte a un'alternativa: o volere o non volere se stesso. • Se l'io sceglie di volere se stesso, cioè di realizzare se stesso fino in fondo, viene necessariamente messo a confronto con la propria limitatezza e con l'impossibilità di compiere il proprio volere. • Se,viceversa, rifiuta se stesso, e cerca di essere altro da sé, si imbatte in un 'impossibilità ancora maggiore.
Nell'uno come nell'altro caso, l'io è posto di fronte al fallimento, è condannato a una malattia mortale, che è appunto quella di vivere la morte di se stesso
La fede • Tanto l'angoscia,quanto la disperazione possono avere un solo esito positivo:lafede. • Sia l'esperienza della possibilità del nulla propria dell'angoscia, sia quella della malattia mortale che rivela l'impossibilità dell'io, si risolvono soltanto quando l'uomo compie un salto qualitativo, aggrappandosi all'unica possibilità infinitamente positiva, che è Dio.
Il credente non ha più l'angoscia del possibile, poiché il possibile è nelle mani di Dio; • né il suo io si perde nella disperazione della propria impossibilità, poiché sa di dipendere da Dio e di trovare in Dio un sicuro ancoraggio.
Il passaggio alla fede, tuttavia,è un salto senza mediazioni. • La fede non può essere dimostrata per mezzo di analisi storiche e filologiche, né può essere fondata su una filosofia speculativa che la riconduca, come aveva fatto Hegel, a una determinazione della ragione umana. • La fede è, piuttosto, il risultato di un atto esistenziale con cui l'uomo va al di là di ogni tentativo di comprensione razionale, accettando anche ciò che al vaglio della ragione o della critica storica appare assurdo.
L'essenza intima della fede non è una verità oggettiva, determinabile con gli stessi strumenti di indagine con cui si analizza un fenomeno naturale o un problema logico-matematico. • Al contrario, essa è soggettiva non nel senso di essere relativa e variabile, ma nel senso di essere fondata esclusivamente sul rapporto soggettivo con la rivelazione divina. Nella fede ogni uomo è solo con Dio