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Volterra e il commercio. Veronica Volterrani & Paola Bartalucci. Cenni storici generali. Economia medioevale. I mercati volterrani. Le moie nel medioevo. Il dazio nella storia. Fine Presentazione. ?. Mercati e fiere
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Volterra e il commercio Veronica Volterrani & Paola Bartalucci
Cenni storici generali Economiamedioevale I mercati volterrani Le moie nel medioevo Il dazio nella storia Fine Presentazione ?
Mercati e fiere Qualsiasi attività commerciale ha da sempre richiesto dei punti fissi di riferimento: i mercati. Il mercato poteva essere rurale o urbano, periodico (settimanale, mensile) oppure straordinario, in occasione di particolari avvenimenti. Quello rurale poteva servire per lo scambio di prodotti tra diverse aziende o per acquisti destinati ad approvvigionare la città; quello urbano era, dal punto di vista economico, più dinamico. In alcune città i monasteri, grandi produttori di beni agricoli, avevano dei magazzini (cellae) dove tenevano le merci da vendere poi sui mercati. Il mercato rientrava nei privilegi regi (regalia) e poteva sorgere soltanto per concessione del sovrano: perciò lo vediamo spesso in rapporto con una curtis regia: in Italia le concessioni di mercati da parte dei sovrani sono numerose. I mercati urbani pare fossero organizzati con fabbricati e botteghe. Non è sempre facile distinguere i mercati dalle fiere, in quanto nei documenti si parla sempre e solo di mercati. Le fiere erano tenute nei centri più importanti una o due volte all’anno, in occasione di determinate festività, e ad esse accorrevano maggiormente i forestieri. Il nome deriva da feria (= festa), appunto per il suo riferimento alle festività, in genere religiose, cui erano connesse.
Mercati e fiere erano sottoposti a tributi, destinati a quell’autorità che li organizzava e che ne garantiva il pacifico svolgimento: in genere il periodo della fiera e la località dove si teneva erano protetti da multe gravose, senza trascurare che durante tale periodo perfino i debitori non potevano essere perseguiti dai loro creditori. Tra i tributi che colpivano il mercato vi erano il plateaticum (per l'occupazione del suolo), il bancaticum (per poter posizionare il proprio banco), la decima o commercium che veniva versata in pari misura dal venditore e dal compratore, e corrispondeva complessivamente a 1/24 del valore della merce acquistata. Inizialmente il mercato locale si teneva, di norma, nei giorni in cui poteva esservi massima affluenza di pubblico e cioè, molto spesso, la domenica. Ma il divieto di ogni lavoro servile in diebus dominicis, conformemente a quanto veniva sempre più richiedendo la chiesa, affinché tutti potessero <<convenire alla chiesa per la solennità della Messa e lodare in quel giorno il Signore per tutti i beni che creò per noi>>, fu successivamente esteso anche al mercato, lasciandolo in vita solo dove già esisteva anticamente e per legittima concessione; infine si giunse al divieto generale di tenere mercato nei giorni festivi.
Economia medioevale volterrana L’economia di una tipica famiglia medioevale, abitante a Volterra o nelle zone limitrofe, era basata sull’agricoltura e sull’allevamento. Nelle campagne si produceva grano, olio, vino e, se pure in quantità minime, il lino. Anche la produzione del grano, comunque, era scarsa, insufficiente ai fabbisogni di tutta la popolazione, che era quindi frequentemente costretta ad acquistarne altrove. Orzo, avena, fagioli e altri legumi venivano prodotti solo per uso familiare - o se pure erano disponibili sui mercati cittadini vi arrivavano in piccole quantità; anche la produzione dell’olio era scarsa. Il vino era un prodotto molto ricercato e veniva portato in città anche dai contadini dei comuni vicini. La produzione del lino, invece, era praticata soprattutto nel territorio di Canneto: esso veniva portato e venduto a Volterra dai piccoli produttori della zona. A Canneto il lino era coltivato, macerato e poi tessuto dalle donne del posto: i manufatti così prodotti erano di modesta quantità, ma si trattava di una merce molto preziosa.
L’allevamento del bestiame era molto praticato dai contadini volterrani, che spesso, per avere più animali a disposizione, si mettevano in società con gli allevatori dei paesi vicini: Pomarance, Canneto, Montecastelli ecc. In particolare venivano allevati bovini, suini, pecore e polli. Presente, ma in minore quantità, era anche l’allevamento delle capre. Poiché il formaggio non bastava anche per la stagione invernale, buona parte degli animali veniva macellata in autunno e la carne veniva messa sotto sale, per essere consumata anche a distanza di tempo. Per trascinare gli aratri nei campi venivano usati essenzialmente i buoi, che solo in un secondo momento furono sostituiti dai cavalli.
I mercati volterrani Nell’anno 851 il vescovo Andrea istituì, per facoltà accordatagli da Ludovico II, due mercati: uno presso la cattedrale, alla metà di agosto, e l’altro presso la basilica di San Pietro, sul luogo dell’odierno Poggetto. Nello stesso anno fu allestito un importante mercato, che riunì tutta la popolazione dei paesi limitrofi, in Piazza dei Priori. Nel XIII secolo esisteva anche un mercato del bestiame in San Michele in Foro, che successivamente si spostò in Vallebuona, quando fu costruita la nuova cinta muraria. Nel 300 il mercato settimanale del bestiame aveva luogo nella piazza del comune; quello annuale in Vallebuona. Durante il mercato del bestiame si radunavano tutti i maggiori allevatori della zona, che molto spesso concludevano alleanze tra di loro, facendo piccole società, per gestire un maggior numero di bestie, e quindi realizzare un maggior guadagno. Nei mercati che venivano fatti a Volterra si riunivano tutti i contadini delle campagne circostanti, portando ogni genere di prodotto: bestiame, legumi, verdure, grano, sale, formaggio… Delle volte, si poteva trovare anche del pesce portato in città da qualche mercante che abitava sulla costa tirrenica. Al mercato si potevano infine acquistare stoffe, tra cui il lino prodotto a Canneto (v. sopra).
Le Moie nel medioevo Le sorgenti di acqua salata, dette "moie", affioravano ai piedi del colle di Volterra, in tutto il territorio compreso tra Saline, Montegemoli, Querceto e Buriano: il loro primo sfruttamento risale probabilmente all’epoca etrusca. I depositi di salgemma, si sono formati circa 5 milioni di anni fa, come residui delle acque marine e si trovavano disposti in lenti, discostate e sovrapposte le une dalle altre, tra i 50 e i 1500 metri di profondità. In passato il sale veniva portato in superficie dalle vene sotterranee che passavano sopra le lenti ed affioravano con una densità salina variabile da sorgente a sorgente. Una delle prime notizie storiche sullo sfruttamento delle saline nel volterrano risale al 981, quando, dopo la scoperta dei grandi giacimenti saliferi a Halle, in Sassonia, l’imperatore Ottone II chiamò in Germania alcuni salinatori di Volterra per insegnare la tecnica di lavorazione ai suoi concittadini. Prima del Mille, le moie appartenevano al vescovo di Volterra e, già nel 1100 la città era considerata uno dei più importanti centri del commercio del sale in Toscana.
Dal 1203-04 il comune di Volterra cominciò a sottrarre le moie al vescovo, acquistando sistematicamente i suoi pozzi. Lo statuto volterrano del 1229 stabilì un diritto di prelazione della città su ogni pozzo o moia in vendita. L’acquisto, in ogni caso, era concesso ai soli cittadini volterrani. Si venne così a formare un vero e proprio monopolio del Comune sul sale. Tra il 1240 e il 1250, questo privilegio venne conteso al Comune dall’imperatore Federico II, il quale pretese e confiscò quindi per l'Impero i vecchi diritti dei vescovi sulle moie. Si arrivò così, nel 1242, all’occupazione della moia di Tollena, situata sul fiume Cecina a monte di Saline, da parte della truppe imperiali e solo dopo la morte di Federico II, nel 1250, la dogana del sale tornò saldamente nelle mani del comune di Volterra. Dopo il 1300 non sono registrate nemmeno più liti con il vescovo. Il commercio del sale costituì nel restante periodo del Medioevo una delle fonti principali della ricchezza di Volterra.
Il Dazio I dazi interni furono usati assai largamente in passato e subirono storicamente una lunga evoluzione. Si possono ritrovare esempi di dazi fin dai tempi più antichi: in epoca romana essi servirono soprattutto a fornire i fondi alle casse delle città, prima fra tutte la capitale. In epoca carolingia, e ancor più in quella comunale, fiorirono le imposte sul commercio, gravanti sia sugli scambi che avvenivano nei mercati, sia sui transiti delle merci, con riscossione agli approdi marini, fluviali, lacustri, sui ponti e alle porte delle città. In seguito, il passaggio da un'economia di tipo chiuso ad un'epoca di fiorenti commerci interni e internazionali favorì il sorgere di un vero e proprio sistema doganale. Accanto a tutti i vecchi "diritti di mercato" che assunsero l'aspetto di tasse, cioè di controprestazioni obbligatorie per la richiesta di un servizio pubblico (uso di magazzini, pesi e misure, ecc.), si svilupparono i dazi percepiti per l'entrata e l'uscita delle merci dai confini di un certo territorio. Durante il periodo comunale, i dazi ebbero un ruolo puramente fiscale, ma, nella successiva epoca delle signorie, dei principati e delle monarchie nazionali, essi subirono una progressiva evoluzione.
Apparve cioè evidente che, allo scopo di aiutare e difendere le attività esistenti in un certo territorio, occorreva eliminare il più possibile gli ostacoli che si frapponevano al commercio interno e, di contro, proteggere, con opportuni dazi doganali, le attività nazionali dalla concorrenza estera. Accadde così che, alla fine del sec. XVIII, vennero quasi ovunque soppresse le dogane interne, pur continuando ad essere percepiti i dazi comunali, sempre con scopi fiscali. Le finanze locali si fondavano da tempo su queste imposizioni, che potevano colpire i principali beni di consumo al momento della loro introduzione nei comuni dotati di una cinta daziaria (comuni chiusi), oppure al momento in cui erano immessi nei negozi di vendita al minuto (comuni aperti). Benché i dazi interni alimentassero anche le finanze centrali, quasi tutte le autorità statali rinunciarono, nei sec. XIX e XX, ai pur alti gettiti, in favore delle finanze locali. In Italia tale riforma fu attuata nel 1923; ma questo fu solo il primo passo sulla via dell'abolizione completa dei dazi interni ad opera della maggior parte degli Stati occidentali, che doveva avvenire di lì a poco. In Italia, i dazi interni furono sostituiti nel 1930 dalle imposte comunali di consumo, il cui regime di applicazione è stato modificato con l'introduzione (1973) dell'Imposta sul Valore Aggiunto ( I.V.A.).
Asta volterrana (mt. 2,52) incisa sulla facciata del Palazzo dei Priori La presentazione è stata riorganizzata da B. Gensini Exit