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Le storie di vita di adolescenti drop-out. Una ricerca qualitativa sull’abbandono scolastico a Napoli. Non esiste l’adolescente, esiste un adolescente …. Il metodo delle storie di vita si fonda sul presupposto che non esiste l’adolescente,
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Le storie di vita di adolescenti drop-out Una ricerca qualitativa sull’abbandono scolastico a Napoli
Non esiste l’adolescente, esiste un adolescente …. Il metodo delle storie di vita si fonda sul presupposto che non esiste l’adolescente, esiste un adolescente con la sua storia e le sue competenze di stare al mondo. Esiste una Persona, impegnata a trovare una chiave per connettere le varie messe in scena di sé, di fronte a situazioni di vita al limite tra il conosciuto e l’ignoto, per trovare un senso di sé sufficientemente stabile e flessibile. La storia di vita permette di esplorare quell’insieme di codici con cui ciascun adolescente si rapporta alla vita, e attraverso i quali può dare vita ad esperienze di creatività o, al contrario, di irrigidimento.
Le “maschere” della dispersione L’analisi delle storie di vita ha messo in evidenza che i percorsi che portano alla fuoriuscita dal sistema formativo vedono la presenza al loro interno di elementi comuni e ripetitivi, accanto ad altri invece altamente specifici e caratteristici della singola storia. Da qui la possibilità di individuare e delineare alcune maschere tipiche del drop-out : Il “Dimissionario” (1) La Vittima(2) Il Deviante (3)
“Il Dimissionario”: Uno dei profili comuni a diverse storie di vita è quello dello studente che, pur non avendo ancora fisicamente abbandonato la scuola, mette in atto un progressivo disinvestimento emotivo nei confronti dell’esperienza scolastica che lo porterà, a medio-breve termine, a “dare le dimissioni” dal ruolo di studente (M. Lancini). Il disinvestimento emotivo e cognitivo dall’apprendimento rappresenta un fenomeno diffuso e in progressiva espansione, che riguarda non solo coloro che arrivano ad abbandonare la scuola, ma anche tutti quegli adolescenti che rimangono pur non riconoscendosi più nel ruolo di studenti, o avendo smesso di investire su di esso. 1 “Il Dimissionario”
…. in fuga verso un altrove idealizzato Il fenomeno dello studente “dimissionario”, che come ci dice anche la letteratura risulta essere piuttosto generalizzato, assume però nelle storie di vita raccolte a Napoli, delle caratteristiche che probabilmente possono riguardare anche altri contesti territoriali, soprattutto del Sud Italia. Il meccanismo tipico che abbiamo individuato è quello della la fuga in un altrove idealizzato 1 “Il Dimissionario”
Viene a crearsi una profonda frattura tra due mondi che sembrano via via scindersi sempre di più: » da una parte una scuola che genera sentimenti di vergogna e inadeguatezza: “…. non sapevo fare le espressioni … e per me era una vergogna dirlo perché tutti le sapevano fare e solo io no … perché non avevo mai studiato a casa …” » dall’altra il mondo dei miti (le star hollywoodiane, i calciatori), simboli di un altrove idealizzato, vissuti dall’adolescente come potenziali vie di fuga da un contesto di vita svalutante e svalutato: “… proverò a fare la parrucchiera … perché ho la passione fin da piccola … però una volta che non riesco a fare questo … non lo so … mi trovo un altro mestiere … mi iscriverò a qualcosa per diventare attrice … queste cose qui …” “Ammiro molto un mio amico … un ragazzo che ha detto io voglio giocare a pallone e adesso sta nell’Empoli, lui adesso è giocatore” 1 “Il Dimissionario”
“… Sognando Hollywood …” “… ero proprio svogliata a scuola … non facevo niente … stavo nel bagno … questo facevo … mi hanno bocciata perché ogni giorno portavo un giornale a scuola … mi portavo tutti i giornali che esistono … come Novella TV ad esempio … perchè quando vedo uno scoop sui giornali … non lo so … sto proprio nei mie panni … chiudo gli occhi ed è come se già sto là!”… mi piacciono queste cose … sono informatissima sul mondo dei vip … Sofia Loren … è il mio mito … vorrei essere proprio come lei sia come attrice che come persona … e infatti il mio sogno è andare in California …” 1 “Il Dimissionario”
Chagall “Volo sulla città” Il volo nella fantasianarcisistica di affermazione di sé in un altro mondo rappresenta il tentativo di fuga da un mondo (la scuola, il quartiere, la città) da cui ci si sente rifiutati, tagliati fuori. Esso diventa cioè un meccanismo di difesa psicologico con il quale l’adolescente esprime l’estremo tentativo di preservare un ormai minimo sentimento di autostima di fronte ad esperienze che minacciano l’immagine di sé. 1 “Il Dimissionario”
“… un orologio che girava indietro …” … Però In quei momenti quando leggevo i giornali pensavo “gli altri stanno studiando … io leggo i giornali!”... poi quando uscivo da scuola … mi sentivo insoddisfatta … i miei amici imparavano cose nuove … io stavo sempre indietro … loro andavano avanti ed io indietro … ero come un orologio … al posto di andare avanti giravo indietro … non lo so … può essere anche che se mi stavano un po’ più dietro io ci riuscivo a farmi promuovere al secondo superiore … a metà (gli insegnanti) mi hanno abbandonata … … si sono applicati su altre persone che volevano fare … e alla fine mi sono sentita un po’ in timore … continuo la scuola o non continuo … poi a settembre me ne sono andata a lavorare… 1 “Il Dimissionario”
Dalla scuola alla “vita” Oltre all’ambiente scolastico, anche il contesto territoriale e sociale si dimostra carente e deprivante : “…. in questa città … non ci sta niente … se vai da un’altra parte ci sta tutt’ cos’… in questa città non posso stare sicuro … in questo periodo stanno più calmi … ma qua sparano proprio assai …” 1 “Il Dimissionario”
“un po’ di giorni fa … ho visto che hanno accoltellato un ragazzo … proprio con i mie occhi … io mi sono sentita male … perché ho detto “Madonna Mia! non voglio stare a Napoli”… non ci può dare niente Napoli … perché o sta la camorra … o sta questo … o sta quell’altro … non ci può dare niente …” “la scuola non mi dava niente … sono andato a lavorare … qua ci sta gente che tiene un diploma e fann’e scupatur’… hann’ surat’ ngopp’e libri … e po’ fann’e scupatur’ … e io avess’ fa a fin’e chill’? …” 1 “Il Dimissionario”
Cosa si intende per vittima? Il processo di vittimizzazione si configura come una serie di prepotenze e aggressioni, di varia natura ed entità, che vengono perpetrate a danno dell’adolescente o dai suoi coetanei (bullismo) o talvolta, in modo più o meno esplicito, da adulti (molestie). Tali episodi assumono la valenza di esperienze traumatiche ripetute che portano l’adolescente a vivere l’ambiente scolastico come una costante minaccia alla propria integrità fisica e psicologica e che, nei casi estremi, portano all’abbandono. 2 “La vittima”
Bulli, Vittime, Complici e Spettatori Il discorso sulla vittima del bullismo chiama necessariamente in causa tutti gli altri attori che prendono parte, in modo più o meno attivo, alla costruzione di un fenomeno che nasce e prospera grazie all’interazione dinamica tra i vari partecipanti. I vari attori, infatti, entrano in un circolo vizioso di ruoli e comportamenti che impedisce loro di scorgere la via per risolvere pacificamente le conflittualità che sono parte integrante della vita scolastica. 2 “La vittima”
Bullo o “guappo”? Nelle storie raccolte, gli atti di bullismo si manifestano come esercizio di ‘guapparia’ da parte di adolescenti provenienti da ambienti che propongono questo comportamento come unico possibile modello vincente. L’esibizione delle proprie gesta da parte del ‘bullo’ rappresenta una sorta di rito iniziatico, attraverso il quale segnalare l’aderenza ai codici comportamentali/relazionali sanciti dalla sottocultura deviante, e legittimare la propria appartenenza alla stessa. Il bullismo diventa così la ‘via d’ingresso’ alla futura carriera deviante. 2 “La vittima”
Complici e Osservatori I complici non sono solo quelli che concorrono direttamente alle imprese del bullo, ma anche tutti coloro che fanno da ‘spettatori’ alle sue imprese: la possibilità di avere una ‘platea’ che osserva senza intervenire a difesa della vittima, rafforza il bullo. In questo senso, l’area delle complicità si allarga agli stessi adulti, che osservano, o quantomeno sanno, ma non fanno nulla perché hanno rinunciato al loro ruolo di educatori, o per paura. 2 “La vittima”
I “complici” del bullo nella suggestiva descrizione che ne fà una delle vittime: “… si vestivano... tutti quanti uguali … colori diversi … però tutti uguali … stavano sempre insieme tra loro... c'era uno di loro che era il capo … e tutti quanti stavano a sentire a lui … se uno non mi voleva prendere in giro lui lo picchiava perché mi doveva prendere in giro … erano tutti amici però si litigavano anche tra di loro …”. 2 “La vittima”
I sostenitori della vittima I timidi tentativi di difesa da parte di alcuni compagni “sostenitori”, sembrano avere come effetto quello di minare ulteriormente la già fragile autostima della vittima: “I miei amici si … devo dire la verità … quando mi prendevano in giro loro parlavano … facev’io “non parlate perché è inutile sprecare fiato con loro”… io in quei momenti mi sentivo male perché dovevo vedere gli altri che prendevano le mie parti … non è bello …”. 2 “La vittima”
I due diversi esiti della vittimizzazione 1 L’identificazione con l’aggressore 2 L’autocolpevolizzazione 2 “La vittima”
L’identificazione con l’aggressore Dalle sopraffazioni …. “ConI compagni di classe … non andavo d’accordo … … mi prendevano in giro … perchè mi vedevano più debole. … i professori non parlavano proprio … avevano paura pure loro … io stavo con M. nel banco … non li rispondevo…quello che mi dicevano mi dicevano … non li rispondevo…perché era inutile… mi dicevano "Ricchione” … queste cose qua …“Basta! Dicit’ semp’i stess’i ccos’!”… perché loro dicevano sempre le stesse cose … sono cattivi … se pensano questo di me … ”. “L’identificazione con l’aggressore”
… alla ‘ribellione’ un atto che squarcia la passività con cui solitamente la vittima reagisce alle vessazioni, attraverso un urlo violento, una protesta clamorosa, che finisce però con l’utilizzare le stessi armi degli aguzzini, scaricandole su un compagno di classe col quale la vittima si identifica in quanto debole al pari suo: “… era come me … io dicevo “tu sei al mio stesso livello” … poi ci siamo litigati … e gli ho buttato la sedia … l’ho mandato all’ospedale … mi ha fatto rabbia il fatto che lui era come me e si voleva mettere al di sopra... ma pure quando andavo a scuola e dicevano che io l’avevo picchiato io dicevo “Nun dicit’ accussì … perché alla fine è cumm’a me … je so cchiù scem’ e iss’…”. 2 “L’identificazione con l’aggressore”
L’autocolpevolizzazione In altri casi il processo di vittimizzazione ha una connotazione sessuale: i continui “toccamenti” da parte dei compagni (descritti da alcune ragazze) fino ad un vero e proprio tentativo di molestia sessuale. La valenza traumatica di queste esperienze viene amplificata dalla fase di sviluppo puberale. Le ripetute ‘incursioni’ sul proprio corpo vanno ad interferire con l’integrazione dell’immagine del Sé corporeo dell’adolescente che si scontra così con la difficoltà di fare i conti con nuovo corpo sessuato. Edvard Munch “Pubertà” 1893. 2 “L’autocolpevolizzazione”
“… nella classe dove stavo io … che faceva molto schifo … non c’erano mai i professori … i ragazzi che mi toccavano dappertutto … io non volevo mai andare a scuola … andavo a casa con i lividi … nel banco dovevo stare così (fa il gesto di coprirsi il seno con le braccia)… poi un bidello voleva andare nel bagno con me … io andavo a casa e piangevo tutti i giorni … mia mamma mi toccava e mi diceva: “S. ma che c’è?”. “No niente … mi so fatta male”… mi vergognavo di dirlo a mamma … poi io mi scocciai per il fatto del bidello … e lo dissi a mamma … e lei disse: “Allora mò andiamo dalla preside e tu non vai più in quella scuola là”… poi andammo dalla presidee lei ha detto che non era vero …” L’estremo tentativo della ragazza di nascondere le molestie sessuali alla madre denuncia il meccanismo di auto-colpevolizzazione, piuttosto ricorrente nei casi di violenze a sfondo sessuale a danno di adolescenti. 2 “L’atuocolpevolizzazione”
La ricerca dell’ “alleato” L’aspetto comune invece a queste due differenti situazioni di vittimizzazione è la ricerca di un “alleato”, che può essere rappresentato da un/a compagno/a di classe o, in altri casi, da un insegnante particolarmente sensibile e disposto ad offrire sostegno ad un/a allievo/a di cui percepisce la fragilità . In entrambi i casi, comunque, l’abbandono della scuola finisce con l’essere legato ad un evento traumatico aggiuntivo, rappresentato dal venir meno del sostegno fino ad allora offerto dall’ “alleato”: il/la compagno/a che abbandona a sua volta la scuola, oppure, il venir meno dell’insegnante che fornisce appoggio. 2 “La vittima”
Quando l’”alleato” viene meno ….. “quella professoressa che è morta mi dava i libri … mi faceva studiare … mi aiutava tantissimo … quando è morta tutti sono andati alle esequie ed io no … perché io in quei giorni avevo la febbre non era andata a scuola a me, non mi hanno chiamato … dissero che non avevano il numero … quando poi sono andata a scuola e me l’anno detto …me la sono presa con loro … piangevo tantissimo … tutta la giornata nella scuola a piangere … poi sono tornata a casa e piangevo ancora … dopo un mese che era morta abbiamo fatto la messa … in chiesa mi sentivo solo io … poi venne un’altra professoressa … però mi mancava quell’altra, m’ero affezionata … così me sfasteraje proprio ricett’io “nun voglio fa nient’ cchiù”…” Nel racconto emerge tutta la disperazione della ragazza per essere rimasta sola, priva di uno scudo protettivo esterno, di fronte ad un ambiente scolastico vissuto come persecutorio. Non rimane altra strada che andare via …. 2 “La vittima”
Il deviante Se quella del drop-out deviante è una maschera ormai quasi abusata, possiamo però dire che la ricchezza delle storie raccolte, ci ha permesso di individuare le diverse sfumature e valenze che la devianza può assumere all’interno di percorsi di vita nei quali l’abbandono scolastico costituisce solo l’epifenomeno di un più ampio e profondo disagio dell’adolescente.
In alcuni casi la devianza è l’esito di un’adesione ad un codice di comportamento che esercita un forte potere di attrazione, soprattutto per il miraggio del guadagno facile e veloce, in un clima di diffusa anomia e assenza di modelli educativi. Tuttavia non si riscontra un’identificazione profonda della personalità dell’adolescente con il modello deviante. In altri casi, invece, la devianza diventa un vero e proprio strumento di auto-affermazione, che vede nella sfida all’autorità costituita, la proposizione di un modello “vincente”, alternativo a quello proposto dalla scuola, ritenuto invece “perdente”. 3 Il deviante
Nel primo caso, abbiamo rintracciato nelle diverse testimonianze, alcuni aspetti tipici: • il comportamento deviante suscita nel giovane sentimenti di vergogna, rimorso e sensi di colpa: “quando andavo a casa dopo le rapine o i furti un po’ mi dispiaceva … sicuramente … quando mettevo la testa an coppa o’ cuscino ci pensavo, mi dispiaceva … poi piano piano ti abitui …” • la punizione (carcere) determina un ripensamento: “quest’ultima esperienza mi ha fatto capire … ho sofferto la lontananza dalla famiglia … adesso sto facendo teatro … mi sono allontanato dai vecchi amici …” 3 Il deviante
Il bisogno di farsi perdonare per potersi perdonare L’intervista viene utilizzata dal ragazzo per confessare alla fidanzata l’indicibile e per ottenere quindi un perdono simbolico: “ho approfittato di questo (l’intervista) per … perché non gliel’ho mai detto a lei … voleva sapere cosa avevo fatto … lo volevo sapere per forza, è un mese che me lo chiede … però era brutto dirglielo …” La libertà lasciata all’intervistato, che ha scelto di far assistere la fidanzata all’intervista, se in un primo momento ha visibilmente inibito la narrazione del ragazzo, ha permesso però l’emergere di un elemento nuovo e imprevedibile, che ha arricchito di significato l’esperienza di auto-narrazione dell’adolescente sostenendo il suo tentativo di ricostruzione di un’identità alternativa a quella deviante. 3 Il deviante
In altri casi, la devianza, diventa uno strumento di affermazione di Sé, che serve a compensare il senso d’inutilità percepito in primo luogo nell’ambito scolastico: “… a scuola mi sentivo una persona inutile perché loro (i professori) ci dicevano che eravamo persone inutili … … il primo giorno di scuola, una professoressa disse:“chi vuole restare in classe resta, chi non vuole può anche aprire la porta e se ne vada adesso … dei ragazzi si sono alzati e se ne sono andati,… io però sono rimasto e pensavo che lei ci faceva lezione … invece lei ha detto “adesso potete anche giocare tanto io lo stipendio lo prendo uguale”… io non ero tra quelli che se ne sono andati però mi sono sentito trattare come uno di loro … perché quando loro sono usciti noi non abbiamo fatto niente … mi sentivo come una delusione …”
“La mia prima soddisfazione …..” “mi hanno arrestato … quando sono uscito sono tornato dai miei professori … qualcuno mi ha riconosciuto, qualcuno non c’era più, qualcuno addirittura faceva finta di non ricordare io chi ero … è entrata la professoressa di matematica e … mi disse … “ti ho visto sul giornale … di quello che hai fatto”,era la mia prima soddisfazione … al professore di tecnica che mi disse “perché hai fatto questa cosa?”… io dissi “io sono venuto qua per un motivo … tu sei anni fa mi hai detto che ero un ragazzo ritardato, io sono riuscito a prendere in giro lo Stato”, e alzandomi gli dissi “tu non sei una persona meglio di me”… quello che gli volevo far capire è che un ragazzo ritardato quello che ho fatto io credo non ci riusciva …” 3 Il deviante
Conclusioni Ciascuna delle storie raccolte ha una sua specificità ma è possibile, tuttavia, rinvenire un filo conduttore che le attraversa: qualunque sia la problematica specifica che porta l’allievo ad assumere una determinata “maschera” in ambito scolastico, e al di là delle caratteristiche distintive di ciascuna maschera, in ogni caso gli adulti, nella loro qualità di educatori, contribuiscono a rafforzare, con i loro comportamenti agiti o omessi, queste maschere della dispersione. La scuola si trasforma così in un luogo minaccioso anche perché gli adulti hanno abdicato alla loro funzione educativa. La soluzione finale dell’abbandono, spesso spacciata dai drop-out come scelta di libertà, nasconde in realtà la taciuta sensazione di essere stati abbandonati.
E così questi adolescenti, quando sono chiamati a descriversi tendono istintivamente a denigrarsi. “… sono sempre andato malissimo in matematica; ….non riesco a concentrarmi; … non so scrivere; …. era troppo difficile per me; ….mi mancano le idee; … o le parole; … o le basi …” Per farla breve, non si piacciono
Abbandonanti o abbandonati? Eppure, questo ritratto che gli adolescenti fanno di se stessi non è fedele. La sensazione che si ricava ascoltandoli è quella di persone sospese tra due mondi: non sono più studenti ma non sono ancora “altro”. Non sono più dei bambini ma “si rompono” nell’attesa di diventare grandi: la scuola li “stressa”….vorrebbero essere liberi e si sentono abbandonati (D. Pennac).