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A partire dal delitto Matteotti (1924) il Fascismo avvertì la necessità di assicurarsi, oltre al potere coercitivo, un consenso molto vasto fra le masse, condizionando la stampa e l’opinione pubblica. Una delle vie attraverso le quali tentò di raggiungere lo scopo fu il totale controllo dell’educazione e dell’insegnamento scolastico. La stampa fu sottoposta ad un controllo sempre maggiore fino a subire la completa fascistizzazione a partire dagli anni ‘30. In questo processo acquisì un’importanza sempre più decisiva l’Ufficio Stampa del Presidente del Consiglio (poi Capo del governo), che controllava le notizie da pubblicare. Il Duce in persona verificava i comunicati dello Stato e dava le disposizioni alla stampa, le quali si estendevano fino a comprendere direttive sulle fotografie, sullo stile, sui caratteri e sull’impaginazione.
L’Italia era un paese in cui i giornali erano poco diffusi. Il regime allora si occupò anche della propaganda, del cinema, del teatro, del turismo e del tempo libero. Nel 1937 venne istituito il Ministero per la cultura popolare che aveva il compito di coordinare ed organizzare tutte le attività rivolte a creare il consenso. In questo modo lo Stato totalitario arrivava ad occuparsi di tutti gli aspetti della vita del popolo: non solo dettava le notizie, manipolava l’informazione e gestiva il sapere ma regolava il tempo libero, organizzava i momenti di incontro, inquadrava il vivere quotidiano. Il tutto all’ombra della costante ed ingombrante celebrazione del Duce e del “culto littorio”. La politica raggiunse una elevata spettacolarizzazione, creando un efficace sistema di miti, suggestioni e liturgie.
L’idea di Mussolini era di impadronirsi del cittadino a sei anni e restituirlo alla famiglia a sedici. In questa frase è racchiuso il senso della politica educativa del fascismo. Attraverso le associazioni giovanili e la scuola lo Stato totalitario, esercitando un severo controllo, faceva una colossale opera di inquadramento e convincimento delle masse. Nati in epoca fascista o poco prima i bambini dovevano diventare fascisti perfetti. Non a caso un motto mussoliniano diceva libro e moschetto, fascista perfetto. Lo scopo principale era di radicare nei cittadini la fede nel Duce, il servizio dello Stato, i valori di unità nazionale.
Fu proprio attraverso l’inquadramento paramilitare e l’istruzione di base (elementare e media) che il regime tentò di rendere efficace la sua pedagogia di massa.
Nei libri per bambini il Duce diventava un guerriero a cavallo (ricordando così i soldatini di piombo), un cavaliere fiabesco che acquisiva poteri miracolosi (moltiplicava i pani e i pesci e trasformava gli italiani). Gli elementi su cui si insisteva erano la molteplicità del Duce, l’aspetto paterno, l’idea di forza e coraggio, il patriottismo. Per quei ragazzini la figura del Duce finiva per perdere ogni valore puramente politico e veniva ad assomigliare sempre più ad un personaggio mitico, fiabesco, quasi non reale. Il grande padre,il Capo del popolo, che si preoccupava di tutto: era rassicurante, forte, fiero e al Bambino non restava che fidarsi ed obbedire.
Per arrivare a tale immagine il Duce si servì di esperti collaboratori, di pedagogisti e di conoscitori della psicologia infantile e di massa per agire sugli aspetti manipolabili dell’immaginario dei bambini. Il loro mondo veniva studiato ed adattato alla figura del Duce.
Gli obiettivi della pedagogia fascista: formare un cittadino-soldato, pronto a brandire la vanga e il moschetto. Sono qui presenti due temi essenziali per la propaganda: la ruralità (la vanga) e il militarismo (il moschetto). “… è l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende.” Educazione fascista (1939),
I maestri hanno un compito importante, tanto da essere definiti dal Duce (egli stesso maestro) come apostoli, sacerdoti e uomini che hanno delle responsabilità tremende ed ineffabili: di lavorare sul cervello, sulla coscienza, sugli animi.
La scuola era dunque concepita come una fabbrica dove produrre consenso e insegnare il culto del Duce già dai primi anni. Addirittura nello spiegare la matematica gli esempi erano tratti dal mondo fascista. L’alunno era al centro di un totale coinvolgimento, di una opprimente presenza dello Stato che prendeva la forma dei suoi sogni, dei suoi giochi, della sua esperienza.
Quindi se tutti gli italiani vanno in guerra sono invincibili.
La storia, invece, insegna altro! Le cifre della seconda guerra mondiale: 55.527.000 morti, dei quali 25.162.000 militari e 30.365.000 civili (di cui anche donne e bambini)
D O M A N D E ? ? ?