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L’icona della Trasfigurazione di nostro Signore Gesù Cristo. Ti sei trasfigurato sul monte e i tuoi discepoli hanno contemplato, come hanno potuto, la tua gloria, o Cristo Dio, affinché quando ti avrebbero visto crocifisso potessero credere volontaria la tua passione
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L’icona della Trasfigurazione di nostro Signore Gesù Cristo Ti sei trasfigurato sul monte e i tuoi discepoli hanno contemplato, come hanno potuto, la tua gloria, o Cristo Dio, affinché quando ti avrebbero visto crocifisso potessero credere volontaria la tua passione e poi predicare al mondo che tu sei veramente lo splendore del Padre.
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,28-36) Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all’entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
La festa Secondo un’antica tradizione, la Trasfigurazione di Gesù avrebbe avuto luogo 40 giorni prima della sua crocifissione. La solennità, pertanto, sarebbe stata fissata al 6 agosto, cioè 40 giorni prima della Esaltazione della Croce, che cadeva il 14 settembre. L’innografia del vespro della festa inizia proprio alludendo alla Croce: Prima della tua Croce, Signore, il monte imitò il cielo, la nube si dispiegò come una tenda. Mentre tu ti trasfiguravi e il Padre ti rendeva testimonianza, fu presente Pietro con Giacomo e Giovanni, perché sarebbero stati con te anche nel tempo in cui saresti stato consegnato (ai tuoi nemici), affinché, avendo visto le tue meraviglie, non fossero preda della viltà davanti alla tua passione” (Inno del Vespro, Liturgia Bizantina). La celebrazione della festa iniziò alla fine del V sec.
A differenza dell’Occidente, l’Oriente non interpreta l’evento della Trasfigurazione solamente in funzione della Pasqua ma lo celebra come un mistero che ha un senso in se stesso. Scrive AnastasioSinaita: “Sul Tabor furono preannunciati i misteri della Crocifissione, rivelata la bellezza del Regno e manifestata la seconda discesa e venuta in gloria di Cristo… È stata prefigurata l’immagine di quello che saremo e la nostra configurazione al Cristo. La festa odierna rivela un altro Sinai molto più prezioso del primo”.
Nella festa della Trasfigurazione la Chiesa non celebra solo la trasfigurazione di Cristo, ma anche la propria Trasfigurazione. L’icona è specchio dell’itinerario spirituale di ogni discepolo che, attraverso la contemplazione del Cristo, splendore della Gloria del Padre, viene trasformato in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello spirito in lui (cfr. 2Cor 3,18). L’uomo diventa ciò che contempla. Contemplando, noi veniamo trasfigurati nell’immagine che contempliamo.
L’icona si sviluppa su due piani, uno superiore e l’altro inferiore. Nel piano superiore sono raffigurati Gesù al centro, e Mosè ed Elia, rispettivamente a destra e a sinistra di Gesù.
Nel piano inferiore, travolti dalla luce che emana dal Cristo trasfigurato si vedono i tre testimoni dell’evento. Cominciando da destra Pietro, Giovanni al centro e Giacomo a sinistra. Tutta la scena si svolge come narra il racconto, sul monte Tabor.
il monte Sebbene il Tabor sia un monte dalla cima tondeggiante, nella scena della Trasfigurazione viene solitamente raffigurato in forma di tre picchi rocciosi e quindi assimilato al Sinai. Il monte è il luogo sacro per eccellenza perché sulla sua vetta si realizza l’incontro della divinità che discende e dell’uomo che sale. È il luogo dell’incontro fra Dio e la sua creatura, dove il cielo tocca la terra. Secondo i Padri della Chiesa quindi il monte è il luogo della rivelazione di Dio: il Signore “si manifesta sempre sui monti e sui colli perché tu comprenda che in nessun altro luogo lo devi cercare se non nei monti della Legge e dei Profeti” (Origene).
La montagna scoscesa e difficile da scalare è quella della conoscenza ineffabile di Dio. Per questo alcune icone riportano, nella parte mediana, delle aperture nella roccia, come delle grotte in cui sono raffigurati Gesù (l’unico con l’aureola) e i discepoli che ascendono (a sinistra) e discendono (a destra) dal monte. Ascendere il monte della trasfigurazione sotto la guida di Cristo comporta una ascesi spirituale che conduce alla conoscenza del volto di Dio.
il Cristo Al centro dell’icona, sfolgorante di luce, compare il Cristo. Gli iconografi hanno saputo rendere questo concetto con grande maestria: qualunque parte dell’icona si osservi, dai volti dei personaggi, alle vesti, alle rocce del paesaggio, tutto è illuminato dalla luce che viene dal Cristo. Le sue vesti sono quelle bianche della resurrezione: l’esplosione della divinità e della vita.
La luce non investe Gesù dal di fuori, ma proviene dal suo interno. Il suo volto non è semplicemente “illuminato”, ma “brilla”. Lo stesso le sue vesti: esse diventano splendenti. È messa in evidenza la differenza essenziale rispetto ad analoghe teofanie dell’Antico Testamento. Gesù brilla di luce propria, non riflessa; sul suo volto non rifulge solo la gloria di Dio, come sul volto di Mosè (cfr. 2 Cor 3,13), ma rifulge, come propria, la gloria stessa di Dio, perché egli è “irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (cfr. Eb 1,3).
Dello stesso colore delle vesti, quasi confondendosi con esse, vediamo nell’icona di Teofane il Greco due cunei che si intersecano all’altezza del corpo di Cristo: sono le due estremità di frecce puntate in direzioni diametralmente opposte, due triangoli rovesciati e intrecciati che formano una stella a sei punte. Sono bianche e oro al grado massimo di lucentezza per esprimere l’essenza divina invisibile ed inaccessibile di quel Dio che “nessuno ha mai visto”, e che i cieli – i due cerchi concentrici – nella loro immensità non riescono a contenere. Quella luce è il Signore che si manifesta nei tre raggi – la Trinità – rivolti verso l’alto, e nei tre raggi che volgono verso il creato. Il raggio centrale è interamente occupato dalla figura di Cristo, punto di intersezione tra la natura divina e quella umana.
Dalla luce della divinità partono tre raggi che giungono fino agli apostoli. Qui l’iconografo ha differenziato la luce di questi raggi, con un tono più spento rispetto a quella più splendente che contorna il Cristo: essa è solo un’ombra della luce inaccessibile in cui abita il Signore.
Lo splendore della gloria di Gesù è ulteriormente reso nell’icona con dei fasci di luce concentrici che partono dal Cristo. Si parte da un colore blu notte fino al celeste. A mano a mano che ci si avvicina a Gesù la luce diventa più “oscura” fino a diventare “tenebra”. Per meglio capire questo concetto prendiamo in prestito le parole di Gregorio di Nissa riferite all’itinerario spirituale di Mosè:
“La manifestazione di Dio viene data prima a Mosè nella luce; poi egli ha parlato con lui nella nuvola; infine, divenuto più perfetto, Mosè contempla Iddio nella tenebra. Ma cosa significa l’entrata di Mosè nella tenebra e la visione che in essa ebbe di Dio? La conoscenza religiosa è dapprima luce per quelli che la ricevono. Ma più lo spirito nel suo progredire perviene, attraverso un impegno sempre più grande e perfetto, a comprendere quella che è la conoscenza della realtà e s’avvicina alla contemplazione, più s’accorge che la natura divina è invisibile. In questo consiste la vera conoscenza e la vera visione di colui che cerca, nel fatto di non vedere, perché colui che cerca trascende ogni conoscenza, separato da ogni parte dalla incomprensibilità come da una tenebra. Perciò Giovanni l’evangelista, che è penetrato in questa tenebra luminosa, dice che nessuno ha mai visto Dio, definendo con tale negazione che la conoscenza dell’essenza divina è inaccessibile non solamente agli uomini, ma anche ad ogni natura intellettiva”.
La tenebra è il termine per indicare la contemplazione, visione limite, ed è perciò luminosa. La tenebra simboleggia così l’oscurità della fede e l’esperienza della prossimità di Dio. Più Dio è presente e più è tenebroso.
Diversi richiami biblici collegano il Cristo all’immagine di una stella: “Una stella spunta da Giacobbe” (Nm 24,17) “Abbiamo visto la sua stella e siamo venuti ad adorarlo” (Mt 2,2) “Io sono la stella radiosa del mattino” (Ap 22,16) La presenza delle stelle in uno dei cerchi luminosi che circondano il Cristo lo indicano come luce e vita nella resurrezione (infatti le vesti sono bianche, come per il Risorto).
Mosé ed Elia Fin dall’inizio Mosè ed Elia sono stati visti qui come rappresentanti, il primo della legge e, il secondo, dei profeti. Ma forse essi sono qui anche per richiamare, insieme, un avvenimento, il Sinai, sul quale entrambi ebbero una rivelazione di Dio.
Finalmente Mosé si trova davvero davanti al “roveto ardente” (Es 3); finalmente sente parlare “colui che è”; è soddisfatto il suo desiderio di “vedere la gloria di Dio”(Es 33-34). Non contempla più Dio solo “di spalle”, nascosto nell’anfratto della roccia; la “mano” che protegge gli occhi di Mosè è ora la carne di Cristo con cui Dio si è velato.
Finalmente Elia, il profeta irruente di Dio, può vedere il volto della “voce di sottile silenzio” (1Re 19) che dall’insenatura della roccia ha udito sul Sinai; può riconoscere nel Figlio il volto della mite misericordia di Dio che si rivela nell’impotenza della croce.
“Colui che aveva parlato un tempo con Mosé sul Sinai, trasfiguratosi oggi sul monte Tabor alla presenza dei discepoli, ha mostrato come in lui la natura umana racquistasse la bellezza archetipa dell’immagine. Prendendo a testimoni di una tale grazia Mosé ed Elia, li rendeva partecipi della sua gioia, mentre essi preannunciavano il suo esodo mediante la croce”. (Liturgia Bizantina, Vespro)
Mosè La figura di Mosè è, solitamente, quella di destra con la barba corta – qualche volta anche sbarbata – e il volto giovanile. Sta scritto infatti: “il tempo non aveva alterato la sua bellezza, né offuscato lo splendore dei suoi occhi, né appannata la maestà del suo volto” (Dt 34,7). Reclinato leggermente nella sua persona, in atto di deferenza, sembra porgere al Cristo il volume o le tavole della Legge e guarda intensamente ciò che “molti profeti e giusti hanno desiderato di vedere”.
L’icona di Teofane il Greco presenta una peculiarità: i due cerchi che contornano il Cristo sono asimmetrici: il più piccolo è decentrato rispetto al più grande, ed il suo centro è nella mano di Cristo che tiene il rotolo. Mentre sul perimetro del cerchio esterno si trova il libro della Legge tenuto da Mosè. Il rotolo che tiene in mano il Cristo è la ricevuta del peccato, che egli è venuto a riscattare e sostituire con la grazia. Lo porta sul lato sinistro in corrispondenza del volume della Legge. Sta scritto infatti: Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti, non sono venuto per abolire ma per dare compimento” (Mt 5,17) e “La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17).
Elia Raffigurato a sinistra di Cristo, ha i capelli e la barba lunghi e con la destra indica il Salvatore, l’oggetto di tutte le profezie, sue e di tutti i profeti in lui rappresentati.
Gli apostoli Tutta la metà inferiore dell’icona è dedicata ai tre Apostoli caduti al suolo, incapaci di sostenere il bagliore della divinità. Del racconto evangelico si coglie il momento in cui Pietro, con la mano alzata, si rivolge al Signore.
Pietro, a destra, inginocchiato, alza la mano per proteggersi dalla luce
Giovanni, in mezzo, cade voltando le spalle alla luce
Giacomo, a sinistra, fugge e cade all’indietro
“Prima della tua croce preziosa, prima della tua passione, prendendo con te quelli che avevi scelto tra i tuoi sacri discepoli, sei salito sul monte Tabor, volendo mostrare loro la tua gloria: ed essi vedendoti trasfigurato e più splendente del sole, caduti con la faccia a terra, restarono attoniti di fronte alla tua sovranità e acclamavano: Tu sei o Cristo la lue senza tempo e l’irradiazione del Padre”. (Liturgia Bizantina, Vespro)
Il contrasto voluto è assai sorprendente. Esso contrappone il Cristo come immobile nella pace che emana da lui, che avvolge le figure di Mosè ed Elia e forma il cerchio perfetto della vita trasfigurata, e, in basso, il dinamismo movimentato degli apostoli ancora del tutto umani davanti alla Rivelazione che li sconvolge e li atterra.
Teofane il Greco 1403
Trasfigurato su di un alto monte, o Salvatore, mentre erano con te i discepoli, gloriosamente hai rifulso, indicando che quanti risplendono per l’elevatezza delle virtù, anche della divina gloria saranno fatti degni. E Mosè ed Elia, intrattenendosi col Cristo, mostravano che egli è il Signore dei vivi e dei morti e il Dio che un tempo aveva parlato mediante la Legge e i profeti; a lui anche la voce del Padre dalla nube luminosa rendeva testimonianza dicendo: Ascoltatelo: con la croce egli spoglia l’ade e ai morti dona la vita eterna.