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Istituto di Psichiatria “ P. Ottonello ” Scuola di Specializzazione in Psichiatria A.A. 2012-2013. Dr. Leonardo Zaninotto Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura Dipartimento di Salute Mentale ULSS n. 4 Via delle Garziere , n. 42 36014, Santorso ( VI )
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Istituto di Psichiatria “P. Ottonello”Scuola di Specializzazione in Psichiatria A.A. 2012-2013 Dr. Leonardo Zaninotto Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura Dipartimento di Salute Mentale ULSS n. 4 Via delle Garziere, n. 42 36014, Santorso (VI) Tel. 0445-571182; Fax. 0445-571158 leonardo.zaninotto@ulss4.veneto.it Introduzione alla Storia della Psichiatria
“La follia ci è tanto vicina da apparire il risvolto della ragione così come la morte ci è così vicina da apparire il risvolto della vita; né l’una né l’altra vicinanza ci sono gradite per il loro profondo potere perturbante – riti e istituzioni fanno di tutto per allontanarl e farle apparire cose-che-riguardano-gli-altri.” (L. Del Pistoia)
Sciamano della grotta di TroisFrères (Francia) “Primitive Medicine maybeconsideredmainly primitive Psychiatry. Mental and physicalsufferingwerenotseparated, and neitherwere medicine, magic, and religion.” (Alexander & Selesnick) La Psichiatria Magico-Animistica
L’interpretazione magico-animistica è la prima concezione psicopatologica in merito alla etiopatogenesi delle malattie mentali. La malattia non è né fisica, né psichica, ma uno stato globale, avvertito quale espressione di forze estranee dotate di intenzionalità, provenienti dal mondo dell’invisibile. Nasce una classe di guaritori-sacerdoti (spesso lo stesso capo-Re) che hanno il ruolo di intermediari con il mondo dell’invisibile, allo scopo di guarire, difendere e liberare i sudditi dalle forze avverse. (Frazer) Le concezione animista
Il disturbo diviene segno – un nodo di comunicazione tra universo visibile ed invisibile. I dispositivi di cura (riti) spostano l’interesse: 1) verso l’invisibile; 2) dall’individuale al collettivo; 3) da ciò che è fatale a ciò che è riparabile. Essi hanno lo scopo di separare il sintomo dalla persona. (Nathan) Le concezione animista
Per il pensiero magico-animistico esiste uno stretto rapporto “simpatico”, vitale, fra oggetti diversi e fenomeni omologhi. Associazioni emotive e simboliche sorgono dall’idea che la sofferenza provenga da una forza malvagia, che può essere allontanata con oggetti simili o omologhi alla manifestazioni del quadro morboso. P.e. Toccando la parte malata con un oggetto che poi viene gettato, il male viene allontanato. (Galeno, Plutarco) Gli oggetti sono impregnati di una forza vitale (anima) e le leggi regolanti i rapporti fra di essi si basano su un legame simpatico.
Statua di Esculapio “In Grecia nel VI secolo a.C. il mito viene soppiantato dall'ideologia dei filosofi della natura: Eraclito, Anassagora, Talete, Democrito fondano un materialismo scientifico che sarà la base della nascita della medicina, delle scienze e della psichiatria stessa.” (G. Roccatagliata) Il Pensiero Psichiatrico Greco e Romano
I popoli della Grecia presero dagli antichi concezioni di medicina magica: dei ed eroi erano ritenuti in grado di curare malattie ed infermità (Ercole era un buon intenditore di cose mediche, calmò pestilenze e curò se stesso da un attacco di mania con l’elleboro). La stessa arte medica nacque dall’insegnamento che semi-dei fornirono a uomini particolarmente dotati (il centauro Chirone ammaestrò Asclepio e Aristeo - lo stesso Asclepio era figlio di Apollo). Il pensiero Greco: dal Mito…
Si riteneva che presso i popoli primitivi, essendo minori le tensioni dell’animo e i contrasti sociali, i disturbi mentali e le stesse malattie somatiche fossero meno frequenti. (Ippocrate, Esiodo, Celso, Lucrezio) La civiltà avrebbe contribuito alla degenerazione psichica dell’uomo. Mito del Buon Selvaggio e della Età dell’Oro. Benjamin West: The Death ofGeneralWolfe
Nei miti sull’origine compare spesso una ribellione ad una forza sovrumana, concretizzata in una divinità alle cui leggi l’uomo si è ribellato. (Esiodo) La “follia” è un male che nasce da una condanna dell’uomo ribelle da parte di un dio irato. Visione moralistica della follia. Prometeo incatenato
Anche in Grecia, in epoca arcaica, il patrimonio delle credenze popolari supporta un’interpretazione superstiziosa della malattia mentale: essa nasce dall’ira degli dei. La malattia mentale, come avviene per Edipo, Oreste e Bellerofonte, esprime la punizione divina, un castigo architettato dagli dei (“quem deus vult perdere priusdementat”). Secondo questa dottrina la divinità determina la vittoria di un “thumos” irrazionale che subissa il “nous”, di modo che il comportamento alterato conduce alla rovina.
Bellerofonte, per aver osato salire al cielo, è punito per la sua temerarietà: “Egli, in odio a tutti gli dei, errava solo, triste, consumandosi il cuore, per la pianura Alea, fuggendo la vista degli uomini” (Iliade VI, 200-203). Il male nasce dalla “hybris”, cui consegue la “themis” divina. Omero però già nota che l’interpretazione proiettiva del senso di colpa non corrisponde alla verità: “soltanto dalle stoltezze dell’uomo nascono gli affanni” (Odissea I,32).
Asclepio, dopo aver partecipato alla spedizione degli Argonauti, fondò la corporazione medica degli Asclepiadi, attiva sino al V secolo d.C. La terapia nei templi di Asclepio era basata su diversi metodi: letture di poesie, ginnastica, bagni, spettacoli teatrali, somministrazione di oppio ed elleboro, interpretazione dei sogni (che forniva sia uno spiraglio diagnostico sia l’indirizzo terapeutico). I disturbi mentali erano concettualizzati come passioni esagerate, che alteravano secondariamente l’equilibrio omeostatico del corpo umano.
Orfeo utilizza le erbe terapeutiche e la musica. L’anima “sporca” dal male può essere purificata tramite speciali tecniche usate nei templi della salute. Asclepio è il primo ad usare la terapia morale. (usata poi da Asclepiade, Celso, Sorano di Efeso, Celio Aureliano). F. Von Stuck Orpheus
Nel VII secolo a.C., sulla spinta della filosofia, si passa dalla medicina animistica a quella naturalistica. Medicina e Filosofia si intrecciano nella interpretazione della Natura e dell’Uomo. Ora non è più una forza esterna ma un elemento della natura (aria, acqua, terra, fuoco) a spiegare la multiformità dei fenomeni morbosi. L’anima non è più una entità spirituale, ma una entità fisiologica, con la propria sede anatomica. …alla Natura
I filosofi naturalisti di Mileto (VII-VI secolo a.C.) erano dediti alla ricerca di un principio originario e unitario (archè), a cui ricondurre la molteplicità del mondo. Talete poneva all'origine di tutto l'acqua; Anassimandro postulava un indefinito-infinito (l'apeiron) come spiegazione del finito; Anassimene identificava il princìpio primo nell'aria (pnéuma). Tale elemento originario, per tutti loro, era la fonte di ogni altro aspetto del cosmo stesso, da cui l’espressione naturalismo cosmologico. La Natura è al centro della riflessione filosofica. Il contesto filosofico
Come i primi filosofi greci naturalisti (“fisiologhoi”) tentano di ridurre gli infiniti fenomeni naturali a pochi elementi (terra, acqua, fuoco, aria), cercando le basi stabili e le leggi che regolano il corso della natura e dell’uomo, allo stesso modo il medico, dinnanzi alla varietà della psicopatologia, cerca in esse un fondo comune, delle leggi cliniche. Etiologia, semeiotica, decorso, esito e terapia nascono in questa fase storica. I termini che ancora oggi vengono usati per definire un determinato stato psico-morboso vengono creati in questo periodo: isteria, ipocondria, mania, malinconia …
Proviene da una famiglia aristocratica con interessi medici, i cui membri erano già appartenuti alla corporazione degli Asclepiadi. Il padre, egli stesso medico, affermava di essere un discendente diretto di Asclepio. Lavora a Kos, viaggia molto, visita tutta la Grecia ed arriva persino in Egitto e in Libia. Acquisisce grande fama, contribuendo a debellare la grande peste di Atene del 429 a.C.. Scrive diverse opere, una settantina, che sono raccolte nel "Corpus Hippocraticum". Ippocrate di Coo (Kos)(Coo, 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C.)
E’ consapevole che la Medicina non è una scienza esatta, per cui il medico deve accontentarsi di “una certa misura di verità […] giacché egli non ha altro che percezioni che vengono da un corpo malato”. Ippocrate nell’opera De veteri medicina: “In Medicina a nulla serve lo specioso teorizzare, ma sono utili esperienza e ragionamento presi insieme; […] conclusioni tratte da astrazioni non sono utili, mentre quelle che emergono dall’osservazione dei fatti sono adeguate”.
Fondamentale è l’osservazione delle psicosi organiche (“freniti”), dove i sintomi sono allucinazioni visive, tremore, ansia, tristezza, agitazione, sogni vivaci, insonnia o sopore e coma, delirio, convulsioni (Delirium – DSM-IV). I casi clinici del De morbispopularibussono nella maggior parte dei frenitici, dove l’origine della condizione psicopatologica risiede in una“febbre ardente acuta” (per polmoniti, tifo, pleuriti, tubercolosi, malaria) che “riscalda” il sangue e gli umori. Un modello: la frenite
La frenite dimostra – scrive Ippocrate nel De morbo sacro – che la euforia e la tristezza, il giudizio e il ragionamento originano dal cervello; […] è per una sua alterazione se l’uomo diventa folle. Oltre che dalla clamorosa sintomatologia psicotica il medico viene colpito dalla rilevanza dei disturbi somato-vegetativi, con alterazione del sistema dei fluidi corporei: insonnia, diarrea e stitichezza, vomito e secreti bronchiali. E’ da questo che nasce la prima teoria interpretativa delle psicosi (teoria umorale).
I quattro umori (sangue, bile nera, bile gialla e flegma - o pituita) hanno specifiche caratteristiche fisiche. Qualora un umore giunga in eccesso al sistema nervoso centrale, per sua natura freddo-umido, modifica tale stato in quello a lui proprio. La teoria degli umori
Empedocle ritiene ogni cosa, compresi gli organismi viventi, sia frutto della relazione dinamica fra i 4 elementi (terra, aria, acqua e fuoco). La salute corrisponde all’omeostasi (equilibrio) degli elementi: se uno vince si ha la malattia; se esiste un rapporto bilanciato si ha la sanità. Il concetto di equilibrio attraversa varie scuole di pensiero: elementi, atomi, tono vitale, umori, passioni, sono intuiti quali forze (biologiche), il cui disequilibrio costituisce la malattia. Il concetto di equilibrio
L’equilibrio si mantiene tramite l’oscillazione fisiologica dei contrari: il freddo diventa caldo e il caldo freddo, l’umido secco e il secco umido; il caldo stimola, il freddo controlla un suo eccesso, e viceversa. La vita normale è la “simmetria” di meccanismi potenzialmente divergenti. Lo stato ipomaniacale è dovuto ad un cervello più caldo, la depressione ad un cervello più freddo, la grave mania ad un cervello molto caldo per azione della bile gialla, la frenite ad un cervello caldissimo e secco perché “asciugato” dalla febbre, l’ebefrenia ad un cervello più freddo e più umido.
Se la pituita o flegma, ossia il liquido cerebro-spinale secreto dalla ghiandola stessa, eccede nel cervello, lo imbibisce e si avrà un tessuto eccessivamente umido; da ciò una vita mentale impacciata e ottusa e la malattia che Ippocrate chiama “desipientia stupida” (schizofrenia ebefrenica? ritardo mentale?). In alcuni giovani vi è un comportamento inconcludente, fatuo, inadatto alla vita: “essi piangono senza motivo, parlano a vanvera di cose che non conoscono, a volte appaiono tristi e preoccupati per situazioni che non riguardano loro e dimostrano una sconnessione fra quello che dicono e quello che realmente fanno” (De diaeta, I, 31-38). La schizofrenia (?)
La mania è un quadro clinico con sintomi opposti a quelli malinconici: euforia, logorrea, idee di grandezza e aggressività. E’dovuta all’azione della bile gialla, surriscaldata, che causa una mutazione del cervello, che diventa caldo e secco, e da ciò nasce la sintomatologia. Il maniaco è “malefico, parla di continuo ad alta voce, non tollera contraddizioni, è tumultuoso e mai quieto” (De morbo sacro, 16). Nel caso si associ per comorbilità una febbricola, il cervello diventa “aridus” e compare un quadro clinico “simile alla frenite”, detto “mania frenitica” (CoacaePraenotiones, I, 99). I disturbi dell’umore
La scoperta della depressione è sostenuta dall’avere rilevato disturbi dell’umore “sine causa”, ossia quando compare “abbattimento dell’anima, taciturnità e ricerca della solitudine senza motivo”; inoltre, se “ciò dura per un periodo di tempo non breve, indica malinconia” (Aforismi, VI, 23). “E’ presente una interiore consapevolezza dolorosa in sé e per sé, afflizione, accettazione e nel contempo rifiuto della sofferenza per rabbia, disperazione a causa dei timori mentali, tristezza di cui non si conosce la causa” (De morbispopularibus, VI, 8, 18-21).
La malinconia è caratterizzata da “timore, paura, delirio di indemoniamento e di colpa e tendenza al suicidio, […] sintomi causati da un sangue intossicato dalla atra bilis(bile nera)”. Una “cerebri transmutatio” sostiene il viraggio dalla malinconia alla mania per il passaggio da un sistema nervoso “freddo” ad uno “caldo”: si nota infatti come i pazienti “siano prima tristi e si allontanino dalla vita e talvolta poi, al contrario, euforici e di umore allegro” (De morbo sacro, 16; De morbispopularibus, V, 31).
Ippocrate affronta il problema dei disturbi mentali delle donne vergini, sterili, nubili e vedove; essi nascono perché la “mater puerorum”, come Ippocrate chiama l’utero, si gonfia di umori tossici e “vagola nel corpo”. Dove colpisce, origina un sintomo. Ritiene che nella donna che non abbia rapporti sessuali nel “legittimo matrimonio” l’utero si gonfi per ritenzione umorale e, come un pallone, vagoli nel corpo e che da ciò origini la “strangulatio uteri”. L’isteria
Alla morte di Ippocrate, il genero Tessalo e i figli Dracone e Polibo cercano di continuare la tradizione corporativa. La sede della scuola ippocratica è stabilita a Kos; per la rigidità della interpretazione dei testi ippocratici è chiamata “dogmatica”. Essa ha un’influenza sempre più ristretta e i suoi seguaci sono ricordati sino al III secolo a.C. Il rispetto per la tradizione e per l’autorità si irrigidisce progressivamente in una ripetizione sterile. La Scuola Ippocratica
Da Solone a Pericle prende corpo un movimento filosofico che si consolida con i Sofisti e Socrate, e assume una forma definita con Platone. Fiorisce un profondo interesse per l’esistenza umana come tale, per il suo destino e per ciò che la lega alla legge e alla morale. La malattia mentale è manifestazione dell’incapacità esistenziale di raggiungere la conoscenza di se stessi, base della “aretè” (virtù). Le teorie psicologiche
“Le passioni portano all’ira e questa sostiene la colpevole follia” (Eschilo, I Persiani, vv. 800 seg.). La conoscenza di sé è il fondamento dell’equilibrio psichico e della sanità mentale. L’esistenza deve essere condotta secondo “misura”: non desiderare troppo, conoscere se stessi, evitare l’intemperanza, coltivare la verità, combattere la follia (che potenzialmente è in ognuno). “L’uomo è misura di tutte le cose”. Giungere alla verità tramite le “congetture” di un uomo saggio che identifichi le cause della sofferenza psichica: in questo si trova la vera terapia.
Plutarco di Cheronea dice che “Antifonte (il sofista) aveva uno studio a Corinto dove curava le malattie dell’anima con la parola perché riteneva che, conosciuta la causa dell’afflizione depressiva, si sarebbe giunti alla guarigione”. Questi riteneva che l’analisi dei sogni potesse portare alla conoscenza delle problematiche interiori; scrisse in tale senso un’opera dal titolo L’interpretazione dei sogni. La psicopatologia su basi etico-razionalistiche si avvalora delle sentenze che campeggiano sul tempio di Apollo a Delfi: “conosci te stesso, tu sei, nulla di troppo”.
Con Socrate l’ipotesi “psicologica-morale” provoca un’insanabile frattura fra “physis” e “nomos” (nelle riunioni conviviali egli irrideva la teoria degli umori di Ippocrate come “storiella”). Per Socrate la follia nasce dalla non conoscenza di se stesso. L’assennato è virtuoso, il dissennato è dominato da passioni esagerate. Per questa prospettiva a nulla servono i farmaci, è utile invece una “direzione spirituale”. Socrate (Atene, 470 a.C. - Atene, 399 a.C.)
Il temperamento disturbato per “dissimetria” fra corpo e mente, una cattiva educazione, rapporti familiari contrastati ed eventi stressanti possono svolgere un ruolo nei disturbi mentali minori (“malattie dell’anima” - nevrosi). L’isteria per esempio segnala un’anima femminile “delusa e arrabbiata” per non aver potuto adempiere ai compiti propri della donna: “dare alla luce una creatura”. È la rabbia dell’anima femminile che “scuote l’utero e lo spinge a vagolare nel corpo” (Timeo, passim). Platone(Atene, 428 a.C. - Atene, 348 a.C.)
Per Platone la psichiatria comprende disturbi psicotici a genesi umorale e altri che nascono per passioni che turbano l’anima; il primo tipo di malati è di competenza del medico, il secondo del filosofo. Nasce la dicotomia fra “malattia del corpo” e “malattia dell’anima” (Fedro, 270c-271a).
E’ allievo di Platone, ma non suo discepolo. Per lui la conoscenza non è concettuale, né fondata sulla memoria, come per Platone, ma è frutto dell’esperienza (gli organi di senso). Egli però non assegna alcun ruolo al cervello nelle funzioni della sensazione e della percezione. Il centro, luogo di incontro di tutte le sensazioni (sensoriumcommune) è il cuore. Aristotele (Stagira, 384 a.C. – Calcide, 322 a.C.)
Nel XXX Problemata Aristotele espone una teoria dei disturbi maniaco-depressivi basata sul dismetabolismo di un solo elemento, la “atra bilis”. È la sua “temperatura” (da cui il termine temperamento) ciò che sostiene la vita psichica, sana e patologica. Un “temperamento” malinconico sostiene la “creatività”, segno di una malinconia naturale. Tutti i grandi pensatori, poeti, artisti e statisti ebbero un “temperamento melancolico” (compresi Platone e Socrate). Il metabolismo della “atra bilis” chiarisce “gli abbattimenti e gli esaltamenti senza causa”; nel caso di un “habitus” malinconico essi sono più accentuati.
Aristotele viene dai contemporanei chiamato “venditore di erbe medicinali”; infatti invia medici al seguito di Alessandro Magno al fine di scoprire erbe medicinali. La scuola di Aristotele ha un ruolo decisivo nella formazione della cultura ellenistica e nella creazione dell’Università di Alessandria. Teofrasto, suo allievo, scrive l’opera HistoriaPlantarum, dove analizza circa cinquecento erbe e piante e le loro attività terapeutiche; lascia opere di interesse neuropsichiatrico come I Caratteri, Sull’alcolismo, Sull’astenia, Sulle vertigini e sul ruolo delle emozioni e dell’invidia nella psicopatologia.
La psicopatologia basata sullo stoicismo affronta l’argomento delle “malattie dell’anima” e il ruolo dell’evento stressante, del temperamento e della forza dell’Io. Il “pathos” è fenomeno nemico della ragione: la vittoria dell’irrazionalità trasforma il “logos” in una struttura che aderisce al “pathos”. Svolge un ruolo decisivo l’immagine mentale alimentata dalle passioni, il “phantasma”. La scuola stoica(III secolo a.C. – III secolo d.C.)
Per gli stoici due sono le entità tassonomiche dei disturbi psichiatrici: l’“insanitas animi” (le psicosi) e l’“aegrotatio animi” (le nevrosi); esiste una personalità facile alla “aegrotatio” per un temperamento predisponente. Nel caso della perdita di un oggetto d’amore si ha una “animi commotio” e la “aegrotatio”. Per gli stoici il centro della sofferenza dell’anima è la “libido” insoddisfatta. La libido frustrata, legata ad un oggetto d’amore, genera morsi dolorosi per il desiderio inappagato; ciò può originare una “follia d’amore” e, di riflesso, una “augrotatio animi”; il legame amoroso è, per lo stoicismo, fonte di psicopatologia perché connesso con una fantasia perversa e malata.
“La malinconia sembra essere inizio e parte della mania […] il delirio malinconico si cambia in riso e ilarità per un lungo periodo di tempo. Gli uomini sono colpiti sia dalla mania sia dalla malinconia; le donne sono colpite dalla mania più raramente ma in modo più grave. L’età che si avvicina alla vecchiaia e la vecchiaia sono più esposte alla malinconia […]. Areteo di Cappadocia(100-170 d.C.)
“I malinconici sono quieti o tristi, abbattuti e senza vita senza un motivo, ossia la malinconia non prende inizio da nessuna causa […] Se il male si esacerba, odiano gli uomini, fuggono da loro, si lamentano di cose senza alcun fondamento; maledicono la vita e desiderano la morte” (De notis et causisdiuturnorumaffectuum, I, 5). “[La mania] è una globale alienazione della mente che perdura senza febbre. Anche il vino infiamma la mente e porta alla mania per l’ebbrezza; anche alcune sostanze generano un’amenza, come la mandragora e lo hyosciamo, tuttavia costoro non devono essere ritenuti maniaci; infatti l’effetto di queste sostanze si manifesta all’improvviso e scompare in breve tempo; invece la mania è stabile e dura a lungo”.
“L’intervallo di benessere non è genuino quando la fase di mania si interrompe da sola o quando non è curata con un rimedio adeguato o è dovuta all’influenza delle stagioni dell’anno […], la primavera o l’ira provocata da un evento qualsiasi può nuovamente riportare alla mania alcuni che ne sembravano del tutto liberati.” “Coloro che per temperamento sono iracondi, attivi, ilari, che si dilettano con scherzi infantili, facilmente sono esposti a questa malattia. Quelli che sono di temperamento contrario, che sono tendenzialmente tristi, perseveranti nel lavoro, sono presi facilmente dalla malinconia”.
Nasce a Pergamo da una famiglia di architetti. All'età di 16 anni diviene therapeutes (con significato di addetto o socio) del dio Asclepio nel tempio locale. A 20 anni lascia il tempio per studiare a Smirne, a Corinto ed a Alessandria. Studia medicina per dodici anni. Quando torna a Pergamo, nel 157, lavora come medico alla scuola dei gladiatori, dove fa esperienza su traumi e trattamento delle ferite (le finestre nel corpo). Galeno di Pergamo(129-216 d.C.)
Contro le scuole meccanicistiche G. rivaluta il pensiero di Ippocrate, Platone e Aristotele in una complessa sintesi con l’approccio stoico. Distingue le psicosi, “insaniae”, dalle nevrosi, allora dette “morbi dell’anima”; nel primo caso il paziente, a motivo della gravità della sintomatologia, “si allontana dal costume sociale normale”. Ritiene che le alterazioni mentali della depressione possano essere sostenute “dalla grande angoscia dell’anima” (Medicae definitiones, 20h-25a).
L’ebefrenia (“fatuitas” o “morositas”) indica una insania “dei giovani”, dove sono deficitarie sia le funzioni mentali sia le pulsionali (“sine corde etsine cerebro”). In essi “è manchevole il discorso, che non ha una conseguenza logica e procede per salti”. “Coloro che in età giovanile sono deboli nelle emozioni dimostrano che sono affetti da fatuità” (De symptomatumdifferentiis, II, 3). La malattia è cronica e anche quando i pazienti sono apparentemente “migliorati nel morbo mentale, rimangono deboli e fragili nelle emozioni”.
Galeno distingue la “frenite” in cui vi è una patologia cerebrale primitiva dalle “parafreniti”, dove l’alterazione mentale è causata dalla patologia extra-cerebrale che “si riflette sul cervello […] per cui la terapia deve essere diretta non tanto alla sintomatologia mentale quanto alla causa primaria”. Generalmente la guarigione della malattia primitiva comporta “la scomparsa delle manifestazioni psichiche”. In alcuni casi la guarigione dalla patologia primitiva non comporta il ritorno alla norma, perché permangono i disturbi psichici; in questi casi, “se guarita la malattia primaria rimane il disturbo mentale, bisogna pensare all’esistenza di una predisposizione individuale” (De locis affectis, II, 9).
Nella malinconia non tanto la “atra bilis”, ma un suo vapore sale al cervello e rende freddissimi gli “spiriti animali” del lobo frontale; emergono immagini che creano paura e tristezza per il loro contenuto. La ragione è allora piegata, convinta che il contenuto mentale corrisponda alla realtà. “Il timore del malinconico nasce da fantasmi mentali innaturali; […] egli teme di non riuscire a tenere il mondo sulle spalle come Atlante […] i fantasmi che nascono dai timori sono infiniti, tanti quanto le possibili rappresentazioni mentali.” Il colore nero della atra bilis sale alla mente che diventa sede delle tenebre: “così il timore nasce dal buio della ragione” (De locisaffectis, III, 7).