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La riscoperta degli orti urbani, una tradizione che si è evoluta nei secoli per aspetti sia tecnici che sociali. Grazia Maria Scarpa Dipartimento di Agraria , Università di Sassari Nature & Cure Onlus.
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La riscoperta degli orti urbani, una tradizione che si è evoluta nei secoli per aspetti sia tecnici che sociali Grazia Maria Scarpa DipartimentodiAgraria, Universitàdi Sassari Nature & Cure Onlus
Sàssari, caso unico in Sardegna, conserva due nomi paritetici: Sàssari e Thàthari. Il primo indicò in origine la vocazione agli orti, ed è il più antico; il secondo indicò, a quanto pare, l’origine dei fondatori del primo nucleo abitato. Il lemma Ṣàṣṣaricontiene la base sumera sar ‘giardino, orto; rete di orti’, reduplicata (e semplificata) per legge fonetica, a indicare la totalità: sa-sar- (+ lat. -is > Sà-sar-is); in origine significò ‘immensa rete di orti’. Stando alle teorie sulla lingua sumera, che era lingua pan-mediterranea, il termine dovrebbe risalire almeno a 11.000 anni fa. La forma Thàthari è anch’essa reduplicata secondo la legge sumerica e accadica: Tha-thar- (+ -is). Ha dunque radice Thar- ed è affratellata al toponimo Tharr-os: entrambi hanno pronuncia dura: Ṭar- per Tharros, Ṭa-ṭarr- per Thàthari. Sono due termini relativi a città poste su tavolati calcarei miocenici, i quali producono terre molto feraci, come appunto quello di Sassari e quello del Sinis. Salvatore Dedòla, linguista indoeuropeista e semitico
Dai dati storici e archeologici disponibili viene fatto di pensare che la piazzetta medievale di Pozzudi Biḍḍa (il nucleo originario della città di Thàthari) sia nata inizialmente come modesto agglomerato di laure bizantine, quanto bastava ai monaci (una capanna a testa)
Poco più in alto fu eretta un’umile chiesa dedicata a san Nicola di Mira, città dei Bizantini occupata dai musulmani.
a un chilometro da Pozzu di Bìḍḍa stava, tra orti magnifici, il villaggio di Silki (col nome sumerico di ‘Terra lontana, separata’: sil ‘’remoto’ + ki ‘luogo, terreno’);
a metà strada tra Silki e Pozzu di Biḍḍa stavano la nota dragunàja delle Conce e la fonte di santa Maria, accanto alle quali, non a caso, dopo quello di Silki, s’insediò un convento, con orti annessi. Era ricchissima d’acqua, con quattro fonti, dove vivevano agricoltori che da millenni parlavano il sumero-accadico. Tragunàja, 'corrente d'acqua sotterranea', 'grossa vena d'acqua nascosta', ha la base nell'akk. turku-nāru ‘fiume tenebroso, sotterraneo’: turku 'tenebroso' + nāru 'fiume'.
Per orto urbano si intende un appezzamento di terreno destinato alla produzione di fiori, frutta, ortaggi per i bisogni dell’assegnatario e della sua famiglia. • sono comunemente costituiti da: • • Superfici coltivabili • • Elementi di servizio (strutture per il ricovero degli attrezzi e per la raccolta dei rifiuti vegetali, servizi igienici e spogliatoi, strutture per la socializzazione e la didattica, cartelli informativi) • • Elementi di protezione/delimitazione (tettoie e pensiline, arbusti e cespugli, recinzioni e cancellate …) • • Impianti di irrigazione • • Percorsi di distribuzione interna • • Aree di parcheggio, piazzole di carico/scarico.
Finalità • Sociale • Culturale • Economica • Ambientale • Terapeutica
Fino all’epoca pre-industriale si può dire che ad ogni fase di crescita urbana si sia accompagnata una proporzionata crescita del patrimonio verde e dei campi a coltura. Gli orti erano piuttosto comuni in tutte le grandi città Vincent van Gogh, Orti a Montmartre, Parigi, luglio 1887
In Italia il Fascismo aveva promosso l’iniziativa dell’“orticello di guerra”, nel quadro della “battaglia del grano” e della ruralizzazione degli italiani che Mussolini perseguiva.
Negli anni Trenta anche l’America conosceva l’esperienza dei reliefgardens (orti di soccorso) e durante la Seconda Guerra Mondiale quella dei victorygardens.
Dopo la Guerra gli orti urbani subirono un declino, fino ai primi community gardens che nacquero intorno agli anni Settanta, nel corso dei quali gruppi di cittadini recuperarono zone abbandonate a se stesse, degradate e fatiscenti, per riportarle a nuova vita
L’iniziativa si diffuse velocemente in tutte le grandi metropoli statunitensi e canadesi, ma purtroppo le finalità economiche e politiche finirono per prevalere su quelle naturalistiche ed ecologiche. In questa seconda fase c’è una maggiore diversificazione dei beneficiari dell’orto, non solo operai e gente di basso ceto, ma anche impiegati, insegnanti, e professionisti.
L’Italia, oltre la parentesi fascista, non ha una storia associativa riguardo agli orti urbani. La creazione di orti urbani è sempre stata originata da iniziative individuali, l'occupazione spontanea di aree marginali; piccoli appezzamenti di terreno con scopo esclusivo di autoconsumo.
In Italia il minimo storico della coltivazione amatoriale dell’orto è stato raggiunto negli anni Sessanta e Settanta. La coltivazione di orti all’interno delle città era una vera anomalia; l’orto in città divenne simbolo di una condizione sociale ed economica inferiore, un elemento di degrado paesaggistico.
La rinascita dell’interesse per la coltivazione dell’orto coincide con la crisi economica che ha colpito l’Europa a partire dagli anni Ottanta. Ma alla base della coltivazione amatoriale dell’orto in tempi attuali non è tanto la necessità di fare economia quanto il desiderio di “sapere cosa si mangia”.
È proprio di questi ultimi venti anni una rinascita di una vecchia istituzione, quella degli “orti senza casa”, cioè di orti allocati all’interno del tessuto urbano, che non appartengano a chi li coltiva, ma proprietà di associazioni o delle amministrazioni comunali ed assegnati a coltivatori non professionisti.
Il fenomeno nasce a Lipsia, in Germania, verso la metà del XIX secolo, con i kleingarten riservati ai bambini, ma trova il suo aspetto più interessante nei jardinsouvriers (giardini operai) francesi nati alla fine dell’Ottocento. Nei trent’anni del boom economico successivo al Secondo Dopoguerra i jardinsouvriers vissero un periodo di declino, segnato da trascuratezza e disordine. Ma già a partire dagli anni Ottanta si assistette ad una rinascita, prodotta principalmente dall’interesse e dalla collaborazione delle autorità, locali e nazionali.
In Italia la creazione di orti urbani è sempre stata originata da iniziative individuali, l'occupazione spontanea di aree marginali; piccoli appezzamenti di terreno con scopo esclusivo di autoconsumo. Questi orti sono quasi sempre recintati con materiali di recupero che fungono principalmente da impedimento psicologico generando aree molto scadenti da un punto di vista estetico.
Al di là di considerazioni prettamente estetiche, bisogna tener conto dei problemi igenico-sanitari ed ambientali che la mancanza di una corretta gestione degli orti implicano, quali, ad esempio, la messa a coltura di specie allergeniche in prossimità di aree ricreative o di passaggio, oppure l'uso non corretto di antiparassitari e diserbanti.
In Italia sono stati censiti più di 10 milioni di orti urbani, numero che sale a 18 se si sommano le piccole coltivazioni in balcone • Secondo datiIstat, quello dell’orto urbano è un hobby che: • coinvolge il 37% degli italiani, allo stesso modo maschi e femmine, • piace ai giovani • è praticato da più di uno su quattro tra chi ha tra i 25 e i 34 anni • l'interesse aumenta con l'età e raggiunge quasi la metà degli over 65.
Avere un orto urbano non è una questione di spazio. Chi non ha a disposizione un giardino o un pezzo di terra in un parco cittadino, trasforma il proprio terrazzo o semplicemente il balcone, piccolo che sia.
Secondo la Coldiretti, solo in Lombardia i terrazzi “verdi” sono oltre un milione. Lattughe, pomodori, zucchine, peperoncini, melanzane, piselli, fagioli, fragole, carote: le varietà di piante adatte alla coltivazione in vaso sono sempre di più.
Torino Orti urbani e progetto Rizomi
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