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In Asia si praticano sia sport legati alle tradizioni locali sia sport di origine occidentale. C’è uno stretto rapporto tra condizioni ambientali e sport praticati. Uno sport nazionale è strettamente legato a una regione particolare e alle consuetudini locali e solo con la diffusione mass mediatica può essere esteso altrove.Sin dall’antichità gli sport prevalenti sono le arti marziali e gli sport di lotta, che sono evidenti conservazioni di uno sport inteso come preparazione alle arti militari. In Asia manca l’evoluzione tipica dell’Europa, dello sport verso il gioco di squadra, poiché sia la lotta, il judo e le arti marziali sono sport individuali.In Asia centrale, per spostarsi nelle zone montuose, sin dalla preistoria veniva usata una tavola spessa, larga e piatta guidata con una fune alla punta, simile a una slitta. In India abbiamo tracce di attività sportive dal 1500 a.C.; in particolare il tiro con l’arco, in quanto la caccia era necessaria per la sopravvivenza, yoga e corse su bighe. Sotto la dominazione inglese si diffusero il cricket e l’hockey su prato.
Ritrovamenti di artefatti ed edifici antichi suggeriscono che la civiltà cinese abbia iniziato a praticare attività atletiche che posso essere assimilate alla moderna concezione di sport fin dal 4000 a.C.. L’attività sportiva più popolare nell’antica Cina sembra fosse la ginnastica. Dalla ginnastica può essere fatto risalire sia lo sviluppo delle arti marziali sia la tradizione acrobatica degli artisti del circo tradizionale cinese. Le arti di combattimento cinesi sono antichissime e risalgono al 2500 a.C.. Confucio, il grande maestro del pensiero cinese, vissuto tra il VI e il V secolo a.C., invitava i giovani a praticare le arti marziali. Egli si riferiva in particolare al tiro con l’arco, alle corse con i carri da guerra, alla scherma e ad alcune forme di pugilato. Verso il 520 d.C. nel tempio indù di Shaolin fu elaborata una forma di combattimento dalla quale sarebbe poi derivato il Kung fu che darà in seguito origine a molti stili diversi. Si tratta di tecniche di combattimento utilizzate nei paesi dell’Estremo Oriente ed in seguito adottate da alcune religioni e filosofie orientali come metodi per raggiungere l’armonia tra il corpo e lo spirito. Oggi le arti marziali vengono praticate a livello sportivo. Nel judo e nel karatè i praticanti indossano cinture di colori diversi, dal bianco al nero in una gradazione progressiva che indica il livello di preparazione. Oltre al judo e al karatè, le arti marziali più conosciute sono: il kung-fu o boxe cinese, che insieme al karatè è una delle arti marziali più praticate al mondo; lo ju-jutsu che insegna tecniche di autodifesa; l’aikido, il tai-chi chuan e il sumo.
Praticato anche lo yoga per mettersi in perfetta unità tra corpo e mente. Nelle varie regioni asiatiche sono attualmente praticati, oltre a quelli nazionali, quasi tutti gli sport occidentali. Possiamo citare come esempio di sport universale i giochi olimpici, che nel 2008 si svolgeranno per la prima volta a Pechino; attualmente, per citare una disciplina, nell’hockey su prato, sport importato dall’Inghilterra, il titolo olimpico è diviso tra India e Pakistan. Il calcio è conosciuto in Cina da tempi antichi come Tsu-Ciu, cioè calcio-palla. Dal 1956 si disputa ogni 4 anni la Coppa d’Asia di calcio. Alla fine di novembre, per il Campionato del mondo di sci, sono in programma 2 giganti in Corea del Sud.
Arti marziali kung fu La storia del Kung Fu è vecchia di molti secoli ed ebbe inizio circa nel 2500 a.C. quando in Cina regnava la dinastia Xiae vi era l'imperatore giallo Huang Ti. Con lui si sviluppa l'agricoltura, la medicina e si ha la prima esperienza di lotta organizzata.L'imperatore aveva un medico personale chiamato Chi Po(oppure Quiba), che ha scritto il primo trattato di medicina dove si parla già di ginnastica interna e agopuntura.Il primo metodo di combattimento è stato il Go Ti, dove si affrontavano due uomini, uno armato con una maschera di demone con corna (usate come armi) e l'altro rimaneva a mani nude.
Il fondatore del Go Ti è stato un generale dell'esercito Chin Yu Shu che ancora oggi è ricordato.Si arriva così alla dinastia Han che regnò dal 206 al 220 d.C. e proprio in questo periodo ci sarà un forte sviluppo delle arti marziali. Nasce il Chan Chan Shou ("mano lunga") inventato da Kwook Tee, di conseguenza si abbandona il corpo a corpo per studiare la scherma.Sono da ricordare i maestri Hua To e Yun Chun.Hua To inventa lo stile degli animali e l'anestesia nell'agopuntura,fu un personaggio particolare in quanto faceva operazioni chirurgiche che a quel tempo erano vietate in quanto il corpo era ritenuto inviolabile. Hua To morì nel 30 a.c.Yun Chun inventa gli esercizi interni del Tao Yn, che erano lo: stirarsi dell'orso e il volo dell'uccello.Nel 520 d.C. troviamo Ta Mo (Bodhidarma o Daruma) ritenuto il padre del Kung Fu. Egli era figlio del principe indiano Suganda che fece istruire Ta Mo con la filosofia, la religione e le arti da combattimento dal maestro Praynatra. In questo periodo il Buddismo si divide in due rami: Mahayana e Inayana. In Cina il Buddismo Inayana è quello che si sviluppò più facilmente, mentre quello Mahayana viene portato da Ta Mo e si trasformerà in Dyana (Buddismo del Diamante).
Nel suo viaggio Ta Mo arriva al monastero di Shaolin dove trova dei monaci indeboliti dal troppo pregare, così inizia ad insegnargli la ginnastica basata sugli animali che comprendeva circa 18/24 esercizi chiamati Ching Ching Ta Mo. Con la pratica e la costanza i monaci si trasformeranno in monaci-guerrieri che diventano una leggenda e perfino l'imperatore li chiamava per risolvere casi di estrema gravità. A Shaolin ogni monaco studiava un animale diverso, ma nel 1500 si unificarono i vari stili Shaolin grazie a Chuea Yuan aiutato dal monaco taoista Li Chen e dal maestro di Kung Fu Pa Yu Feng, quest'ultimi estranei al monastero. Vennero unificati così i cinque stili fondamentali: tigre, serpente, leopardo, gru e drago. Dall'840 all'846, durante la dinastia Ming c'è la persecuzione del Buddismo e furono distrutti 4500 monasteri. Dal 1550 inizia l'invasione dal Nord con i Manchu (Mongoli), così per ragioni difensive l'accesso al monastero, prima infatti era difficilissimo entrarvi e se si fosse riusciti in tale intento, potevano passare anni prima che all'allievo fosse insegnato il Kung Fu, ed ancor più difficile era uscire dal monastero in quanto bisognava superare prove difficilissime; fino ad arrivare a quella che avrebbe lasciato al monaco il segno
indelebile di Shaolin sugli avambracci; questa prova consisteva nel trasportare un braciere di 100 Kg. per molti metri cosicché sarebbero rimasti impressi la tigre e il drago sugli avambracci.A causa della flessibilità maggiore entrò una spia che portò alla distruzione del monastero nel 1642/44 perché riuscì ad aprire, in una notte, il monastero da dentro.Solamente sette monaci riuscirono a scappare continuando il loro lavoro di studio. I cinesi volevano riportare al potere la dinastia Ming e per questo motivo formarono delle sette segrete come la tigre nera, il loto bianco, la triade,... dove erano presenti i più grandi maestri di Kung Fu.Dal 1800 le scuole di Kung Fu furono vietate e solo dopo la seconda guerra mondiale le riaprirono.
ju-justu Il Jūjutsu, conosciuto anche come Jūjitsu, è l'arte marziale giapponese della flessibilità. La parola Jutsu, letteralmente metodo, arte o tecnica si associa a “jū”, flessibile, cedevole, morbido, ad indicarne appunto la particolarità di esecuzione. Il Jūjutsu era praticato dai bushi (guerrieri) che se ne servivano per sconfiggere gli avversari provocandone anche la morte, a mani nude o con armi. Lo spirito di quest’arte insegna che occorre assorbire l’energia dell’attaccante e attraverso il controllo e l’armonia restituire la stessa potenza. Le origini La lunga storia e la complessa tradizione dell’arte giapponese del combattimento si concretizzano in una varietà di forme, metodi e armi, ognuno dei quali costituisce una specializzazione particolare di quest’arte. Si ritiene, in genere, che il sedicesimo e il diciassettesimo secolo siano stati l'epoca aurea del bujutsu, le arti da combattimento giapponese. Tutte le più antiche scuole, infatti, collegano la loro origine
Le tecniche di base Le tecniche seguono il principio di "JU" (elasticità, morbidezza) ossia di "non resistenza": l'attacco viene neutralizzato assecondando la forza dell'avversario, evitandola mediante una schivata o intercettandola all'origine del movimento.
a quei tempi turbolenti di lotte sociali, da cui uscirono vittoriosi i Tokugawa. Esistono testimonianze che riportano la pratica del Jūjutsu già molti secoli prima del 1600, ma sotto altri nomi, quali Kogusoku, Yawara, Tode e Kumiuchi. Come è inevitabile per le arti orientali, anche gli influssi di altre discipline influenzarono lo stile del Jūjutsu che risentì delle tecniche di combattimento cinesi e dell’isola di Okinawa.Nei secoli, il Jūjutsu si sviluppò attraverso numerose scuole, come la wa-jutsu, la yawara, la kogu-soku, la hakuda, la shubaku, la kempo: da alcune di queste nasceranno il Judo e l'Aikido.In confronto, il periodo Tokugawa, con i suoi controlli rigorosi e il severo mantenimento dell'ordine, sembrerebbe essere stato piuttosto un periodo scoraggiante, per coloro che si interessavano all'evoluzione del bujutsu disarmato, invece, fu un'epoca particolarmente favorevole alla tranquilla, meticolosa raccolta e sistematizzazione di tutte le tecniche ereditate dal passato, che vennero affinate e migliorate.
Gli atemi vengono usati principalmente per indebolire l'avversario, sia fisicamente che psicologicamente, al fine di poter eseguire l'azione che ne consegue (proiezione, immobilizzazione ecc.) sfruttando l’iniziale energia dell’attaccante. La pratica della tecnica si completa ad un livello più alto con lo studio delle armi antiche dei samurai: katana (spada lunga), kodachi (spada corta), chobo (bastone lungo) e hanbo (bastone corto).
La pratica del Jūjutsu Il principiante di Jūjutsu, attraverso un primo approccio fisico alla tecnica, cercherà di cogliere i punti di forza e debolezza dell'avversario. Uno studio più approfondito dell’arte marziale, insegnerà all’allievo che occorre stabilire un legame sia fisico che mentale: nell'azione dinamica di un duello, i muscoli e la mente devono flettersi e adattarsi a circostanze perennemente variabili. Caratteristica del Jūjutsu è il principio del JU che si riferisce alle forze della cedevolezza, che sfruttano la forza dell'attacco dell'avversario per sconfiggerlo. Ju è la forza flessibile, “una potenza gentile” nel senso che la tecnica utilizzata comprende la malleabilità, cede e assorbe per poter resistere, instaura un meccanismo di dolcezza duratura. Come la crescita primaverile del bambù,il “Ju” del Bushi, il guerriero giapponese,è sempre flessibileanche se inarrestabile come la stagione stessa.
Il principio dei Bushi giapponesi ci porta sempre a distinguere tra la forza muscolare “chikarà”(fattori esterni) - che nelle forme marziali armate era accresciuta anche dalle armi appunto e non solo dalla tecnica - e l'energia intrinseca della volontà, della coordinazione mentale e dell'estensione del ki (fattori interni). I Maestri fondatori del Jūjutsu intendevano come principio strategico del combattimento, il controllo dell'energia coordinata, basato sul centro d'integrazione addominale. Questo addestramento esaltava la pratica della respirazione addominale e gli esercizi attivi di coordinazione, anziché quegli esercizi di meditazione e di concentrazione considerati troppo statici per i fini del guerriero.
Aikido AI (armonia) KI (energia) DO (via) è il risultato di lunghi anni di studio condotti dal suo fondatore, MoriheiUeshiba, nel campo delle principali specializzazioni della tradizione marziale giapponese, conosciuta in epoca feudale come Bujutsu. Elegante arte di autodifesa finalizzata alla neutralizzazione mediante bloccaggi, leve articolari e proiezioni di uno o più aggressori armati o disarmati, l'Aikido è soprattutto sintesi ed evoluzione di antiche tecniche mutate dal Jujutsu classico e dal Kenjutsu (la pratica della spada), da cui trae la propria originalità ed efficacia in una serie di movimenti basati sul principio della rotazione sferica. L'esperienza che si raggiunge con la pratica ad alto livello porta ad affrontare il rapporto con sé stessi e gli altri. La natura dell'uomo conosce la violenza, l'aggressività così come la pace, l'armonia e la collaborazione, allo stesso modo il praticante imparerà a vivere ed esprimersi in armonia.
Le tre tecniche Molte arti marziali per tradizione si articolano sul numero tre, per motivazioni filosofiche e religiose; lo stesso vale per l'uomo che si può idealmente dividere in una parte materiale (le gambe), una vitale (l'addome) ed una spirituale (la mente). Tre sono anche i modi di lavorare dell'Aikido: Tre anche ritmi: jo, ha, kyu e le espressioni, i momenti della lezione: aikitai, aikijo, aikiken (che verranno affrontati in un successivo approfondimento).
L'Aikido non si vive resistendo al colpo col corpo rigido, occorre imparare a utilizzare l'energia irradiante per andare avanti ed entrare nello spazio avversario.La base dell'Aikido è il contatto: questo è il punto di partenza dell'energia irradiante. Si lavora a sfera, utilizzando tecniche che riprendono cerchi che portano o alla chiusura - immobilizzazione o all'apertura - proiezione. E' un gioco fra due forze che si contrappongono e le loro risultanti; si utilizza l'energia irradiante, la tecnica dirompente e quando si arriva al contatto la forza si sprigiona provocando lo squilibrio del compagno. Indispensabile è entrare nel cerchio dell'avversario e raggiungerne il centro. Il ki, l'energia vitale, è già dentro ognuno di noi fin dalla nascita, occorre riscoprirlo, riuscire ad usarlo spontaneamente concentrandone la direzione attraverso le tecniche.L'Aikido insegna ad armonizzare le energie mentali e fisiche, è un'arte che si sviluppa quando la vivi, occorre unire anima e corpo nel momento; non esiste azione se non si ha controllo, non si parla di parata e contrattacco, ma di controllo ed entrata. L'Aikido non ha guardia,per dare libertà all'attacco di esprimersi e così si impara a controllare il centro, concatenare i cerchi e coprire i punti deboli.
Ci spiega infatti il Maestro Gianpietro Savegnago che "la tecnica è fatta di cose semplici al momento giusto", è una scelta di tempo e non una condizione di forza o rigidità. Trovo energia in uno spostamento effettuato nel giusto tempo in cui riesco a catturare l'instabilità del compagno. E' lo stesso principio della spada: mi devo inserire con il profilo, così riesco ad avanzare maggiormente nello spazio dell'avversario. Anche la caduta è una forma di energia libera, occorre sentirla e si acquisiranno sensibilità e riflesso se vista dal lato giusto; proprio per questo non si deve pensare ho perso perché sono caduto, anzi è il contrario, perché si sviluppa una parte importante che lavora sulla sensazione. Non c'è gara nell'Aikido: le due parti vincono assieme. E' un'arte impostata sul rispetto di entrambi dove si vince con il proprio compagno. Non c'è antagonismo per scelta, esiste invece l'accettazione del ruolo: colui che accetta di cadere e favorisce la fusione delle tecniche portate dall'attaccante diventerà un buon maestro perché avrà lo spirito giusto, il cuore.Ma dov'è il cuore "spirituale" dell'uomo? Alcuni potrebbero associarlo là dove abita il sentimento, altri vicino alla ragione, per me il cuore è nelle mani: rappresentano la creatività, hanno un suo minimo e un suo massimo, sono da sempre segno di preghiera e di espressione artistica. Allora se nell'uomo persistono due centri, quello fisico (il baricentro) e quello spirituale, il praticante di Aikido
deve cercare di farli lavorare assieme, per questo occorre sviluppare la creatività e la fantasia. Anche per questo motivo non ci sono gare, per non limitare il cuore. Alla fine della lezione siamo contenti in due perché abbiamo sviluppato le tecniche assieme e non sentimenti negativi. Le tre 'parti' dell'Aikido (Aiki-do tecnica, Aiki-jo bastone e Aiki-ken spada) si concatenano e rappresentano una sintesi delle armi il cui obiettivo è imparare e arrivare ad una spiritualità "Koko-rò" cuore del sentimento. Si può avere la migliore tecnica ma se non si possiede il cuore per usarla non si arriverà mai veramente ad impadronirsi dell'arte marziale".
Tai-chi chuan Il Tai Chi Chuan è un'antica arte marziale cinese basata sul concetto taoista di Ying-Yang, l'eterna alleanza degli opposti. Nato come sistema di autodifesa - Tai Chi Chuan significa letteralmente "suprema arte di combattimento" - si è trasformato nel corso dei secoli in una raffinata forma di esercizio per la salute ed il benessere anche se esistono alcune scuole che continuano ad insegnarlo e esercitarlo anche come vero e proprio sistema di difesa. La pratica del Tai Chi Chuan consiste principalmente nell'esecuzione di una serie di movimenti lenti e circolari che ricordano una danza silenziosa, ma che in realtà mimano la lotta con un opponente immaginario.All’interno degli stili del Tai Chi Chuan (Chen, Yang, Sun, Wu, Wod, Hao) i più popolari sono lo Yang e il Chen. Il primo è il più praticato poiché il Chen richiede un’esercitazione molto più complessa ed esigente. Oltre al concetto di Yin e Yang, l’espressione che descrive questa tecnica risiede nel concetto di "Forma", un sistema di movimenti concatenati che vengono eseguiti in un modo lento, uniforme e senza interruzioni.
Tali movimenti possono essere eseguiti a mani nude o con il supporto di particolari armi. Esiste anche un insieme di esercizi che vengono eseguiti in coppia, e che prendono il nome di Tui Shous.Lo studio del Tai Chi Chuan inizia quindi con la sequenza di movimenti detta "forma lenta". Gradualmente si studiano i movimenti e si introducono i principi fondamentali: si impara ad acquietare la mente, a muovere il corpo in modo rilassato e consapevole, a calmare il respiro. La pratica attenta e costante di queste tecniche, grazie alla loro morbidezza, alla circolarità e alla lentezza con cui vengono eseguiti, rende il corpo più agile e armonioso migliora la postura ed ha un effetto benefico sul sistema nervoso e sulla circolazione. Scopo ultimo di questa arte è stimolare il libero fluire dell'energia vitale e così ristabilire armonia ed equilibrio tra corpo, mente e spirito. La storiaIn Cina, gli obiettivi del benessere fisico e di una accresciuta longevità sono stati affrontati sistematicamente sin dall’antichità, dalla quale si sono ereditate numerose tecniche di applicazione di una antica saggezza. La pratica di queste si può far risalire a Hwang Ti, l’Imperatore Giallo che dominò in Cina per un secolo intero nel terzo millennio avanti Cristo.Le sue pratiche includevano il T’u Na, esercizi di respirazione, e degli esercizi di meditazione.
Queste esperienze furono in seguito conosciute sotto il titolo di “I Ching” il più antico libro cinese in materia di medicina. Secoli dopo il regno di Hwang Ti, i principi filosofici sottostanti alle tecniche sulla longevità da lui praticate vennero articolati e elaborati dai grandi filosofi taoisti, soprattutto nei classici di Lao Tzu (sesto secolo a.C.) e Chuang Tzu (quarto secolo a.C.). In pratica il Taoismo, assieme al Confucianesimo e al Buddismo divenne una delle tre grandi religioni cinesi, e l’unica fra tutte a sostenere che l’immortalità della persona è possibile, almeno nei principi se non proprio nella pratica, attraverso l’applicazione delle sue tecniche. Tecniche che hanno assunto forme sempre più numerose e raffinate con il passare dei secoli. La filosofia del Tai Chi ChuanCiò che il Tai Chi Chuan offre è un ampio concetto di salute e di longevità, secondo il quale un organismo fiorisce soltanto se è propriamente nutrito e curato attraverso tutto il ciclo della sua vita. Innanzitutto occorre creare un nuovo tipo di approccio sul quale basare il riconoscimento che la longevità non è un valore per le persone anziane, ma per tutti senza limiti d’età. Essenziale per l’approccio cinese è l’intuizione che l’obiettivo di una longevità in piena salute debba essere perseguito anche da giovani e bambini.
Il modo migliore per ottenere successi in questo campo consiste nello stabilire una disponibilità verso tali pratiche sin dalla più tenera età. Sia gli antichi taoisti che i confuciani sottolineano l’importanza di una mente serena per la salute ed il conseguimento di una autentica saggezza. I benefici del Tai Chi ChuanIl Tai Chi Chuan può essere praticato a tutte le età e per tutta la vita. Attraverso la pratica di questa disciplina si raggiunge il rilassamento mentale e si favorisce la concentrazione. Altri benefici consistono nell’eliminazione dello stress, miglioramento della mobilità articolare (i tendini si allungano e si distendono), aumento della profondità della respirazione con una conseguente ossigenazione del corpo in maniera ottimale, prevenzione di molte malattie aumentando la resistenza e la forza del corpo, prevenzione dell’osteoporosi, aiuto ad alleviare i dolori causati da problemi alla schiena e alle spalle. Inoltre è un forte aiuto psicologico per persone fortemente introverse producendo una graduale apertura ed estroversione verso il mondo circostante e gli altri. Per la medicina cinese, le malattie si sviluppano a causa di blocchi nei tragitti di circolazione dei meridiani. Come l’agopuntura, il Tai Chi Chuan, con i suoi movimenti morbidi e armoniosi, contribuisce a rendere più flessibili le articolazioni, eliminando blocchi cronici e a rendendo più scorrevole libero il flusso energetico.
Insieme ad una dieta, ai massaggi e all’agopuntura, il Tai Chi Chuan integra l’insieme di tecniche offerte oggi dalla medicina cinese per salvaguardare il benessere psicofisico.Negli ultimi tempi la cultura orientale ha cercato di migliorare i risultati ottenuti combinando queste antiche tradizioni con la medicina classica occidentale; allo stesso tempo, in Occidente, i centri olistici e di benessere e salute hanno incorporato tecniche della medicina cinese tradizionale, tra cui il Tai Chi Chuan, per offrire alle persone soluzioni efficaci nella guarigione o nel miglioramento delle patologie.In parole semplici, il Tai Chi Chuan è costituito da una ginnastica profonda, sana e terapeutica che conserva la salute e favorisce notevolmente l’assetto psicofisico di ognuno.Per ottenere questi benefici tuttavia, bisogna applicare bene quello che insegnano i maestri: "avere disciplina, perseveranza e pazienza", cioè praticare questa disciplina con costanza e per lungo tempo. Gli effetti benefici delle tecniche del Tai Chi Chuan sui diversi sistemi e parti del corpo possono essere schematizzati in questo modo: Sistema nervoso"Concentrare al massimo l’attenzione per un conseguente benessere del sistema nervoso"È noto che il sistema nervoso dirige e controlla i vari organi del corpo. Per mezzo di reazioni condizionate e spontanee, l’uomo si adatta a qualsiasi situazione, nonché al cambio di ambiente.
La pratica del Tai Chi ChuanIl Tai Chi Chuan è un esercizio di autorilassamento i cui lenti movimenti sono coordinati rispetto alla respirazione e diretti da una mente libera, con doppio vantaggio sia per la salute fisica che spirituale. Questi esercizi aiutano a rischiarare la mente e rafforzare il cervello. Il Tai Chi Chuan si pone come obiettivo quello di fare entrare il praticante a conoscenza della propria energia. La pratica durante le lezioni è “silenziosa”, non occorre parlare ma “fare”: tutto passa infatti attraverso ciò che si fa e si sente. È importante che il Maestro metta in condizione l’allievo di sperimentare da solo il proprio lavoro, saranno le diverse esperienze a far crescere l’arte marziale. La mancanza di aspettative aiuta ad ottenere i risultati; abbandonarsi alla pratica e prendersi la responsabilità del proprio essere con desiderio di cambiare e mettersi alla prova. Il Tai Chi Chuan viene spesso associato ad una serie di benefici sui disturbi fisici spesso causati dall’inadeguatezza della nostra società ma è necessario sfatare l’ottica mistica di una pratica che resta un’arte marziale.
Sumo Letteralmente la parola Sumo significa strattonarsi l'uno con l'altro: il fine non è quindi quello di colpire, come in altre arti marziali, ma quello di riuscire a sbilanciare l’equilibrio di un avversario a dir poco “mastodontico”.In Giappone, i metodi di combattimento senza armi, ideati ed applicati nel loro lungo periodo feudale (iniziarono ad apparire nella dottrina marziale dal sedicesimo secolo in poi), avevano in comune fra loro certe caratteristiche strumentali e funzionali intrinseche. Ad esempio l’uso del corpo umano, debitamente addestrato, condizionato e rafforzato. Le origini Antica forma di lotta, il Sumo ha conservato elementi della sua lunghissima tradizione. Prima del periodo tra il 1570 e il 1600, sembra fosse una forma di combattimento molto ampia che, sebbene modificata per quanto riguardava i colpi e i calci mortali (proibiti da un decreto imperiale durante il regno Shomu perché giudicati ineleganti),
non differisse sostanzialmente dalla lotta mongola o persino da certi stili europei. Nel 1570 venne introdotto il ring, dohyo e le regole di base che fissavano i ranghi, gli scopi e le tecniche fondamentali. Ancora oggi l’organizzazione del Sumo mantiene l’antica divisione in tre gruppi dei suoi seguaci: i lottatori, gli arbitri e i giudici. Il Sumo ha attraversato i secoli trasformandosi da intrattenimento per gli imperatori a forma d’arte e spettacolo nazional popolare, alla ricerca di un equilibrio costante tra tradizione e innovazione. I lottatori, sumotori Si tratta di uomini insolitamente alti e poderosi, scelti per la loro incredibile grandezza e condizionati per mezzo dell’allenamento e di diete appropriate in modo da raggiungere proporzioni colossali. Più pesante è il sumotori, più basso sarà il suo centro di gravità e quindi più difficile diventerà espellerlo dal ring. I lottatori di Sumo mantengono il loro peso attraverso una speciale dieta chiamata “chanko nabe”, lo stufato tradizionale a base di riso, maiale, uova e vegetali. Nonostante le apparenze, i sumotori non sono esclusivamente grassi anzi, oltre a compiere regolarmente esercizi di sollevamento pesi per aumentare la loro resistenza, sono sorprendentemente agili! A causa dei campioni minimi di peso e altezza (5'7"e 165 libbre), alcuni si riempiono di acqua per fare fronte alle richieste minime.
Ogni lottatore porta una tradizionale acconciatura dei capelli, chiamata ichomage. Risale al periodo Edo del Giappone (1603-1867) e non ha una funzione meramente decorativa, assicura infatti protezione alla testa durante le cadute. Tutti i sumotori portano la classica cintura di seta che la tradizione fa risalire alle imprese di Hajikami od Omi, un lottatore di tale forza e abilità che in un torneo tenuto a Osaka mille e cento anni fa non fece toccare a nessuno degli avversari nemmeno la corda, shimenewa, legata intorno alla sua cintola! Prima o dopo l’incontro, i grandi campioni sono autorizzati a portare la cintura cerimoniale, di seta riccamente ricamata e decorata, il kesho-mawashi, la cui tradizione risale ad un altro lottatore, il possente Akashi, che nel 1600, imbarazzato dalla propria nudità al cospetto dell’imperatore, si avvolse in un enorme stendardo appeso in un’asta vicina, stabilendo così inconsapevolmente una moda che viene seguita ancora oggi.Storicamente, queste cinture ricamate, rappresentavano il signore feudale a cui apparteneva il lottatore, ma oggi denotano il suo luogo di nascita, la casata, il grado e lo sponsor.Formato da seta pesante, il mawashi è piegato in sei ed è avvolto intorno all'inguine ed alla vita da quattro a sette volte, e rappresenta una parte importante della tecnica del lottatore: ci sono quasi 70 modi differenti per manovrare l’avversario attraverso prese sul mawashi.Ogni campione è, infine, scortato da un attendente tsuyuharai, come per i capi militari feudali, e da un portatore di spada, tachimochi.
La piramide gerarchica I sumotori possono raggiungere diversi gradi e titoli in base all’esperienza e alle vittorie raggiunte. La piramide gerarchica I sumotori possono raggiungere diversi gradi e titoli in base all’esperienza e alle vittorie raggiunte. Le tecniche, kimarite
Le tecniche, kimarite Il lottatore parte da una posizione in accosciata, Shikiri-no-kamae, con il corpo appoggiato sui calcagni. Dalla guardia si tentano le varie tecniche, basate sui principi di forza, agilità e strategia comuni alle altre arti marziali e alle antiche forme di lotta greco-romana. Esistono circa duecento movimenti fondamentali, derivanti da trentadue "tecniche di base", o combinazioni di esse: Spinta con le sole mani, tsuki Spinta con tutto il corpo, oshi Presa, yori Le diverse applicazioni si differenziano per piccoli dettagli, ad esempio se il lottatore continua a tenere la presa mentre porta fuori il suo avversario o se invece lo "spinge" via. Proiezioni, ipponzeoi Traino, utchari
Le proiezioni sfruttano la forza e la velocità dell'avversario al fine di sbilanciarlo dalla sua posizione. I lottatori di Sumo non avendo "prese" sulla giacca come nel Judo o nel Karate, usano solo il mawashi (perizoma) o addirittura prese articolari strette sulle braccia per effettuare il lancio. Sollevamenti, tsuridashi Le prese con sollevamento sono momenti di spettacolo imprevedibile negli incontri di Sumo. Uomini di oltre cento chili che ne sollevano di altrettanto pesanti! Le tecniche si possono, a loro volta, dividere in due gruppi: contatto fisico limitatopercuotere con le mani, tsuppari; sgambettare, hataki-komi; sferrare colpi con le gambe, ketaguri; effettuare prese con le gambe, ashi-tori. contatto fisico completosono compresi un ampio numero di colpi inferti con la testa, le braccia e l'anca, e soprattutto le proiezioni, Utchari (come nell'immagine di esempio) efficacissime per spiazzare l'avversario.
Gli arbitri, gyoji L’arbitro, alla sua nomina, riceve il nome delle antiche famiglie che un tempo rappresentavano le massime autorità nell’arte di giudicare un lottatore di Sumo: Kimura e Shikimori. Anch’essi vestono per l’occasione ricchi costumi che risalgono al periodo Ashikaga e il ventaglio ne indica il livello di esperienza: si passa dall’azzurro e bianco per gli incontri tra juryo fino ad arrivare al color porpora per quelli tra gli yokozuna. La figura degli arbitri, sul ring, riceve il massimo rispetto di lottatori e giudici. Il ring, dohyo Area circolare sopraelevata, alta sessanta centimetri che un tempo era formata da sedici balle di riso, legate a formare un diametro di quattro metri e mezzo. Il ring è considerato dai praticanti un luogo sacro. Composto da una speciale argilla e da uno strato di sabbia, deve essere purificato prima di ogni torneo mediante spargimento di sale. Anche gli arbitri, a loro volta, effettuano una cerimonia di benedizione, per esorcizzare la malvagità.
Il torneo Una volta annunciato il programma degli incontri, iniziano le cerimonie: i grandi campioni compiono gli antichi riti della purificazione e della preparazione, shikiri-naoshi. In seguito alla pubblica presentazione dei lottatori iniziano gli incontri preliminari. La vittoria si ottiene o estromettendo l’avversario dal ring, oppure costringendolo a toccare la stuoia con una parte qualsiasi al di sopra del ginocchio. “Il sogno di ogni giovane sumotori è diventare ‘Yokozuna’, un campione. Ma la maggior parte di quei sognisvaniranno... è un mondo molto duro”.(Wakamatsu Oyakata, Japan Sumo Association (Nihon Sumo Kyokai).
Lo yoga Dalla radice sancritta yuj che significa "unione" o "vincolo", Yoga indica l'insieme delle tecniche che consentono il congiungimento del corpo, della mente e dell'anima con Dio (oParamatma). Colui che segue e pratica il cammino dello Yoga è chiamato yogi o yogin (le donne sono dette yogini). La prima grande opera indiana che descrive e sistema le tecniche dello Yoga è lo Yoga Sutra (Aforismi sullo Yoga), redatto da Patanjali, che raccoglie 185 aforismi. Gli studi tradizionali indiani identificavano Patanjali con l'omonimo grammatico vissuto nel III secolo AC ma studi filologici più moderni hanno postdatato la redazione dell'opera ad un‘ epoca presumibilmente altomedievale. La diffusione di pratiche risalenti a quella tradizione in occidente, avvenuta tra il diciannovesimo e ventunesimo secolo, come la meditazione (dhyana), gli esercizi di controllo del respiro (pranayama) o le asana (le celebri “posizioni” con cui lo Yoga viene comunemente identificato tout-court), ha tralasciato quasi sempre gli altri livelli, ed in particolare i primi due iniziali e per questo fondamentali.
Ciò è dovuto al fatto che nella società occidentale il rapporto con lo Yoga non è mai stato strettamente relazionato alla religione (in particolare quindi all'unione dell'anima con Ishvara, il Signore), ma è sempre stato inteso come una disciplina che mira al riequilibrio psicofisico dell'uomo. Gli otto stadi dello Yoga Patanjali indica al praticante 8 stadi (o arti) dello Yoga, cioè gli otto passi che conducono all'unione con il Paramatma. Yama Con Yama si intendono i “comandamenti morali universali”, o astensioni. Sono i cinque "freni" su cui si fonda l'etica dello Yoga: Ahimsa: non-violenza, astensione dall'infliggere a qualsiasi essere vivente qualunque tipo di male, sia esso fisico, psicologico, ecc.; Aparigraha: distacco, non-attaccamento, astensione dalla bramosia del possedere; Asteya: onestà, astensione dalla cupidigia, liberazione dall'avidità; Brahmacharya: castità (intesa soprattutto come purezza morale e sentimentale); Sathya: verità, aderenza al vero, sincerità (soprattutto con sé stessi).
Niyama Con Niyama si intendono le regole dell'autopurificazione. Saucha: pulizia, salute fisica, purezza; Santosa: appagamento, felicità della mente, l'accontentarsi; Tapas: ardore, fervore nel lavoro, desiderio ardente di evoluzione spirituale; Svadhyaya: studio di sé stessi, ricerca interiore; Ishvara Pranidhana: abbandonarsi alla Divinità, la resa al Signore di tutte le nostre azioni. Asana Le āsana (in sancritto आसन) sono posizioni o posture utilizzate in alcune forme di yoga, in particolare nello Hatgh Yoga. La funzione delle asana è direttamente collegata alla fisiologia indiana, fondata sul sistema sottile. Secondo tale sistema, attraverso l'assunzione di diverse posizioni del corpo, il praticante diviene in grado di purificare i canali energetici (Nadi), incanalare l'energia verso specifici punti del corpo ed ottenere così un notevole beneficio psico-fisico. Le asana conosciute sono alcune migliaia; ciascuna di essere porta un nome derivato dalla natura (soprattutto animali), o dalla mitologia induista.
Pranayama Il Pranayama (controllo ritmico del respiro) è il quarto stadio dello Yoga, secondo lo Yogasutra di Patanjali. Insieme a Pratyahara (ritiro della mente dagli oggetti dei sensi), questi due stati dello Yoga sono conosciuti come le ricerche interiori (antaranga sadhana) ed insegnano come controllare la respirazione e la mente, quale mezzo per la liberare i sensi dalla schiavitù degli oggetti di desiderio. La parola Pranayama è formata da Prana (fiato, respiro, vita, energia, forza) e da Ayama (lunghezza,controllo, espansione). Il suo significato è quindi di controllo ed estensione del respiro (energia vitale). Pratyahara Per Pratyahara si intende l'emancipazione della mente, il suo ritiro dagli oggetti dei sensi. La ritrazione dei sensi si ottiene distaccando l'attenzione dall'ambiente esterno dirigendola verso l'interno. Dharana Il termine Dharana indica la capacità di cocentrazione, diventare tutt'uno con quello che si sta facendo, con un oggetto esterno o interno. Requisito indispensabile per i passi successivi.
Dhyana Dhyāna è un termine sancrita che letteralmente significa meditazione. Dalla traslitterazione della parola Dhyāna nell'ambito delle Filosofie orientali derivano i termini Chan, in cinese e Zen, in giapponese. Samadhi Per Samadhi si intende uno stato di coscienza superiore: è l'unione con Paramatma l'unione del meditante con l'oggetto meditato, l'unione dell'anima individuale con l'Anima universale. Si può individuare con uno stato d'essere equilibrato, raggiungimento del benessere totale, tramite un percorso che porta ad uno stato di profonda realizzazione. Fisiologia indiana Le tecniche insegnate dallo Yoga si fondano sulla fisiologia indiana secondo la quale il corpo umano è attraversato da canali energetici, le nadi, nei quali scorre il prana, l'energia universale. Le nadi sono oltre 40.000 (forse 72.000) ed irradiano tutto il corpo dell'energia dell'universo, i tre canali più importanti sono ida, pingala e sushuma che scorrono intorno alla spina dorsale incrociandosi in alcuni punti.
Hockey su prato L'hockey su prato è uno sport di squadra in cui due formazioni di 11 giocatori muniti di bastoni ricurvi si fronteggiano con l'obiettivo di mandare una palla di piccole dimensioni nella porta avversaria, difesa da un portiere. È una disciplina sportiva che ha molte somiglianze con il calcio, nonostante si usi un attrezzo per colpire la palla. Il terreno di gioco è preferibilmente in materiale sintetico (malgrado il prato) ma di dimensioni simili a quello del calcio. Gli 11 giocatori possono essere sostituiti con panchina di 5 elementi — le sostituzioni sono continue e senza limitazioni. La partita, diretta da due arbitri, è composta da due tempi di 35 minuti con un intervallo di 10 minuti. Le regole principali sono semplici. Per esempio, è vietato giocare la palla con la parte tonda del bastone o alzare il bastone sopra l'altezza delle spalle nell'esecuzione di un tiro, oppure toccare la palla con qualsiasi parte del corpo — escluso il portiere all'interno delle propria area di tiro.
Interessante notare che nell'hockey su prato non esiste la posizione di fuori gioco, in modo da favorire tattiche improntate alla velocità e ai ribaltamenti continui di fronte d'attacco. Il buon giocatore deve possedere tre qualità tecnico-tattico-fisiche basilari: destrezza, agilità e capacità di valutazione tattica del gioco. Ma una caratteristica di questo sport è da ricercare in ambito culturale. L'hockey è, infatti, un sport che si considera da veri gentiluomini, dove le doti morali e comportamentali sono messe al primo posto. Origini L'hockey su prato è un gioco che ha origini antichissime, diffuso in tutto il mondo, anche se poco noto in Italia. Tracce di giochi con bastone e palla sono attestate presso ogni civiltà. Dovunque (anche inGrecia) sono state rinvenute sculture, dipinti, manufatti decorati con scene raffiguranti giochi simili all'hockey. Ma è soprattutto in Europa, Isole Britanniche e Francia in primis, che l'hockey su prato ha trovato terreno fertile. E nell'Europa medioevale l'hockey era assai popolare. Tra il 1863 ed il 1875, in Inghilterra, l'hockey moderno, insieme al football e al rugby, prede forma definitiva, con la nascita della relativa federazione.
Nel 1861 nacque il primo club di hockey e in pochissimo tempo, con l'ingresso di tante altre formazioni, viene tracciato il primo regolamento ufficiale di gioco. Sotto la spinta dell'imperialismo britannico, l'hockey su prato si diffuse in tutto il mondo e in special modo proprio nelle colonie. Infatti, è fra gli sport attualmente più popolari in India, Pakistan, Australia e Nuova Zelanda , nazioni che da sempre fanno parte, assieme alle europee Germania, Olanda, Inghilterra, del vertice dell'hockey mondiale. Olimpiadi L'hockey su prato ha fatto la sua comparsa alle olimpiadi nel 1908 alla IV Olimpiade di Londra. Le due edizioni successive però non includevano questa specialità che verrà reinserita alla VII Olimpiade di Anversa nel 1920. L'Italia ha partecipato nel 1952 e nel 1960 (quale paese organizzatore).
Cricket Il cricket è uno sport a squadre giocato fra due gruppi di undici giocatori ciascuno. È nato, almeno nella sua forma moderna, in Inghilterra ed è popolare principalmente nei paesi del Commonwealth. In alcuni paesi dell'Asia del Sud, compreso India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka, il cricket è di gran lunga lo sport più popolare. È inoltre uno sport importante in Inghilterra, in Galles, in Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Zimbabwe ed i Caraibi anglofoni (Indie Occidentali). La lunghezza delle partite (possono durare dalle sei ore a giorni interi, occasionalmente settimane), i numerosi intervalli per il pranzo e il tè e la terminologia complicata rendono difficilmente comprensibile questo sport agli spettatori poco esperti. Storia Il cricket nasce in Inghilterra del sud tra il XIV ed il XV secolo diventando popolare fin da subito tra le classi della borghesia britannica. Le prime notizie di questo sport in Italia risalgono alla fine del XVIII secolo, quando nel 1793 a Napoli viene organizzata una partita tra due squadre formate dagli uomini degli equipaggi di Lord Nelson.
Ci rimane anche il nome del primo patrocinatore del cricket italiano, un certo Maceroni, colonnello dell'esercito borbonico. Fu comunque solo un evento isolato, infatti si dovrà attendere la fine del XIX secolo per vedere questo sport fare la sua prima apparizione ufficialmente in Italia. Nel 1893, veniva fondato il Genoa Cricket and Football Club, inizialmente composto da soli marinai inglesi che alternavano al cricket, nella stagione invernale, il calcio. Infatti la squadra che ha vinto nel 1898 il primo scudetto nella storia calcistica italiana era formata per otto undicesimi da giocatori inglesi, tra cui spiccava il mitico James Spensley, campione in entrambi questi sport, che fondò e presiedette il club fino al 1907. Come il Genoa, anche il Milan e l'Internazionale Torino (in seguito assorbita dal Torino Calcio) nacquero come club di cricket, anche se nel giro di dieci anni prenderanno a dedicarsi esclusivamente all'emergente calcio. Come in Italia, anche se più antica, è stata la sorte di questo sport oltreoceano. Negli USA infatti, è passato da sport dominante prima della guerra di secessione ad attività marginale già a fine secolo, soppiantato dal suo derivato sintetico ed attuale sport leader americano: il baseball.
Sebbene non della stessa portata del calcio e del rugby, anche il cricket ha avuto una sorta di globalizzazione dopo la seconda guerra mondiale; più precisamente con la concessione dell'indipendenza ai Dominions britannici e la nascita del Commonwealth. Attualmente figurano come Full Members dell'International Cricket Council dieci paesi; la fa da padrone l'Asia con quattro paesi del subcontinente (Bangladesh, India, Pakistan e Sri Lanka), seguono l'Africa (Sudafrica e Zimbabwe) e l'Oceania (Australia e Nuova Zelanda) con due, per finire con Europa (Inghilterra) ed America (Indie Occidentali) con uno. In tutti questi paesi si gioca il Test cricket, ovvero il gioco originale con partite che possono durare anche cinque giorni. Tuttavia è negli ultimi vent'anni, con l'avvento della televisione nello sport e l'interessamento di due magnati televisivi australiani, dapprima Kerry Packer proprietario della rete terrestre Channel 9 e successivamente Rupert Murdoch padrone del colosso satellitare Sky, che il cricket ha trovato la sua dimensione internazionale. Le moderne esigenze televisive infatti hanno contribuito all'affermazione dell'One-day cricket, gioco con le stesse regole del Test ma con un numero limitato di overs per squadra (attualmente il numero di overs è fissato a 50) e che, nato ufficialmente negli anni sessanta, vide il suo primo incontro internazionale (ODI) disputarsi nel 1971 tra Australia ed Inghilterra mentre nel 1975 si è giocata la prima World Cup.
Di questo "nuovo" cricket fa parte anche l'Italia, attualmente piazzata intorno alla ventesima posizione mondiale, dove ha ripreso gradualmente vigore all'inizio degli anni '60. Da principio con la creazione di un campo nella Villa Doria-Pamphili a Roma, a cui ha fatto seguito la nascita, a Milano, del Milan Cricket Club (in cui si è formato anche un capitano della nazionale inglese, Ted Dexter). Tuttavia, è solo con la nascita della Federazione Cricket Italiana il 26 novembre 1980 che il gioco ha cominciato ad essere praticato in modo regolare e continuativo a livello nazionale. Nel 1980 nacque appunto la squadra Villa Doria-Pamphili Cricket Club, che successivamente cambiò nome in Capannelle Cricket Club, fondata dai due più grandi giocatori Italiani ossia Francis Alphonsus Jayarajah e Massimiliano Brian Da Costa. Nel 1900 il cricket fece parte dei Giochi Olimpici. Lo spirito del gioco Il cricket è un gioco che deve molto della sua unicità al fatto che dovrebbe essere giocato non soltanto secondo le relative leggi ma anche secondo lo Spirito del Gioco. Qualsiasi azione che è vista come contraria a questo Spirito causa un danno al gioco stesso. La responsabilità principale di assicurarsi che il gioco sia condotto secondo lo spirito del fair play è dei capitani.
Questo è il preambolo che precede l'elenco delle "Leggi del cricket" e che introduce il breve paragrafo dal titolo Lo spirito del gioco, dove si elencano tutta una serie di regole che solitamente negli altri sport sono "non scritte" e affidate al buon senso dei giocatori. Queste regole comprendono, per esempio, il rispetto verso l'avversario, verso gli umpires (arbitri) e i valori tradizionali del gioco; il divieto di indirizzare verso un umpire e verso gli avversari parole irrispettose o offensive (è addirittura vietato avanzare verso un umpire con passo aggressivo); e soprattutto la condanna assoluta di qualsiasi atto violento tra i giocatori sul campo di gioco. La partita La partita viene disputata tra due squadre composte di undici elementi ciascuna. Si gioca in un campo in erba dalla forma ovale o rettangolare e dalle dimensioni non precisate (solitamente tutto lo spazio disponibile). Al centro del prato è collocata una corsia, lunga venti metri e larga due, chiamata pitch, ai cui estremi sono posti i tre paletti che formano il wickets. Le due squadre non schierano entrambe tutti e undici i giocatori; ogni frazione di gioco (innings), infatti, vede impegnati gli undici di una squadra nel lanciare la palla e difendere il campo (fielder) e un singolo avversario alla battuta dove, una volta eliminato, viene sostituito da un compagno di squadra fino all'eliminazione del decimo battitore.
Tra un innings e l'altro, le squadre, invertono i propri ruoli. Scopo del gioco è quello mettere a segno più punti possibili e di non farsi eliminare quando si è in battuta; e viceversa di non far segnare punti e di eliminare i battitori avversari quando questi sono al lancio. Vince chi realizza più punti. Ruoli Battitore Il battitore è posizionato sulla batting crease in attesa del lancio della palla. Ci sono diverse tecniche per colpire la palla, le più comuni sono due: la shot o stroke, che consiste nel colpire la palla in pieno con la mazza; e la edge o snick, andando a respingere la palla con il bordo della mazza. A seconda di quella che è la strategia della squadra e il tipo di lancio ricevuto, il battitore può decidere se effettuare un colpo difensivo (al quale non fa seguito la runs), oppure un colpo aggressivo per avere la possibilità di segnare rapidamente la runs. I battitori entrano in campo secondo un ordine (batting order) deciso dal capitano della squadra; i primi due battitori che scendono in campo sono detti "openers" e generalmente sono i migliori elementi in battuta della squadra, visto che, essendo il lanciatore più fresco e la palla ancora nuova, dovranno affrontare i lanci più impegnativi della partita. A seguire andranno in battuta i giocatori via via più scarsi, fino ad arrivare al lanciatore (in genere il meno abile alla battuta).
Questo ordine può essere tuttavia cambiato, per motivi strategici, in qualunque momento durante il corso del gioco. Per segnare una run il battitore deve, dopo aver colpito la sfera, correre al lato opposto del pitch contemporaneamente al suo compagno che non ha eseguito la battuta. Entrambi i runners (il nome che assume il battitore mentre esegue la corsa) devono toccare il terreno oltre la popping crease con la mazza. Se il colpo è stato particolarmente forte o difficile da recuperare per i fielders, i due runners possono provare anche a scambiarsi nuovamente, mettendo a segno tante runs quante ne riescono ad eseguire. Non c'è un numero massimo di runs effettuabili in una singola battuta, ma se un fielder abbatte il wicket con la palla mentre i runners sono fuori dalle loro posizioni (oltre la popping crease), il battitore più vicino a questa viene eliminato. Qualora la palla colpita finisca oltre la linea di boundary la squadra segna automaticamente quattro runs, addirittura sei se la palla esce senza prima toccare il terreno. Ogni run messa a segno da un battitore contribuisce al punteggio finale della squadra. Questo punteggio include, inoltre, un certo numero di extra-runs che vengono accreditate senza che ci siano battute. Queste possono essere assegnate nei casi di byes, leg byes, no balls, wides oppure come penalità.