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I confini europei della biografia di Ugo Foscolo.
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I confini europei della biografia di Ugo Foscolo Nasce nel 1778 a Zante, isola greca dello Jonio, governata dalla Repubblica Veneta. Nel 1785 si trasferisce con la famiglia a Spalato, poi (1792) a Venezia, da dove si sposta anche a Padova, studiando lettere classiche e moderne (legge ad esempio Rousseau e tra gli inglesi Pope, Gray e i Canti di Ossian, dapprima nella traduzione di Cesarotti). Col triennio democratico (1796-99) cominciano le sue peregrinazioni, anche al seguito dell’Armée d’Italie, dove si arruola una prima volta nell’aprile 1797. Come capitano di fanteria trascorre un lungo periodo in Francia tra il 1804 e il 1806. Dopo vari anni trascorsi soprattutto fra Milano, Pavia e Firenze, prenderà nel 1815 la via dell’esilio, fermandosi prima in Svizzera poi, dal settembre 1816, a Londra, dove muore nel 1827.
Da Bonaparte a Napoleone Nella primavera del 1796, per i letterati italiani di idee democratiche come Foscolo, il generale Bonaparte è il ‘liberatore’ che, combattendo contro le truppe asburgich,e ha dato occasione agli stati dell’Italia settentrionale di costituirsi in repubbliche autonome. Dall’ottobre del 1797 peserà tuttavia su di lui il trattato di Campoformio. Ma nel giugno 1800, vincendo la battaglia di Marengo, Bonaparte riassume il ruolo di liberatore, battendo la coalizione austro-russa che aveva riconquistato l’Italia nel 1799. Ormai, però, si è proclamato Primo Console (con il colpo di stato del 18 Brumaio = novembre 1799). Ai Comizi di Lione (gennaio 1802) Bonaparte riesce ad imporsi come Presidente della Repubblica Italiana. Ma avendo ottenuto la corona imperiale (nel maggio 1804), dal 1805 sarà re anche in Italia, come Napoleone I. Caduto nell’aprile 1814, Bonaparte riacquista brevemente il potere dal marzo al giugno 1815 (per i cosiddetti “100 giorni”). L’esilio a S. Elena finirà solo con la morte, il 5 maggio 1821 (morte che ha ispirato la famosa ode manzoniana).
Le prime edizioni dell’Ortis [1798-1801] 1798: l’editore Marsigli pubblica a Bologna, a puntate, Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Escono (fino ai primi mesi del ‘99) in tutto 45 lettere, contrassegnate con numeri romani, come nella traduzione italiana del Werther (originale 1774; trad. ital. 1782). Il tempo del racconto va dal 3 settembre 1797 al 31 maggio 1798 (J. decide di allontanarsi da T.): le coordinate sono quindi diverse rispetto alla redazione definitiva, che noi leggiamo. 1799 (estate): esce, con data 1798, a Bologna (dove gli Austriaci sono rientrati nel giugno) un volumetto, sempre intitolato Ultime lettere …, frutto di un primo rimaneggiamento di Angelo Sassoli, che aggiunge vari materiali (foscoliani ?). Viene respinto dalla censura. 1799-1800: col titolo Vera storia di due amanti infelici escono, sempre per Marsigli, due redazioni del romanzo, una modificata in chiave antirivoluzionaria (nel 1799, forse ad agosto), l’altra filo-francese (nel 1800, dopo Marengo). 1801: Foscolo fa stampare a Milano un’edizione ancora incompleta delle Ultime lettere, che non viene mai diffusa presso il pubblico.
L’Ortis ‘milanese’ (1802) Nell’ottobre 1802 Foscolo pubblica a Milano, per le edizioni del Genio Tipografico, la prima edizione dell’Ortis completa e approvata. Nella quale: • il tempo della narrazione arriva fino al marzo 1799 [aprile 1799 = caduta della ‘prima’ Repubblica Cisalpina]; • la seconda parte è incentrata sulle peregrinazioni di Jacopo per l’Italia, dall’Adriatico al Tirreno, da Firenze alle Alpi; • la figura del padre di Teresa compare per la prima volta; • la figura di Odoardo muta completamente di segno: da positivo a negativo; • viene inserita ex-novo [in quella che ora è la prima parte] la scena del bacio (lettera del 14 maggio); • acquista un’importanza decisiva la figura dell’amico-destinatario-editore.
L’Ortis dopo la Restaurazione 1816: edizione zurighese, con la falsa data di Londra. Le caratteristiche principali sono l’aggiunta della lettera del 17 marzo [1798] e quella della Notizia bibliografica intorno alle Ultime lettere di Jacopo Ortis. 1817: edizione londinese, con leggerissime varianti. Per la prima volta compare la distinzione in 2 parti, corrispondenti a 2 piccoli tomi. La notizia è ridotta rispetto all’ed. di Zurigo; nel II tomo vengono pubblicati alcuni capitoli della traduzione foscoliana dal Sentimental Journey di Laurence Sterne.
Il romanzo nella tradizione letteraria italiana Ancora in pieno secolo XVI, quando ferve in Italia la discussione sui generi letterari e i loro confini, il termine romanzo sta ad indicare una composizione per lo più in versi (e specificamente in ottava rima), caratterizzata dalla varietà delle azioni e dei protagonisti e da costruzione varia e complessa. Cfr. il trattato più famoso di G.B. GiraldiCinzio, Discorso intorno al comporre dei romanzi (1554). Non è vero che l’Ortis sia il primo romanzo ‘moderno’ della tradizione italiana. Esiste in Italia tra Sette- e Ottocento una produzione di romanzi in prosa, opera anche di letterati illustri come Alessandro Verri, Ippolito Pindemonte, Vincenzo Cuoco: ma Foscolo stesso (prendendosela piuttosto con i più ‘popolari’ Pietro Chiari e Antonio Piazza) si dichiarò estraneo a quella linea, dove il carattere fantastico e la trasposizione allegorica erano prevalenti.
La scelta della forma epistolare e il suo funzionamento nell’Ortis L’autore reale del romanzo, Ugo Foscolo • non si firma; • presenta le Lettere come il frutto di un lavoro editoriale compiuto, come gesto di pietas e di amicizia, da tal Lorenzo Alderani. Il quale pubblica le lettere ricevute dall’amico suicida, e inserisce in vari luoghi del testo ‘sue’ considerazioni e informazioni, senza le quali il lettore non avrebbe chiaro nemmeno l’epilogo della vicenda di Jacopo; • attraverso le lettere di Jacopo a Lorenzo, e gli interventi di Lorenzo, [Foscolo] racconta vicende che anche lui ha vissuto, esprime il suo punto di vista, dà un esempio concreto di quella che egli stesso chiama la poetica delle illusioni.
Premessa alla Notizia Bibliografica Dalle ripetizioni come pure dalle incoerenze d’alcune idee, e dalla diversità dello stile, molti s’accorgeranno come i seguenti articoli, benchè fatti di concerto e co’ medesimi materiali, non furono compilati da una penna sola nè nella stessa lingua. I primi quattro sono d’uno scrittore, il quinto è d’un altro; e gli ultimi due furono scritti in italiano da un terzo, che tradusse i precedenti, e si studiò di ridurli possibilmente a un tenore; non però usò dell’arbitrio di troncar mai l’altrui testo. S’è anche avuto riguardo al librajo, il quale ristampando opere italiane con somma cura in grazia de’ forestieri, curiosi d’aneddoti e di critica letteraria, ci ha richiesto d’una notizia che senza impostura potesse intitolarsi Bibliografica. Per altro chi volesse scansare le ripetizioni e soddisfare la propria curiosità nelle materie che più gl’importano potrà ommettere o trasciegliere[sic!] i varj paragrafi secondo il titolo; eccoli: - I. Edizione prima – II. Edizioni successive – III. Traduzioni – IV. Verità storica del libro – V. Pareri letterarj – VI. Werther e Ortis – VII. Effetti morali del libro.
I due modelli di romanzo epistolare più prossimi all’Ortis a più voci per ‘voce sola’ J.W. Goethe, DieLeidendesjungenWerthers, 1774. Il romanzo è composto dalle lettereche Werther scrive all’amico Wilhelm tra il maggio 1771 e il dicembre 1772. Wilhelm le raccoglie e scrive l’ultima parte, usando i documenti e gli ultimi frammenti epistolari che riesce a trovare fra le carte dell’amico defunto. J.J. Rousseau, Julie, ou La Nouvelle Héloïse, 1761. Le lettere che compongono il romanzo sono numerosissime: 163, divise in 6 sezioni. Coinvolti nel carteggio sono soprattutto: • Julie, la protagonista, figlia del barone d'Etange; • La cugina e amica di Julie, Claire • il giovane precettore e innamorato di Julie, Saint-Preux; • milord Edward Bomston, suo amico; • d'Orbe, futuro marito di Claire; • de Wolmar, marito di Julie.
La vicenda de La nuova Eloisa* La protagonista, Julie, è una giovane baronessa, che vive lontano dalla mondanità, in una piccola cittadina sul Lago di Ginevra. Qui s’innamora del suo precettore Saint-Preux, vera ‘anima gemella’, che però è socialmente inferiore a lei. Sulla passione, anche sensuale, che li ha travolti Julie vorrà, dopo molte crisi ed esitazioni, far prevalere la ragione, accettando di sposare l’uomo che il padre ha scelto, l’anziano signor de Wolmar. Saint-Preux, disperato, si allontana: s’imbarca e resta in viaggio per alcuni anni. Nel frattempo Julie cerca di vivere serenamente col marito e i due figli nati dal matrimonio. Quando Saint-Preux torna dal suo viaggio, viene accolto in casa del saggio e ragionevole Wolmar, che per vedere felice Julie, fidandosi completamente di lei, instaura una specie di idillio rustico. Saint Preux tuttavia non riesce a mettere da parte la passione che lo lega a Julie; rifiuta di sublimare il suo desiderio e di mutarne l’oggetto sposando Claire, l’amica e cugina di Julie: quindi riparte. Ma poco dopo riceve una lettera che gli porta una notizia tragica: Julie si è tuffata nel lago per salvare uno dei suoi bambini, ma si è ammalata e sta per morire. Julie stessa riesce ancora a scrivere una lettera a Saint-Preux, confessando di non aver mai smesso di amarlo e gli affida l’educazione dei figli. [*in rosso le analogie tematiche rispetto all’Ortis]
La vicenda de I dolori del giovane Werther Werther è un giovane artista che si trasferisce temporaneamente in campagna per seguire certi affari di famiglia e coltivare la sua passione per il disegno. S’immerge con gioia nello studio della natura ed entra in rapporti di familiarità con la gente di un piccolissimo paese, Wahlheim. Qui, ad un ballo campestre incontra Charlotte (Lotte), una giovane semplice, intelligente e affettuosa, che subito lo affascina, anche se prima ancora di conoscerla è stato avvisato che ella è già fidanzata. Il promesso sposo di lei, Albert, un uomo ragionevole e posato, in quel momento è lontano da casa e Werther ha così modo di frequentare Lotte e di innamorarsene. Credendo di non essere corrisposto, e sapendo che lei si prepara al matrimonio, Werther lascia Wahlheim al ritorno di Albert, il quale comunque lo tratta da amico. Werther se ne va con il proposito di intraprendere la carriera diplomatica, e cerca di frequentare altre donne. Ma l’ambiente in cui dovrebbe inserirsi gli ripugna, per cui lascia presto il lavoro e torna da Lotte, che nel frattempo si è sposata. Werther però non resiste e si dichiara alla sua amata, che cerca di respingerlo e gli fa promettere di non farsi più vedere fino alla vigilia di Natale. Travolto dalla sua passione infelice, Werther non riesce a immaginare la sua vita senza Lotte, e comincia a pensare al suicidio. Una sera, approfittando dell'assenza di Albert, disobbedisce e va a trovare Lotte. Insieme leggono lunghi passi dai Canti di Ossian e, commossi, finalmente si baciano. Lotte sente che sta per cedere e a fatica riesce a respingere Werther. Il quale chiede allora ad Albert, con una scusa, di avere in prestito le pistole del rivale e si uccide con un colpa alla tempia.
Il giudizio foscoliano sulla Nuova Eloisa (nella Notizia Bibl.) Ricavò [l’autore] molti affetti dall’anima sua; moltissimi ne inventò con la sua fantasia, e a forza d’ingegno li scalda, li svolge, li mostra da tutta le parti adornati, a fine di costringere ogni lettore più incallito dalla corruttela, a sentirli: e intanto l’autore si compiace della propria fatica, e dimenticandosi de’ suoi personaggi, non pensa che a sé. Alla seconda lettura di quelle lettere, massime chi la ripiglia in età matura, ognuno s’accorge che Rousseau non ha colto nel segno appunto perché ha voluto mirarvi un po’ troppo. […] le passioni sono nella N.E. oratoriamente descritte, come da persone che non ne sono attualmente invasate; ma che con l’immaginazione e con la ragione ritornano a’ tempi passati per esaminare il loro cuore.
Punti di divergenza Werther <-> Ortis (nella Notizia Bibl.) [1] 1. Wilhelm è soltanto «un nome», mentre Lorenzo Alderani è «un uomo», che ha molto in comune con l’amico che gli scrive. Certo è per carattere più moderato, ma condivide pienamente le idee politiche di Jacopo. 2. La passione per una donna sposata, come è Lotte, e quello per una fanciulla non ha le stesse caratteristiche. L’amore di Jacopo per Teresa assume subito una funzione precisa: è una passione che il protagonista nutre «come diversione di più dure passioni le quali esacerbandogli l’anima di rabbia impotente, che lo avvilisce davanti a sé, non gli lasciavano nessuna speranza di soddisfarle, e quindi nessun alimento alla vita». 3. Werther e Jacopo sono diversi, soprattutto per l’esperienza che hanno (o non hanno) alle spalle. Werther è davvero giovane, e quando incontra Lotte la passione travolge la sua anima «delicata», mentre l’anima di Ortis è «fortissima […] ed esperimentata al dolore».
Punti di divergenza Werther <-> Ortis (nella Notizia Bibl.) [2] 4. I rapporti tra Werther ed Albert sono del tutto diversi da quelli tra Jacopo e Odoardo. Tra i primi arriva ad esserci amicizia, mentre Jacopo disprezza Odoardo fin dal primo momento. 5. Lotte «ama Alberto, e lo sposa per obbedire agli estremi consigli della madre che moribonda l’aveva raccomandata a quell’uomo». Teresa al contrario confida quasi subito a Jacopo di non essere felice, e di subire il fidanzamento come un atto di tirannide del padre: atto che ha causato anche l’allontanamento della madre, e la dolorosa rottura dell’unità familiare. 6. La decisione di morire matura e si compie in modo diverso. Nel Werther la situazione precipita in un paio di settimane, e dalla decisione di morire al suicidio passano quattro ore. Ortis porta con sé fin dal principio il desiderio della morte: all’inizio la passione per Teresa lo allontana da questo progetto, poi gli dà un ulteriore alimento. Ma Ortis prepara lentamente la sua morte, e anche le diverse armi scelte per togliersi la vita hanno un preciso significato.
Il suicidio di Jacopo tra Cristo e il Catone di Plutarco (trad. Pompei) Dal Vangelo secondo Giovanni, 19.34: […] “ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lanciae subito ne uscì sangue e acqua”. N.B. L’interpretazione cristologica è plausibile soprattutto (solo?) se la si legge in un tessuto di rimandi alle Sacre Scritture, inaugurato dalla frase di apertura del romanzo, che rimanderebbe alle ultime parole pronunciate da Cristo in croce, sempre secondo Giovanni, 19.30: “Consummatum est”. Catone […]sguainò la spada e se la ficcò sotto al petto; ma non avendo potuto usar la mano con forza […] non restò subito provo di vita e, agitando-si nelle agonie della morte, cadde giù dal letto, e gittando a terra una certa tavola geometrica, che vicina era, fece romore, cosicché […] il figliuolo e gli amici sen corsero dentro, i quali, come veduto l’ebbero tutto imbrattato di sangue e con gl’intestini per la maggior parte fuori, quantunque fosse per altro pur vivo e guardasse, tutti inorriditi restarono, ed il medico, fattosegli presso, studiavasi di rimet-tergli dentro gli intestini medesimi, che illesi erano, e di cucirgli la ferita, ma, riavutosi egli alquanto e tornato in se stesso, respinse il medico e, strappatisi gl’intestini allora colle proprie sue mani e laceratasi la ferità, morì. [per il peso della figura di Catone ric. l’exergo dell’Ortis e anche la lettera del 17 marzo]
Suicidio di Catone Uticense Guercino
La ‘ragione poetica’ dell’Ortis come traspare dalla Not. Bibl. “Fu chi disse che il libro tende unicamente a insinuare negl’Italiani la passione dell’indipendenza; l’aborrimento a qualunque dominazione straniera; e il disprezzo d’ogni setta religiosa, letteraria e politica, le quali lacerando l’Italia la lasciano a beneplacito del più forte: però le massime di politica sono artificiosamente ravviluppate in un libretto d’amore affinché penetrasse nel cuore de’ giovani e delle donne”. Il tema d’amore esercita la fantasia ed eccita i cuori. E “la sostanza d’un romanzo, come il Werther e l’Ortis, consistendo tutta di commozioni naturali penetra le anime. E quando da mille colpi graduati, continuati, diversificati con novità, modificati con arte, […] le anime giovanili siano state una volta gagliardamente scosse, conservano se non quel moto medesimo, certamente una oscillazione protratta per anni.
Gli interventi del personaggio-Lorenzo nell’Ortis Il personaggio dell’amico di Jacopo, ‘esecutore testamentario’ ed editore del suo carteggio, prende la parola più volte nel romanzo: • esplicitamenterivolgendosi Al lettore, in apertura; • segnalando una (ovviamente finta) lacuna nel carteggio, tra le lettere dell’11 e del 23 dicembre [1797]; • di nuovo rivolgendosi A chi legge dopo la lettera del 2 giugno [1788], in cui Jacopo annunciava il proposito di partire, che però (si apprende appunto dai racconti ‘di cucitura’ di Lorenzo) si era poi tradotto in azione soltanto il 20 luglio; • dopo la lettera del 5 marzo [1799] da Rimini, dove Jacopo annunciava in sequenza la morte di Bertòla e di aver saputo delle nozze di Teresa. Da questo punto alla fine gli interventi si fanno molto fitti.
A proposito degli intarsi letterari nell’Ortis: alcuni tasselli alfieriani 1. Al lettore Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta; e di consecrare alla memoria del solo amico mio quelle lagrime, che ora mi si vieta di spargere su la sua sepoltura. […] N.B. La virtù sconosciuta è un trattatello in forma di dialogo composto da Alfieri nel 1786, in ricordo dell’amico senese Francesco GoriGandellini. Nell’opera l’autore e l’amico defunto discorrono idealmente del concetto di gloria e della funzione civile della memoria. 2. Due volte Jacopo cita il Saul, la tragedia biblica di Alfieri. 2a. La prima volta lo declama da solo, nel bosco, nell’estate 1798, quando sta maturandola decisione di lasciare i Colli Euganei, e accarezza anche l’idea del suicidio, ma viene fermato dal pensiero della madre (come Saul da quello dei figli). 2b. La seconda volta trova un volume delle tragedie di Alfieri a casa di Teresa (è il 14 marzo 1799, quindi la decisione di morire è già presa), lo apre e cerca il III atto del Saul, scena IV. Poi riapre il volume e legge a caso dalla Sofonisba (altra eroina suicida).
A proposito degli intarsi letterari nell’Ortis:le citazioni dal Socrate delirante di C.M. Wieland In molti commenti si legge che l’episodio del tentativo di seduzione da parte di una bella signora “di forse trentacinque anni” (nella lettera dell’11 dicembre [1797] da Padova) sarebbe ispirato alla relazione che aveva unito Foscolo a Isabella Teotochi (1760-1836) sposata sedicenne all’anziano senatore Carlo Marin e dal 1796, dopo l’annullamento del matrimonio, unita segretamente in matrimonio al conte Giovanni Albrizzi. Ma è stato dimostrato da Walter Binni, già nel 1769, che l’episodio è comunque una riscrittura quasi letterale di una pagina del Socrate delirante di Christoph Martin Wieland (1733-1813), pubblicato in traduzione italiana nel 1781 a Venezia. Il Socrate delirante è anche il libro in cui Teresa e Jacopo leggono insieme, commuovendosi fino alle lacrime, la storia della morte di Gliceria e delle visite che il suo amante, rimasto solo, rende al suo tumulo ogni anno (lettera dell’11 aprile [1798]).
Altre storie di amanti infelici: “racconti di sciagura” dell’Ortis • Gliceria: personaggio letterario del Socrate delirante, morta prematuramente e compianta dal suo amante, che ne coltiva il ricordo. La sua storia (vedi slide prec.) è citata nella lettera di Jacopo a Lorenzo dell’11 aprile 1798. • Olivo P.: amico di Jacopo e Lorenzo: ha dovuto rinunciare alla donna che amava per un tracollo finanziario, che gli ha precluso il matrimonio. La giovane è andata in sposa di un ricco collezionista «di frontespizi», e ha presto dimenticato Olivo. La notizia della morte di quest’ultimo sconvolge Jacopo, che si lascia andare ad un’invettiva veemente contro la falsa scala di valori cui la maggioranza degli uomini soggiace (lettera del 17 aprile [1798]) • Lauretta: amica di Jacopo, condotta alla follia dal dolore per la morte dell’amato. J. ne scrive la storia per Teresa (cfr. la lettera del 29 aprile e il Frammento che subito segue), attingendo a Sterne. La notizia della morte di L. è commentata nella lettera del 25 maggio.
Ugo e Jacopo: vite (in parte) parallele [FOSCOLO aveva trascorso in un paesino dei Colli Euganei parte dell’estate 1796] Nel 1797 F. lascia Venezia solo nel novembre, per trasferirsi a Milano, dove chiede la cittadinanza della Repubblica Cisalpina. Qui conosce Parini. Dal gennaio all’aprile 1798 collabora, sempre a Milano, al «Monitore Italiano». All’inizio di settembre 1798, dopo il colpo di stato dell’ambasciator Trouvé, va a Bologna, dove comincia a pubblicare il «Genio Democratico» e l’Ortis. Da novembre lavora alla cancelleria del Tribunale. Nel febbraio 1799 lascia il lavoro al Tribunale e si arruola di nuovo nella Guardia Nazionale, dove aveva già militato nella primavera 1797. Il 24 aprile 1799 viene ferito a Cento, e trova rifugio in un monastero col falso nome di Lorenzo Alighieri. ORTIS scrive la prima lettera a Lorenzo, dai Colli Euganei, l’11 ottobre 1797. Dai Colli si allontana per recarsi a Padova nel dicembre, ma dopo poche settimane torna sui Colli. Dopo aver abbracciato la decisione di partire già a giugno, inizia il suo viaggio per l’Italia il 20 luglio 1798(v. slide successiva), dopo aver scritto a Teresa e anche al signor T. Torna sui Colli Euganei il 13 marzo 1799. Ha già deciso di suicidarsi (la sera del 5 marzo). Fra il 20 e il 25 marzo torna brevemente ad Arquà, poi trascorre un giorno a Venezia, facendo visita a Lorenzo, alla madre, alla tomba di Lauretta e anche alla madre di quest’ultima. Si ferma di ritorno a Padova, ospite del prof. C* [Cesarotti?]
Le tappe del viaggio nell’Italia centro settentrionale • Rovigo, poi Ferrara: 20 luglio • Bologna: dal 24 luglio al 12 agosto • Firenze: dal 17 agosto al 25 settembre • Milano [via Parma]: dal 27 ottobre all’8 febbraio [1799] • Genova: 11 febbraio • Pietra Ligure: 15 febbraio • Ventimiglia: 19-20 febbraio • Alessandria: 29 febbraio • Rimini: 5 marzo • Colli Euganei: ritorno [via Ravenna], arrivando il 13 marzo
Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l’Italia Traduzione di Didimo Chierico Orecchio ama pacatola Musa, e mente arguta, e cor gentile
1810: progetti per un nuovo romanzo A Giovio: dice di voler scrivere un romanzo “fratello dell’Ortis; ma con altre tinte – con la tavolozza di Swift, dell’amico mio Lorenzo Sterne, di Don Chisciotte, di Platone”. Ad Isabella TeotochiAlbrizzi: “rido come ridevano Rabelais, Sterne, e Cervantes”.
Nomen omen… Didimo si chiamava un filosofo e soprattutto grammatico del I sec. che aveva scritto un numero di opere sterminate – si parla di 3500 – ma di cui non è rimasto quasi nulla, solo frammenti. Chierico = intellettuale, dotto (tipico della condizione di clericus. Infatti il Didimo foscoliano, pur non essendo un religioso “vestiva da prete”, come recita la Notizia. Peraltro “didimo” → greco “didimos”, doppio. Didimo è il fratello “complementare” e anti-eroico di Ortis.
DIDIMO CHIERICO A' LETTORI SALUTE [introduce la traduzione del Sentimental Journey] [1] Lettori di Yorick, e miei. Era opinione del reverendo Lorenzo Sterne parroco in Inghilterra: Che un sorriso possa aggiungere un filo alla trama brevissima della vita;* ma pare ch'egli inoltre sapesse che ogni lagrima insegna a' mortali una verità. Poiché assumendo il nome di Yorick, antico buffone tragico, volle con parecchi scritti, e singolarmente in questo libricciuolo, insegnarci a conoscere gli altri in noi stessi, e a sospirare ad un tempo e a sorridere meno orgogliosamente su le debolezze del prossimo. Però io lo aveva tradotto or son più anni, per me: ed oggi che credo d'avere una volta profittato delle sue lezioni, l'ho ritradotto, quanto meno letteralmente e quanto meno arbitrariamente ho saputo, per voi. [continua] *Tristam Shandy, epist. dedic.
DIDIMO CHIERICO A' LETTORI SALUTE [2] [->] Ma e voi, Lettori, avvertite che l'autore era d'animo libero, e di spirito bizzarro, e d'argutissimo ingegno, segnatamente contro la vanità de' potenti, la ipocrisia degli ecclesiastici, e la servilità magistrale degli uomini letterati: pendeva anche all'amore e alla voluttà; ma voleva a' ogni modo parere, ed era forse, uomo dabbene e compassionevole e seguace sincero dell'evangelo ch'egli interpretava a' fedeli. Quindi ei deride acremente, e insieme sorride con indulgente soavità; e gli occhi suoi scintillanti di desiderio, par che si chinino vergognosi; e nel brio della gioia, sospira; e mentre le sue immaginazioni prorompono tutte ad un tempo discordi e inquietissime, accennando più che non dicono, ed usurpando frasi, voci ed ortografia, egli sa nondimeno ordinarle con l'apparente semplicità di certo stile apostolico e riposato. Anzi in questo libricciuolo, ch'ei scrisse col presentimento avverato della prossima morte, trasfuse con più amore il proprio carattere; quasi ch'egli nell'abbandonare la terra volesse lasciarle alcuna memoria perpetua d'un'anima sì diversa dalle altre. Or voi, Lettori, pregate pace all'anima del povero Yorick; pregate pace anche a me finch'io vivo. Calais, 21 settembre 1805.
Le opere di Didimo Chierico affidate all’editore del Viaggio sentimentale (= dall’una all’altra maschera foscoliana). • Ipercalisse, complicatissima opera in versetti latini pubblicata effettivamente da Foscolo/Didimo a Zurigo nel 1816. Alcune copie furono addirittura dotate di una clavis. Sulla stessa linea le Lettere scritte dall’Inghilterra. • Un’opera memorialistica, in greco, in cinque libri (tit. lat. Dydimiclerici libri memorialesquinque), che non corrispondono a nessuna opera pubblicata da Foscolo, ma vanno sicuramente messi in relazione al Sesto tomo dell’io (composto nel 1801, rimasto inedito e frammentario) • La traduzione del SentimentalJourney, che è appunto l’opera in appendice alla quale venne stampata la notizia.
Ora dirò de’ suoi costumi esteriori. Vestiva da prete; non però assunse gli ordini sacri, e si faceva chiamare Didimo di nome, e chierico di cognome; ma gli rincresceva sentirsi dar dell’abate. Richiestone, mi rispose Lafortuna m’avviò da fanciullo al chiericato; poi lanatura mi hadeviato dal sacerdozio: mi sarebbe rimorso l’andare innanzi, e vergogna il tornarmene addietro: e perché io tanto quanto disprezzo chi muta istituto di vita, mi porto in pace la mia tonsura e questo mio abito nero: così posso o ammogliarmi, o aspirare ad un vescovato. Gli chiesi a quale de’ due partiti s’appiglierebbe. Rispose Non ci ho pensato: a chi non ha patria non istà bene l’essere sacerdote, né padre.
Teneva irremovibilmente strani sistemi; e parevano nati con esso: non solo non li smentiva co’ fatti; ma, come fossero assiomi, proponevali senza prove: non però disputava a difenderli; e per apologia a chi gli allegava evidenti ragioni, rispondeva in intercalare: opinioni. Portava anche rispetto a’sistemi altrui, o forse anche per noncuranza, non movevasi a confutarli; certo è ch’io in sì fatte controversie, l’ho veduto sempre tacere, ma senza mai sogghignare; e l’unico vocabolo, opinioni, loproferiva con serietà religiosa. […] Stimava fra le doti naturaliall’uomo, primamente la bellezza; poi la forza dell’animo, ultimo l’ingegno. Delle acquisite, come a dire della dottrina, non faceva conto se non erano congiunte alla rarissima arte d’usarne.
«Teneva chiuse le sue passioni; e quel poco che ne traspariva, pareva chiarore di fiamma lontana» «Insomma non pareva uomo che essendosi in gioventù lasciato governare dall’indole sua naturale, s’accomodasse, ma senza fidarsene, alla prudenza mondana» «Sembravami ch’egli sentisse non solo dissonanza nell’armonia delle cose del mondo: non però lo diceva»