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Spirito Santo, che mi attraversi da parte a parte. Tu, mia ispirazione, mio fuoco interiore, mio refrigerio e mio respiro. Tu che sei dolce come una sorgente e bruci come il fuoco, o unione di tutti i contrari, radunaci, fa l’unità in noi e attorno a noi. 1 Corinzi 12,12-27.
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Spirito Santo, che mi attraversi da parte a parte. Tu, mia ispirazione, mio fuoco interiore, mio refrigerio e mio respiro. Tu che sei dolce come una sorgente e bruci come il fuoco, o unione di tutti i contrari, radunaci, fa l’unità in noi e attorno a noi
1 Corinzi 12,12-27 • Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. E infatti il corpo non è formato da un membro solo,ma da molte membra. Se il piede dicesse: “poiché non sono mano, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe parte del corpo”. E se l’orecchio dicesse: “poiché non sono occhio, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito dove sarebbe l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: “non ho bisogno di te”; oppure la testa ai piedi:”non ho bisogno di voi”. Anzi le membra del corpo che sembrano le più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto,mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato tutte le membra gioiscono con lui.
Collocazione della lettera Valore della lettera • Essendo indirizzata a una chiesa locale molto concreta, offre un quadro unico della vita di una comunità cristiana, nella città più popolosa dell’intera Grecia • Delle tredici lettere paoline e della sua tradizione, quelle inviate alla comunità di Corinto sono le più vivaci e dibattute: in esse si alternano questioni di vario genere e sentimenti contrastanti nelle relazioni tra Paolo e i destinatari • L’orizzonte ecclesiale è presente in tutte le lettere paoline ma questo risulta particolarmente marcato in 1-2 Corinzi, al punto da rappresentare un modello per le diverse maturazioni dei percorsi ecclesiali.
Visione d’insieme La lettera si presenta nel seguente modo: • dopo l’indirizzo e il rendimento di grazie (1Cor 1,1-9) Paolo parla diffusamente delle divisioni a proposito dei predicatori (1,10 – 4,21) • Avendo sentito parlare di cattive condotte e difficoltà ( incesto, processo di fronte ai tribunali pagani, lassismo e facili costumi) affronta vari punti del comportamento cristiano (5, 1-13; 6,1-11; 6,12-19) • In seguito risponde a domande che gli sono state poste dai Corinzi : matrimonio e celibato (7, 1-40) ; le carni immolate agli idoli (8,1 – 11,1; contegno delle donne in assemblea e celebrazione dell’Eucaristia (11, 2- 16 e 11, 17- 34) • I carismi e la comunità cristiana (12,1 – 14,40) che interessa la nostra pericope • Dubbi sulla resurrezione dei morti (15) • Consegne a proposito della colletta, raccomandazioni e saluti (16)
Categoria centrale che percorre la lettera di 1Cor 12-14 σωμα • Nel capitolo 11, 23 -25 : “ Vi ho trasmesso quello che io ho ricevuto […] che Gesù Cristo in quella notte quando fu tradito prese il pane e disse: Questo è il mio corpo …”. • Questo è il nucleo originario. Nel rapporto con i suoi Egli si presenta come σωμα . • Questa categoria del σωμαè presentata attraverso tre concezioni fondamentali nella 1 Corinzi: • 1 Cor 11, 23 -25 : Corpo di Cristo eucaristico • 1 Cor 15 : Corpo di Cristo Risorto • 1 Cor 12 : Corpo di Cristo: la Chiesa e il credente. Anche il corpo al “singolare” del credente è tempio dello Spirito Nessuna di queste concezioni è prioritaria dal punto di valoriale, ma esse stanno insieme
I due sacramenti fondamentali del cristianesimo sono Battesimo e Eucarestia. Paolo in 1, 14 -17 demitizza il Battesimo: “ Non sono stato mandato a battezzare, ma ad evangelizzare”. Il Battesimo non è il proprium del cristianesimo. Il battesimo è diffuso nel mondo antico, a Qumran, nella comunità di Giovanni Battista … è diffuso in tutte le religioni ed è una sorta di purificazione. Paolo quindi non vede nel battesimo il cuore dell’essere cristiano, ma il proprium cristiano è l’Eucaristia, il fatto che uno abbia scandalosamente detto prima di morire in croce: “questo è il mio corpo” per ricodificare il Battesimo. In Rm 6,1-14 Paolo dice che il Battesimo è essere con-crocifissi, con-sepolti per con-risorgere insieme con Cristo. Il battesimo non è solo purificazione ma unione e partecipazione alla morte e resurrezione di Cristo. Il novum cristiano, è l’Eucaristia. Il cristiano diventa l’eucaristia che mangia, diventa σωμα !
Alcuni elementi che presuppongono la comprensione della nostra pericope • v. 12,1: “Quanto ai doni dello Spirito (=πνευματικων) ” introduce la risposta a un nuovo quesito che riguarda le esperienze carismatiche • v. 14,1 : Ritorna ancora il vocabolo pneumaticòn = doni dello spirito. È un termine tecnico utilizzato nel mondo ellenistico per indicare fenomeni prodigiosi ed estatici. Lo Spirito era inteso come forza travolgente, donatore di forze straordinarie e spettacolari. Conseguenze: • Il carisma si consumava all’interno del singolo chiudendolo in se stesso e isolandolo dagli altri. Costituiva una realizzazione eccezionale dell’individuo, addirittura una sua divinizzazione, cioè una interpretazione individualistica dello Spirito e dei suoi doni. • La realtà carismatica era dissociata da quella comunitaria della Chiesa • I carismatici straordinari erano una minoranza di privilegiati. Si determinò perciò una discriminazione netta tra i pochi possessori e i molti che ne erano privi, si creò una linea di demarcazione tra credenti di serie A e credenti di serie B • Paolo ricorrerà al paragone dell’organismo umano, sia per combattere il complesso di superiorità dei carismatici sia il complesso di inferiorità degli altri
Classe Serie a Classe Serie B
Il corpo di Cristo • Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito (12,12-13)
Antifona di tutta la pericope 12,12-27 L’Eucarestia che ci fa CORPO non è un premio ma un regalo
Unicità e molteplicità L’affermazione : “ noi pur essendo molti, siamo un corpo solo” che troviamo in 10,17 e in Rm 12,5 racchiude il concetto di unitànella frase principale – siamo un corpo solo- come se fosse la frase più naturale del mondo. La molteplicità invece viene espressa nella subordinata: “pur essendo molti” …. quasi a volerne implicitamente sottolineare l’incertezza. Ciò che per Paolo era evidente, per noi è oscuro e viceversa. Ciò che per Paolo era scontato per noi non lo è. È unicamente nostro compito superare il condizionamento altamente individualistico.
Profonda e necessaria unità del Corpo Matteo 26,26: “Ora mentre mangiavano, Gesù prese un pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: “ Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”
Nuova Alleanza Antica Alleanza • Gesù “prese un pane”, non “prese il pane” • Mosè, per stipulare il patto tra il Signore e il popolo, prese il libro dell'alleanza. • Gesù prende un pane normale • Nella cena giudaica si usa il pane azzimo • Non uccide una vita, ma lui offre la sua • Nella pasqua si sgozzava un agnello. • Si sacrificava un animale in onore di Dio, gli si donava qualcosa • Gesù non toglie il pane ai discepoli, ma si offre lui come pane. E' il Dio che non chiede, ma dona. • Quando si sacrificava un animale in onore di Dio, poi le parti dell'animale venivano divise gerarchicamente. • Gesù non prende un animale, ma prende un pane tondo, uguale per tutti
Una delle più antiche preghiere eucaristiche, che è stata conservata nella Didaché, dice: “Come questo pane che è stato spezzato erano chicchi di grano sparso sui colli e raccolto è diventato una cosa sola, così si raccolga la tua chiesa dai confini della terra”. La caratteristica a cui l'evangelista sta attento, come gli altri evangelisti, è formare l'unità. Come il pane è formato da chicchi di grano che erano sparsi, ma poi sono stati macinati, mescolati insieme, e sono diventati un'unica cosa, così la comunità cristiana nell'Eucaristia tende a diventare una sola cosa
“Lo spezzò”. Gesù offre se stesso ai discepoli come pane perché mangiando Lui, che si fa pane, essi si facciano a loro volta, pane per gli altri.
“Prendete e mangiate” Per l'evangelista non è sufficiente prendere il pane, che è Gesù, ma è necessario anche mangiarlo, assimilarlo, farlo proprio.
Offrendo se stesso come pane Gesù non vincola i suoi a una dottrina, a un testo, a una legge a cui i discepoli devono aderire, ma a un alimento di cui nutrirsi Il pane che entra in ognuno di noi fiorisce in una forma nuova. Questa è la potenza del messaggio di Gesù. Quindi non una dottrina esterna a cui uniformarsi, ma una stessa potenza d'amore.
L'antica alleanza prevedeva una legge, un codice esterno all'uomo. La legge non può conoscere la mia storia personale, le mie sofferenze, i miei desideri, la mia crescita … la legge è uguale per tutti. La nuova alleanza è un alimento interiore che parte dall'intimo dell'uomo e che conosce ciascuno
“Questo è il mio corpo”. Allora 'questo' è un termine che in greco corrisponde al neutro e non può essere grammaticalmente riferito al pane che è maschile. Gesù dice : “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”, Ma 'questo' a che cosa si riferisce? “Questo è il mio corpo”, non si riferisce soltanto al pane. E' importante questo perché l'evangelista, attraverso questo gioco grammaticale, ci svela il significato profondo e ricco di quella che è l'Eucaristia. “Questo è il mio corpo” si riferisce secondo Matteo a tutto il processo di spezzare il pane, distribuirlo, mangiarlo. Tutto questo fa il corpo di Gesù.
“Questo è il mio corpo” va al di là del pane … è la comunità di quanti lo accolgono, che diventa il corpo visibile di Cristo. Ecco perché Paolo, nella sua lettera, dice chiaramente: “Voi siete il corpo di Cristo”. Allora le parole “Questo è il mio corpo”, cioè “questo sono io”, non si riferiscono soltanto al pane, ma alla comunità che questo pane lo accoglie, lo spezza, e si fa pane per gli altri. Questo è il corpo di Gesù: il corpo vivente, il corpo palpitante nel quale il Signore si manifesta.
Paolo quindi ricorre al paragone dell’organismo umano per spiegare l’assurdità sia del complesso di superiorità dei carismatici, sia il complesso di inferiorità degli altri. Gli atteggiamenti di superiorità o inferiorità indicano che l’unico Spirito dell’Amore che continuamente si dona non è accolto e il sangue non circola o circola male
Anticamente l’aspirazione a conquistare la condizione divina e diventare dèi era l’obiettivo di tutti coloro che detenevano il potere e volevano per questo “salire nei cieli” per innalzarsi sugli altri uomini. Raggiungere il Signore è stata anche la massima aspirazione di ogni persona religiosa: elevarsi, spiritualizzarsi, per unirsi misticamente con il Dio invisibile. I potenti pensavano di avvicinarsi a Dio e di essere al suo pari mediante l’accumulo di poteri; le persone religiose attraverso l’accumulo delle pratiche religiose.
Ma Gesù propone qualcosa di differente e incomprensibile per la mentalità religiosa: non un uomo che sale verso Dio per avere la sua stessa condizione divina, ma un Padre che raggiunge gli uomini attraverso il Figlio e essere accolto da ciascuno per diventare UNO con loro. Questa unione non li renderà più spirituali, ma più umani. Più noi siamo capaci di accogliere il Dio che si dona diventando più umani, misericordiosi, compassionevoli, più l’unità diventa visibile
“Gesù è anzitutto comunione, non è venuto sulla terra per creare una nuova religione, ma per suscitare una comunione d’amore. Nella comunità di Gesù non ci sono gli undici più Giuda, ma i dodici conGiuda per ricordarci che il male non si può sistemare entro i confini che separano gli individui, il male sconfina nel cuore degli uomini, di tutti gli uomini. Siamo segnati ogni volta dal limite che siamo, siamo tutti un tentativo di ricreare, una trasformazione in atto e l’uomo deve convincersi che il suo compito non è quello di conquistare Dio, ma di lasciarsi trovare.” (don Luigi Verdi)
E infatti il corpo non è formato da un membro solo,ma da molte membra. Se il piede dicesse: “poiché non sono mano, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe parte del corpo”. E se l’orecchio dicesse: “poiché non sono occhio, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito dove sarebbe l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo.
Necessaria diversità Sterile uniformità
Paolo non spiega perché il “piede” e “l’orecchio” dovrebbero sentirsi infelici perché diversi dalla mano e dall’occhio. Probabilmente venne influenzato da una famosa parabola politica (tramandata sia da fonti greche che latine) in cui lo stomaco era invidiato da tutti gli altri membri, i quali erano costretti a lavorare, mentre lui non doveva far nulla se non godere dei beni che essi gli procuravano (Livio, storia di Roma 2,32,9)
Il corpo esclude l’uniformità , è nella sua alterità irripetibile che ogni membro appartiene al Corpo di Cristo. Nell’azione creatrice, la forza di Dio e la varietà è così ampia che non può tradursi in una sola persona, in una sola cultura, in una sola lingua, in una sola espressione. Noi mangiamo tutti lo stesso cibo, ma diventiamo tutti diversi, nella fisionomia, nella sensibilità, nel modo di agire. Così accogliere la diversità non significa diventare tutti uguali, significa anzi crescere nella propria diversità, in virtù del rapporto vissuto e del dono ricevuto.
L'identità Fin da quando ero bambino non volevo essere me stesso. Volevo essere come Marco Cancelli, e a Marco Cancelli io non piacevo neanche. Camminavo come camminava lui; parlavo come parlava lui; e mi iscrissi alla scuola superiore a cui si era iscritto lui. Ma poi Marco Cancelli cambiò. Cominciò a bazzicare attorno a Gianni Ferrari; camminava come Gianni Ferrari; parlava come Gianni Ferrari. Mi confondeva! Io cominciai a camminare e a parlare come Marco Cancelli, che camminava e parlava come Gianni Ferrari. E poi mi balenò alla mente che Gianni Ferrari camminava e parlava come Carlo Alvoni. Ma Carlo Alvoni camminava e parlava come Alberto Sabina. Ed eccomi qui a camminare e parlare come l'imitazione che Marco Cancelli fa della versione che Gianni Ferrari fa di Carlo Alvoni, il quale cerca di camminare e parlare come Alberto Sabina. E chi pensate che Alberto Sabina imiti nel camminare e nel parlare? Fra tanta gente, proprio Dado Cellini, quel rompiscatole che cammina e parla come me. Quando moriremo e andremo in cielo, e incontreremo il nostro Creatore, il Creatore non ci chiederà: perché non sei diventato un messia? Perché non hai scoperto il rimedio per questo e quello? L'unica cosa che ci chiederà, in quel momento decisivo, sarà: perché non sei diventato te? (Buber)
Far emergere l’io profondo è il lavoro più faticoso, ma è il vero scopo della vitaè ciò che contribuisce in modo tangibile a fare “corpo” insieme. Lo scopo non è imitare o volere essere qualcun’altroma collaborare con Cristo a far emergere l’io vero e originale. I passaggi di questo processo sono diversi per ciascuno, ma quello che conta è darci la possibilità di emergere a poco a poco dalle “barriere” dietro cui l’io si nasconde, è avere la forza di non diventare come gli altri ci vorrebbero, è avere la libertà di non imporci alla loro attenzione.
L’emergere dell’io profondo non si colloca sotto il segno della forza e del potere … Non consiste in un’indipendenza che permette di fare tutto quello che si vuole, ma è la libertà di essere vulnerabili, è la libertà di prendere il proprio posto nella comunità per vivere la comunione e la compassione , per comunicare fiducia e libertà agli altri. Le nostre diversità sono a servizio di una Verità e un Amore che superano le nostre singole persone
Dall’essere sante all’essere compassionevoli Non le une più le altre ma le une con le altre. La diversità è concepita istintivamente come separazione; ce lo racconta la storia e la nostra stessa esperienza, ma Gesù “ spezzando” il suo corpo ci ha dato un nuovo orientamento. Se nell’ AT l’uomo era assorbito da Dio offrendo sacrifici per conquistare la sua benevolenza e separandolo dagli altri, nel NT Gesù non assorbe l’uomo ma chiede di essere accolto, unirsi a noi e potenziarci nella capacità d’amare per andare verso gli altri.
Gesù non dice mai nel Vangelo di essere santi, perché non tutti possono accedere alla santità, ma dice: “siate misericordiosi, come io sono misericordioso”. Qual è la misericordia di Dio? È quella di una amore dal quale nessuno può sentirsi escluso. Questa novità non è stata accolta bene dai discepoli perché abituati da tutta la loro tradizione ad essere un popolo eletto, un popolo superiore, a guardare con disprezzo non solo quelli all’esterno della loro società (i pagani infatti per loro erano persone che non meritavano nulla) ma anche quelli all’interno della loro società, quelli che per le loro colpe o la loro condotta erano discriminati, questa novità non venne facilmente accettata. Ci vorranno decenni dopo la morte di Gesù prima che affiorasse nella chiesa primitiva, questa verità formulata poi da Pietro negli Atti, dopo un lungo travaglio: “Dio mi ha mostrato che nessuna persona può essere considerata impura”.
Non è una legge esterna alla persona quella che guida nella vita, ma è la Vita che è luce ai nostri passi. La vita di ciascuno è differente ma l’aspirazione alla pienezza di vita è la medesima. Se ciascuno si sintonizza con questo desiderio di pienezza interiore è possibile comprendere anche qual è il cammino che ciascuno dovrà fare in modo diverso, ma collegato l’uno all’altro, proprio come in un corpo! Differenziazione e integrazione sono realtà dinamiche mai raggiunte e sempre raggiungibili. Giovanni scrive: “ la vita è la luce dell’uomo” ( Gv 1,4)
“ Il peccato classico di molte religioni è far coincidere la santità con la separazione. Il nome farisei in ebraico vuol dire separati. Il separare nettamente il bene dal male. Queste rigidità sono presenti ogni volta che si ha paura della diversità, mentre l’unica vera preoccupazione dovrebbe essere, non quella di separare, ma di aprirsi a Dio. [.…]. Siamo diversi in temperamento e mentalità, non ci sono né perfetti, né eroi, né puri. Il nostro provenire da esperienze diverse, non ci deve impedire di partecipare ad una comunione superiore” (Don Luigi Verdi , La realtà sa di pane, 124-125)
Non può l’occhio dire alla mano: “non ho bisogno di te”; oppure la testa ai piedi: “non ho bisogno di voi”. Anzi le membra del corpo che sembrano le più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato tutte le membra gioiscono con lui.
Il paragone del corpo non ha esaurito ancora tutte le sue possibilità espressive. La diversità delle membra non si riduce a pura e semplice coesistenza delle une accanto alle altre, come parti in se stesse autosufficienti e autonome, al contrario le unisce un reciproco bisogno. Che cos’è indispensabile? Non si possono umiliare le persone e allo stesso tempo pretendere di amarle. I prescelti vengono facilmente considerati superiori. L’occhio dirige la mano e la testa viene sostenuta dai piedi. Tuttavia l’occhio sminuisce l’importanza della mano e la testa proclama l’inutilità dei piedi. Paolo vuole trasmettere il fatto che “le parti del corpo che sembrano più deboli sono indispensabili” (cf. 11,22).
Il principio di compensazione Fornisce poi Paolo un ulteriore argomento facilmente comprensibile da chiunque. In greco il gioco di parole sarebbe assai brillante ma purtroppo non è traducibile. Paolo fa riferimento agli organi sessuali i quali, da un certo punto di vista, vengono considerati come qualcosa di vergognoso, da non mostrare in pubblico, eppure allo stesso tempo viene dedicata loro molta attenzione e cura. In altre parole le apparenze ingannano! Le parti più deboli, quelle che vengono nascoste, sono necessarie al corpo e devono essere circondate di maggior rispetto, perché tutte le parti, ciascuna con la propria identità, sono legate tra loro, si appartengono reciprocamente in un contesto di responsabilità e di reciproco impegno.
Si ritorna quindi al concetto fondamentale dell’unità per ricordare il nostro intimo coinvolgimento con gli altri. La legge fondamentale della compensazione è la mutua sollecitudine. È esclusa la divisione perché come ogni membro è a servizio di tutto il corpo, così il corpo condivide in bene e in male il destino di ciascuna parte. Sembra che qui valga il proverbio: “Tutti per uno uno per tutti”
Il Signore compie un lavoro da servo perché i servi si sentano signori. Nella sua comunità non ci sono gerarchie, ranghi, ma tutti sono ugualmente signori, per farsi servi gli uni degli altri, perché solo chi è signore, cioè libero può veramente farsi servo dell’altro. Lavando i piedi, Gesù non si abbassa, ma innalza gli altri. Ci dice che Dio è a servizio degli uomini e che per fare corpo tra noi il vero nostro compito è accogliere Dio per andare con Lui e come lui verso gli altri. Simone non accetta il gesto di Gesù, il maestro che lava i piedi al discepolo.
Protesta perché è l’unico che ha capito quali sono le conseguenze di quel gesto. Se Gesù maestro lava i piedi, nessuno del gruppo potrà considerarsi superiore all’altro. Questo è inaccettabile: “Non mi laverai mai i piedi”. Non è un segno di umiltà la reazione di Pietro. Non accetta il suo gesto perché non è disposto a comportarsi come lui. Difende il rango di Gesù perché in realtà vuole difendere il proprio. La reazione del Signore è secca: “Se non ti laverò non avrai parte con me”. Simone poi aggira l’ostacolo intendendo il gesto di Gesù come rito di purificazione e dice: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”
Con Gesù Dio non guarda i meriti delle persone (chiosserva la legge merita di essere amato), ma èun Dio guarda i bisogni delle persone. I meriti non tutti li possono avere, i bisogni tutti quanti li hanno. Gesù è un Dio che non si concede come un premio, ma come un regalo perché mentre il premio dipende dal comportamento di chi lo riceve, il regalo dipende dalla generosità del donatore. Pietro resiste a Gesù perché la difficoltà sta nel farsi raggiungere dall’amore, farsi toccare in profondità da quel gesto.
Siamo abituati al fatto che il debole ha bisogno del più forte. È evidente. Ma l’unità profonda si realizza quando il forte scopre di avere bisogno del più debole. Il debole risveglia e rivela il cuore; risveglia energie che si chiamano tenerezza e compassione, bontà e comunione. Risveglia la sorgente profonda dell’essere. È preziosa la presenza debole perché rivela la mia vulnerabilità e a poco a poco ci si permette di essere noi stessi. Il cammino è lungo e non facile …. ma porta a una trasformazione, se rimaniamo in comunione. Questa è una realtà che ci rende corpo solo quando viene scoperta nella sua sconcertante liberazione.
All’emergere dell’io profondo corrisponde allora la crescita umana verso un’identità più profonda e verso una più grande apertura. Non si tratta di qualcosa di grande e di forte. Questa crescita non è nemmeno troppo visibile. Non è accompagnata da onori o da premi. È qualcosa di interiore, che appartiene all’ordine dell’amore. Appartiene all’ordine della fiducia e della comunione, che sono dono di sé all’altro e accoglienza dell’altro. Questa crescita nella comunione si realizza soprattutto nei piccoli e negli umili. (Alla fine della loro vita, anche i grandi diventeranno piccoli e deboli ).
In questo gesto ciascuno scopre la propria debolezza e grandezza, la propria unicità e diversità. È il segno che ci unisce profondamente se giorno dopo giorno ci lasciamo raggiungere nella nostra fragilità. “La forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9)
“ Ognuno ha in sé il suo essere nobile e ignobile, la sua parte forte e debole, matura e immatura e la sua aspirazione a crescere. Fare Corpo è porsi di fronte all’altro, alle sue fatiche, ai suoi problemi, ai suoi ideali e camminare un po’ con lui verso un reciproco accrescimento di vita. (Don Luigi Verdi, La realtà sa di pane, 124) “Lo specchio del comportamento etico non è la propria coscienza, ma il volto di coloro che vivono con me.” (Fra’ Alberto Maggi)